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Qui o si disfa l’Italia o si muore.

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Nel rapporto della fondazione RES sull’università nel Mezzogiorno, si evidenzia che nelle regioni del Sud continentale e nelle Isole è aumentata esponenzialmente l’emigrazione studentesca: i giovani partono, si formano fuori e gli effetti della loro emigrazione non ricadono nemmeno nel tempo in maniera positiva sui nostri territori poichè una volta partiti, non tornano più. Così, il Sud che sostiene i costi del suo capitale umano, si impoverisce, esportandolo a “senso unico”. Allo stesso tempo gli interventi pubblici statali si sono ridotti spaventosamente al Sud, dove i criteri premiali e la valutazione degli Atenei corrispondono al reddito delle famiglie (notoriamente più povere nel Mezzogiorno) e non al merito degli studenti. La futura classe dirigente meridionale, in assenza di mezzi economici, non si forma più. L’emorragia delle intelligenze è il tassello principale di un puzzle politico economico coloniale, atto a disintegrare il futuro di questa terra attraverso l’alibi di un passato dimenticato e di un presente senza opportunità. Da qui ai prossimi 50 anni la Svimez stima la perdita di 4,2 milioni di abitanti nel Mezzogiorno rispetto all’incremento di 4,5 milioni al centro-Nord. Dinanzi a tutto questo, il Governo (nel silenzio generale delle opposizioni in Parlamento) che fa?

-Investe 13 miliardi di euro in progetti europei per infrastrutture al Nord;
-taglia 3,5 miliardi dei fondi azione e coesione per il Sud e con il bonus occupazione incentiva 538.000 nuove assunzioni al Nord.
-riduce a un terzo il cofinanziamento nazionale sui fondi UE e taglia 7,4 miliardi di euro alle regioni Campania, Calabria e Sicilia.
-investe 9 miliardi per le ferrovie al Nord.
-destina 130 milioni alla filiera agricola di qualità al Nord; 260 milioni per l’industria manifatturiera a Milano, Firenze e Roma; sottrae 700 milioni di euro agli asili del Sud a vantaggio dei municipi del Centro Nord.
-cancella le soglie di povertà al Sud.

Chi dinanzi all’evidenza dei numeri, si sente minacciato dal meridionalismo e non dalla sua italianità, commette l’ingenuità di mostrarsi smisuratamente contraddittorio. Gli italiani dovrebbero essere i primi interpreti delle istanze del Sud e i più strenui difensori di chi combatte per vedersi riconosciuti pari diritti e pari condizioni. Ne trarrebbe, a rigor di logica, enorme vantaggio tutto il Paese a cui sentono fieramente di appartenere. In realtà, l’ipocrisia di chi retoricamente sventola la bandiera della fratellanza, nasconde il cattivo pensiero che alcuni italiani siano più italiani di altri.

Attraverso il recupero di un’ identità negata bisogna lavorare per l’affermazione di una nuova, onesta e preparata classe dirigente che faccia gli interessi della propria terra e abbia gli strumenti per opporsi con coraggio alla deriva demagogica del populismo e alla corruzione, in nome di una autonomia governativa che si affranchi dai modelli che l’Italia ci ha imposto e a cui la politica locale ha acconsentito. La vera sfida è mettere a fattore comune le nostre risorse, unendoci nella battaglia di riscatto, da Sud per il Sud. Senza prendere ordini da Roma, Milano, Firenze, Genova o qualunque altro posto che non sia la nostra terra e la nostra coscienza.

Di Flavia Sorrentino

Ero italiana, poi ho scoperto che da 155 anni siamo figli della malaunità.

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Ci ho creduto, lo ammetto.
Ero italiana fino a poco tempo fa.
Fortemente patriottica, la storiella risorgimentale studiata sui banchi di scuola mi piaceva. A dire il vero era un po’ strana, ma in fondo quante storie studiamo, ci piacciono, e così non ci soffermiamo troppo a chiederci, sarà vero?
In fondo nell'”Orlando Furioso”, Astolfo deve portare sulla luna l’eroe Orlando per ritrovare l’intelletto, quindi che importa se Garibaldi ha vinto con soli Mille uomini?
Poi cresci e pian piano i testi scolastici non bastano più, quelli accademici non convincono del tutto.
Tu hai comunque imparato quel senso di inferiorità che ti accompagna nel tuo essere meridionale. È stato indotto, ma te lo hanno detto nelle scuole e nelle università, sin da piccolo (specie se sei cresciuta in Lombardia) quindi è presente e sembrerebbe quasi innato dentro te.
Poi leggi ancora testi di storia e politica,cominci a fare qualche calcolo e i conti non tornano.
Ci definirono analfabeti, però le scuole furono chiuse per 15anni dopo l’unità d’Italia. Un territorio pressoché agricolo, il nostro, mentre nel resto d’Europa arieggiava la rivoluzione industriale, però a Mongiana in Calabria sorgeva un villaggio siderurgico. Arretrati rispetto al resto del paese, però la prima tratta ferroviaria dello Stato fu la Napoli-Portici.
Tanti altri primati, e troppi altri conti che non tornano.
Capisci così che in fondo il risorgimento non era una bella storiella, ma solo la storiella redatta ad hoc per nascondere anni di saccheggi, violenze e distruzioni.
Capisci che la storia è stata depredata come il tuo territorio, ti hanno mentito per anni e ciò che credevi di essere in realtà non ti è mai appartenuto.
Un trauma quello meridionale che non è mai stato affrontato e perciò non è stato elaborato. Da qui ne discendono i problemi del presente. Se per anni nascondono il tuo passato, tolgono tutto e poi tagliano le tue gambe, bé, non ti permettono di andare avanti… Risulta difficile rialzarsi.
Qui non si tratta di campanilismo, e neppure di essere nostalgici. Si tratta della nostra storia e del nostro presente che non può dispiegarsi se tutti i tasselli del passato non vengono messi a posto.
Non si tratta nemmeno di mettersi ad elencare ciò che eravamo, ma di rendersi conto, dopo essersi svegliati dal sonno e dal nostro stato di assuefazione, di essere considerati ancora cittadini di serie B.
17 marzo 2016, io non posso festeggiare. Devo gridare l’indignazione per questi 155 anni di malaunità e di iniquità. Devo gridare la mia indignazione per l’ennesima ingiustizia in affari assicurativi, dove un governo ci vuole punire per essere meridionali. Devo lottare affinché non inquinino il mio mare e quindi la mia terra per i loschi affari economici di uno stato che non ci ha mai voluto e che ancora oggi non ci vuole.
Io oggi ricordo che da 155 anni siamo in una condizione di Colonia interna, ma qualcosa MO sta cambiando. Se prima lo eravamo inconsapevolmente, oggi possiamo finalmente dire che il Sud si sta riappropriando della propria soggettività. La strada è ancora lunga, ma aver trovato il percorso giusto ci porta già ad essere a metà del nostro tragitto.

‪#‎iononfesteggio‬
‪#‎iocommemoro‬
‪#‎sudaprigliocchierialzati‬

Carmen Altilia

Le voci di dentro

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di Antonio Lombardi

L’Italia “unita” sta correndo ai ripari. Come era prevedibile, visto il successo turistico smisurato di Napoli durante il periodo natalizio, le altre città d’arte devono attrezzarsi per prepapare al meglio la Pasqua e la stagione estiva. Se Napoli non rientra nel buco oscuro dove è stato deciso da 155 anni che debba essere conficcata, c’è da preoccuparsi: vuoi vedere che viene alla luce che è la città con la più alta concentrazione di beni culturali d’Europa?

Così, finite le feste, comincia la nuova campagna antinapoli. Ieri sera, 9 gennaio, va in scena su Rai 1 “Cose nostre” il solito programma sulla camorra, anzi sulla Napoli camorrista, che riduce tutto ad una dimensione: quella che deve essere messa in risalto per danneggiare la città e favorire altri territori.
Tremila anni di arte e di storia, benedetti da un ripetuto riconoscimento internazionale, gettati via in un baleno.

Non che la camorra non esista, ma è uno schizzo putrefacente finito su una meraviglia sorprendente. Se veramente la si vuole combattere e vincere, lo si deve fare valorizzando, incentivando, sviluppando e diffondendo tutto quello che le è estraneo, a cominciare dalla bellezza e dalla vivacità della città e dalla solarità e spirito di sacrificio delle persone che la abitano.

Ma io non credo nella buona fede dell’Italia, che dice di voler combattere la criminalità organizzata e poi la alimenta con una cultura di discriminazione e di morte e la usa per i traffici della parte industrializzata del Paese.

Ho fotografato la “Fontana della Maruzza”, appena restaurata, un piccolo gioiello del ‘500, come una pietruzza incastonata su un anello. All’inaugurazione, il sindaco De Magistris ha detto: “noi non abbiamo avuto alcun sostegno, non abbiamo avuto il Giubileo, l’Expo o eventi finanziati dallo Stato e dal Governo. Tutto quello che si sta facendo e che porta Napoli ai vertici del turismo internazionale è frutto del lavoro di questa città”. Esattamente questo.
Ed ora prego cortesemente tutti i sapientoni ascari che si sentono in dovere di precisare, puntualizzare, ribadire e offendere la propria città per dare corpo alle “voci di dentro”, gli obblighi coloniali introiettati da un secolo e mezzo di educazione alla soggezione, che risuonano imperiose nelle loro identità inferme, di evitare di commentare questo post. Ieri sera ho già vomitato.

Un passo verso la decolonizzazione: perchè è importante cambiare la toponomastica delle città del Sud.

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Di Annamaria Pisapia

“Di fronte al mondo sistemato dal colonialista il colonizzato è sempre supposto colpevole” –Frantz Fanon “I Dannati della Terra” .

La colonizzazione del Sud, avviata 155 anni fa, potè espandersi grazie, anche, alla diffusione capillare su tutta la penisola, di una storiografia improntata all’annichilimento delle popolazioni del Mezzogiorno, della sua storia, della sua identità,  con l’intento di sottrargli forza e capacità. Un modello che si è sviluppato in maniera esponenziale e su cui la classe politica nord-centrica ha costruito la sua egemonia sul Sud. Fin dal 1860 la divulgazione storiografica fu affidata a quegli storici che vennero definiti “sabaudisti”.

Essi avevano il compito di divulgare la “Storia Patria” attraverso la mitizzazione dei Savoia. L’indottrinamento avveniva mediante compendi, letture e manuali, che venivano imposti nelle scuole elementari, così che l’imprinting (condizionamento)potesse fissarsi e forgiare le giovani menti.  In una Circolare Ministeriale del 26 novembre 1860 si legge: “La storia nazionale deve essere identificata con quella dei sovrani sabaudi…”. Ma, per la riluttanza di molti insegnanti, in special modo quelli del Mezzogiorno, ad adottare la nuova versione storiografica, il Ministro della P.I. Broglio, nel 1868 istituì una commissione d’inchiesta in cui spiegava: “ I maestri sono estranei in massima parte, quando non ostili, al nuovo corso politico inauguratosi nel 1861… specie nelle scuole degli ex territori pontifici e del Meridione…”  Così, al fine di un vigoroso attecchimento il Ministro Baccelli istituì delle “Conferenze Pedagogiche” da tenersi in tutta la penisola.

E’ inutile dire che da allora nulla è cambiato e  i libri di testo scolastici sono tuttora concepiti in maniera da alimentare la colonizzazione del Sud.  Colonizzazione che fu chiara fin da subito a eminenti politici, come il Deputato Proto Maddaloni,  il quale presentò una mozione parlamentare a riguardo il 20 novembre 1860, censurata dalla Commissione Parlamentare, e ad altri tra cui il Ministro Francesco Saverio Nitti, che non esitò a denunciare le condizioni cui era costretta a vivere Napoli: “…ridotta ormai a città capitale di una colonia…”. Da allora le condizioni in cui è  tenuta Napoli continuano, tuttora, ad essere quelle di una capitale colonizzata.  Condizioni che si sono negli ultimi decenni fatte sempre più evidenti, in cui non possiamo non riconoscere  quelle dinamiche innescate da quel fatidico 1860 e che sono proprie dei colonizzatori. Tra queste ne riconosciamo alcune, tuttora ben visibili: l’occultamento della storia, come già evidenziato, e  la distruzione dei segni del passato del popolo conquistato. Quest’ultima dinamica acquista una importanza rilevante, come ci insegna la semiotica, perché fa riferimento, inequivocabilmente, al predominio e marcazione del territorio. Il tutto viene attuato rimuovendo monumenti e toponimi da strade, vie, piazze, che vengono sostituiti da quelli dedicati ai nuovi governanti.

Questa lunga premessa si rendeva necessaria per focalizzare meglio l’attenzione su  uno dei punti fondamentali:” Napoli, così come l’intero Mezzogiorno, ahimè, prima di essere colonizzata economicamente continua ad esserlo mentalmente”. E fintanto che continuano ad esistere monumenti, strade, vie e piazze in ricordo di coloro che si resero rei del massacro del Sud la colonizzazione si autoalimenta.  E con essa l’educazione alla minorità. Tutto ciò ci depriva delle nostre radici, della nostra memoria e della nostra identità: indebolendoci e instillandoci un errato senso di colpa e di riconoscenza verso i nostri “liberatori”.

Pertanto ritengo di fondamentale importanza la rimozione di quei toponimi, dedicati a personaggi che si sono macchiati di delitti efferati contro il popolo napoletano. E, laddove possibile, di ripristinare l’antico toponimo. Considerando che: “La memoria del proprio passato restituisce dignità e identità ad un popolo e ne rafforza l’autostima”.

 

Io non festeggio la disunità: per l’Italia non valgo niente la mia terra è il Sud.

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Non è per colpa o per grazia di nessuno se nasci in Calabria o in Piemonte ed è più comodo, o forse meno doloroso, pensare che non tutto dipenda dalla tua volontà. Peccato, che la storia di questo Paese racconti una trama ingiusta, fatta di scelte a senso unico e controsensi, di cause storiche ed effetti moderni che partono da lontano e arrivano ad oggi, al punto di pensare che essere meridionali non sia nient’altro che una condizione.
Sei meridionale ogni volta che aspetti un treno che (se arriva), arriva tardi e sei di Matera se il treno non esiste; sei meridionale quando vivi nelle Terre dei veleni e il livello di diossina è di gran lunga maggiore che nel resto d’Italia; sei meridionale se paghi l’RCauto più cara d’Italia anche se non fai sinistri da vent’anni; sei meridionale se l’asticella della disoccupazione sfiora il 60%; sei donna e meridionale se il numero di senza lavoro tocca punte del 50%. Sei meridionale ogni volta che il segno meno domina sul segno più.
Dinanzi alle prospettive di lavoro dei giovani neolaureati nel Mezzogiorno, ad un federalismo fiscale bocciato dalla Corte dei Conti (perché iniquo al punto di accrescere gravemente il divario tra Nord e Sud), ad una legge sulla sanità che dà meno risorse alle regioni meridionali perché l’aspettativa di vita media è più bassa, ad un federalismo comunale che sottrae 700 milioni di euro all’anno per gli asili e le scuole del Sud, far finta che quest’ Italia meriti un briciolo di credibilità, espone al serio rischio di sembrare troppo ingenui per continuare a sperare. Non è poi così difficile sconfessare i luoghi comuni che vorrebbero far sentire un giovane del Sud endemicamente predisposto a fallire, se la causa dei suoi mali si chiama questione meridionale, prosecuzione di precise volontà politiche tutte a favore di una sola parte della “patria”. Fratelli d’Italia, d’accordo. Ma per il Sud, dov’è la vittoria?

Grandi opere al nord e nemmeno una piccola al sud, meno 40% delle infrastrutture e solo il 3% di investimenti nel Mezzogiorno per l’edilizia scolastica a fronte del 69% al Nord. Nata nel falso storico risorgimentale, attanagliata dalle mafie, figlia della peggiore classe politica del Sud alleata saldamente alla peggiore classe dirigente del Nord, questa “Italiella” ci ha resi minori, negandoci storia, verità e benessere fino a renderci succubi e persino riconoscenti!

Nessun padrone picchia il suo schiavo per amore, eppure non è facile chiedere di ribellarsi a chi per anni, stordito dalla convinzione che qualche italiano è giustamente più italiano di un altro, ha accettato di essere trattato come ultimo tra gli ultimi. Nell’indifferenza generale dei media, dei detrattori di sempre, degli intellettuali di cartone che sminuiscono il sentimento di riscatto, i cittadini meridionali non possono più illudersi che a salvarli sia chi da sempre, si è impegnato per distruggerli. Il Sud da solo può più di chiunque altro. Il petrolio, il gas, l’energia rinnovabile, le tecnologie, l’artigianato, il turismo, l’enogastromia sono oro per noi e per chi lo sfrutta a nostro svantaggio. Troppe volte abbiamo semplificato negativamente l’ universo di idee, stimoli e potenzialità di cui possiamo farci fregio.

Investire sui giovani, tornare a fare impresa, ridare fiducia ad un territorio ricco di risorse e capitale umano, che per lungo tempo è stato abituato a credere che il proprio talento avesse senso solo se investito a Milano o Berlino, serve a risarcire e costruire le generazioni meridionali del domani. Non esistono diverse versioni dell’ equità, esistono altresì nuove strade da percorrere e se alcune possono condurre in un vicolo cieco, altre possono spalancare una finestra verso nuove conquiste.

Perchè una cosa è certa: il rinnovamento è il cammino.

Flavia Sorrentino

Stop alle invasioni barbariche nella terra nostra.

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“BREVE RAPPORTO SUL SENSO DEI LEGHISTI PER IL SUD.”

Come accertato dai giudici siciliani, con il conforto di ampie testimonianze e confessioni da parte di importanti pentiti di mafia, il progetto di affidare le regioni meridionali ad un nuovo sistema di potere composto da massoneria, mafia, neonazisti e leghisti risale agli inizi degli anni ’90. Fu deciso in un summit mafioso tenuto ad Enna con una trentina di boss, tra i quali Riina, Provenzano e Messina Denaro, alla presenza di neofascisti professionisti dell’eversione nera, servizi deviati e piduisti. Lo racconta con dovizia di dettagli Marco  travaglio nel suo “E’ Stato la  mafia”.

Perché accadeva tutto questo e quali vantaggi avrebbero ricevuto i diversi attori dell’operazione “lega al sud”? Erano gli anni in cui gli eroici Falcone e Borsellino avevano scatenato una vincente lotta senza quartiere contro la mafia, arrivando persino ad indagare il cosiddetto terzo livello, il vero potere mafioso, quello che unisce gli interessi finanziari della borghesia del nord, il presunto “salotto buono” milanese, con quelli delle mafie del Sud, utili a rastrellare soldi ai meridionali  per affidarli, ripuliti, ai “buoni investitori del nord”. Il tutto con la supervisione dei servizi segreti deviati, data la posizione di dominio nello stato di imprenditori settentrionali e politici legati alla mafia. La cupola massonica P2 era il loro covo naturale.

In quegli anni, il Sud, anche grazie alla  politica di intervento statale, alla presenza nel governo di alcuni politici meridionali e  più di tutto allo spirito d’impresa dei meridionali, era in netta ripresa economica e cresceva addirittura più del nord, tant’è che nelle regioni meridionali della fascia adriatica, Puglia compresa, si avvertiva la forte riduzione della disoccupazione e la  scomparsa dell’emigrazione giovanile verso il nord. A Bari, a Napoli, a Catania ed altrove nascevano alcuni importanti distretti industriali, anche leader mondiali, mentre il reddito pro capite dei meridionali risaliva progressivamente, riducendo il divario con quello del nord a circa il 70%, dal 53% a cui era ridotto nel dopoguerra.

Tutto ciò non poteva durare, la concorrenza degli imprenditori meridionali e la conseguente scomparsa dell’emigrazione, mettevano a rischio lo stesso sistema di potere economico italiano, fondato sul monopolio industriale del nord che ha sempre utilizzato il Sud come terra coloniale dove sottrarre risorse, materiali ed umane, da usare a basso prezzo nelle sue aziende.

Ecco spiegata la nascita della lega nord, che con l’appoggio di giornali ed opinionisti alla Giorgio Bocca,  faceva leva sul tradizionale ed interessato pregiudizio antimeridionale dei settentrionali, indotto da piemontesi ed affini sin dall’unità d’Italia. Ecco nascere il mito di Roma ladrona, della Cassa del Mezzogiorno, “da chiudere perché fonte di ruberie” e dei “meridionali tutti delinquenti”, tutto ciò mentre tangentopoli uno era pienamente operativa e Falcone e Borsellino morivano insieme ad altre centinaia di eroici meridionali sotto i colpi della mafia. La stessa mafia con la quale lo stato era in trattative segrete da 130 anni, non dagli anni ’90 come si vuole lasciar credere,  e che “l’ideologo” della lega, Gianfranco Miglio, voleva legalizzare al Sud, come “riconoscimento delle tradizioni meridionali.”

Il piano di spartizione del potere era chiaro, l’industria del nord avrebbe eliminato la concorrenza dell’economia meridionale, da affidare alla mafia in una sorta di banana republic. In tutto ciò, era fondamentale l’intervento di piduisti e leghisti che facevano leva sul sentimento separatista dei siciliani per strumentalizzarlo a proprio vantaggio.

Tuttavia, la strategia separatista della cupola cambiò in pochi mesi. L’amico Marcello garantiva alla mafia libertà d’azione su tutta la penisola, grazie agli accordi con l’astro nascente Silvio. I giudici palermitani hanno accertato che Forza Italia fu il partito nato da un nuovo patto tra mafia e potere del nord, benedetto dallo stato.

La mafia fu premiata con l’abolizione del carcere duro e con numerose scarcerazioni ed assoluzioni, Forza Italia faceva “cappotto” in Sicilia, sappiamo con i voti di chi, e la lega nord andava alla grande in “padania”, grazie all’appoggio di industriali storici ed industrialotti emergenti, mentre il sud, ormai “sistemato”, decresceva di anno in anno, sino a riguadagnare il divario economico del dopoguerra, attestandosi agli attuali 16.500 Euro pro capite, a fronte dei 30.000 del nord e degli oltre 18.000 di greci e portoghesi, diventando così la terra più povera dell’Europa occidentale.

Il tutto garantito dalla santa alleanza italiana destra-sinistra, poiché anche gli ex comunisti si scoprivano antimeridionali. Tangentopoli uno e due, alta velocità ferroviaria, Expo, Mose, tutto ci parla del nord “operoso” capace di crescere “grazie alla capacità dei padani” mentre gli “sfaticati del sud si grattano i coglioni” (detto in un congresso leghista).

Arrestato per mafia Dell’Utri, tramontato l’astro di Arcore caduto nel pozzo senza fondo dei suoi vizi, e quello di Bossi caduto nella melma di ruberie, diamanti africani  e lauree in Albania, nasce la nuova strategia, anzi la vecchia: dividere l’Italia scaricando il Sud alla mafia che ne garantirà lo  sfruttamento totale ed incontrastato a vantaggio del nord .

A tal fine, occorre ricompattare il  centrodestra intorno ad una nuova figura “carismatica”,  tenendo conto della crisi economica che colpisce anche il nord e del nascente sentimento meridionalista al Sud. Non serve più il doppiopetto ed il sorriso di cartapesta berlusconiano, occorre una faccia truce che sappia far leva sui peggiori sentimenti di crescente razzismo  provocato dal disagio economico degli italiani. Si soffia sul fuoco, le colpe del sistema di potere che ruba allo stato almeno 60 miliardi di euro l’anno vengono scaricate sugli immigrati che, ancorché sfruttati bestialmente, vengono indicati come la causa di tutti i mali. Operazione già riuscita ad Hitler. La scelta della faccia di Salvini è garanzia di alleanza con i “liberali” di forza Italia, con gli ex fascisti di fratelli d’Italia e con i neonazisti di casapound, che spianano la strada alla calata dei barbari leghisti da Roma alla Sicilia. Con la solita benedizione di Tv, stampa ed “opinionisti” alla Vespa.

Sia ben chiaro qual è il senso di Salvini per il sud. Tuttavia, crediamo che questa volta, pur ricompattando forzisti e destra storica del Mezzogiorno, il piano paraleghista di “reconquista del Sud” fallirà. Nelle regioni meridionali è sorta una nuova coscienza meridionalista, culturalmente consapevole del ruolo coloniale cui il Mezzogiorno è stato costretto dal nord. Milioni di libri, a partire da quelli di Pino Aprile, centinaia di migliaia di “briganti” del terzo millennio, antirazzisti e antileghisti, nascenti formazioni politiche democratiche meridionali, totalmente sganciate dalla logica di compromesso con il potere del nord, che perseguono l’autogoverno del Sud, decine di migliaia di attivisti di comitati popolari, dalla terra dei fuochi, ai no triv lucani, abruzzesi e molisani, ai cittadini tarantini minacciati dall’Ilva, saranno una barriera insuperabile per il nuovo blocco sociale, nazi-leghista, manovrato  dalla borghesia del nord, che vuole rimpadronirsi del Paese.

Raffaele Vescera

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