La calata dei lanzichenecchi leghisti è fallita, ma…
LA “MARCIA SU NAPOLI” E’ FALLITA, MA CONTRO SALVINI SI POTEVA FARE DI MEGLIO
Facciamola breve. La marcia (dell’11/03 ndr) su Napoli dei leghisti è fallita. Qualche centinaia di amici di Salvini provenienti dalle regioni del Sud, composti da capiclan elettorali del centrodestra che offrono i loro voti al miglior acquirente e i pochi fascisti e neonazisti che condividono l’ideologia xenofoba dei leghisti, si sono rintanati nei padiglioni della Mostra d’Oltremare protetti da 1200 poliziotti, mentre fuori un grande corteo di protesta contro la sua venuta sfilava pacificamente, a parte i soliti esagitati che, scatenando episodi violenti hanno dato modo a Salvini e ai giornali di oscurare tutto il resto.
Il corteo ha visto uniti napoletani di ogni ideologia, dai militanti di DeMa, il movimento di De Magistris, che ripropone i temi classici della sinistra, ai neomeridionalisti che, ponendosi al di là di sinistra e destra si battono per il riscatto del Mezzogiorno, rifacendosi ai temi enucleati, seppure con sfumature politiche diverse, da Gramsci, Salvemini, Nitti, Dorso, Zitara e altri, fino ai “neoborbonici” che fanno del recupero della verità storica sulle reali condizioni di civiltà delle due Sicilie e sulla malfatta unità d’Italia il loro cavallo di battaglia. Tutti uniti da un sentimento trasversale di avversione a Salvini e alla lega Nord, memori degli insulti razzisti antimeridionali e del dirottamento verso le regioni del Nord di fondi europei e statali destinati al Sud, di cui gli eredi di Bossi si sono resi responsabili. Dai fondi Fas utilizzati per pagare le quote latte, fino alla ripartizione del 95% dei fondi ferroviari al Centronord, per alta velocità e altre note ruberie, lasciando il Sud in condizioni infrastrutturali e sociali pietose.
Un sentimento trasversale che, per queste ragioni, va oltre l’avversione a Salvini, debordando in un diffuso convincimento sulle ragioni del Sud, che conquista anche la jacquerie dei centri sociali i quali, paladini della lotta alle ingiustizie planetarie, riconoscono nella questione meridionale la più grande ingiustizia italiana. Peccato solo per la loro estrema esagitazione che li spinge alla degenerazione dei metodi della protesta civile mettendoli dalla parte del torto e rendendo, a loro e all’insieme dei manifestanti, un cattivo servigio.
E’ pur vero che il giornalista antifascista Francesco Maratea, mio conterraneo garganico, segretario degli “aventiniani” nel 1924, ricordando le giornate della “mala” marcia su Roma, diceva: “Se dieci persone fossero uscite decise da Aragno con ombrelli e bastoni, puntando su Montecitorio, non avremmo avuto il fascismo”.
Tuttavia, per fortuna non siamo, perlomeno non ancora, a quel punto di violento assalto del potere della destra estrema. Non credo che al Sud si possa arrivare a tanto. Una nuova calata padana del fascismo non troverebbe le condizioni sociali, il blocco storico industriali del nord-agrari del sud, denunciato da Gramsci, non esiste più, e a parte neonazisti e venditori di voti clientelari legati alle mafie, non vedo una grande possibilità di affermazione al sud per un partito che ha “prima il nord” come motto.
A Napoli i movimenti anti Salvini potevano e dovevano fare di meglio. Rinunciando magari al classico corteo, che solitamente permette infiltrazioni di ogni genere, per convocare a Piazza del plebiscito una grande kermesse con la trentina di artisti aderenti al manifesto contro Salvini, da Eugenio Bennato ai 99Posse, a Gragnaniello e altri grandi musicisti, kermesse, questa sì, che avrebbe raccolto decine di migliaia di napoletani, i quali avrebbero potuto seppellire Salvini con un colossale pernacchio corale di eduardiana memoria. Uccide più il ridicolo che la spada.
A proposito di Piazza del plebiscito, Salvini ha dichiarato che il suo prossimo raduno lo farà proprio nella piazza principale, “per liberare Napoli”, dice. La battuta che circola tra i napoletani, in larghissima maggioranza a lui avverso, è “ma chi l’ha liberato a ‘sto Salvini?”
Raffaele Vescera