Tag Archives: pierluigi peperoni

Dimissioni del segretario Pierluigi Peperoni

Share Button

Il segretario di MO Unione Mediterranea Pierluigi Peperoni ha comunicato le sue dimissioni: “Problemi di carattere personale che non consentono più di dedicare tutte le dovute forze ed energie al movimento stesso.”
Peperoni ha ringraziato tutti per la collaborazione.

Siamo noi a ringraziare Pierluigi per il lavoro intenso svolto in questo anno e per l’impulso dato al movimento in vista dei prossimi impegni.

L’attività di Unione Mediterranea per il riscatto della nostra terra non subirà battute d’arresto e decisioni in merito alla sostituzione pro tempore sono state già prese dal coordinamento nazionale.

Il Presidente di MO Unione Mediterranea, Francesco Tassone, è stato scelto come figura di garanzia, esperienza e saggezza per traghettare il movimento fino al prossimo congresso.

Rosatellum: la legge elettorale che non ci serviva

Share Button

di Pierluigi Peperoni

Approvata a colpi di fiducia dalla Camera, la nuova legge elettorale ora passa al vaglio del Senato. Tralasciando le ovvie considerazioni legate al fatto che si modifichi una legge elettorale soltanto a pochi mesi dalla fine della legislatura, ci sono troppe cose che non convincono e suonano come una condanna per il sud.

Anzitutto i listini bloccati. Non è possibile esprimere preferenze: l’elettore può scegliere un simbolo oppure un nome, ma i voti verranno conteggiati comunque nell’ordine in cui il partito avrà scelto di candidare i propri rappresentanti. Questo significa che l’elettore non avrà alcuna possibilità di poter scegliere chi vuole eleggere. A peggiorare la situazione c’è il fatto che sarà possibile per un candidato essere inserito fino a 5 collegi differenti. Questo significa che se un candidato è presente in più collegi, l’elettore di un dato collegio voterà senza sapere se verrà eletto come riferimento nel proprio territorio o in altri, lasciando spazio a chi è più indietro nella lista. Si ripropone lo scenario delle umilianti elezioni del 2013 dove in tutto il sud Italia (e soltanto nei collegi meridionali) il PD ha imposto ai meridionali dei capilista del centro-nord (Bindi, Epifani, Finocchiaro, Letta, …)

A questo si aggiunge l’assurdo delle liste civetta che torneranno a fiorire. Infatti è previsto che i voti ottenuti dalle liste che non raggiungono la soglia di sbarramento del 3%, vengono assegnati agli altri partiti della stessa coalizione. Vedremo quindi nascere molti nuovi simboli civici, o presunti tali, che avranno il solo scopo di racimolare qualche punto percentuale in più a favore dei grandi partiti con cui saranno in coalizione.

Per la prima volta si voterà in un sistema misto fatto da collegi uninominali maggioritari e collegi plurinominali proporzionali. La presenza del candidato uninominale maggioritario è sicuramente interessante: per la prima volta si potrà scegliere un candidato ed essere sicuri che – se raggiunge la maggioranza assoluta nel proprio collegio – verrà eletto a prescindere dal fatto che il suo partito o la sua coalizione superi lo sbarramento. Questo potrebbe premiare persone davvero vicine al territorio. I collegi plurinominali, invece, mantengono le soglie di sbarramento del 10% per la coalizione e del 3% per il singolo partito. Di seguito un’interessante infografica che consente di capire meglio il meccanismo.

Scheda elettorale: clicca per ingrandire

C’è qualcuno che risulta avvantaggiato da una legge elettorale di questo tipo? Noi meridionali tutti dobbiamo temere l’avanzata della Lega Nord. Per la prima volta i leghisti sono in vantaggio rispetto alle componenti più moderate del centrodestra. Con la logica dei collegi maggioritari, considerato il maggior radicamento territoriale dei candidati leghisti, il partito di Bossi, Salvini, Calderoli, Borghezio rischia di fare il pieno di eletti nei collegi uninominali settentrionali. Se dovessero ottenere un buon risultato anche nei maggioritari rischieremmo di avere un parlamento con una forte componente leghista. E sarebbe l’ennesimo disastro.

Catalogna: 5 domande a… Pierluigi Peperoni

Share Button

Oggi vi presentiamo il punto di vista sul referendum catalano di Pierluigi Peperoni, Segretario nazionale di Unione Mediterranea, attualmente in carica.

1. Cosa ne pensa del percorso indipendentista catalano? È un modello riproducibile per il mezzogiorno d’Italia?

Il percorso catalano è stato favorito da una diffusa consapevolezza della forte identità che li caratterizza come popolo. Abbiamo visto piazze gremite e festanti, abbiamo visto un popolo che nel momento in cui subiva la violenza vessatrice del Governo spagnolo ha saputo reagire compostamente, pacificamente, aggirando gli ostacoli posti sul loro cammino.
Risulta difficile immaginare che il mezzogiorno tutto sia pronto per intraprendere un cammino lungo un percorso così arduo, ma ci stiamo arrivando a grandi passi.

2. Quali sono i punti in comune tra il nostro sud e la Catalogna?

Al momento è difficile trovare similitudini tra due aree che per indicatori sociali, economici e per storia sono molto diverse.

3. Quali sono, invece, le differenze?

La presenza di un tessuto produttivo ricco che ha interesse a schierarsi a difesa dei propri interessi e una consapevolezza della propria identità che è molto più radicata. Loro sono una regione che ha costruito tanto, noi invece siamo sempre stati indotti a pensare che “non si può”. Inoltre la loro consapevolezza di essere popolo è certamente in una fase molto più avanzata della nostra. Nelle scuole si parla il catalano, esistono canali televisivi catalani e le insegne dei negozi sono nella loro lingua. Evidentemente questo referendum a cui, pare, seguirà la dichiarazione unilaterale di indipendenza è solo l’atto finale di un lungo percorso di autodeterminazione.

4. La differente solidità dell’economia di queste due macroregioni non impone riflessioni diverse sull’opportunità di una secessione?

Dietro ogni cambiamento storico importante vi sono ragioni economiche. La Catalogna vuole difendere il proprio “status quo” di area ricca. Noi invece subiamo sistematicamente l’attacco dei Governi che si succedono da ormai quasi 160 anni e che vanno sistematicamente a impoverire i nostri territori con scelte che penalizzano gli investimenti, l’università, i servizi.
La loro secessione è difesa dei privilegi, la nostra sarebbe affermazione dei diritti. Per noi sarebbe legittima difesa.

5. L’UE come si comporterebbe di fronte ad una tale possibilità? In particolare accetterebbe il rientro tra i Paesi membri di una nuova nazione, già ex-regione?

Esiste una questione aperta, di natura squisitamente tecnica, legata alla permanenza della Catalogna nell’Unione Europea: alcuni sostengono che continuerebbe a far parte dell’UE, altri che dovrebbe fare richiesta per rientrare. In questo caso l’ok dovrebbe arrivare dagli stati membri, inclusa la Spagna. Politicamente però l’UE avrebbe tutto l’interesse ad accogliere la Catalogna tra le proprie fila.

Una visione mediterranea per una politica alternativa

Share Button

di Pierluigi Peperoni

Molto spesso abbiamo parlato di autonomia intesa anzitutto come un modo diverso per il mezzogiorno di pensare se stesso. Parliamo quindi di autonomia di pensiero e di diritto a ripensare il futuro della nostra terra. Troppe volte il sud è stato intuitivamente immaginato come un non-nord, come un luogo che è rimasto strutturalmente indietro nella corsa allo sviluppo industriale che ha caratterizzato la fine dell’ottocento e quasi tutto il novecento. Questo limita le prospettive di crescita e sviluppo dello stesso sud che invece andrebbe concepito e ripensato in quanto tale. Il modello occidentale e settentrionale non è l’unico modello possibile a cui uniformarsi, ma piuttosto solo uno dei tanti. Ripensare il sud è un’operazione difficile, perché bisogna cambiare radicalmente il modo stesso in cui le persone del sud si considerano. Diventa quindi necessaria un’operazione di “decolonizzazione mentale” che consenta ai meridionali di ripensarsi fuori dagli schemi imposti in quasi due secoli di storia. Quest’operazione non può che avvenire in autonomia dalle logiche di un sistema Italia che ha tutto l’interesse perché ciò non avvenga. Ne è la logica conseguenza il fatto che non possono essere considerati interlocutori politici credibili tutti coloro risultino collegati ai partiti nazionali. La funzione dei partiti nazionali è infatti quella di bloccare sul nascere la possibilità che nel Paese meridionale si costruiscano centri di volontà politica da esso emergenti. Per impedire che ciò avvenga attuano delle strategie di “assorbimento” delle intelligenze convogliando nei propri ranghi, come milizie ascare ben retribuite e socialmente ben collocate, le classi dirigenti meridionali. I partiti nazionali sono vere e proprie strutture preposte ad un’occupazione permanente. Non va confuso però il rapporto che con essi hanno i comuni militanti di tali partiti che sono spesso elementi di grande valore e generosità; forze autentiche sottratte alla causa dell’avanzamento della loro terra attraverso tale perverso meccanismo “nazionale”.

Al contrario bisogna porre al centro dell’azione politica e culturale la riscoperta delle identità e delle tradizioni dei popoli meridionali tutti attraverso la riscoperta del valore della lentezza. L’assolutizzazione della velocità conduce ad una deteriorazione delle esperienze che tendono a scomparire o comunque a venire sostituite da altre che poco hanno a che vedere con la matrice originale. Da questo punto di vista non va confusa l’operazione di difesa della lentezza con una nostalgia del passato, di forme politiche ormai superate. Piuttosto si tratta di contrapporsi a un certo tipo di velocità funzionale esclusivamente allo sviluppo capitalistico che vuole liberarsi di qualsiasi ostacolo gli si ponga davanti. La velocità conduce al modello della modernità liquida, che erode valori nel nome di un processo di modernizzazione che non guarda più all’uomo e ai suoi bisogni. Lentezza significa quindi occuparsi dei danni che la velocità produce. Il ritorno ad una democrazia fatta di persone che discutono dei propri bisogni e delle esigenze dei propri territori è un contrappeso alla pulsione verso l’eliminazione del dialogo che è propria dei processi di modernità liquida che percepiscono il dialogo come ostacolo da superare.

Una visione mediterranea

I nostri territori sono al centro del Mediterraneo, che oggi è percepito come “mare” di frontiera e che invece dovrebbe tornare ad essere centro dell’Europa. È necessario superare l’idea che il Mediterraneo delimiti e divida due aree diverse, ma piuttosto dobbiamo riappropriarci dell’idea che il “mare nostrum” torni ad essere di tutti. Nel corso dei secoli tutti i popoli affacciati sul Mediterraneo hanno intensamente dialogato, commerciato, creato legami e permeandosi di tutte le altre culture con cui venivano in contatto. Per questa ragione non esistono razze e culture pure, ma al contrario vi è qualcosa di altri in ognuno di noi. Diventa quindi necessario superare i limiti della paura dell’altro – nato magari su un’altra sponda del nostro mare – e aprirsi alla conoscenza di chi si considera diverso per scoprire quali sono i legami tra le differenti culture.

Viene da se che la cultura mediterranea non può essere che moderata, non può far altro che rifiutare tutti i fondamentalismi. Non esiste un popolo, una razza, una cultura che possa arrogarsi il diritto di dirsi pura. Diventa necessario un processo di laicizzazione dei popoli che affacciano sul Mediterraneo che non venga imposto con la forza, ma che sia piuttosto frutto di una naturale evoluzione culturale e che parta proprio dalla consapevolezza che tutte le tradizioni sono già contaminate e che esistono notevoli punti di contatto. Evidentemente è necessario che divenga chiaro che non esistono visioni e culture assolutamente positive o assolutamente negative, quanto piuttosto esiste una pluralità che deve imparare a confrontarsi traendone vantaggio reciproco.

Da Cantù all’UE: non chiamatela sottocultura, si chiama razzismo

Share Button

di Pierluigi Peperoni

Troppo semplice definire il razzismo meridionale sottocultura, sminuire il problema non servirà a risolverlo. Non fino a quando tale razzismo sarà funzionale a un sistema fatto di intrecci tra politica e interessi economici. Ma andiamo con ordine…

Da Bizzozero (sindaco di estrazione leghista di Cantù) a Dijsselbloem (Presidente Eurogruppo), in questi giorni siamo stati costretti ad assistere a un rigurgito anti-napoletano e anti-meridionale.

Ecco cosa ha scritto Bizzozero sulla propria pagina FB:

Il web si indigna, ma nessun esponente del mondo politico invoca dimissioni, né annuncia iniziative contro il sindaco settentrionale. Lo stesso Salvini, che pure ha affermato di essere interessato a difendere il mezzogiorno, ha pensato di tacere.

Ecco che a distanza di poche ore Jeroen Dijsselbloem, olandese Presidente dell’Eurogruppo, dichiara in un’intervista:

Durante la crisi dell’euro i Paesi del Nord hanno dimostrato solidarietà con i Paesi più colpiti. Come socialdemocratico do molta importanza alla solidarietà, ma hai anche degli obblighi, non puoi spendere tutti i soldi per alcol e donne e poi chiedere aiuto

In questo caso c’è stata un’immediata reazione da parte degli europarlamentari spagnoli prima, italiani poi che ne hanno chiesto dimissioni. Eppure Dijsselbloem è un socialista e in quanto tale dovrebbe fare della solidarietà il centro della propria azione politica, o almeno questo è quello che pensa il suo elettorato. Peccato che lo stesso Dijsselbloem è stato tra i più intransigenti quando la crisi del debito pubblico ha toccato il proprio apice, soprattutto a danno delle nazioni economicamente più deboli.

Definire il razzismo antimeridionale semplice sottocultura è sbagliato e pericoloso. Si rischia infatti di non dare il dovuto rilievo agli occhi dell’opinione pubblica a questo genere di episodi, innescando così un processo che tende a legittimare queste uscite e dà la possibilità a chi dovrebbe intervenire di evitare scomode prese di posizione. Difficile credere che questo possa succedere davvero: il razzismo è ancora funzionale a ottenere i voti dei settentrionali.
Un po’ come accade nel movimento di Beppe Grillo, con il leader dei 5 stelle che definisce “geneticamente modificati” gli onesti (e ingenui) meridionali del suo movimento, mentre gli attivisti napoletani presentano mozioni a spiccato contenuto meridionalista.

È il bispensiero della politica dei partiti nazionali, dettato dall’opportunismo e dalla necessità di far cassa (o meglio, far voti) facendo leva sulle differenti sensibilità degli elettorati a cui si parla.

Ecco perché a sud bisogna capire che ci dobbiamo difendere da soli, con i liberatori abbiamo già dato.

PIANO DELLE AREE – Una posizione chiara a tutela dei nostri territori

Share Button

di Nicola Manfredelli

Il Piano delle Aree è innanzitutto un fattore di coesione sociale e territoriale che mette mano agli squilibri non più accettabili tra cittadini e amministrazioni pubbliche. A MO! – Unione Mediterranea sta molto a cuore il ripristino di un provvedimento che va nella direzione di individuare nei territori la sovranità decisionale sull’uso delle risorse e sulla salvaguardia dell’ambiente.

D’altronde non si chiede nulla di straordinario ma soltanto di dare attuazione a uno degli orientamenti più importanti dell’UE (purtroppo solo in minima parte preso in considerazione) che è il Principio della sussidiarietà, non solo quella verticale, che quasi sempre è a prevalenza centralistica, ma soprattutto quella orizzontale, che assegna voce in capitolo alle popolazioni locali.

Nelle regioni meridionali in particolare lo strumento del Piano delle Aree assume una valenza di notevole rilievo poiché siamo in presenza di una situazione di rischio ambientale non più sostenibile, denunciata dal nostro movimento con una PETIZIONE presentata al Parlamento Europeo, con la quale, ai sensi dell’art. 44 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE abbiamo chiesto l’istituzione di una Commissione Speciale per verificare il rispetto di tali Diritti Fondamentali nelle regioni del SUD. Sono note le vicende della Terra dei Fuochi in Campania, così come quelle delle violazioni in tante altre zone del Sud. Non ultime le violazioni in materia di concessione delle licenze offshore in Calabria e quelle che riguardano le ipotesi di disastro ambientale nei territori della Lucania dove l’impatto delle attività petrolifere sta compromettendo le risorse naturali di vaste zone.

Per tutelare i nostri territori si rende necessario introdurre strumenti normativi, regolamentari, programmatori, in grado di scongiurare ulteriori interventi che potrebbero procurare danni irreversibili. Considerato che in aggiunta alla già rilevante attività estrattiva dell’Eni e della Total, che riguarda all’incirca il 20% dell’intero territorio regionale su cui si estraggono oltre 100.000 barili al giorno di petrolio, sono in essere ulteriori richieste di autorizzazione di pozzi petroliferi da parte della Shell nell’area del Potentino. In Basilicata è in corso un’azione del consiglio regionale per concordare con le altre regioni l’approvazione di un testo di legge che possa essere presentato al Parlamento su proposta dei Consigli regionali per reintrodurre il Piano delle Aree, che nell’immediato può rappresentare un utile strumento per superare lo stato di confusione che si è determinato e le preoccupazioni circa un quadro autorizzativo che lascia campo aperto a qualsiasi intervento a forte impatto sull’ambiente.

Più in generale le azioni di sfruttamento eterodirette sul territorio si scontrano (specialmente a sud) col diritto all’autodeterminazione di chi quei territori li vive. Troppo spesso si è sacrificato un patrimonio paesaggistico, naturalistico e culturale nel nome di un presunto sviluppo che pure non ha lasciato ricchezza là dove questi processi di sfruttamento hanno avuto luogo.

NIMBY – Not In My Backyard (non nel mio giardino). Se n’è parlato anche durante il referendum del 17 aprile. L’accusa di particolarismo serve solo ad attaccare e delegittimare chi si oppone alle trivelle, togliendo peso invece alle istanze propositive di cui il piano delle aree fa parte a pieno titolo.

Tuttavia MO! – Unione Mediterranea fa presente che oltre al ripristino del Piano della Aree si rende necessario introdurre nella normativa anche strumenti di Partecipazione attiva dei cittadini prevedendo, almeno per le attività maggiormente sensibili per l’ambiente e la salute delle popolazioni, di introdurre forme obbligatorie di iniziative pubbliche, sia informative (Conferenze semestrali sullo stato dell’Ambiente) che consultive (Parere Popolare tramite consultazione dei cittadini residenti) in modo da restituire alle comunità locali la sovranità degli orientamenti sugli interventi che incidono sulla conservazione e sulla tutela dell’ambiente in cui vivono”.

#NOTRIV – MO! – Unione Mediterranea alla Camera dei Deputati

Share Button

La proposta di legge per la reintroduzione del Piano Aree è ormai in fase di pieno decollo. Il coordinamento delle sigle coinvolte nello studio e nella promozione di tale disegno di legge ha indetto una conferenza stampa a palazzo Montecitorio, presso la Camera dei Deputati, per illustrarne i contenuti.

Il nostro segretario, Pierluigi Peperoni, relazionerà in rappresentanza di MO! – Unione Mediterranea. La nostra voce si fa sentire chiaramente nelle sedi preposte. MO! – Unione Mediterranea non cederà di un passo in merito alla difesa del territorio, sposando e proponendo con totale convinzione iniziative di questo tipo e portando le ragioni della nostra terra su tutti i campi di battaglia possibili.

La conferenza stampa si terrà alle ore 16.00 e vedrà anche l’intervento di Roberta Radich (Coordinamento Nazionale No Triv), Marica Di Pierri (A SUD), Enzo Di Salvatore (costituzionalista), Paolo Carsetti (Forum italiano dei Movimenti per l’Acqua Pubblica), Bengasi Battisti (Associazione “Comuni Virtuosi”), Maurizio Marcelli (Fiom-Cgil), Samuele Segoni (Alternativa Libera), Marco Baldassarre (Alternativa Libera), Pippo Civati (Possibile), Annalisa Corrado (Green Italia), Alfonso Pecoraro Scanio (Fondazione UniVerde), Nicola Stumpo (PD), Stefano Fassina (SI), Serena Pellegrino (SI), Gianni Melilla (SI), Rosa Rinaldi (PRC), Maurizio Acerbo (PRC).

Referendum: la clausola di supremazia che ci incatena tutti

Share Button

Il nuovo art. 117, comma 4 stabilisce che “su proposta del governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”.

Traduzione: il governo può intervenire liberamente anche nelle materie legislative dedicate alle Regioni se lo ritiene in qualche maniera necessario per la tutela dell’interesse nazionale.
Provvedimenti come quello dello sblocca italia, ovvero atti di forza giustificati con la formula “di interesse nazionale”, diventeranno più semplici.

Ad esempio se una trivella è interesse nazionale, si fa come decide il governo.
Un sito di stoccaggio scorie di interesse nazionale, si fa come decide il governo.

Nell’art. 70 si afferma che nel merito di quanto scritto sopra può esprimersi il Senato “nel termine di dieci giorni dalla data di trasmissione. Per i medesimi disegni di legge, la camera dei deputati può non conformarsi alle modificazioni proposte dal Senato della Repubblica a maggioranza assoluta dei suoi componenti, solo pronunciandosi nella votazione finale a maggioranza assoluta dei propri componenti.”

Cosa significa? Che il Senato “delle autonomie” scavalca le Regioni e deve esprimersi in tempi rapidissimi, forse fantascientifici per la burocrazia italiana: 10 giorni! Ma la immaginate tutta questa efficienza? Io no.
Ma questo è il meno.
L’altro aspetto più preoccupante è che alla fine la Camera può anche decidere di non conformarsi alle decisioni del senato.

Immaginiamo uno scenario: il governo decide che è necessario fare un certo tipo di intervento di forte impatto sul territorio. I cittadini devono eventualmente trovare il modo di orientare il senato (e non più la Regione). Se pure riescono a farlo il senato deve esprimersi nel merito in 10 giorni. Se pure riesce a farlo la camera può fregarsene.

di Pierluigi Peperoni

Alitalia, incazzatura a tre colori

Share Button

di Pierluigi Peperoni

L’immagine che vi mostro di seguito è stata una delle più condivise su Facebook nelle ultime ore.

tariffe alitalia

Si tratta di una semplice tabella riepilogativa dei costi dei voli Alitalia da Milano verso alcune località nazionali ed internazionali, che evidenzia la sproporzione del costo dei voli per Reggio Calabria rispetto a quelli diretti verso altre mete.

La risposta dei social media manager della ex compagnia di bandiera italiana è di circostanza, ma l’effetto virale è stato dirompente ed in breve sono iniziati a fioccare i commenti al post pubblicato inizialmente da Tonino Sanfedele.

Alcuni commenti sono particolarmente interessanti come quello di Chiara che afferma: <<controllo il vostro sito quotidianamente dal mese di Ottobre ed i prezzi sono sempre stati superiori ai 200€ sola andata. Cosa intendi per “prenotare con anticipo”? E cosa per “soluzioni più economiche”?>> oppure quello di Antonino che suggerisce di non protestare <<altrimenti ci tolgono anche questo volo nonostante sia sempre pieno!>>.

Alitalia (controllata al 49% dalla società araba Etihad Airways) è a tutti gli effetti una compagnia privata. Inutile recriminare sul fatto che approfitti del proprio vantaggio competitivo di essere monopolista di fatto della tratta Milano – Reggio Calabria. Non è più la compagnia di bandiera italiana e quindi non ha alcun obbligo nei confronti dei cittadini. Se ha una posizione di dominio su un mercato è giusto che realizzi il maggior profitto possibile. Si tratta delle normali leggi di mercato.

Quello che forse non tutti sanno è che la libertà di circolazione è sancita in Italia dalla Costituzione italiana (Art. 16) e in Europa nella Carta dei diritti dell’Unione europea (Art. II-105).

Ora chiediamoci come mai i voli verso le altre destinazioni italiane hanno costi tanto inferiori rispetto a quelli per Reggio Calabria. Le ragioni sono principalmente due:

  • Alitalia ha dei concorrenti sulle stesse tratte;
  • esistono dei mercati alternativi, come quello ferroviario o autostradale che tendono a livellare verso il basso il costo dei voli.

E allora mi incazzo, divento verde di bile se penso al diritto calpestato degli studenti calabresi a poter tornare a casa per Natale, ai tanti che lavorano fuori e devono spendere mezzo stipendio solo per poter tornare a casa ad abbracciare i propri parenti per qualche giorno.

Sbianco di fronte alla pochezza dei nostri amministratori, incapaci di fornire collegamenti di livello europeo a 20 milioni di cittadini meridionali, pur avendone la possibilità. Sbianco se penso che questa gente ha in mano il nostro futuro.

Divento rosso di rabbia se penso che la stessa Alitalia è stata salvata con i soldi di tutti i contribuenti italiani, di ogni latitudine e ceto sociale.

Tre colori, come il logo della stessa Alitalia, una degna compagnia di bandiera di questa italiella.

L’Italia delle disparità

Share Button
 
Ieri, 02 dicembre, è stato diffuso il consueto rapporto BES che viene elaborato una volta l’anno dall’ISTAT al fine di “misurare e valutare il progresso della società italiana”. La sigla BES sta appunto per “Benessere Equo e Sostenibile”.
 
Il rapporto certifica e conferma che il reddito medio per nucleo familiare è più basso a sud che a nord, a fronte però di un livello di tassazione locale mediamente maggiore. Fin qui nulla di nuovo.
 
Dal rapporto emerge inoltre che il 20,6% della popolazione del Mezzogiorno vive in una situazione di grave deprivazione materiale e non può permettersi di sostituire gli abiti consumati, un quinto non può svolgere attività di svago fuori casa per ragioni economiche, un terzo non può permettersi di sostituire mobili danneggiati.
 
A fronte di questo scenario cosa fa il Governo? Decide di erogare contributi alle famiglie povere basandosi sui calcoli relativi alle soglie di povertà assoluta elaborate dalla stessa istat. Queste soglie sono fortemente discriminatorie a danno delle famiglie del sud. Si stima che 1000000 (UN MILIONE!) di famiglie meridionali non avranno diritto ai bonus di povertà. Le stesse famiglie, se fossero residenti al centro nord, ne avrebbero diritto.
 
Abbiamo denunciato la cosa già ad ottobre, ma nessun’azione è stata intrapresa dal Governo. Peggio ancora le opposizioni hanno taciuto. Non una sola parola è stata spesa a riguardo da nessuna componente parlamentare.
Come sempre il SUD è isolato, abbandonato a se stesso, nelle mani di una classe dirigente incompetente e corrotta, sta a noi cambiare le cose.
« Articoli precedenti