Tag Archives: unione mediterranea

ennesimo reato ripetuto e continuato a danno della salute della gente del Mezzogiorno

Share Button

Le compagnie petrolifere che svolgono attività estrattive in Basilicata, hanno un atteggiamento di totale indifferenza rispetto alle richieste della popolazione locale e mancanza di rispetto delle leggi vigenti.
Eni, nonostante i numerosi processi in corso e le pompe sommerse a tiraggio del petrolio sversatosi nel sottosuolo, visibili da chiunque si trovi in Val d’Agri, continua a non trasmettere alla Regione Basilicata i dati sulla qualità delle acque.
E’ palese la violazione del diritto alla salute dei cittadini, i quali possono conoscere l’estratto giornaliero di greggio, ma non devono avere alcuna informazione sulla qualità delle acque che utilizzano quotidianamente. Si pensi che in presenza di attività ad alto impatto ambientale, come quelle di estrazione di petrolio e gas, per garantire la salute dei cittadini si dovrebbero ricercare nelle acque centinaia di elementi, ma per legge le compagnie petrolifere sono tenute a trasmettere, insieme ai dai relativi alle estrazioni petrolifere, i valori riferiti ad appena 4 elementi. Ciò nonostante, nemmeno i dati relativi a questi soli 4 elementi vengono resi noti, sebbene si tratti di acque destinate ad uso umano e potabile e che soddisfano le esigenze di milioni di cittadini del Sud.
Le compagnie petrolifere continuano a farla da padrone, a dispetto di un processo in corso per illecito smaltimento di rifiuti per centinaia di migliaia di tonnellate annue di rifiuti pericolosi, fatti passare per non pericolosi e smaltiti illegalmente nel pozzo di reiniezione Costa Molina2, nel territorio agro di Montemurro (PZ) e presso l’impianto di Tecnoparco Val Basento di Pisticci (MT), causando l’inquinamento di vaste aree della regione Basilicata e malgrado l’incidente scoperto nel gennaio 2017, avvenuto presso il Centro di prima raffinazione e desolforazione di Viggiano, che ha provocato lo sversamento di migliaia di tonnellate di greggio semilavorato nella rete fognaria, nella falda e nei terreni circostanti, arrivando ad inquinare anche il vicino comune di Grumento Nova (PZ).
Questo atteggiamento gravissimo continua ad essere tollerato dai vertici politici ed amministrativi della Regione Basilicata che non ha mai sollevato alcuna comunicazione alle compagnie petrolifere in tal senso.
A tal proposito occorre sottolineare che il processo in corso vede tra gli imputati, ed a giudizio, dirigenti della Regione Basilicata, della Provincia di Potenza, dell’Agenzia Regionale per l’Ambiente di Basilicata e dirigenti di Tecnoparco Val Basento, società partecipata al 40 % dalla Regione Basilicata, tutti imputati dei reati di omissione in atti d’ufficio, abuso d’ufficio e rivelazione di segreti d’Ufficio. L’accusa è grave, consisterebbe nell’aver favorito i petrolieri garantendo loro la copertura sull’illecito sversamento di rifiuti pericolosi, ed avvallando la trasformazione di quei rifiuti da pericolosi a non pericolosi, svendendo la propria terra per procurare un risparmio alle compagnie petrolifere pari a 140 milioni di euro l’anno.
In questa situazione di violenta aggressione ai territori della Basilicata, è inconcepibile che le istituzioni continuino a coprire i signori del petrolio, fingendo di non sapere che esiste un preciso obbligo di trasmettere il riscontrato sulla qualità delle acque. Si tratta dell’ennesimo reato ripetuto e continuato a danno della salute della gente del Mezzogiorno d’Italia.
Nello stigmatizzare simili atteggiamenti, Unione Mediterranea comunica che avrà cura di informare la cittadinanza sistematicamente su queste mancanze e che provvederà a trasmettere le informazioni in suo possesso all’autorità giudiziaria, affinché prenda, quanto prima, provvedimenti in merito a questo disastro ambientale in atto.

Nuove autorizzazioni per ricerche petrolifere in territorio di Basilicata e Campania: Unione Mediterranea dice NO a questa ennesima violenza contro il Meridione ed intende porre in essere azioni concrete a tutela delle popolazioni e dei territori interessati.

Share Button

Napoli, 28 dicembre 2018

Immagine da www.amnesty.it

Il Ministero dell’Ambiente ha rilasciato parere positivo sulle nuove istanze Shell per le ricerche petrolifere denominate Pignola, La Cerasa e Monte Cavallo in territorio delle regioni Basilicata e Campania nonostante i pareri contrari espressi dalle Regioni, da tanti tra i Comuni interessati, dall’Ente Parco Nazionale Appennino Lucano Val d’Agri-Lagonegrese, da varie associazioni e comitati.

Queste ulteriori concessioni infliggeranno un colpo mortale ad un territorio già martoriato da scelte politiche scellerate e ricco di un tesoro inestimabile: l’acqua.

Siamo contrari alle trivellazioni, siamo per lo sviluppo sostenibile e vogliamo che siano le popolazioni a scegliere il modello di sviluppo per i territori che abitano.

Le popolazioni di Basilicata e Campania devono potere decidere per il proprio futuro e per la salvaguardia dell’ambiente in cui vivono.

E’ ora di dire BASTA agli abusi ed ai soprusi perpetrati alla nostra terra ed alla nostra gente.

Una politica coloniale che vede il Sud sfruttato e mortalmente avvelenato, perdere territorio popolazione e produzioni e con essi l’identità mentre qualcuno si ingrassa a prezzo della salute e sempre più spesso delle vite dei Meridionali. Espropriazione e mercificazione dei beni comuni, della terra, dell’acqua, dell’aria, del paesaggio, del volto e della memoria delle città.

Unione Mediterranea lavora per realizzare un’economia che salvaguardi l’essenza di tali beni e garantisca rispettosa fruizione da parte di tutti.

Unione Mediterranea dice NO a questa ennesima violenza contro il Meridione ed intende porre in essere azioni concrete a tutela delle popolazioni e dei territori interessati.

Vittorio Terracciano

Segretario Unione Mediterranea

Vittorio Terracciano, Segretario di MO Unione Mediterranea interviene al convegno organizzato da Agenda 34.

Share Button
Vittorio Terracciano, Segretario di MO Unione Mediterranea interviene al convegno organizzato a Lamezia Terme, domenica 22 luglio, presso la sede di Union Camere, da Agenda 34.
Un evento che ha già fatto tappa a Montecitorio, il 21 giugno, ed in Basilicata al Parco della Grancia l’1 luglio.
Il Segretario di MO Unione Mediterranea, parla della nostra petizione
presentata nel giugno 2015 e accolta dalla Commissione per le Petizioni dell’Unione Europea.
Petizione dichiarata ammissibile con nota protocollo n° 0748/2015 .
Difendiamo tutti insieme la nostra terra.

Comunicato Petizione Terra Nostra

Share Button

In occasione delle elezioni europee di Maggio 2014, abbiamo presentato la lista civica di scopo Terra Nostra, con l’obiettivo di inoltrare una petizione al Parlamento europeo per l’istituzione di una commissione straordinaria d’inchiesta, che avesse il compito di monitorare e realizzare verifiche ed analisi sul territorio dell’Italia meridionale e della Sicilia.

Autofinanziandoci ed autorganizzandoci, grazie al contributo e alla volontà di quanti hanno creduto nel nostro progetto, abbiamo raccolto 10.500 firme: 10.500 nomi e cognomi veri, che hanno scelto di impegnarsi in prima persona per denunciare la disparità di trattamento riservata al Mezzogiorno da parte delle istituzioni in materia di ambiente, salute, lavoro, istruzione e tutela dei consumatori.

Il giorno 25 giugno 2015 una delegazione di Unione Mediterranea ha presentato alla Commissione per le Petizioni dell’Unione Europea la suddetta petizione, corredata delle firme che la Lista Civica di Scopo “Terra Nostra” aveva raccolto nella circoscrizione Italia meridionale, ai sensi dell’articolo 44 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Con la petizione anche un dossier di 70 pagine, in cui si denunciavano le violazioni in vaste aree dell’Italia meridionale e della Sicilia degli articoli 1 (dignità umana), 2 (diritto alla vita), 15 (libertà professionale e diritto di lavorare), 31 (condizioni di lavoro giuste ed eque), 34 (sicurezza sociale e assistenza sociale), 35 (protezione della salute), 37 (protezione dell’ambiente) e 38 (protezione dei consumatori) della medesima Carta.

La petizione è stata solo un primo passo di una lunga serie di azioni concrete, ed oggi abbiamo un primo risultato che vogliamo condividere con chi ha creduto e lottato insieme a Unione Mediterranea.

COMUNICATO UFFICIALE
Il 17 marzo 2016 la Commissione per le Petizioni dell’Unione Europea ha dichiarato ricevibile la petizione n. 0748/2015 presentata il 25 giugno 2015 a Bruxelles da una delegazione di Unione Mediterranea in rappresentanza della lista “Terra Nostra”, che in occasione delle elezioni europee del 25 maggio 2014 aveva raccolto circa 10.500 firme nelle regioni della circoscrizione Italia Meridionale, presentate a corredo della petizione stessa. La Presidente della Commissione, on. Cecilia Wikström, con lettera del 17/03/2016 protocollo D305560, ha inviato la petizione all’allora Presidente del Parlamento Europeo Martin Schulz, nella speranza che “possa essere usata come contributo alla vostra attività”.

Anche se l’accoglimento delle richieste dipende ora dal Presidente del Parlamento Europeo, che dovrebbe porle all’attenzione dell’agenda dei lavori del Parlamento stesso, quanto ottenuto dalla Commissione Petizioni costituisce comunque un fatto di rilevanza storica per il Sud Italia, senza precedenti, in quanto rappresenta un riconoscimento ufficiale di come lo Stato Italiano tratta le regioni meridionali.

Nella petizione si denunciano le violazioni in vaste aree dell’Italia meridionale e della Sicilia degli articoli 1 (dignità umana), 2 (diritto alla vita), 15 (libertà professionale e diritto di lavorare), 31 (condizioni di lavoro giuste ed eque), 34 (sicurezza sociale e assistenza sociale), 35 (protezione della salute), 37 (protezione dell’ambiente) e 38 (protezione dei consumatori), proponendo al Parlamento Europeo l’istituzione di una Commissione speciale della durata di anni tre denominata “Dignità, vita, lavoro, sicurezza, salute, ambiente e protezione dei consumatori in tutti i territori dell’Unione europea”. In particolare la Commissione dovrebbe avere il compito di:
– analizzare e valutare nell’intera area dell’Unione europea, a partire dall’Italia meridionale e dalla Sicilia, l’entità del fenomeno dell’avvelenamento dei territori da interramento dei rifiuti, affondamento di navi e altre forme di devastazione ambientale, con particolare attenzione alla qualità delle acque, dei cibi, dell’aria;
– valutare proposte per circoscrivere le aree contaminate e procedere alle bonifiche; promuovere una certificazione dei prodotti nell’interesse primario della salute dei consumatori e della tutela delle attività imprenditoriali;
– verificare il corretto utilizzo dei fondi pubblici e in particolare dei finanziamenti dell’Unione Europea;
– proporre misure adeguate che consentano all’Unione di prevenire e contrastare tali minacce, a livello internazionale, europeo e nazionale.

Nella petizione si mette in evidenza come “il popolo dell’Italia del sud vive da 154 anni una situazione di colonia interna che ha origine dall’annessione del Regno delle Due Sicilie al Regno di Sardegna nel 1861”, descrivendo brevemente i passaggi storici di tale colonizzazione, avvenuta anche con l’uso indiscriminato delle armi da parte dell’esercito Sabaudo.

È poi riportata una serie di dati dettagliati e tabelle (tra cui un estratto del drammatico rapporto SVIMEZ 2014) che arriva fino ad oggi, relativa alla situazione economica ed infrastrutturale del Sud Italia, in cui si dimostra la disparità di trattamento tra il Meridione ed il resto della penisola. Un ampio capitolo è dedicato all’inquinamento dei territori meridionali ad opera di aziende settentrionali ed europee senza scrupoli, con le ormai acclarate complicità di organi dello Stato, ed alle trivellazioni indiscriminate autorizzate dai vari governi italiani, che stanno distruggendo la possibilità di vivere in alcune zone del Paese come la Val D’Agri, e che in un futuro non lontano potrebbero minacciare la balneabilità delle nostre coste. La petizione, consistente in 71 cartelle, si conclude con altre richieste, oltre a quella di istituire una Commissione speciale: istituire una giornata alla memoria che possa restituire la dignità ad una parte della popolazione italiana che ha fortemente contribuito, obtorto collo, all’unificazione nazionale; ripartire i mezzi finanziari statali ed europei in maniera commisurata alla percentuale rappresentata dalla popolazione del Sud d’Italia rispetto alla totalità della popolazione italiana, cosa che oggi, con vari trucchi creati ad arte dai governi italiani e descritti nella petizione, non viene fatta; richiesta di un’audizione dei redattori della petizione di fronte al Parlamento Europeo per presentare in dettaglio la situazione dei nostri territori. Abbiamo cercato negli ultimi mesi di ottenere quanto richiesto, sollecitando in tal senso l’attuale Presidente Antonio Tajani, ma solo l’azione congiunta degli eurodeputati meridionali potrebbe portare ad ottenere qualche risultato pratico. Dubitiamo che questo possa accadere considerato il comportamento dei nostri rappresentanti politici, sia a Bruxelles che a Roma, propensi più agli interessi personali e di partito che a quelli generali delle popolazioni meridionali. Ma continueremo la nostra lotta per rendere giustizia a quanti hanno dovuto lasciare la propria terra e per evitare che i nostri giovani continuino a farlo.
Un ringraziamento particolare va a tutti quelli che hanno firmato e redatto la petizione.

Comitato Coordinamento Nazionale
MO Unione Mediterranea

Clicca qui per scaricare l’intera petizione in formato PDF

Cinque anni dopo – Una riflessione di Antonio Lombardi

Share Button


L’8 settembre del 2012, cinque anni or sono, ci riunimmo a Bari, nella sala del Consiglio Comunale, ospiti del Sindaco Emiliano, per dare inizio ad un processo di costruzione di un soggetto unitario che potesse –con voce forte e chiara- proporre le istanze politiche di quello che, dopo essere stato spogliato anche del proprio nome, veniva e viene detto “Mezzogiorno”.

L’iniziativa nasceva da quanto accaduto un paio di mesi prima: il 14 luglio, a Monte Sant’Angelo (FG), Marco Esposito aveva consegnato un appello (“Schietti, orgogliosi, allegri, mediterranei”) a Pino Aprile, registrante numerosi sottoscrittori, con il quale gli si proponeva la guida di un ampio movimento unitario meridionalista. Quell’8 Settembre ci si era riuniti, appunto, per ascoltarne, dopo il tempo di riflessione, la risposta. Come è noto, Pino manifestò il suo proposito di non assumere tale ruolo, ma di continuare a tempo pieno il lavoro che –così fruttuosamente- era impegnato a portare avanti: scrivere della nostra terra e per la nostra terra.

A quell’appuntamento arrivammo in tanti e, soprattutto, provenienti da esperienze diverse: c’erano veterani del meridionalismo e neofiti (se non nel sentimento magari nella pratica, come il sottoscritto).

Anche se non ebbe un riscontro immediato nei termini desiderati, comunque quell’incontro di Bari sottolineò e sollecitò l’esigenza di un meridionalismo più inclusivo e meglio organizzato che, per quanto riguarda MO – Unione Mediterranea, avrebbe portato a distanza di due mesi alla sua fondazione in assemblea a Napoli (24 novembre).

Cinque anni dopo, che cosa ci racconta, oggi, quell’esperienza? Ecco un modesto spunto. Bari non risultò l’occasione per riunire tutte le anime del meridionalismo contemporaneo. Alcune formazioni già esistenti continuarono il loro percorso, altre nuove ne nacquero. La frammentazione è uno degli elementi caratteristici del mondo meridionalista ed è vista come uno dei suoi principali limiti se non, addirittura, l’ostacolo maggiore ad un successo più consistente della causa. C’è del vero in tali affermazioni, che spesso si ascoltano frequentando i nostri ambienti e, sovente, ci si interroga su questa tendenza alla moltiplicazione come effetto della divisione. Tuttavia quelle valutazioni non vanno assolutizzate.

Bisogna anzitutto farsi una ragione del fatto che il meridionalismo non è un pensiero unico e non può esserlo. Questo, tuttavia, non è detto che sia solo un limite, perché lo pone in grado di raggiungere ambienti e persone con sensibilità differenti: può dunque essere anche un’opportunità. Di fatto, però, diventa tale solo se la diversità non è vissuta in termini di rivalità. La logica del “gioco a somma zero” (io vinco se tu perdi, ho bisogno della tua sconfitta per affermarmi: logica escludente) forse è ancora troppo la chiave utilizzata per proporsi sulla scena politica e talora anche culturale. Occorre comprendere che la logica che deve informare le relazioni tra le varie componenti, tra i vari soggetti del meridionalismo politico e culturale, è quella del “gioco a somma positiva” (io vinco se tu vinci, la tua vittoria è condizione per la mia vittoria: logica inclusiva).

Che cosa significa assumere questa prospettiva costruttiva? Tante cose.

Per esempio, riconoscere la piena legittimità di percorsi diversi e la loro utilità in vista di una causa che è, comunque, comune se non nei dettagli almeno in alcuni grandi obiettivi di fondo. Ma non è solo una questione di riconoscimento e legittimazione. La partita è del tutto più ampia, perché la logica inclusiva esprime la consapevolezza che se io non ti ostacolo, se non entro in competizione con te, ma sostengo il tuo impegno e ricevo il tuo sostegno in spirito cooperativo, ciò aiuta a dissodare un terreno che per tutti è difficile, duro, faticoso da rendere accogliente, un terreno nel quale, poi, ciascuno, anche con finalità e mezzi diversi, potrà gettare semi che saranno comunque della stessa natura e le cui pianticelle un giorno potranno rinforzarsi a vicenda.

Cooperare, non competere.

Questo non significa annullare le diversità, ma rispettarle, valorizzarle e tenerle insieme in modo che non collidano distruttivamente ma, per quanto possibile, si contaminino costruttivamente. È difficile? Sì, è difficile. Ma non è impossibile. L’unità del mondo meridionalista oggi non si gioca tanto sulla fusione delle aggregazioni, ma sull’intelligenza di liberarsi dall’ansia del successo particolare, facendo del successo complessivo del nostro popolo e della nostra terra il vero motore che spinge a sacrificare talvolta qualcosa di sé e a guardare con apprezzamento gli uni alle iniziative degli altri. Senza che nessuna aggregazione e nessun soggetto all’interno di ciascuna di esse possa tranquillamente sentirsi come un atleta, pronto al “via!”, in una corsa che deve incoronare il campione.

Cinque anni dopo, mi sembra che quel pomeriggio di Bari possa insegnarci questo.

Nella foto: un momento di quell’8 settembre 2012.

Antonio Lombardi

I diritti negati: la nostra visione Mediterranea

Share Button

 

La nostra amata terra è da tempo un luogo con diritti limitati, ma di quali diritti stiamo parlando? Parliamo forse del diritto a lamentarsi? O del diritto di addossare tutte le colpe del declino al saccheggio del Nord o dell’Europa?

Chi ha condiviso il percorso politico di Unione Mediterranea, della lista di scopo Terra Nostra e della lista civica MO trova ovvio che la risposta alle domande poste sopra sia “no”. Il dibattito sui diritti che rivendichiamo guarda oltre i confini del Sud Italia e può trovare alleati e spunti di riflessione in tutte le aree – dell’Europa e del mondo – dove l’autodeterminazione dei popoli e degli individui si scontra con la cieca arroganza delle istituzioni nazionali e sovranazionali.

I diritti, peraltro, non sono un concetto immutabile ma camminano e si arricchiscono con la storia umana, al punto che sono state individuate cinque generazioni di diritti umani, divise secondo una prospettiva di carattere storico. Senza volere assegnare un ordine di preferenza,  ecco come si può collocare rispetto a essi il pensiero meridionalista contemporaneo.

Prima generazione: I diritti civili e politici

Questa prima generazione di diritti è elaborata durante il “secolo dei Lumi” proprio a Napoli e per essere formalizzata a Parigi – sia pure in una versione più liberista e meno sociale, rispetto alle originali idee dei pensatori napoletani –  nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. I principali diritti sanciti da questo documento sono il diritto alla vita e all’integrità fisica, alla libertà di pensiero, di religione, di espressione, di associazione, alla partecipazione politica, all’elettorato attivo e passivo. Allo stesso tempo, nella stessa Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, si affermano i principi di uguaglianza, di proprietà e di resistenza all’oppressione; parallelamente si formula il principio di sovranità, individuando nella Nazione l’organizzazione a cui spetta il dovere di tutelare i cittadini e la loro disponibilità di fruire dei diritti elencati.

Tali diritti, a partire da quello alla rappresentanza, sono stati non di rado calpestati nel Mezzogiorno fino alle umilianti elezioni del 2013. In tutto il Sud Italia (e soltanto nei collegi meridionali) il principale partito italiano, che pure ama definirsi democratico, ha imposto ai meridionali dei capilista non espressione del territorio (Guglielmo Epifani in Campania 1, Enrico Letta in Campania 2, Rosi Bindi in Calabria, Angela Finocchiaro in Puglia e così via). Una possibilità consentita dalla legge elettorale dell’epoca, chiamata non a caso Porcellum, cancellata dalla Corte costituzionale il 4 dicembre 2013 ma riproposta nella parte che indica 100 “capilista bloccati” nell’Italicum approvato il 4 maggio 2015.

L’accettazione forzata dell’ordine di preferenza scelto dalle gerarchie dei partiti ha rappresentato già la negazione di un diritto per tutti gli elettori italiani: il diritto di scegliere un candidato, la sua storia politica o magari anche solo la sua condotta etica e sociale. Se poi si tiene in debito conto il fatto che i partiti nazionali vedono i loro equilibri economici interni indiscutibilmente molto più spostati verso l’asse Roma-Firenze-Milano-Genova-Torino che non verso il Sud della penisola, si ottiene una negazione del diritto all’elettorato molto più critica a Sud che a Nord.

Il diritto di voto può essere compresso, inoltre, con regole che limitano la scelta, con soglie di sbarramento diverse a seconda se ci si allei o meno al potente di turno. Proprio in Campania – grazie alla pronta mobilitazione della lista MO – è stata fermata una manovra di palazzo per alzare a pochi mesi dalla consultazione elettorale la soglia di sbarramento dal 3 al 10%. E – attenzione! – la soglia del 10% valeva per chi non aveva alleati mentre la stessa soglia spariva per le liste di complemento dei partiti più forti.

Ma c’è anche un altro modo, più subdolo, per comprimere il diritto di voto. E’ diffondere la cultura dell’antipolitica, affermare che nessun voto è utile anzi che votare sia dannoso. La politica, si afferma, è una cosa sporca e quindi è meglio tenersene alla larga. Un modo per consentire ai trafficanti di consenso di ottenere i risultati di un tempo limitando il voto d’opinione. Secondo la lista civica MO, la politica è un’arte nobile che non può essere lasciata nelle mani di persone con interessi non confessabili. La politica o la fai o la subisci.

Oggi che gli elettori meridionali chiedono il diritto di esercitare il proprio voto senza doversi piegare ai giochi di poltrone nazionali, il meridionalismo rappresenta una scelta di metodo coerente con la battaglia per una rappresentanza autentica. L’opzione di metodo che ne deriva è la presentazione di una lista che non debba condividere piani e risorse con i potentati nazionali, pronti ancora una volta ad asservire la gestione del territorio campano alla dinamiche di scambio elettorale che da decenni stanno svuotando di contenuti le istituzioni nazionali.

Seconda generazione: i diritti economici, sociali e culturali

La seconda generazione di diritti, pur presente in nuce nelle originali elaborazioni degli illuministi napoletani, trova applicazione dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e ottiene i suoi principali riferimenti normativi nelle carte costituzionali dei paesi europei, inclusa la Costituzione della Repubblica Italiana che, secondo molti giuristi di spessore, rappresenta uno dei documenti più avanzati al mondo in tema di tutele per la cittadinanza. I diritti affermati come prioritari includerebbero il diritto alla  tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni, all’abitazione, alle cure sanitarie, all’istruzione, al benessere sociale e alle indennità di disoccupazione. La differenza fondamentale i diritti di prima generazione e quelli di seconda sta nel fatto che i primi impongono agli stati sovrani l’obbligo di astenersi dal porre in essere attività che ledano i cittadini o i loro interessi, mentre i secondi impongono allo stato sovrano, in quanto ente di gestione di risorse, di agire per consentire ai cittadini il completo sviluppo della propria personalità e la tutela del loro benessere anche e se si vuole soprattutto se vivono in territori con minore sviluppo economico. Il Mezzogiorno era esplicitamente citato nella Costituzione del 1948 all’articolo 119 (“per provvedere a scopi determinati, e particolarmente per valorizzare il Mezzogiorno e le Isole, lo Stato assegna per legge a singole Regioni contributi speciali”) per poi esserne espunto con la riforma del 2001, scritta dal centrosinistra per compiacere la Lega Nord.

Le questioni più spinose in tema di diritti sociali non nascono solo dai diversi approcci politici a tanti concetti chiave dello Stato sociale, come, ad esempio: ammortizzatori sociali, sanità pubblica, merito, eccetera. Molte delle dispute più accese trovano la loro ragion d’essere sui criteri politici e geografici con cui vengono distribuite le risorse economiche in condizioni di scarsità dei fondi nazionali. Ha destato scalpore il criterio utilizzato dal governo per determinare il “fabbisogno standard” dei servizi sociali a livello comunale. Il Governo e il Parlamento della Repubblica Italiana hanno deciso deliberatamente che nei luoghi in cui la spesa sociale per istruzione e asili nido era più bassa, andava confermata la spesa storica per evitare di affrontare il tema di un riequilibrio con le aree del Paese dove quei servizi sono invece storicamente presenti in abbondanza. I tagli che questo approccio così barbaro ha apportato nel 2015 alle già limitatissime risorse disponibili negli enti locali più poveri del meridione avranno conseguenze gravi per l’uguaglianza sostanziale dei cittadini di tutta la penisola.

La Costituzione in vigore è sistematicamente violata nelle parti di diretto interesse del Mezzogiorno. Si prendano due commi dell’articolo 119, il terzo e il quarto: “La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante” e “Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite”. Per Province, Città metropolitane e Comuni tale fondo perequativo non è mai stato istituito: al suo posto per i municipi c’è un fondo di solidarietà comunale che toglie ad alcuni comuni per dare ad altri alimentando una guerra tra territori che la Costituzione saggiamente non prevede ma che governanti cinici hanno alimentato. Nel 2015, addirittura, lo Stato ha attinto al fondo di solidarietà comunale: cioè, invece di istituire la perequazione, ha effettuato un prelievo da Comuni a favore di se stesso!

Lo Stato è anche venuto meno a un suo preciso dovere, indicato nell’articolo 117, lettera m, della Carta e cioè la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. Non indicare, per esempio, qual è lo standard di civiltà e servizi sociali in materie come l’istruzione e i trasporti impedisce la corretta distribuzione delle risorse pubbliche.

Quello che emerge dalle statistiche sulla redistribuzione delle risorse su scala nazionale  è ancora più scioccante: nel 2013 il Sud Italia ha contribuito al gettito fiscale nazionale per il 24% ed ha ricevuto servizi il cui valore complessivo è inferiore al 21%, nonostante al Sud risieda circa il 34% dei cittadini italiani e il 41% dei giovani intorno ai 20-25 anni! Inoltre, questo è accaduto nonostante la palese presenza nelle regioni del sud di ostacoli ben più consistenti allo sviluppo di attività economiche e sociali rispetto al Centro-Nord.

Analoga deformazione negli interventi per l’economia del territorio è emersa con la pubblicazione degli 83 progetti presentati dall’Italia a Bruxelles per investimenti nelle infrastrutture da realizzare entro il 2020. Su 7.009 milioni di importo complessivo, appena 4 milioni fanno riferimento al Mezzogiorno. Una scelta politica che è anche un segnale a chi investe, a chi studia, a chi fa non progetto di vita: spostatevi dove lo Stato orienta i suoi progetti.

È senza dubbio fuorviante pensare che il Sud abbia come unica possibilità di sviluppo sociale quella di beneficiare indiscriminatamente di fondi statali addizionali distribuiti a pioggia: la malversazione di fondi pubblici e l’infiltrazione di numerose organizzazione  criminali negli apparati di potere delle istituzioni locali rappresentano, in questo senso, un forte deterrente. Tuttavia, proprio per le difficoltà sopra esposte, è più che lecito affermare che i cittadini del meridione hanno  tutto il diritto di rivendicare l’elaborazione di criteri di distribuzione delle risorse statali equi, trasparenti e basati sul fatto che paralizzare la spesa sociale in una parte del paese significa penalizzarlo tutto. Sacrificare la cittadinanza attiva del sud sull’altare che la Lega Nord ha eretto alla presunta superiore efficacia della spesa pubblica in terra padana, significa negare tutti i diritti sociali a cui la Costituzione impone di dedicare attenzione e fondi. E significa anche fingere di non vedere gli scandali che hanno colpito tutte le aree d’Italia, da Tangentopoli al Mose, dalla sanità lombarda al Montepaschi, dalle mutande verdi in Piemonte. Non è un caso che nella scorsa tornata elettorale solo sette regioni a statuto ordinario su quindici siano andate al voto a scadenza naturale, con il ritmo ogni 5 anni avviato nel 1970, ma all’appello mancano regioni che si autodefiniscono modello d’efficienza come la Lombardia, l’Emilia Romagna e il Piemonte, tutte sciolte perché sommerse da scandali.

Di fronte ai danni ed alle beffe ricevuti dall’apparato della Pubblica Amministrazione della Repubblica Italiana, il meridionalismo non può che porsi come la scelta di un metodo di politica fiscale basato sul federalismo fiscale efficiente e solidale. Infine, non si può pensare a scendere nel merito delle questioni sociali, da meridionalisti, senza considerare i danni causati dallo sbilanciamento del sistema bancario ed assicurativo  a tutto vantaggio del Nord.

Terza generazione: i diritti di solidarietà

La definizione dei diritti di solidarietà si presenta alla ribalta mondiale verso la fine degli anni settanta, una fase storica in cui si iniziano ad accentuare i caratteri globali della rete di collegamenti e reciproche influenze tra i popoli di tutto il pianeta. Forse proprio per questo gli elementi individuati si presentano come diritti di tipo collettivo: i destinatari non sono i singoli individui, ma i popoli. Ecco quindi che si parla di diritto all’autodeterminazione dei popoli, all’uguaglianza tra i generi, alla pace, allo sviluppo, all’equilibrio ecologico, al controllo delle risorse nazionali, alla tutela dell’infanzia.

In molti hanno provato a chiudere il pensiero meridionalista tra gli angoli soffocanti di una connotazione puramente geografica. Con un’operazione poco onesta dal punto di vista intellettuale, alcuni di questi hanno provato addirittura ad affermare che definirsi meridionalisti significa negare la portata mondiale di alcuni diritti universali, facendo prevalere la difesa delle proprie specificità territoriali su quelle del resto della nazione o del pianeta. Non serve scendere nel merito di critiche tanto insensate quanto mal strutturate. È  sufficiente scorrere con lo sguardo la lista, peraltro non esaustiva, dei diritti menzionati come diritti di solidarietà per accorgersi dell’immensa portata delle tematiche coinvolte e dell’impossibilità per una sola nazione, una sola dottrina politica, una sola visione del mondo, di poterle coinvolgere tutte.

Il meridionalismo si colloca a pieno titolo tra le idee politiche che cercano una selezione delle possibilità locali di intervenire in difesa del più ampio concetto di diritti di solidarietà. Il meridionalismo si propone il riconoscimento dell’identità culturale del Sud dell’Italia per esempio attraverso la tutela delle svariate identità linguistiche che lo caratterizzano. Ciò avviene nella pratica politica e sociale perseguendo senza tregua il rispetto e la contaminazione con le altre culture presenti nel mondo. La selezione delle possibilità di azione più direttamente attuabili sul territorio del meridione di Italia non esclude, ma anzi moltiplica, la possibilità di divenire parte di reti sovranazionali per la tutela di diritti che sono globali per definizione, come i diritti di solidarietà.

Un esempio efficace di quanto può influire l’impegno locale sui meccanismi globali ci viene offerto proprio dal tema della tutela ambientale. Anche se non è stato ancora definitivamente codificato, riceve crescenti consensi il riconoscimento del diritto delle nuove generazioni che popoleranno il pianeta a usufruire dello stesso patrimonio naturale di cui disponiamo oggi, in termini di risorse naturali e di biodiversità. Le principali organizzazioni internazionali sono concordi sul fatto che per raggiungere l’obbiettivo della piena sostenibilità ambientale dovranno essere drasticamente ridotte le emissioni di CO2 e l’impiego di fonti di produzione di energia da risorse non rinnovabili.

Quarta e Quinta generazione: i diritti tecnologici e di comunicazione

Le ultime due generazioni di diritti hanno fatto la loro apparizione insieme all’evoluzione delle tecnologie di più recente introduzione, come quelle legate alla bioetica ed alla diffusione di internet. Queste generazioni vengono fuse spesso nella definizione di “diritti emergenti”, che sottolinea adeguatamente i limiti ancora incerti delle aree meritevoli di tutela giuridica e degli strumenti necessari a rendere effettiva la protezione dei cittadini. I diritti tecnologici includono principalmente il diritto alla tutela della proprietà intellettuale, i diritti relativi al campo delle manipolazioni genetiche, il diritto alla privacy e tanti altri che stanno emergendo  insieme con l’evoluzione delle tecnologie e con la loro invadenza negli spazi di autodeterminazione delle libertà individuale. Benché definibili anch’essi come “emergenti” in quanto non ancora formalizzati in modo completo, I diritti di quinta generazione si differenziano da quelli di quarta generazione perché, oltre all’aspetto di tutela delle possibilità di azione dei cittadini, coinvolgono anche la tutela del diritto di formazione dei cittadini. Si pensi, ad esempio, al diritto a formare la propria coscienza individuale, sociale e politica in modo libero, senza subire manipolazioni mediatiche; oppure al diritto a ricevere un’educazione di genere che non vada a minare le possibilità di autodeterminazione sessuale, o anche al diritto ad accedere ad informazioni rilevanti per le scelte politiche di un paese, come quelle emerse dal caso wikileaks, che i servizi di informazione internazionali tendono ad occultare nell’interesse delle classi dirigenti e del ceto politico internazionale.

Il compito di individuare i diritti emergenti e le tutele necessarie è già abbastanza arduo per gli studiosi di diritto di tutto il mondo, quindi di certo non sarà facile elaborare delle linee guida chiare per chi sta già facendo fatica a difendere i propri territori dalle speculazioni mediatiche, criminali e politiche come hanno fatto i meridionalisti di ogni epoca. Però lo sforzo di provarci non è affatto inutile, fosse anche solo per rompere il cerchio del colpevole silenzio che circonda le nostre eccellenze o per ridurre la sovraesposizione mediatica dei fallimenti delle nostre amministrazioni.

Se vogliamo che i media nazionali tutelino il diritto degli italiani tutti a formare la propria opinione sul Sud Italia senza passare per il “lavaggio del cervello” orchestrato dalla Lega Nord e da tanti altri partiti xenofobi ed antimeridionalisti, paradossalmente la nostra unica opzione è il meridionalismo. Ancora, se le imprese campane vogliono attrarre i finanziamenti ed i consumatori del Nord Italia, l’opzione di metodo necessaria è quella di una controinformazione meridionalista sulle nostre eccellenze agroalimentari, sulle strategie produttive che hanno consentito a molte di imprese campane di sottrarsi ai ricatti delle organizzazioni criminali, sull’altissimo livello dei nostri artigiani, sulle nostre bellezze storiche e paesaggistiche. Tra le caratteristiche che a ragione ci possono rendere fieri di essere meridionali c’è la possibilità di scoprire meraviglie nascoste nelle città, nelle campagne ed addirittura nel sottosuolo del nostro amato Sud. Di pari passo, tra i motivi di indignazione più forti non si può non menzionare la costante allusione ai temi dell’illegalità e del malaffare che domina nei media ogni volta che l’obiettivo delle telecamere si affaccia a cercare qualche scoop nel meridione, come se le stesse dinamiche non esistessero nelle altre regioni d’Italia. Se è quasi superfluo notare che i principali media nazionali appartengono a grandi gruppi industriali del Nord o allo Stato Italiano, che di questi gruppi è ostaggio, non è per niente scontato che a Milano possa scoppiare tanto uno scandalo come la settimana della moda, mentre Napoli balza alla ribalta quasi solo per fatti di camorra o di corruzione.

Spesso per convenienza, qualche volta per scelta politica, l’invadenza dei media nazionali e la loro soggezione alle linee guida dettate da forze antimeridionaliste giunge addirittura a manipolare le fonti di informazione. Molti esempi si trovano sulla rete e degli esperti meridionalisti di comunicazione hanno già contribuito a smascherarli, denunciando molti blogger la cui vera natura è quella di servi del ceto politico nazionale. Paradossalmente, la necessità di dotarci di strumenti di informazione e controinformazione propri, ad oggi, sembra l’unica possibilità per i meridionalisti al fine di tutelare il diritto ad un informazione autentica degli italiani del nord e dei cittadini del mondo. Ancora una volta il meridionalismo  va nel senso opposto a quello del campanilismo leghista e del particolarismo culturale. Ancora una volta il meridionalismo si propone come l’unica risposta possibile nel nostro territorio a una domanda politica globale: il diritto di autodeterminazione delle coscienze, prima ancora che delle scelte politiche.

Storia, cultura, economia e vision: è il Mediterraneo la nostra Europa

Share Button

di Leonardo Lasala

Il concetto di Europa unita è molto simile a quello che da oltre centosessanta anni viene proposto in Italia: un’unione fittizia, caratterizzata dall’assenza di una programmazione politica uniforme ed orientata ad uno sviluppo comune ed impostata più che altro su motivazioni economico–finanziarie, dove l’egemonia di pochi Stati condiziona il presente e futuro dei più. Non si vuole qui mettere in discussione il concetto di Unione Europea che idealizzava De Gasperi o altri padri fondatori di un qualcosa che è assolutamente distante da ciò che è oggi lo scenario europeo. Si prende semplicemente atto di qualcosa che è sotto gli occhi di tutti: l’Europa delle banche e della finanza non corrisponde a quella dei Popoli. Ma la finanza internazionale è forte ed orienta la politica, nel momento in cui la stessa è debole. E qui l’Europa si presenta ai giorni del giudizio molto debole: manca una classe politica internazionale in grado di controllare la finanza e non esserne la diretta emanazione.

In questo scenario apocalittico, dove anche la sovranità dei Paesi è messa in discussione dal concetto di debito pubblico, nel momento stesso in cui si tenta con assenza assoluta di risultati e pochezza di programmi di unire popoli dalla storia, cultura e visione presente e futura eterogenea , si ignora una vera grande ed unica popolazione: quella del Mediterraneo.

Il mare più antico e prezioso della Storia, ritornato oggi politicamente ed economicamente determinante è conteso dalle grandi potenze mondiali nella assoluta incapacità di Paesi come Italia, Spagna, Portogallo, Grecia e perché no anche le realtà dell’Africa Settentrionale di mettere in piedi la più grande unione naturale che la storia conosca: l’Unione Mediterranea.

Accade così che la Germania compra gli scali greci, che l’Italia dismetta di fatto i porti di Taranto e Gioia Tauro (già oggetto di attenzione da parte della Cina). Ed ancora qualcuno “crei” di fatto ISIS e la renda forse il più grande ostacolo ma al tempo stesso la più grande ragione concreta contemporanea, accanto a tutti i fattori storico-culturali di cui abbiamo parlato, per una grande unione.

E proprio oggi qualche illuminato inizia a comprendere come l’ISLAM non sia un nemico, come la fratellanza dei popoli è la vera penicillina contro il virus cancella-storia filo bancario. E’ bene chiarirlo per evitare strumentalizzazioni: si fa riferimento a quelle civiltà islamiche che hanno influenzato tanto della storia europea, che sono le radici di fatto della nostra cultura e di quella ellenica. Non abbiamo nulla in comune con ISIS, ma abbiamo tanto in comune con l’Africa, Grecia, Turchia, Marocco, Tunisia.

Così mentre politici strategicamente distruttivi continuano ad utilizzare il disastro annunciato e programmato dei profughi come tamburello per diffondere paure insiste nella piccolezza umana solitamente poco incline alla misericordia (concetto cristiano di cui sembriamo aver perso dimensione), continuiamo a cercare la strada del PIL, del punto e mezzo in più di occupazione (a fronte di numeri spaventosi di disoccupazione) ignorando il valore del Mediterraneo.

Tutti i popoli possono essere vicini e fratelli, ma l’operazione Euro A – Euro B è una ghettizzazione di questi e non una costruzione basata su DNA comune. Dunque appare molto più intelligente la rincorsa di una Unione Mediterranea che quella di una Europa senza storia e mordente, senza cultura e totalmente sotto il controllo della finanza.

Ciò che oggi ignoriamo o ci spaventa è la nostra vera ricchezza. Quelli che oggi definiamo “predoni” rimbambiti da programmi televisivi spazzatura e demagoghi possono essere i nostri fratelli.  Quei paesi da cui fuggono possono essere aiutati e divenire parte integrante di una grande rete MED caratterizzata da forti basi identitarie, politica di reale sviluppo condiviso e comune ed assoluto controllo del “demone” finanza.

Oggi possiamo fare la storia e cambiare le sorti di un mondo che giorno dopo giorno rischia di implodere in una guerra mondiale il cui unico obiettivo è la ricostruzione di egemonie di lontana memoria. Oggi o mai più Mediterraneo.

UM in Calabria. A Lamezia un piano per contrastare il governo Renzi: il Sud è stanco.

Share Button

Autunno caldo anche per il movimento meridionalista Unione Mediterranea. Ai “terroni” non piace affatto il “bombardamento” operato dal governo Renzi sul Sud.

La pochezza delle infrastrutture a incominciare dai treni, la distruzione del territorio con rifiuti tossici, pale eoliche e centrali a biomasse, le trivelle che promettono forte inquinamento da idrocarburi, turbano non poco i sonni dei meridionalisti. Per non parlare del decreto ammazzauniversità del Sud, degli asili nido finanziati al Nord e non al Sud, della disoccupazione alle stelle e di tante altre differenze di trattamento tra le due parti del paese.

Sembrerebbe che i cittadini italiani sotto il Tronto pur pagando le stesse tasse dei settentrionali, anzi di più, non godano degli stessi diritti in ogni campo della vita civile.

Per verificare queste situazione sarà presente a Lamezia Terme in via Lissania 28 alle ore 16 di sabato 12 cm il segretario nazionale di Unione Mediterranea Enrico Inferrera accompagnato da Attilio Fioritti della segreteria nazionale e dall’emerito Presidente di UM Francesco Tassone.

Insieme a iscritti e simpatizzanti si farà il punto della situazione sociopolitica in Calabria in rapporto agli ultimi provvedimenti governativi che lungi dal risolvere i problemi del Sud li aggravano notevolmente.

Infatti l’unico coniglio che il prestigiatore Renzi ha tirato fuori dal cappello è la politica degli incentivi fiscali per chi investe al Sud. Tradotto in lingua toscopadana significa che le imprese del Nord approderanno nel meridione, prenderanno i soldi e scapperanno a gambe levate come hanno fatto per 154 anni. Di far arrivare i treni veloci a Reggio Calabria neppure l’ombra.

Il Sud è stanco, non ne può più! Ne parliamo sabato 12 settembre.
UM Calabria

Castrum Calsaldonis eventum: l’eccidio di Casalduni e Pontelandolfo. Perdere il passato significa perdere il futuro

Share Button

Unione Mediterranea è stata ospitata dalla Pro Loco di Casalduni in occasione del primo congresso nazionale del Movimento. Domani parteciperemo alla giornata di rievocazione storica del massacro di Casalduni e Pontelandonfo. Durante la giornata saranno consegnate “le chiavi della città” allo scrittore Pino Aprile. Al convegno delle 18.30 interverrà Flavia Sorrentino, Portavoce nazionale UM.

11698729_729596897186833_6008845734559689221_o

 

Senso di minorità a scuola: dobbiamo cambiare i libri di storia sul Risorgimento

Share Button

L’intervista di “vairanonews.it Leggi tutto

« Articoli precedenti