Noi
cittadini di Napoli e delle terre del Sud
non ci rassegniamo
al fatto di vivere in un Paese spaccato in due per lavoro, servizi pubblici,
diritto allo studio, alla salute, alla mobilità;
ci sentiamo offesi
dal sentire giudicato il Mezzogiorno come inguaribile palla al piede del Paese
e come luogo di rassegnazione e lamenti;
siamo convinti
che nessun popolo del mondo sia privo della capacità di governarsi;
denunciamo
i seguenti atti e omissioni dello Stato a causa dei quali da anni
aumenta il divario nel Paese:
1. Asili nido e istruzione: valutati zero i bambini del Sud.
Dal 2015 i fabbisogni standard comunali sono conteggiati in
modo palesemente distorto: si misurano non i bisogni della
popolazione ma i servizi erogati in passato, anche quando tali
servizi sono inadeguati o addirittura nulli. Il fabbisogno di
asili nido è stato conteggiato zero in città come Giugliano,
Pozzuoli, Casoria, Portici, Ercolano, San Giorgio a Cremano.
2. Sanità: meno risorse dove ci si ammala di più.
Dal 2012 si utilizza nel reparto del fondo sanitario la “formula
Calderoli” con il criterio della pesatura per età: si poche
persone raggiunto la vecchiaia si tagliano risorse per le cure
con la conseguenza che nei luoghi come la Terra dei Fuochi o
Taranto dove la speranza di vita è più bassa ci sono meno
servizi sanitari e si fa meno prevenzione.
3. Trasporti locali: treni e autobus vecchi e inquinanti al Sud.
Il governo è venuto meno a un dovere preciso: non ha attuato
la legge che gli impone di calcolare i livelli di servizio di
trasporto locale. Se non fissi il livello minimo non fai mai
scattare gli investimenti sul trasporto pubblico previsti dalla
legge sul federalismo e senza il rinnovo di treni e autobus il
servizio deperisce e aumenta l’inquinamento.
4. Manutenzione strade: meno soldi se ci sono più disoccupati.
Dal 2015 si utilizza l’irrazionale parametro del tasso di
occupazione Istat per dividere i fondi pubblici per la
manutenzione delle strade provinciali e metropolitane. In altre
parole si riducono le risorse dove ci sono meno occupati, in
base alla sola logica di favorire le aree più ricche.
5. Università: borse di studio e turnover dei prof minori al Sud.
Le borse di studio sono erogate in modo saltuario al Sud
anche agli aventi diritto: uno scandalo mai affrontato. Inoltre
dal 2013 c’è un tetto al turnover dei docenti universitari più
stringente dove i redditi familiari sono bassi, con l’effetto di
aver spostato l’assunzione di 700 ricercatori dagli atenei del
Sud a quelli del Centronord e favorito un drammatico calo di
iscrizioni nelle Università del Mezzogiorno.
6. Infrastrutture e porti: da “prima il Nord a “solo il Nord”.
Lo Stato ha partecipato al bando comunitario “Meccanismo
per connettere l’Europa” presentando progetti da realizzare
entro il 2020 esclusivamente per il Nord: i treni merci di
nuova concezione collegheranno il Brennero solo con i porti
dell’alto Tirreno e dell’alto Adriatico. Si rendono meno
competitivi i porti e gli interporti del Mezzogiorno, che è il
centro del Mediterraneo.
7. Livelli essenziali di assistenza: quindici anni di attesa.
Lo Stato dal 2001 non ha mai definito quanto previsto
all’articolo 117 lettera m della Costituzione, e cioè la
“determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti
su tutto il territorio nazionale” facendo inceppare i
meccanismi solidali previsti in Costituzione.
8. Perequazione: c’è in Costituzione ma nessuno l’ha vista.
Nei commi 3 e 4 dell’articolo 119 si dice che “la legge dello
Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di
destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per
abitante” e che quelle risorse “ai Comuni, alle Province, alle
Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente
le funzioni pubbliche loro attribuite”. Quindi al Sud i servizi
pubblici non sono garantiti.
9. Produzione: sede dell’Alenia spostata da Pomigliano alla provincia di Varese.
Nel 2012 la fusione tra Alenia e la ben più piccola Aermacchi
ha visto lo spostamento della sede legale dalla sede storica di
Pomigliano d’Arco a Venegodo, in provincia di Varese. Nel
giro di pochi anni il top management è quasi tutto proveniente
dagli stabilimenti del Nord.
10. Fondi Ue: impegno statale ridotto a un terzo in Campania, Calabria e Sicilia.
Con il ciclo di fondi europei 2014-2020 il governo ha deciso
di ridurre a un terzo il cofinanziamento ai progetti europei in
tre regioni del Sud. In pratica un progetto finanziato in
Lombardia aggiunge a ogni euro di Bruxelles un euro italiano
mentre se lo stesso progetto è realizzato in Campania
l’impegno nazionale per ogni euro europeo scende a 33
centesimi.
Per tutto quanto sopra
noi, cittadini di Napoli e delle terre del Sud
consapevoli dei nostri doveri, dei nostri diritti e della
nostra identità
esigiamo
l’apertura di una specifica sessione parlamentare che, entro la
fine dell’attuale legislatura, esamini, valuti e corregga le
storture fin qui evidenziate;
proponiamo
la seguente legge d’iniziativa popolare che entro il 2016
faccia di Napoli, metropoli simbolo del Mezzogiorno, una
Città Autonoma
Istituzione di NA-Napoli Autonoma
(disegno di legge)
Articolo 1
1. Il Comune di Napoli, in quanto città capitale del maggiore stato preunitario italiano e metropoli con una sua specifica identità, legata a peculiarità storiche, ambientali e demografiche riconosciute dagli organismi internazionali, in applicazione dell’art. 118, secondo comma, della Costituzione è definito Città Autonoma e assume la denominazione Napoli Autonoma, in sigla NA. Il Consiglio comunale assume la denominazione di Assemblea Partenopea.
Articolo 2
1. Napoli Autonoma è un ente territoriale i cui attuali confini sono quelli del Comune di Napoli e dispone di speciale autonomia, statutaria, amministrativa e finanziaria, nei limiti stabiliti dall’art. 119 della Costituzione. L’ordinamento di Napoli Autonoma è diretto a garantire il miglior assetto delle funzioni che Napoli è chiamata a svolgere quale principale metropoli e motore di sviluppo dell’Italia meridionale, patrimonio Unesco nonché sede nazionale dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni.
2. Oltre a quelle attualmente spettanti al comune di Napoli, sono attribuite a Napoli Autonoma le seguenti funzioni amministrative:
a) concorso alla valorizzazione dei beni storici, artistici, ambientali, culturali previo accordo con il Ministero per i beni e le attività culturali;
b) sviluppo economico e sociale di Napoli Autonoma, nell’interesse di tutta l’area metropolitana, con particolare riferimento alla programmazione dei fondi comunitari e alla valorizzazione dei settori produttivo, portuale, turistico, commerciale, universitario e delle comunicazioni;
c) sviluppo urbano, pianificazione e riqualificazione territoriale;
d) edilizia pubblica e privata;
e) organizzazione e funzionamento dei servizi urbani, con particolare riferimento al trasporto pubblico e alla mobilità dell’area metropolitana;
f) protezione civile, in collaborazione con la Presidenza del Consiglio dei ministri e la Regione Campania;
g) ulteriori funzioni conferite dallo Stato e dalla regione Campania, ai sensi dell’art. 118, secondo comma, della Costituzione.
3. L’esercizio delle funzioni di cui al comma 2 è disciplinato con regolamenti adottati dall’Assemblea Partenopea, nel rispetto della Costituzione, dei vincoli comunitari ed internazionali, della legislazione statale e di quella regionale nel rispetto dell’art. 117, sesto comma, della Costituzione, nonché in conformità al principio di funzionalità rispetto alle speciali attribuzioni di Napoli Autonoma.
4. L’Assemblea Partenopea, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, approva, ai sensi dell’art. 6, commi 2, 3 e 4, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, con particolare riguardo al decentramento municipale, lo statuto di Napoli Autonoma, che entra in vigore il giorno successivo alla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
5. Con uno o più decreti legislativi è disciplinato l’ordinamento, anche finanziario, di Napoli Autonoma, con specificazione delle funzioni di cui al comma 2, definizione delle modalità per il trasferimento a Napoli Autonoma delle relative risorse umane e dei mezzi, trasferimento, a titolo gratuito, a Napoli Autonoma dei beni appartenenti al patrimonio dello Stato non più funzionali alle esigenze dell’Amministrazione centrale.
Articolo 3
1. In via sperimentale, nelle more di una piena e corretta applicazione del federalismo fiscale e in particolare da quanto previsto nella Costituzione all’articolo 117 lettera m (determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale) e 119 terzo e quarto comma (la legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante, tale da consentire insieme alla risorse proprie di finanziare integralmente le funzioni pubbliche attribuite ai Comuni), e fermo restando quanto previsto dai decreti di cui all’articolo 2 comma 4 a Napoli Autonoma viene attribuita una quota di tributi propri di importo pari per il 2016 a quanto attribuito dal Fondo di solidarietà comunale per il 2015 e cioè 258.899.633 euro, quale saldo tra finanziamento e contributo.
2. Napoli Autonoma per il 2016, 2017 e 2018 non partecipa né in modo attivo né in modo passivo alla quota solidaristica del Fondo di solidarietà comunale di cui all’articolo 1, comma 380, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, ma soltanto al ristoro integrale dell’Imu e della Tasi, in base a quanto previsto dall’articolo 1 comma 17 della legge 208/2015 (legge di Stabilità 2016) e in particolare a quanto dovuto al Comune di Napoli al fine di tenere conto dell’esenzione di cui ai commi da 10 a 16, 53 e 54 dell’articolo 1 della legge 208/2015, prevista per l’Imu e la Tasi.
3. Per effetto di quanto previsto dal comma precedente, per ciascuno dei medesimi anni 2016, 2017 e 2018 dal Fondo di solidarietà comunale il governo può effettuare con decreto del Ministero dell’economia e finanza un prelievo straordinario in favore delle finanze statali fino a un massimo di 258.899.633 euro.
4. Per gli anni 2016, 2017 e 2018 le imposte sui trasferimenti di immobili (Iva, Registro e bollo, ipotecaria e catastale e successioni o donazioni) relative a beni ricadenti nel Comune di Napoli sono integralmente assegnate a Napoli Autonoma.
5. Per il 2016 a Napoli Autonoma è assegnata una percentuale di compartecipazione al gettito Irpef relativa ai redditi del 2015 dei residenti nel Comune di Napoli di una quota tale da pareggiare, unitamente a quanto previsto dal comma 4, l’importo di 258.899.633 euro: i versamenti effettuati al Comune di Napoli nel 2016, prima dell’entrata in vigore della presente legge, sono considerati acconti di quanto previsto in questo e nel comma precedente. La percentuale di gettito Irpef, individuata con decreto dal Ministero dell’economia e finanza entro il 30 settembre 2016, sarà assegnata a Napoli Autonoma nel 2017 e nel 2018 in misura invariata, indipendentemente dalle eventuali variazioni di gettito sia dell’Irpef stessa, sia delle imposte indicate al comma 3.
Articolo 4
1. La presente legge, che non ha oneri per lo Stato, entra in vigore il primo luglio 2016.
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Introduzione
Napoli era di gran lunga la maggiore città italiana al momento dell’Unità, sia per abitanti, sia per ricchezza in valore assoluto. Il suo declino politico è stato repentino, ma era inevitabile in un processo d’unificazione e ha colpito anche città come Torino, Firenze e, in precedenza, Venezia. Il declino economico di Napoli, invece, non era affatto scontato e dopo il 1861 è proseguito per decenni: l’assenza o la debolezza di un ruolo guida nazionale riconosciuto tra i tanti possibili per Napoli – economico, finanziario, commerciale, industriale, turistico, culturale, giuridico – hanno fiaccato il tessuto sociale della principale metropoli italiana fino ad attribuire a Napoli un’etichetta negativa: città assistita.
1. L’Autonomia? E’ già in Costituzione
Prima di avventurarsi in una riforma di forte impatto come NA occorre valutare se è in linea con i principi della Costituzione repubblicana. L’articolo 114, secondo comma, fa cadere i dubbi.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione.
Inoltre l’articolo 118, secondo comma, dice espressamente che è possibile differenziare le funzioni per specifici Comuni.
I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.
Di particolare valenza è l’articolo 119 della Costituzione, composto da sette commi. Ecco il primo.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa.
Perfetto. Quindi l’autonomia finanziaria è la regola. Ora il secondo comma.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio.
E anche qui ci siamo. Le risorse dei Comuni, come degli altri enti territoriali, devono essere autonome e di due tipologie: entrate proprie e compartecipazioni al gettito di tributi erariali
riferibili al territorio. Ora il terzo comma.
La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante.
Il fondo perequativo non è mai stato istituito. Al suo posto ora c’è un fondo di solidarietà comunale, pagato dagli stessi Comuni in rapporto al gettito dell’Imu. Il fatto che la perequazione sia “senza vincolo di destinazione” conferma il principio di autonomia degli enti. Tuttavia, da un punto di vista sostanziale, un Comune che ha bisogno della perequazione per sostenersi è meno autonomo. Passiamo al quarto comma.
Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni
pubbliche loro attribuite.
Qui c’è una dichiarazione di principio importante: una volta attribuite le funzioni a un ente locale, questo deve ricevere tra entrate proprie, compartecipazione e perequazione una somma tale da coprire al 100% la spesa, intesa come spesa a costo standard, quindi efficiente. E’ lo Stato che ha il compito (articolo 117, lettera m della Costituzione) di determinare i “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. Tali livelli non sono mai stati indicati, per cui non è possibile determinare con esattezza la somma che occorre per “finanziare integralmente” le funzioni pubbliche attribuite agli enti locali né è possibile determinare l’importo necessario per il fondo di perequazione. Passiamo poi al quinto comma, sempre dell’articolo 119.
Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse
aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.
Qui c’è spazio per interventi straordinari, che esulano dalle funzioni normali di un ente locale e che quindi non incidono sulla loro autonomia. Ora i commi sei e sette, che chiudono il 119 e che sono anch’essi perfettamente in linea con il principio di autonomia.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato.
Possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento. E’ esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti.
2. Federalismo fiscale: un mostriciattolo
Come funziona oggi il federalismo fiscale per i Comuni? Non si sbaglia a descriverlo come un mostriciattolo, un essere dalle sembianze ben diverse da quelle che erano state previste sia nella Costituzione (così come modificata nel 2001), sia nella legge delega, la 42 del 2009, così come nei decreti attuativi del federalismo municipale del 2011. Non sono stati individuati i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Non è stato istituito il fondo di perequazione. I fabbisogni standard comunali sono stati calcolati per i 6.707 Comuni delle quindici regioni a statuto ordinario; tuttavia per istruzione e asili nido si è proceduto in modo irrazionale e dannoso per il Mezzogiorno: in assenza dei Lep (livelli essenziali delle prestazioni) si è considerato come livello di riferimento quello effettivamente erogato nel 2010, con risultati paradossali. Laddove un Comune non aveva erogato alcun servizio di asilo nido, per esempio, il fabbisogno standard di quel Comune è stato posto a zero, in evidente contraddizione sia con la logica (il fabbisogno misura il bisogno della popolazione) sia con quanto prevede la legge, che chiede di superare il principio della spesa storica.
Napoli, in particolare, si è vista attribuire un fabbisogno standard di asili nido e istruzione pari ad appena un terzo di quanto è stato assegnato a Torino, città che ha meno abitanti.
Va considerato che per altre voci, come i servizi sociali per anziani, si è invece valutato l’effettivo bisogno della popolazione e non la spesa storica, assegnando quindi un fabbisogno anche nei comuni che non erogavano alcun servizio in merito. La mancata determinazione dei Lea inceppa anche il meccanismo che dovrebbe portare a investimenti omogenei sui territori relativi al trasporto locale.
E’ un mostriciattolo anche il fondo di perequazione che, per legge, per i Comuni doveva partire nel 2013. In attesa del fondo di perequazione era stato istituito un fondo sperimentale di riequilibrio. Con la legge Salva Italia del governo Monti di fine 2011 si è disposto un taglio di 2 miliardi a valere sul fondo sperimentale di riequilibrio e, una volta istituito, sul fondo di perequazione. Con il taglio preventivo del fondo di perequazione lo Stato ha violato in modo esplicito la Costituzione perché l’importo della perequazione non può essere determinato a priori ma deriva in modo matematico dalle scelte effettuate sul livelli essenziali delle prestazioni e dal calcolo dei fabbisogni standard e delle capacità fiscali. Se, per ipotesi, il livello delle prestazioni da garantire in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale è fissato a una quota così bassa che anche il Comune con la minore capacità fiscale riesce a pagare i servizi, allora la perequazione necessaria è zero e non è pertanto tagliabile. Se invece il livello delle prestazioni è posto a una quota tale che per alcuni Comuni è necessario integrare le risorse proprie, allora il fondo di perequazione ha un valore maggiore di zero, ma non è tagliabile perché altrimenti si violerebbe il comma quattro dell’articolo 119, cioè quello che afferma come il fondo di perequazione insieme alle altre voci di entrata comunali deve consentire il finanziamento integrale delle funzioni pubbliche attribuite.
Tagliare la perequazione equivale a negare l’uguaglianza dei cittadini di fronte ai diritti fondamentali.
Nel 2013 il fondo sperimentale di riequilibrio ha cambiato denominazione in fondo di solidarietà comunale. Al contrario del fondo di perequazione previsto dall’articolo 119, il fondo di solidarietà comunale non è alimentato dallo Stato bensì dai singoli Comuni con una quota pari al 38% dell’Imu. Lo Stato quindi è venuto meno al suo compito di assegnare la
perequazione e, addirittura, nel 2015 lo Stato ha succhiato per esigenze di cassa 1,2 miliardi dal fondo di solidarietà comunale, quindi ha “perequato” a favore di se stesso.
3. Napoli città assistita?
I trasferimenti pubblici ai Comuni si sono fortemente ridotti negli anni recenti, cioè da quando è entrato in vigore il federalismo fiscale. A Napoli, il Comune più sussidiato d’Italia in valore assoluto, si è registrato il seguente andamento.
2010 Trasferimenti erariali 646.437.167
2011 Fondo sperimentale riequilibrio 514.143.937
2012 Fondo sperimentale riequilibrio 426.012.328
2013 Fondo solidarietà comunale avere 382.166.815
2013 Fondo solidarietà comunale dare -67.639.651
2014 Fondo solidarietà comunale avere 375.032.449
2014 Fondo solidarietà comunale dare -65.012.266
2015 Fondo solidarietà comunale avere 323.931.978
2015 Fondo solidarietà comunale dare -65.032.315
In pratica si è passati da 646 milioni nel 2010 della situazione ante federalismo fiscale a 259 milioni nel 2015 considerando il saldo tra dare e avere del Fondo di solidarietà comunale.
Un taglio del 60% pari a 387 milioni!
I 259 milioni di euro fanno di Napoli ancora una città assistita? Nell’opinione generale sì, tuttavia le imposte riferibili al territorio napoletano, cioè le tasse pagate dai contribuenti napoletani, sono superiori alle somme che restano in città sotto forma erogazioni dirette o di servizi pubblici, perché questi ultimi sono inferiori alla media procapite nazionale per pensioni, sanità, trasporti, investimenti. Napoli, insomma, può pagarsi da sola i servizi che riceve e liberarsi dall’etichetta di città assistita.
4. NA, un passo verso la piena autonomia
Come primo passo verso una più ampia autonomia, il Comune di Napoli deve diventare autonomo dal punto di vista fiscale, in linea con la Costituzione. Non bisogna cessare di chiedere l’applicazione della Carta costituzionale e quindi livelli di servizi omogenei sul territorio nazionale, la perequazione e, quando necessario, interventi speciali per rimuovere gli squilibri economici e sociali e per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona. Tuttavia, nella situazione attuale, è necessario intanto individuare risorse proprie per 259 milioni di euro per liberare Napoli da un fondo di solidarietà che pesa sugli altri Comuni ed è soggetto a continui interventi legislativi che ne rendono aleatorio sia l’importo sia i tempi di
erogazione.
La proposta di NA è attribuire al Comune di Napoli, in linea con l’articolo 119 della
Costituzione, due imposte strettamente riferibili al territorio e cioè:
– Imposte sui trasferimenti di immobili
-Compartecipazione Irpef
La prima vale a livello nazionale 8.930 milioni di euro tra Iva (4.260 milioni), Registro e bollo (2.640 milioni), ipotecaria e catastale (1.420 milioni) e successioni o donazioni (620 milioni). Nel decreto legislativo 23 del 2011 sul federalismo municipale si prevedeva la devoluzione ai Comuni di tale imposta, norma poi cassata con il comma 729 della legge di Stabilità del 2014 (legge 147/2013). Il suo valore per la città di Napoli è stimabile in 150 milioni.
La compartecipazione Irpef (cosa diversa dall’addizionale) ha per effetto la cessione al Comune dove sono residenti i contribuenti Irpef di una quota del gettito. Se il valore di 150 milioni dovesse essere confermato, resta da coprire un gettito di 109 milioni che a Napoli equivale a 1,2 punti di Irpef. In ogni caso la legge è costruita per pareggiare esattamente i 258.899.633 euro del saldo netto del Fondo di solidarietà comunale del 2015 e fa salvo quanto dovuto dallo Stato al Comune di Napoli a titolo di rimborso per l’Imu e la Tasi prima casa (comma 17 legge di Stabilità 2016).
Il saldo per la città di Napoli per il 2016 è per definizione zero: rinuncia dal 2016 al Fondo di solidarietà comunale e aumento delle entrate tramite le imposte sui trasferimenti di immobili e la compartecipazione nell’ordine di 1,2 punti di Irpef.
Ecco gli effetti di NA:
– per il contribuente partenopeo non c’è alcun aggravio, né economico né burocratico, ma c’è la soddisfazione di sapere che una quota maggiore delle imposte che paga resta nella sua città;
– per i Comuni diversi da Napoli c’è un guadagno netto di 259 milioni come saldo tra minore gettito Imu di Napoli (65 milioni) e minore esborso del Fondo di solidarietà (324 milioni);
– per lo Stato c’è un minore gettito di entrate proprie di 259 milioni, che può recuperare (lo prevede l’articolo 3, comma 3 del disegno di legge) in tutto o in parte con un prelievo dal Fondo di solidarietà comunale, portando a zero anche il saldo per i Comuni;
– per il Comune di Napoli c’è un collegamento diretto tra miglioramento delle condizioni economiche generali e gettito tributario.
Un Comune che saprà ben amministrare se stesso punterà sulla riqualificazione urbana del centro come delle periferie, sul miglioramento della rete di trasporto pubblico, sull’attrazione di investimenti e di flussi turistici, sulla programmazione e spesa dei fondi europei, sulla valorizzazione di specificità come la presenza della sede nazionale dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni e di un polo universitario con tradizione millenaria. Nel disegno di legge d’iniziativa popolare si prevede l’istituzione di Napoli Autonoma e si punta su un incremento di funzioni e di responsabilità, sulla falsariga di quanto accaduto per Roma Capitale. A sottolineare l’innovazione, il Consiglio comunale di Napoli viene ridenominato Assemblea Partenopea. Gli effetti economici di un rilancio della città di Napoli saranno un aumento dei valori immobiliari e delle compravendite, nonché una crescita delle attività economiche e quindi dei redditi dei residenti. L’avvio di un circuito virtuoso, spinto anche dall’orgoglio di una città che ricomincia da se stessa senza aspettare sempre aiuti esterni, potrà avere effetti diretti positivi, con un aumento del gettito dalle imposte sugli immobili e dalla compartecipazione Irpef.
Tale maggiore flusso di risorse potrà essere utilizzato sia per ridurre la pressione fiscale sulle imposte proprie del Comune (come addizionale Irpef e Tasi), sia per erogare servizi di migliore qualità e accelerare la riqualificazione urbana.
La responsabilità, però, è una medaglia con due lati: se Napoli non sarà capace di investire su se stessa, il gettito fiscale diminuirà e il quadro finanziario diventerà più pesante rispetto
a un meccanismo basato sui sussidi. Ma non è proprio di questo che ha bisogno una comunità per mettersi alla prova? Le sfide rendono forti.
=========la citazione===========
“La città di Napoli, come tutte le grandi città che cessano di essere centri di un governo di un grande Stato, la città di Napoli ha fatto all’Italia un immenso sacrificio; l’Italia ha in questo modo contratto un grande debito verso la città di Napoli e l’Italia dovrà soddisfarlo”.
(Ubaldo Peruzzi, fiorentino, primo ministro dei Lavori pubblici, discorso in Parlamento del 1861 – tratto da G. Galletti, P. Trompeo, Atti del Parlamento italiano: sessione del 1861, VIII legislatura, p. 163, Tipografia Eredi Botta, Torino 1862)