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Un monumento a Napoli per ricordare le vittime del risorgimento

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Patrizia Stabile intervista Annamaria Pisapia su il “Roma”. 

Annamaria Pisapia non è solo un’instancabile ed indomabile donna del Sud che sin dai primi anni ’90 ha abbracciato nel concreto la causa meridionalista, ma è anche l’ideatrice e promotrice di ‘O Monumento, cioè dell’idea di erigere un monumento in memoria delle vittime perpetrate dall’esercito sabaudo durante l’invasione del 1860 a Napoli.

Tale proposta ha fatto molto scalpore, da dove nasce l’esigenza di erigere tale monumento e quali ne sono le finalità. 
L’idea di dedicare un monumento alle vittime del Risorgimento mi accompagna da 26 anni, da quando appresi un’altra storia o meglio, da quando scoprii che quanto avevo studiato sui libri scolastici, in cui veniva mostrato un sud arretrato, povero, analfabeta, nient’affatto industre, tendente alla delinquenza e per questo erano venuti a liberarci nel 1860, non corrispondeva a verità. E soprattutto, scoprii che le vittime dei massacri, che si erano perpetrati per il raggiungimento dell’Unità d’Italia, erano state destinate all’oblio. Nessun ricordo di quel sacrificio, nessuna elaborazione del lutto venne concessa al popolo del Regno delle Due Sicilie, il cui grido di dolore è ancora intrappolato nello spazio e nel tempo. E’ indubbio che un popolo non può costruire la propria identità se non dalla memoria del suo passato, passaggio che serve a rafforzare ed accrescere la propria autostima, tanto più se è stato glorioso. Oltretutto, in molti paesi sono stati eretti monumenti in ricordo del sacrificio dei vinti, che mi sembra del tutto doveroso e naturale erigerne uno anche nel nostro. Inoltre, a mio avviso, rappresenta un punto imprescindibile per il riscatto del Sud”.

Lei è stata promotrice anche della raccolta dei fondi necessari a coprire le spese vive dell’opera realizzata, a titolo gratuito, dall’artista Domenico Sepe: quali sono state le difficoltà legate alla realizzazione di un progetto iniziato ormai 20 mesi fa?
Lanciai l’idea in seno al Movimento Unione Mediterranea, di cui sono coordinatrice, che appoggiò l’iniziativa 19 mesi fa. Il progetto venne presentato al sindaco De Magistris e agli assessori Calabrese e Piscopo che appoggiarono l’iniziativa. Ovviamente necessitava di uno scultore e non potevo che scegliere uno tra i migliori, Domenico Sepe, sia per l’amicizia che ci lega sia per l’amore che nutre verso la sua terra e che traspare nelle sue opere. Egli accettò con entusiasmo la mia proposta e anche la richiesta di produrre l’opera gratuitamente. Ovviamente si è resa necessaria una raccolta fondi a copertura delle spese materiali calcolate in 3.000 euro, e a tal scopo abbiamo aperto una pagina Facebook che abbiamo chiamato ‘O Monumento

Il monumento sarà firmato dal popolo napoletano: quali sono le ragioni di tale scelta e perché è importante che sia realizzato proprio a Napoli?
Il monumento sarà firmato dal popolo napoletano perché vedrà la luce nella città di Napoli, ma esso rappresenta tutto il popolo di una terra che un tempo andava sotto la denominazione di Regno delle Due Sicilie

Una questione a parte è rappresentata dal tema del luogo in cui verrà collocato.
Sul luogo prescelto, la galleria commerciale della stazione centrale, c’è il rifiuto da parte della società Grandi Stazioni di Roma. Oggi si chiede di porla all’aperto. Certo potrò dire di essere finalmente sicura di aver raggiunto l’obiettivo, quando firmerò l’ultimo documento che sancirà l’atto di donazione alla città di Napoli. Sarà scaramanzia? Dopotutto sono napoletana!”.


Su il Roma il 9 novembre 2017.

 

Lettera ai Napoletani

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Cari Napoletani,
no non mi rivolgo a voi che, magari con ammirevole fatica, siete riusciti a liberarvi dalle catene mentali -ideologiche e psicologiche- e adesso ai vostri occhi tutto appare diverso, mi rivolgo a quell’altra fetta della città: quella che, come le tre scimmiette, non vuole vedere, non vuole sentire e non vuole parlare diversamente.
Oggi è la vostra festa: 7 settembre. L’anniversario del giorno in cui il vostro amico Peppe Garibaldi, con le spalle protette dalla camorra, entrò in città e andò ad affacciarsi da quel balcone, ancora esistente, di Palazzo Doria d’Angri. Al largo dello Spirito Santo che, poi, fu ribattezzato piazza VII Settembre.
Auguri! Buon anniversario!
Avevate ragione a tenere duro e a credere ancora, dopo ben 157 anni, che non fu invaso uno stato indipendente di cui Napoli era la capitale, ma si trattò di una liberazione. I buoni vennero a cacciare via i cattivi, vennero ad aiutarci. Perciò sono fratelli e sorelle d’Italia.
E ancora oggi sanno dimostrare che ci amano e ci rispettano. Infatti, non sono razzisti con noi, non ci insultano, non ci discriminano nell’erogazione dei fondi pubblici, non permettono che abbiamo ferrovie diverse dalle loro, né ospedali meno attrezzati, né zero asili nido. Valorizzano i nostri beni culturali, non vengono ad inquinare e a trivellare la nostra terra e i nostri mari, non invocano disgrazie naturali (che so… un’eruzione del Vesuvio, tanto per dirne una). Del resto, quando ci capita qualche brutta avventura, magari un terremoto, un terremoticchio va’, la prima cosa che fanno è raccogliere fondi, esprimere solidarietà, invitare a non affossare la già compromessa (da loro) economia, e non si permettono certo di pensare subito che la colpa possa essere nostra.
Già perché, invece, la colpa è sempre la nostra. Questo, voi dell’altra fetta della città, lo sapete bene, lo sapete così bene che il senso di colpa, iniettato nelle vostre vene come un vaccino contro la libertà, vi tiene ben lontani dal virus di un pensiero mediterraneo e indipendente. La dipendenza da Peppe è un dogma intoccabile.
Vi ho scritto questo biglietto, per ricordarvi di organizzare la vostra festa. Sono sicuro che oggi, 7 settembre, ci metterete la faccia e vi recherete sotto a quel balcone ad applaudire e lanciare baci verso colui che non c’è più ma che, in compagnia di tutta la sua banda -Vittorio, Camillo, Enrico, Nino, l’altro Giuseppe, eccetera- è ancor vivo nelle vostre coscienze vaccinate.
Auguri, allora, buona festa! Se mi troverò a passare per largo dello Spirito Santo, oh scusate, per piazza VII Settembre volevo dire, sono sicuro di trovarvi a ringraziare per le condizioni di vita che ci ha regalato l’avventuriero barbuto. Sì, lui, che con quella faccia da straniero ha navigato il mondo intero distribuendo libertà.
Voi non siete mica come quegli ambigui meridionalisti sui quali non si sa cosa pensare: gente che pareva seria e che invece si è messa in testa di essere nata in una colonia. Quelli, addirittura, vanno dicendo che la pace è frutto della giustizia e che nascondere le discriminazioni che passano sotto al naso equivale ad esserne complici. Che gente!
Un caro saluto
Antonio Lombardi

THE SUN: Napoli tra le città più pericolose al mondo? Ma famme ‘o piacere…

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ADDIRITTURA?

Il giornale inglese The Sun con una classifica a dir poco infondata ,inserisce Napoli tra le città più pericolose al mondo.

Eppure recenti dati Eurostat pongono in Europa proprio la Gran Bretagna sul podio più alto di questa triste classifica, e tralasciamo i dati sugli omicidi di Chicago negli USA.

l’ambasciata italiana a Londra ha protestato contro l’assurda classifica del Sun, ma il silenzio assenso dei nostri organi governativi fa più male dello stesso giornale inglese che probabilmete ha tra i suoi redattori molti appassionati delle varie serie Tv di Gomorra.

Ho riflettuto, dopo l’infelice uscita del THE SUN, se e in che modo prendere posizione, alla fine  ho deciso di far tesoro delle mie esperienza personale tralasciando dati e tabelle che potrebbero smentire, confermare, ribaltare ogni classifica semplicemente sottolineando un particolare dato piuttosto che un altro.

Sono stato a Londra poche settimane prima del triste attentato sul ponte Westminster, come ogni turista medio ho visitato i luoghi turisticamente più conosciuti e su quel ponte, non in una pericolosa zona di periferia comune ad ogni grande metropoli, ho fatto le classiche foto ricordo da far vedere ad amici e parenti.

Quando la Bbc ha trasmesso le immagini dell’auto dell’attentatore che attraversava il ponte di Westminster, investiva i pedoni, mostrando una donna che si buttava nel Tamigi, ho provato un brivido di paura. Sapendo che mia nipote vive a Londra, ciò mi fece temere per la sua incolumità. Fortunatamente, da provinciale quale sono, non ho ben presente le dimensione di una grande metropoli come Londra e mi tranquillizzai soltanto più tardi pensando che mia nipote vive lontano da quel bellissimo luogo meta di tanti turisti: Westminster con il suo Big Ben.

Pochi giorni dopo l’attentato, le indagini portarono a Birmingham, la seconda città inglese per grandezza dopo Londra, e un altro momento di paura mi assalì: il fratello minore di mia moglie lavora a Birmingham.

Bruxelles, 20 giugno 2017, una piccola esplosione e alcuni colpi d’arma da fuoco intorno alle 2 nella stazione centrale sono stati un attentato confermato dalle forze dell’ordine: meno di 48 ore prima mi trovavo in quella stazione alla ricerca del binario 1 per recarmi all’aeroporto.

Parigi: ho deciso, lasciandomi colpevolmente influenzare dai ripetuti attentati terroristici, che per il momento non farò viaggi nella bellissima capitale francese.

Napoli: attraente come una bella donna che si mostra disponibile ma non si concede, scoprire ad ogni “appuntamento” un angolo della sua bellezza è la sua arma di seduzione. Eventi spiacevoli? Personalemete nessuno, e non vuol dire che non ce ne siano, come in ogni altra grande metropoli qualche incoveniente  può accadere, ma da qui ad inserirla tra le città più pericolose al mondo, addirittura alla pari di luoghi tragici come Raqqa, governata dall’Isis… No, sono certo che i redattori del THE SUN hanno visto Napoli solo in qualche serie TV, immaginando qualche immagine di periferia come rappresentativa di una delle città più belle al mondo.

Cari redattori del THE SUN con una bella donna andateci a cena, accarezzatela, inebriatevi del suo profumo, ubriacatevi del suo sorriso, provate a corteggiarla e a fine serata tornate a letto sperando di sognarla. Se la guardate in TV …?

 

Massimo Mastruzzo

Sportello antidiffamazione a Napoli: un esempio da estendere e approfondire

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di Ciro Esposito

Il Comune di Napoli ha istituito lo sportello “Difendi la città”, con il compito di raccogliere le segnalazioni dei cittadini relative alle offese diffamatorie contro Napoli. Non si tratta di perseguire le critiche all’amministrazione, come pure sta scrivendo qualche penna importante (e intinta nel veleno) della stampa nazionale. In realtà la differenza tra critica e diffamazione è evidente, non serve rimestare nel torbido. Non ci sarà nessun automatismo: il cittadino segnala, l’Avvocatura valuta se procedere o meno. Certamente, uscite come quella del Sindaco di Cantù (“Napoli fogna infernale”) o quella precedente di Roberto Calderoli (“Napoli fogna da bonificare”) sarebbero prese in considerazione.

Negli ultimi anni si è prodotto un circolo vizioso: giornalisti in cerca di notorietà, politici in affanno o starlette televisive in ombra, la sparano grossa su Napoli, sollevano un polverone, finiscono sui giornali, vengono ospitati in tv e dividono il web… raggiungendo così il proprio obiettivo. Non rispondere significa far passare il loro messaggio, rispondere vuol dire fare il loro gioco. Ora, sapendo di rischiare più facilmente una querela e di essere colpiti nel portafogli, saranno più attenti.

Lo “sportello antidiffamazione” si inserisce nel progetto “Napoli Autonoma”, la cui delega è stata affidata a Flavia Sorrentino, la capolista di “MO! Unione Mediterranea” alla passate elezioni comunali, che prosegue così il suo impegno meridionalista. Lo stesso Sindaco De Magistris sottolinea il legame tra lo sportello e il rilancio della città: in una società fondata sulla comunicazione, la reputazione ha ancora di più un valore economico. In questo caso l’immagine non ha nulla di effimero o di estemporaneo.

L’iniziativa del Comune di Napoli potrebbe essere estesa e approfondita. Infatti, pur senza tirare in ballo le tifoserie degli stadi,  i casi di insulti, offese e vere proprie discriminazioni ai danni dei meridionali (e non solo dei napoletani) sono frequenti e non sembra che siano in diminuzione. All’estero abbiamo degli esempi – non dico dei modelli – che sarebbe utile studiare.  Una su tutte, l’attività dell’Anti-defamation League, fondata nel 1913,  che ha avuto un’importanza storica nel contenere la diffusione dell’antisemitismo negli Stati Uniti.

Davanti a me ho l’immagine di quell’insegnante mortificata cui il Dirigente Scolastico di un istituto del Settentrione strappò in faccia la richiesta di usufruire della Legge 104: “Tanto a Napoli sono tutte false!”. Il sindacato fece rientrare quella prepotenza, ma se il Dirigente avesse saputo di un’associazione antidiscriminazione a tutela dei meridionali, probabilmente non si sarebbe permesso quell’abuso.

La proroga bilancio alle città metropolitane – Storie di ordinario colonialismo interno

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da un articolo di Desire Rosaria Nacarlo

Il 9 aprile scorso Luigi De Magistris, ha affidato ad un post facebook uno sfogo indirizzato al Governo Gentiloni. La questione affrontata dal sindaco di Napoli è EMBLEMATICA DELL’ATTEGGIAMENTO COLONIALE ad oggi ancora presente nel DNA nord-centrico del governo Italiano.

Il busillis della questione è un decreto legge ad hoc varato dall’attuale governo, e teso a prorogare il limite del 30 giugno per l’approvazione dei bilanci delle città metropolitane. Milano, Torino e Roma sono in estrema difficoltà e rischiano di bucare la data. Il sindaco di Milano, allora, ha chiesto ed ottenuto l’intervento del Governo.

Nulla di male fin qui. Certo, se la cosa fosse partita da Napoli avremmo assistito alla solita processione dei sicofanti che, popolata dai vari Facci, Giletti, Bizzozzero (per citarne un paio) e con in testa Matteo Salvini, avrebbe fatto scempio delle proprie vesti al grido di “Sud assistenzialista”. Fortunatamente la richiesta è targata “capitale morale” quindi la manfrina ci viene risparmiata.

Capita, invece, che a Napoli il bilancio sia già in ordine ed approvato al 31 gennaio, e che il buon lavoro delle amministrazioni attuali abbia fatto “sparagnare” all’area metropolitana 500 milioni. Non ditelo ai Leghisti, ma quei soldi ci sono e potrebbero essere impiegati per la più grande opera di messa in sicurezza dal 1980 in qua. Già, potrebbero. Perché usiamo il condizionale? Semplice! Perché lo stato blocca quei fondi in base ai vincoli di bilancio, e lo fa anche potendolo evitare. Basterebbe una norma per svincolarli.

Invece ci si trova, da un lato, a derogare, prorogare, concedere alle amministrazioni PD e 5stelle del centronord, e dall’altro a tenere Napoli (ed osiamo dire “tutto il sud”) con la testa sott’acqua. Basti pensare al fatto che il comune di Napoli, in regime di riequilibrio, sta facendo i salti mortali per far quadrare i conti, anche a fronte dei continui tagli ai comuni e – ad esempio – ad un blocco per 80 milioni derivante da un pignoramento datato al 1980! Sbloccare quei 500 milioni a livello “metropolitano” potrebbe essere equivalente alla boccata d’ossigeno che giustamente il governo vuole concedere a Milano, Torino e Roma.

Niente illusioni. Nessuna azione in tal senso è prevista. In puro stile colonialista sabaudo (e dire che siamo nel 2017!) Pantalone il lamentoso viene foraggiato (ma non smette di lamentarsi). Pulcinella invece è preso a calcioni nel sedere, e deve pure sentirsi dare del mariuolo inefficiente anche in presenza di fatti che provano il contrario.

Eppure “[…] noi non vogliamo le leggi speciali come vi chiedono quelli che le hanno già avute. Noi non vogliamo privilegi. Noi che amministriamo senza soldi, ma in autonomia e con tanta onestà, vi chiediamo il giusto – per non andare in agonia per colpa di uno Stato ingiusto e iniquo -, quello che ci spetta da tempo e voi lo sapete.”

“Da noi la pazienza per le ingiustizie è terminata.”

Manuali scolastici: prof, scegliete chi non disprezza il Sud

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di Ciro Esposito

Lo “Sputtanapoli” non passa solo dai libri di storia, ma anche da quelli di geografia. Il primo esempio di discriminazione, denunciato dai Verdi campani, riguarda “Geocommunity”. Per questo manuale di geografia di scuola media edito da Zanichelli, Roma “è il massimo polo d’attrazione come centro culturale e artistico mondiale”; Milano è la prima città “per importanza come centro economico e finanziario”; Torino è “in trasformazione da città industriale a città di servizi”; Genova “ha il primo porto in Italia”; Bologna è la “dotta”; Firenze è Firenze. Napoli, invece, merita di essere citata solo per “l’alta densità” di popolazione e per i suoi “forti problemi sociali”. Per Geocommunity non esistono altre città del Sud meritevoli di menzione: evidentemente Bari e Palermo sono ancora dei villaggi.

Potreste chiedere: e allora, Napoli non ha problemi? Certo che li ha. Tuttavia, i ragazzi che studiano geografia potrebbero sapere che non ha solo quelli, che Napoli è molto di più dei suoi problemi. Questo per tacere dei problemi delle altre città, che infatti vengono taciuti, ovviamente per necessità di sintesi.

Oggi si è aperto un nuovo caso, che è finito anche sul “Corriere del Mezzogiorno”, in un articolo firmato da Luca Marconi.

Il manuale di geografia “Link” (sempre per la scuola media), per invitare gi studenti a riflettere sui problemi dell’ambiente non ha trovato di meglio che pubblicare   una foto che mostra il Castel dell’Ovo che si affaccia su una spiaggia colma di rifiuti. Si tratta di un fotomontaggio, non fosse altro perché davanti al castello napoletano c’è una scogliera e non la spiaggia. La “solita” insegnante terrona protesta: scrive alla casa editrice del manuale, la “Bruno Mondadori Scuola” e pubblica il fotomontaggio sulla pagina fb di un gruppo di insegnanti, suscitando il loro sconcerto. Dagli editori di “Link riceve una risposta surreale (e arrogante): ”La fotografia è realizzata da un’importante agenzia giornalistica, che noi abbiamo pubblicato così com’era, ovviamente senza alcun intervento o ritocco”.

“Link” è già fuori catalogo, ma molti di voi sanno che l’”inciampo” non è isolato. La degnazione, il disprezzo o l’aperto razzismo verso il Sud fanno capolino anche lì dove meno te l’aspetti, diventando, quando non trovano un argine, parte integrante dell’educazione alla minorità dei meridionali.

Gli insegnanti farebbero bene ad aprire gli occhi e a reagire, come è accaduto su tante altre questioni sensibili. A breve i prof dovranno scegliere i libri di testo per il prossimo anno scolastico. Selezionare testi che non maltrattano il Sud sarebbe un gesto importante, di ecologia della cultura.

La mezz’ora più lunga – Lettura del confronto fra De Magistris e Salvini ospiti di Lucia Annunziata

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Partiamo subito chiarendo una cosa: Lucia Annunziata è interprete di un certo giornalismo che si finge scomodo e fuori dagli schemi ma che spesso, ad uno sguardo più attento, risulta chiaramente “sotto padrone”, e quello che in un primo momento era sembrata provocazione ficcante finisce per rivelarsi una conduzione sottilmente tendenziosa. Un modo di fare alla Cruciani teso a screditare l’interlocutore non gradito o a rendere comoda la vita a quello gradito (che quasi sempre è in area maggioritaria PD).

Questa volta non è esattamente il caso, ma è anche vero che durante la doppia intervista di oggi, 19 marzo, a Luigi de Magistris e Matteo Salvini la verve faziosetta della Annunziata ha fatto spesso capolino, rendendo scarso servigio al Giornalismo inteso come nobile mestiere.

Ad ogni modo i tentativi di mettere in cattiva luce il sindaco di Napoli in merito ai fattacci della settimana scorsa è stato puntualmente e chiaramente controbattuto da un sereno de Magistris, che con equilibrio e pragmatismo si assume la sua responsabilità politica senza nascondere ed anzi esaltando il fatto che fra la sua esperienza politica e quella dei centri sociali napoletani esiste una mai taciuta e proficua collaborazione. La sinergia fra i vari elementi del corpo politico napoletano, orchestrata dal sindaco in qualità di mediatore, ha ottenuto in questi anni splendidi risultati, e de Magistris non fa altro che elencarne qualcuno rivendicando la partecipazione attiva di tutti i movimenti politici e culturali coinvolti. La serenità di chi ha ragione (e che verrà poi contestata a sparate dal ciarlatano padano, come vedremo) fa scempio del sillogismo “centri sociali/black block”. Certo nessuno può negare che le violenze ci siano state, tanto meno de Magistris, ma le parole del sindaco sulle motivazioni del suo diniego a Salvini, della sua vicinanza ai centri sociali e sulle inopportune prese di posizione di Minniti dovrebbero aver depotenziato le scandalose strumentalizzazioni a cui abbiamo assistito ( ed alle quali, comunque, si doveva evitare di prestare il fianco)

Da questa prima mezz’ora emerge ancora più fortemente come Dema e Luigi de Magistris possano essere interlocutori estremamente interessanti assieme ai quali percorre una parte del nostro cammino. Difficilmente ci sarà mai un totale allineamento di tematiche e ricette politiche, ma le coordinate di base sono comuni.

Salutato de Magistris la Annunziata passa a Salvini. Rileviamo innanzitutto come un ipotetico contraddittorio terzo, da parte del sindaco di Napoli, sia negato dalla incomprensibile conduzione della puntata che non prevede il diritto di replica del primo intervistato. La conseguenza naturale è il grottesco spettacolo di Salvini che replica con le solite sparate vacue e retoriche agli argomenti concreti precedentemente buttati sul tavolo. L’esempio più lampante vede il segretario della lega criticare l’amministrazione comunale che – a suo dire – non si cura delle buche in strada mentre concede chissà quali privilegi di natura immobiliare ai centri sociali. Salvini ignora totalmente i termini in cui si è espresso il suo predecessore ai microfoni, ed oppone calunnie incontrastate a termini come riqualificazione urbana e collegialità della cura cittadina. Ma questa è la sua cifra politica, e ci siamo abituati.

Le panzane si attestano a livelli ragguardevoli. E’ proprio il caso di dire che Matteo da i numeri: “centinaia di circoli”, “migliaia di iscritti”, “2000 convenuti al comizio a napoli” (in una struttura che ne ospita al massimo 1150), 35 mila voti a Roma (11.880 in realtà) etc. il tutto condito dal sempre evidente – anche se scandalosamente negato – preconcetto antimeridionale. Non mancano infatti i richiami alle solite fanfaluche di stampo padano: gli sprechi al sud (e mai al nord), la sanità disastrata (ricordiamoci che la lega è fra le principali cause), quartieri di napoli in mano ai clandestini (dove?). Forse ne azzecca una quando parla delle truffe sssicurative, ma per una che ne indovina i toni rovinano tutto: “Napoli capitale mondiale delle truffe assicurative”. Ellallà!

Non manca nemmeno l’ennesima autoassoluzione del suo razzismo che, come al solito, viene derubricato a banale mancanza di educazione da ultras.

Gli argomenti concreti, invece, stanno a quota zero. Nessun accenno alle ricette concrete. Non vole l’Euro, i nemici sono gli immigrati, i genitori devono essere mamma e papà e non genitore 1 e genitore 2 e via dicendo con la solita ridda di fumogeni politici colorati quanto evanescenti. Pretenderebbe anche che Minniti cambiasse in mezza giornata le direttive alla marina militare in merito all’emergenza migranti nel mediterraneo. Risposte semplici a problemi complessi. Tipico della lega.

Non mancano poi le citazioni alla Le Pen, a cui concede la verginità dall’estremismo di destra. I Lepenisti in francia hanno allargato il consenso proprio grazie ad un populismo di estrema destra, ma a Salvini conviene negare l’evidenza perché spera di replicare in Italia e diventare ministro degli interni (sic.)

Dio ce ne scampi e liberi!

Ad inizio intervista Salvini si dice preoccupato per Napoli che è amministrata da quel poveretto che c’era in studio. De Magistris risponderà per conto suo, a questo, ma da parte nostra valga un chiarissimo: “Stai pure a casa tua, Matteo, ché a noi badiamo noi stessi!”

Una classe politica “normale”, ovvero l’esigenza eccezionale del Meridionalismo moderno

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Se guardiamo alla normalità politico-amministrativa occidentale (e questo esclude l’Italia, dall’analisi) vediamo che pressoché ovunque, la politica locale si fa espressione degli interessi della comunità che rappresenta. Secondo il paradigma della sussidiarietà, più particolare è l’ambito geografico, più ristretto sarà l’ambito territoriale delle istanze proposte. Viceversa più ampio diventa il raggio e più inclusiva e “generica” diventa l’azione politica.

Naturalmente questa è una brutale semplificazione, ma si può affermare che il modello “regge” il confronto con la realtà di parecchi paesi europei, ad esempio. In strema sintesi, la politica è – a vario livello, ed a varie quote – rappresentativa della comunità che la esprime. Come dimostrato chiaramente dalla cronaca quotidiana, però, non tutto fila sempre per il verso giusto. Se non ci si fa accecare da facile retorica giustizialista si vedrà chiaramente che la politica è un fenomeno umano, ed in quanto tale non perfetto. Globalmente parlando il sistema sembra reggere e farlo in maniera equa perché, a fronte dei casi in cui l’individuo sceglie di servire gli interessi specifici più che quelli collettivi, se ne conta una schiacciante maggioranza in cui i delegati rendono effettivo conto alla cittadinanza che ha accordato quella delega.

I disonesti ci sono dappertutto, insomma, ma quando sono “diffusi” in ambienti generalmente sani il loro impatto è minimo, e questo garantisce una diffusa e corretta tutela politica, indipendentemente dalle aree geografiche o dai settori che esprimono le varie deputazioni.

Nel paese che ci ospita non funziona così. La classe politica nazionale fa – in genere – gli interessi di un’unica area geografica, e questo è dovuto al più banale dei fattori: chi deve tutelare il settentrione lo fa, chi deve tutelare il meridione NON LO FA. Al contrario di quanto avviene nei paesi “normali” la classe politica meridionale cura ESCLUSIVAMENTE E MASSICCIAMENTE interessi particolari facendo mancare al Sud il necessario set di tutele da contrapporre ai politici “nordcentrici”.

Intendiamoci: non che la classe politica del settentrione d’Italia sia più onesta, anzi… Quantomeno, però, ha la decenza di affiancare ai suoi appetiti pantagruelici un minimo di attaccamento al territorio. L’esercizio aritmetico risulta nel più facile dei “quattro”. Il confronto politico così avviene fra due filosofie politiche che condividono la truffaldineria, ma non l’attenzione al territorio ed a farne le spese siamo noi cittadini Meridionali, ovvero quelli che non sono riusciti ed esprimere dirigenti interessati alla propria realtà locale.

Dai gattopardi ottocenteschi in qua, la classe dirigente meridionale ha SEMPLICEMENTE FATTO ACQUA in merito alla tutela della propria gente.

Ed allora se si vuole risolvere la questione meridionale, bisogna fare ciò che non si è mai provato a fare. Bisogna fare qualcosa di RIVOLUZIONARIO: cercare la NORMALITA’.

Formare una classe politica meridionale che sia NORMALE nel suo impegno di tutela; NORMALE nei meccanismi di avvicendamento; NORMALE nell’adattarsi al civile e democratico controllo del proprio operato; NORMALE, e quindi RIVOLUZIONARIA.

La calata dei lanzichenecchi leghisti è fallita, ma…

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LA “MARCIA SU NAPOLI” E’ FALLITA, MA CONTRO SALVINI SI POTEVA FARE DI MEGLIO

Facciamola breve. La marcia (dell’11/03 ndr) su Napoli dei leghisti è fallita. Qualche centinaia di amici di Salvini provenienti dalle regioni del Sud, composti da capiclan elettorali del centrodestra che offrono i loro voti al miglior acquirente e i pochi fascisti e neonazisti che condividono l’ideologia xenofoba dei leghisti, si sono rintanati nei padiglioni della Mostra d’Oltremare protetti da 1200 poliziotti, mentre fuori un grande corteo di protesta contro la sua venuta sfilava pacificamente, a parte i soliti esagitati che, scatenando episodi violenti hanno dato modo a Salvini e ai giornali di oscurare tutto il resto.

Il corteo ha visto uniti napoletani di ogni ideologia, dai militanti di DeMa, il movimento di De Magistris, che ripropone i temi classici della sinistra, ai neomeridionalisti che, ponendosi al di là di sinistra e destra si battono per il riscatto del Mezzogiorno, rifacendosi ai temi enucleati, seppure con sfumature politiche diverse, da Gramsci, Salvemini, Nitti, Dorso, Zitara e altri, fino ai “neoborbonici” che fanno del recupero della verità storica sulle reali condizioni di civiltà delle due Sicilie e sulla malfatta unità d’Italia il loro cavallo di battaglia. Tutti uniti da un sentimento trasversale di avversione a Salvini e alla lega Nord, memori degli insulti razzisti antimeridionali e del dirottamento verso le regioni del Nord di fondi europei e statali destinati al Sud, di cui gli eredi di Bossi si sono resi responsabili. Dai fondi Fas utilizzati per pagare le quote latte, fino alla ripartizione del 95% dei fondi ferroviari al Centronord, per alta velocità e altre note ruberie, lasciando il Sud in condizioni infrastrutturali e sociali pietose.

Un sentimento trasversale che, per queste ragioni, va oltre l’avversione a Salvini, debordando in un diffuso convincimento sulle ragioni del Sud, che conquista anche la jacquerie dei centri sociali i quali, paladini della lotta alle ingiustizie planetarie, riconoscono nella questione meridionale la più grande ingiustizia italiana. Peccato solo per la loro estrema esagitazione che li spinge alla degenerazione dei metodi della protesta civile mettendoli dalla parte del torto e rendendo, a loro e all’insieme dei manifestanti, un cattivo servigio.

E’ pur vero che il giornalista antifascista Francesco Maratea, mio conterraneo garganico, segretario degli “aventiniani” nel 1924, ricordando le giornate della “mala” marcia su Roma, diceva: “Se dieci persone fossero uscite decise da Aragno con ombrelli e bastoni, puntando su Montecitorio, non avremmo avuto il fascismo”.
Tuttavia, per fortuna non siamo, perlomeno non ancora, a quel punto di violento assalto del potere della destra estrema. Non credo che al Sud si possa arrivare a tanto. Una nuova calata padana del fascismo non troverebbe le condizioni sociali, il blocco storico industriali del nord-agrari del sud, denunciato da Gramsci, non esiste più, e a parte neonazisti e venditori di voti clientelari legati alle mafie, non vedo una grande possibilità di affermazione al sud per un partito che ha “prima il nord” come motto.

A Napoli i movimenti anti Salvini potevano e dovevano fare di meglio. Rinunciando magari al classico corteo, che solitamente permette infiltrazioni di ogni genere, per convocare a Piazza del plebiscito una grande kermesse con la trentina di artisti aderenti al manifesto contro Salvini, da Eugenio Bennato ai 99Posse, a Gragnaniello e altri grandi musicisti, kermesse, questa sì, che avrebbe raccolto decine di migliaia di napoletani, i quali avrebbero potuto seppellire Salvini con un colossale pernacchio corale di eduardiana memoria. Uccide più il ridicolo che la spada.

A proposito di Piazza del plebiscito, Salvini ha dichiarato che il suo prossimo raduno lo farà proprio nella piazza principale, “per liberare Napoli”, dice. La battuta che circola tra i napoletani, in larghissima maggioranza a lui avverso, è “ma chi l’ha liberato a ‘sto Salvini?”

Raffaele Vescera

Delitto di cronaca

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A guardare i telegiornali, quella di oggi a Napoli è stata una manifestazione violenta e, per questo, degna di essere respinta, delegittimata, magari irrisa come velleitaria e buona ad essere contrapposta alla serietà, sana passione e festosità del comizio di Salvini alla Mostra d’Oltremare.

Fin qui l’informazione ufficiale che, come sappiamo, concentra sistematicamente le sue telecamere e i suoi commenti sui pochi violenti, trascurando (di proposito, ritengo) la grande massa dei manifestanti che, con la loro presenza pacifica e appassionata, lanciano un messaggio di protesta e di cambiamento.

Come si dice in questi casi: “Io c’ero” e ho visto un’altra cosa. Ho visto bandiere di tanti colori diversi, striscioni e cartelli soprattutto ironici, ho visto gente che suonava e, soprattutto, non ho visto le scene di guerriglia: perché il corteo era lungo, molto lungo e chi non era nelle immediate vicinanze degli scontri, neppure se n’è accorto.
Già, era tanto lungo: anche questo non è stato riferito dai telegiornali.

Più che di diritto di cronaca, a me pare un delitto di cronaca.
E una vecchia vignetta di Marco Marilungo spiega meglio di mille parole la dinamica di questo delitto.

Antonio Lombardi

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