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ennesimo reato ripetuto e continuato a danno della salute della gente del Mezzogiorno

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Le compagnie petrolifere che svolgono attività estrattive in Basilicata, hanno un atteggiamento di totale indifferenza rispetto alle richieste della popolazione locale e mancanza di rispetto delle leggi vigenti.
Eni, nonostante i numerosi processi in corso e le pompe sommerse a tiraggio del petrolio sversatosi nel sottosuolo, visibili da chiunque si trovi in Val d’Agri, continua a non trasmettere alla Regione Basilicata i dati sulla qualità delle acque.
E’ palese la violazione del diritto alla salute dei cittadini, i quali possono conoscere l’estratto giornaliero di greggio, ma non devono avere alcuna informazione sulla qualità delle acque che utilizzano quotidianamente. Si pensi che in presenza di attività ad alto impatto ambientale, come quelle di estrazione di petrolio e gas, per garantire la salute dei cittadini si dovrebbero ricercare nelle acque centinaia di elementi, ma per legge le compagnie petrolifere sono tenute a trasmettere, insieme ai dai relativi alle estrazioni petrolifere, i valori riferiti ad appena 4 elementi. Ciò nonostante, nemmeno i dati relativi a questi soli 4 elementi vengono resi noti, sebbene si tratti di acque destinate ad uso umano e potabile e che soddisfano le esigenze di milioni di cittadini del Sud.
Le compagnie petrolifere continuano a farla da padrone, a dispetto di un processo in corso per illecito smaltimento di rifiuti per centinaia di migliaia di tonnellate annue di rifiuti pericolosi, fatti passare per non pericolosi e smaltiti illegalmente nel pozzo di reiniezione Costa Molina2, nel territorio agro di Montemurro (PZ) e presso l’impianto di Tecnoparco Val Basento di Pisticci (MT), causando l’inquinamento di vaste aree della regione Basilicata e malgrado l’incidente scoperto nel gennaio 2017, avvenuto presso il Centro di prima raffinazione e desolforazione di Viggiano, che ha provocato lo sversamento di migliaia di tonnellate di greggio semilavorato nella rete fognaria, nella falda e nei terreni circostanti, arrivando ad inquinare anche il vicino comune di Grumento Nova (PZ).
Questo atteggiamento gravissimo continua ad essere tollerato dai vertici politici ed amministrativi della Regione Basilicata che non ha mai sollevato alcuna comunicazione alle compagnie petrolifere in tal senso.
A tal proposito occorre sottolineare che il processo in corso vede tra gli imputati, ed a giudizio, dirigenti della Regione Basilicata, della Provincia di Potenza, dell’Agenzia Regionale per l’Ambiente di Basilicata e dirigenti di Tecnoparco Val Basento, società partecipata al 40 % dalla Regione Basilicata, tutti imputati dei reati di omissione in atti d’ufficio, abuso d’ufficio e rivelazione di segreti d’Ufficio. L’accusa è grave, consisterebbe nell’aver favorito i petrolieri garantendo loro la copertura sull’illecito sversamento di rifiuti pericolosi, ed avvallando la trasformazione di quei rifiuti da pericolosi a non pericolosi, svendendo la propria terra per procurare un risparmio alle compagnie petrolifere pari a 140 milioni di euro l’anno.
In questa situazione di violenta aggressione ai territori della Basilicata, è inconcepibile che le istituzioni continuino a coprire i signori del petrolio, fingendo di non sapere che esiste un preciso obbligo di trasmettere il riscontrato sulla qualità delle acque. Si tratta dell’ennesimo reato ripetuto e continuato a danno della salute della gente del Mezzogiorno d’Italia.
Nello stigmatizzare simili atteggiamenti, Unione Mediterranea comunica che avrà cura di informare la cittadinanza sistematicamente su queste mancanze e che provvederà a trasmettere le informazioni in suo possesso all’autorità giudiziaria, affinché prenda, quanto prima, provvedimenti in merito a questo disastro ambientale in atto.

ABILITATI MA NON TROPPO

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E PARTONO LE PRIME LETTERE DI LICENZIAMENTO

La sentenza del Consiglio di Stato in riunione Plenaria  comincia a  produrre i primi, drammatici, effetti. La Corte d’appello di Salerno adeguandosi alla sentenza del CdS che, dopo ben cinque sentenze favorevoli, smentendo anche se stessa, in sintesi ha stabilito che  i diplomati ante 2001/2002 non hanno diritto ad essere collocati nelle graduatorie ad esaurimento, ha disposto l’esclusione dalle GAE ( graduatorie ad esaurimento) di una maestra magistrale che, in servizio di ruolo per effetto della sentenza di primo grado, ora sarà la prima maestra in Italia con diploma magistrale licenziata.

La sentenza che ha prodotto il licenziamento della povera insegnante, di una donna lavoratrice che, se residente al sud, ha meno della metà delle possibilità di trovare un lavoro rispetto a una nata o emigrata a Nord, dove il tasso di occupazione femminile è del 44,9 per cento a fronte del 22,3 per cento del Sud, rischia di abbattersi come una mannaia su altre migliaia di maestre, soprattutto del sud Italia. Delle circa 60 mila insegnati coinvolte l’80% proviene dal sud.

La vicenda appare paradossale perché parliamo di insegnanti che sono ritenute idonee per svolgere supplenze, anche annuali, ma non lo sono per ottenere il ruolo. Se i tribunali hanno riconosciuto un diritto, possibile che lo Stato debba ricorrere contro queste assunzioni condannando queste lavoratrici ad un precariato a tempo indeterminato?

Questa situazione appare drammatica soprattutto al sud perché la sentenza prevede oltre al licenziamento da un momento all’altro, anche la perdita del diritto ad essere inserite nella Graduatoria ad Esaurimento che è la graduatoria utile per ottenere il ruolo. Saranno declassati in seconda fascia, che offre precariato a vita, ma solo là dove questo è possibile: al sud questo significherebbe non lavorare più.

Questo proprio mentre il governo vara il «decreto dignità» contenente un provvedimento ponte per congelare per 120 giorni almeno la situazione delle maestre diplomante già assunte, ma visto il pronunciamento giudiziario della Corte di Appello di Salerno, che va nella direzione contraria, ne dimostra palesemente l’inefficacia.

In verità, provvedimenti analoghi sono stati attuati in precedenza anche da altri Uffici Scolastici ( Pistoia e Viterbo ad esempio ), ma erano precedenti all’intervento del Governo in materia: ci auguriamo che non si dia esecuzione a questi decreti, per il solo fatto che siano immediatamente precedenti alle nuove disposizioni legislative ( si andrebbe a creare un’ulteriore situazione di disparità nei riguardi di una categoria di docenti che meriterebbe che, una volta per tutte, venga presa una decisione unitaria e non caso per caso ).

Può darsi che, trattandosi di sentenze emesse da un Giudice del Lavoro (immediatamente esecutive) e non dal Giudice Amministrativo, questo abbia indotto gli Uffici Scolastici in errore.

In ogni caso, a maggio, tecnici del MIUR e sindacati si erano riuniti per fare il punto della situazione; ma quello che si deve fare è partorire una soluzione a lungo termine e questo possono farlo solo il Governo o il Parlamento.

MO Unione Mediterranea ha già chiesto un incontro formale al Miur ed ha inviato presso il Ministero dell’istruzione una proposta della Prof.ssa Luigina Favale, coordinatrice nazionale MO Unione Mediterranea al Ministro della pubblica istruzione Bussetti:

qui il link per il pdf della proposta

MO UNIONE MEDITERRANEA PER LA SCUOLA

 

POVERTA’ NEL MEZZOGIORNO

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Sono stati pubblicati i dati Istat sulla povertà in Italia, dai quali è emersa una situazione drammatica per l’italia intera e disastrosamente tragica per il Sud.

Povertà assoluta. L’Istat ha calcolato la soglia di povertà assoluta, ossia la spesa minima mensile di beni e servizi considerati essenziali per uno standard di vita minimamente accettabile, ed è emerso che nel mezzogiorno d’italia l’11,4% degli individui e il 10,3% delle famiglie sono in povertà assoluta (ossia vivono al si sotto di questa soglia) contro la media nazionale dell’8,4% degli individui e 6,9% delle famiglie.

Incidenza di povertà. E’ il rapporto tra il numero delle famiglie/persone con spesa mensile sotto o pari all’indice di povertà e il totale delle famiglie/persone residenti. In particolar modo a destare la nostra attenzione sono stati gli incrementi significativi sia per le famiglie da 8,5% a 10,3% (Italia da 6,3% a 6,9%) sia per gli individui da 9,8% a 11,4% (Italia da 7,9% a 8,4%).

Intensità di povertà. Se analizziamo il dato dell’intensità della povertà ossia quanto la spesa mensile delle famiglie povere è mediamente sotto la linea di povertà, ovvero quanto poveri sono i poveri, emerge un dato di stabilità nel resto d’italia e di crescita (di povertà) al sud da 20,5% a 22,7%.

Aree territoriali. Emerge un dato interessante relativo alle aree territoriali in cui questo disagio si sviluppa. Mentre al nord le aree maggiormente colpite sono le periferie delle aree metropolitane e dei grandi comuni, al sud, invece, ad essere maggiormente colpiti sono i centri delle aree metropolitane con una crescita da 5,8% a 10,1% e i comuni fino a 50.000 abitanti che passano da 7,8% al 9,8%.

Livello di istruzione. I valori più alti di povertà sono riscontrabili in contesti con livelli di istruzione medio bassi: persone con nessun titolo di studio o licenza elementare, con incremento dal 24,6% al 35,7%; persone con licenza media, con incremento da 27% a 28,7%. Stupisce che ad essere colpiti siano anche famiglie e individui con dilpoma o laurea, con una crescita dei livelli di povertà dall’11,6% al 14,1%.

Sottogruppi. Alcune ulteriori classificazioni possono essere fatte tra le famiglie povere dividendole in sottogruppi in base a quanto si distanziano dalla soglia di povertà. Possiamo così individuare le famiglie “sicuramente povere”, il cui livello di spesa mensile è oltre il 20% inferiore alla linea standard di povertà e che mostrano, nel mezzogiorno, un dato di crescita allarmante dal 10,5% a 12.5%. Seguono le famiglie “appena povere” che crescono dal 9,2% al 12,2%.

Gruppi sociali. Anche la povertà assoluta divisa per gruppi sociali mostra delle differenze tra nord e sud come ad esempio per le famiglie di operai in pensione e i giovani blue collar, che rivelano rispettivamente percentuali dell’8,6% e del 6,4% contro il 2,6% e il 3,5% del nord.

Il report del’Istat infine mette in evidenza alcune variazioni statisticamente significative. Vediamo quelle che riguardano il Sud:

Povertà assoluta

famiglie in povertà assoluta da 8,5% a 10.3%

individui in povertà assoluta da 9,8% a 11,4%

famiglie di soli italiani da 7,5% a 9,1%

famiglie di soli stranieri da 29,7% a 42,6%

centri area metropolitana da 5,8% a 10,1%

comuni fino a 50.000 abitanti da 7,8% a 9,8%

Poverta relativa

famiglie in povertà relativa da 19,7% a 24,7%

individui in povertà reltiva da 23,5% a 28,2%

La situazione tragica che emerge dai dati Istat ci porta ad una riflessione più profonda sulla situazione del meridione, partendo dall’analisi dei dati è facile capire quali sono le conseguenze: sempre più giovani saranno costretti ad emigrare al nord o all’estero alla ricerca di condizioni di vita migliori. Vasti territori del sud Italia si trasformeranno, o si stanno già trasformando, in zone abbandonate senza futuro.

I livelli di povertà in Italia cambiano tragicamente al cambiare della latitudine, con percentuali che raggiungono al nord il 5,9%, al centro il 7,9% e al sud il 24,7% (con una media italiana del 12,3%). Solo importanti investimenti mirati e una programmazione adeguata potranno invertire questi dati mostruosamente allarmanti, ma per ora all’orizzonte non c’è nulla di tutto ciò.

IL MERIDIONE CERCA SE STESSO

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MA DEVE FARLO DA SOLO.

Deve essere stato l’incontro tra il Governatore del Veneto, il Leghista Luca Zaia, e la neo Ministra degli Affari Regionali e delle  Autonomie, la leghista veneta Erika Stefani, avvenuto per siglare l’intesa in cui si stabiliscono per legge, più poteri ma soprattutto più soldi, 35 miliardi di euro,  per il nord a destare le attenzioni dei governatori delle Regioni del mezzogiorno : Vincenzo De Luca (Campania), Nello Musumeci (Sicilia), Mario Oliverio (Calabria), Marcello Pittella (Basilicata), e Donato Toma (Molise). In collegamento c’è Michele Emiliano (Puglia), che aderisce al “ Patto per sud” .

Un accordo politico per tutelare al meglio gli interessi del Sud attraverso “una grande battaglia comune per il Mezzogiorno”. La proposta è stata del governatore campano Vincenzo De Luca ci sono tutti i presidenti delle regioni del Sud chiamati a raccolta a Napoli per verificare la possibilità di varare politiche economiche comuni all’interno di un accordo politico.

Ma cos’è IL SEQUEL di Ritorno al Futuro – Il patto per il sud ?

Rewind: Il 20 marzo 2000, a Napoli, Bassolino ed altri rappresentanti del territorio del Mezzogiorno come  Giovanni Di Stasi (Molise), Giannicola Sinisi (Puglia), Nuccio Fava (Calabria), Filippo Bubbico (Basilicata)  sottoscrivono il Patto di Eboli, un “Manifesto” che doveva tradursi in  un accordo politico per tutelare al meglio gli interessi del Sud attraverso “una grande battaglia comune per il Mezzogiorno”.                          ”Non prenderemo ordini dai partiti, ne’ in sede locale ne’ in sede nazionale”. Con questo messaggio, i cinque candidati per la presidenza delle Regioni del Mezzogiorno si avviavano ad una stretta e forte collaborazione, che implicava una sorta di affrancamento dai partiti nazionali.

Doveva  rappresentare la via d’uscita  alla condizione coloniale del territorio meridionale.

Ma della indicazione exit non vi si è trovata traccia in nessuna realtà amministrativa del sud, forse perché  amministrate da esponenti espressione di partiti nazionali che hanno preso ordini dai loro partiti sia in sede locale  che in sede nazionale?

Tra il dire e il fare c’è di mezzo, ancora, il partito nazionale

Voglio credere nella buona fede delle intenzioni, seppur stranamente ciclicamente ventennali, ma tra il dire e il fare c’è di mezzo, ancora, il partito nazionale ovvero l’equilibrio nazionale duale costruito su un sistema coloniale.

“… L’unità non era avvenuta su una base di eguaglianza, ma come egemonia del nord sul Mezzogiorno…”   “ … il nord concretamente era una piovra  ce si arriccia alle spese del sud…”    (cit. Antonio Gramsci)

Il Sud è sempre stato “oggetto” di politiche pubbliche decise altrove, mai “soggetto” determinate di esse semplicemente perché dietro ad ogni azione di politica locale, seppur  ricca di buoni propositi, si nascondono le reali intenzioni del sistema politico italiano: il mantenimento dello status quo che “garantisce” la stabilità di un sistema nazionale collaudato da 157 anni.

Meridionalismo alternativa possibile

I partiti nazionali, ed i loro rappresentanti, sono inadatti ad affrontare la Questione Meridionale in quanto ne sono stati la causa o quanto meno sono stati fortemente collusi con chi l’ha favorita, e soprattutto perché lo stato dei fatti, inclusi i vari Patti per il sud,  ne offre una conferma a prova di smentita.                   la Questione Sud non può essere affrontata da chi contemporaneamente deve pensare al nord, questo perché la disomogeneità territoriale è talmente ampia che se chi ha meno non si costruisce una propria rappresentanza autonoma dai partiti nazionali difficilmente otterrà più di quanto gli viene già “concesso”.
La mia vuole essere una dichiarazione universale del concetto di meridionalismo. Il Meridionalismo deve darsi un’identità essere dichiaratamente alternativa ai partiti nazionali.

NO ai Partiti nazionali, perché?

Una azienda gestisce due società: una milita perennemente ai vertici del campionato nazionale e compete alla pari con le altre realtà della UE, l’altra milita perennemente in terza serie e lotta, ultima tra le 270 presenti in UE, per non retrocedere definitivamente.
Come può questa azienda, avendo a disposizione lo stesso bilancio, mantenere la competitività della società che compete ai vertici nazionali ed europei e aiutare la società intrappolata in terza serie ?         Nella migliore delle ipotesi, e sperando nella buona fede di chi amministra questa azienda, si procederà con il mantenere alta la competitività della società più ricca, prevedendo per la società più povera di mantenere  “dignitosamente” l’ultimo posto in UE.

Meridionalismo ok, ma cos’è ?

Meridionalismo è prendere coscienza della condizione in cui versa il territorio meridionale e chi ci vive. È considerare se questa condizione di minorità ha delle responsabilità politiche nazionali o è da addebitare ad una incapacità antropologica dei meridionali.
È ragionare sulla possibilità che il mancato rispetto dell’art. 3 della Costituzione sia una distrazione dei vari governi che si sono alternati oppure una assurda volontà di mantenere lo status quo.
È riflettere sulla possibilità che la condizione di minorità possa essere risolta da chi, avendo governato, l’ha causata oppure partendo dalla costruzione di una realtà territoriale che, in quanto tale, non può che essere definita Meridionalista.
Credere ancora che la soluzione per il Mezzogiorno possa arrivare da partiti nazionali (anche quelli in buona fede) è rincorrere un luce in fondo ad un tunnel per scoprire che si tratta, ancora una volta, dell’ennesima lampadina accesa.

 

Massimo Mastruzzo

Portavoce Nazionale MO Unione Mediterranea

 

 

PARLARE DI SCUOLA, PARLARE DI SUD. QUANDO TI COSTRINGONO A RINUNCIARE ALL’AMORE PER LA TUA TERRA.

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Con una sottile punta di sadismo, mi son scelto gli argomenti più difficili da affrontare: la scuola pubblica, in questo paese, ha sempre vissuto in un sottile intreccio tra ideologia dominante e contrastanti interessi da soddisfare e, soprattutto, armonizzare. Alla fine, ne è uscito un gran casino, con peculiarità solo italiane: il ruolo come miraggio, da ottenere solo dopo sessantaquattro concorsi, cinquantotto master, trentadue trasferimenti, svariate 104 e una ventina d’anni circa di attesa estenuante.

Alla fine di questo percorso, il docente, partito col sogno di essere un professionista, si rende conto di non essere altro che ( stremato ) un clone, svuotato di ogni idea, passione e illusione. Al contempo, l’utenza, cioè le famiglie, i bambini, gli alunni e gli studenti, restano muti spettatori di disservizi, losche trame tra colleghi, oscuri desideri di riforme strutturali che vagano tra l’esigenza della continuità didattica e la voglia di sottrarsi ad ogni ostacolo che allontani i loro pargoli o se stessi dalla più veloce uscita possibile da questo inferno dantesco ( come dar loro torto,vista anche l’inutilità della cultura in questo paese, dove ogni cosa ha ormai un prezzo, dal diploma sino alla laurea e dove il lavoro lo acquisisci grazie a tutto, tranne che alla tua preparazione ).

Naturalmente, come sempre in Italia, a questo tragico balletto, non partecipa un unico attore, ma una pletora di protagonisti, tutti pronti a spartirsi anche la più piccola fetta del mercato ortofrutticolo aperto ad ogni stagione ed ora: sindacati, che si moltiplicano come pani e pesci, nella loro dannosa inutilità; partiti, occupati a suggerire e accaparrarsi risorse e cariche, vampirizzando ogni speranza di un sia pur minimo cambiamento, che impedirebbe loro di sguazzare in quell’oceano di fango, dove, nell’oscurità, tutto può essere pescato, senza che nessun guardiacoste ti interecetti; enti di formazione e università, che, tutte, più o meno, espressione di movimenti o partiti, si appropriano di un flusso generoso di danaro, reso pulito e non riconducibile direttamente ad ogni tipo di mazzetta.

Inutile dire che chiaramente, se questo è il quadro nazionale… il sud poi ne diventa totalmente cannibalizzato. Negli anni il suo destino è stato sempre e solo quello di fornire manodopera a basso costo per il nord: le famiglie del sud si dovevano far carico dei costi derivanti dal voler regalare una certa cultura ai propri figli e di questi sacrifici, naturalmente, ad avvantaggiarsene era il nord.

Decine di migliaia di meridionali sono saliti al Nord per poter insegnare, senza mai far ritorno a casa. Nel frattempo i figli del nord andavano in fabbrica, con stipendi più lauti, quattordicesima e premio di produttività, se non si dedicavano ad attività ancora più lucrose, che permettevano loro di gareggiare su strade pubbliche tra Lamborghini e Ferrari, in spregio ad ogni normativa o regolamento. Ma non basta: per evitare che il prof meridionale possa tornare al Sud, si tagliano risorse e si dirottano sempre più al Nord e si diminuiscono i posti di lavoro, TOGLIENDO COSì OGNI SPERANZA E DESIDERIO DI RIENTRO IN PATRIA.
Chi resta sa di essere condannato a decenni di supplenze, viaggi della speranza e di dover un giorno RIMPIANGERE L’AMORE CHE HA PROVATO E PROVA NEI RIGUARDI DELLA TERRA CHE LO HA GENERATO.

Giuseppe De Cicco 
Responsabile circolo territoriale Emilia-Romagna.

Siete abituati ad avere meno? Bene avrete ancora meno.

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Avete presente la storia del contadino che si era accorto che anche mangiando meno il suo asino campava lo stesso?
C’era una volta un contadino molto avaro, che aveva un asino. La bestia gli serviva per portare i frutti del raccolto dalla campagna al mercato, per trasportare i suoi attrezzi in campagna, per arare il terreno, per riportarlo a casa dopo una lunga giornata di lavoro.
Una sera il contadino si mise a fare i conti di quanta avena comprava per il suo asino. E scoprì che, a conti fatti, l’asino mangiava troppo. Pensa e ripensa, gli venne alla mente come ovviare al problema. Pensò quindi di diminuire giornalmente la razione di avena all’asino, senza che questo si lamentasse e, cosa incredibile, l’asino lavorava lo stesso.
Contento di questa sua grande scoperta, se ne vantava con gli amici la domenica in piazza. I suoi amici erano increduli, ma i più pensavano che non dicesse sul serio.
Vedendo che con meno cibo la bestia lavorava ugualmente, il furbo contadino decise che poteva ottimizzare ulteriormente i costi dimezzando ancora la porzione di cibo.
Il contadino era al settimo cielo, il suo esperimento stava funzionando. “Ecco come risanare le casse”, si disse. “Basta ridurre il cibo dell’asino e i conti tornano!”.
Vedendo che la sua tecnica funzionava egregiamente, il contadino pensò che forse, riducendo sempre di più il cibo, avrebbe potuto perfino addestrare il suo asino a vivere senza mangiare.
Detto fatto. Dimezzò ancora una volta la cena del povero asino. “Domani”, si disse orgoglioso il contadino, “non gli darò nulla per cena. Ma sono convinto che ormai si sarà così abituato che non si lamenterà per niente”.
La mattina il contadino si alzò ma, con grande stupore, lo trovò morto. Il contadino si disperò tanto: “Che peccato!”, pensò, “è morto proprio adesso che ero riuscito a farlo stare digiuno! Mi sa che era malato…”. Anche ai suoi amici raccontava di come era quasi riuscito ad abituarlo a non mangiare e di come, proprio per disgrazia, gli fosse morto quando lo aveva finalmente abituato.
Tito Boeri, numero uno dell’istituto previdenziale, si sarà perso il finale di questa storia o, peggio ancora, sarà giunto alla stessa conclusione dell’avaro contadino, dopo una ricerca sui divari Nord-Sud nella produttività del lavoro, firmata con Andrea Ichino, Enrico Moretti e Johanna Posch. I quattro economisti hanno concluso che servono deroghe ai contratti collettivi di lavoro in favore della contrattazione decentralizzata, per consentire alle aziende di pagare di meno i dipendenti al Sud.
Al sud salari più bassi. Dopotutto i meridionali sono già abituati ad avere meno. Meno sanità, meno ferrovie, meno autostrade, meno scuole e con esse meno alunni e meno docenti… di ogni diritto i meridionali hanno meno.
A questo punto, per quel poco lavoro che hanno, perché non pagarli di meno?

Massimo Mastruzzo
Portavoce Nazionale
MO Unione Mediterranea

Il Sud è terra di eroi ed io ho avuto il piacere di conoscere uno di questi eroi: Vincenzo Tosti.

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Vincenzo Tosti non ha un mantello né una maschera ed il suo superpotere è l’impegno concreto in prima persona contro gli scempi ambientali, un paladino anti veleni sempre a caccia di roghi tossici e discariche abusive, pronto a denunciare lo smaltimento illegale dei bidoni tossici provenienti da grandi aziende del Nord.
È di questi giorni la notizia che Vincenzo ha deciso di alzare il livello del suo impegno e di farlo proprio a Orta di Atella, il Comune dove vive e lavora, dove, dopo averlo fatto da cittadino e da portavoce della Rete di Cittadinanza e Comunità, si candida a farlo da sindaco mettendo la propria storia e il proprio vissuto sociale a disposizione del progetto dei gruppi politici DemA – Orta di Atella, Diversamente Ortesi e Città Visibile – Orta di Atella, alle elezioni comunali che si terranno il prossimo 10 Giugno.
MO – Unione Mediterranea riconosce in Vincenzo un uomo del Sud che rende onore a questa terra, un orgoglio non solo per il suo territorio ma per tutto il territorio del Mezzogiorno: per questo offre a Vincenzo il massimo sostegno per la sua candidatura.

 

Massimo Mastruzzo
Portavoce Nazionale
MO Unione Mediterranea

Mai così poveri negli ultimi 27 anni, rischio di emarginazione in un Paese in cui crescono le disuguaglianze.

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di Massimo Mastruzzo

Portavoce Nazionale MO Unione Mediterranea

Questo è l’identikit dei nuovi poveri: giovani e principalmente residenti al Sud.
Lo scenario emerge dall’indagine di Bankitalia sui bilanci 2016 di oltre 7mila famiglie italiane.
Secondo l’indagine, nel 2016 è aumentata la quota di individui a rischio di povertà, ma l’incidenza di questa condizione, interessa per lo più le famiglie e i giovani del Mezzogiorno, dove il 13,3 per cento degli individui vive in famiglie senza alcun percettore di reddito da lavoro rispetto al 6,1 nel Nord e 6,9 nel Centro.
Il peggioramento della situazione emersa dall’indagine di Bankitalia amplia ancora di più, sembrava impossibile, la disomogeneità nazionale già di per se unica all’interno della UE.

Secondo l’Istat, i dati sullʼoccupazione migliorano ma solo al Nord: al Sud il tasso è quasi il triplo.

La media del 2017 dice che al Mezzogiorno il tasso di disoccupazione è il 19,4% mentre al Settentrione ci si ferma al 6,9%.

La situazione nel Sud Italia è drammatica – Nella media del 2017 il tasso di disoccupazione si riduce in tutte le aree territoriali del Paese ma “i divari rimangono accentuati: nel Mezzogiorno (19,4%) è quasi tre volte quello del Nord (6,9%) e circa il doppio di quello del Centro (10,0%)”.

Ufficio Studi CGIA 24 giugno 2017

AUMENTA IL DIVARIO ECONOMICO E SOCIALE TRA IL NORD E IL SUD. NEL MEZZOGIORNO QUASI 1 PERSONA SU 2 E’ A RISCHIO POVERTA’.

In questi ultimi anni di crisi, il divario economico e sociale tra il Nord e il Sud del Paese è aumentato. A questo risultato è giunto l’Ufficio studi della CGIA che ha messo a confronto i risultati registrati da 4 indicatori:

 

Il Pil pro capite;

il tasso di occupazione;

il tasso di disoccupazione;

il rischio povertà o esclusione sociale.

 

In termini di Pil pro-capite, ad esempio, se nel 2007 (anno pre-crisi) il gap tra Nord e Sud del Paese era di 14.255 euro (nel Settentrione il valore medio era di 32.680 e nel Mezzogiorno di 18.426 euro), nel 2015 (ultimo anno in cui il dato è disponibile a livello regionale) il differenziale è salito a 14.905 euro (32.889 euro al Nord e 17.984 al Sud, pari ad una variazione assoluta tra il 2015 e il 2007 di +650 euro)

Al Sud le variazioni percentuali più negative si sono registrate in Sardegna (-2,3 per cento), in Sicilia (-4,4 per cento), in Campania (-5,6 per cento) e in Molise (-11,2 per cento). Buona, invece, la performance della Basilicata (+0,6 per cento) e della Puglia (+0,9 per cento).

Sul fronte del mercato del lavoro, invece, le cose non sono andate meglio. Anzi… se nel 2007 il divario relativo al tasso di occupazione era di 20,1 punti a vantaggio del Nord, nel 2016 la forbice si è allargata, registrando un differenziale di 22,5 punti percentuali (variazione +2,4 per cento). Nella graduatoria regionale spicca la distanza tra la prima e l’ultima della classe. Se l’anno scorso la percentuale di occupati nella Provincia autonoma di Bolzano era pari al 72,7 per cento, in Calabria si attestava al 39,6 per cento (gap di oltre 33 punti).

La divaricazione più importante, tuttavia, emerge dalla lettura dei dati relativi al tasso di disoccupazione. Se nel 2007 era di 7,5 punti percentuali, nel 2016 è arrivata a 12 (gap pari a +4,5 per cento). Sebbene tutte le regioni d’Italia abbiano visto aumentare in questi ultimi 9 anni la percentuale dei senza lavoro, spiccano però i dati della Campania e della Sicilia (entrambe con un +9,2 per cento) e, in particolar modo, della Calabria (+12 per cento).

Anche in materia di esclusione sociale, infine, la situazione è peggiorata. Se nel 2007 la percentuale di popolazione a rischio povertà nel Sud era al 42,7 per cento, nel 2015 (ultimo anno in cui il dato è disponibile a livello regionale) è salita al 46,4 per cento. In pratica quasi un meridionale su due si trova in gravi difficoltà economiche. Al Nord, invece, la soglia di povertà è passata dal 16 al 17,4 per cento. Il gap, pertanto, tra le due ripartizioni geografiche è aumentato in questi 8 anni di 2,2 punti percentuali.

Il Mezzogiorno – dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo – ha delle potenzialità straordinarie ed è in grado di contribuire al rilancio dell’intera economia del Paese. Pensiamo solo al patrimonio culturale, alle bellezze paesaggistiche-naturali che contribuiscono a renderla una delle aree potenzialmente a più alta vocazione turistica d’Europa. Certo, bisogna tornare a investire per ammodernare questa parte del Paese che, purtroppo, presenta ancora oggi delle forti sacche di disagio sociale e di degrado ambientale che alimentano il potere e la presenza delle organizzazioni criminali di stampo mafioso. A nostro avviso, inoltre, bisogna riprendere in mano il tema del federalismo fiscale. Grazie al compimento di questa riforma potremmo avvicinare i centri di spesa ai cittadini, responsabilizzando maggiormente la classe dirigente locale che avrebbe sicuramente meno trasferimenti dallo Stato centrale ma, in cambio, beneficerebbe di una maggiore autonomia fiscale, elevando così l’efficienza della macchina pubblica. Il saldo per il Sud sarebbe comunque positivo: grazie anche alla solidarietà praticata dalle regioni più ricche, potrebbe beneficiare di maggiori risorse finanziarie di quante ne usufruisce adesso, innescando un meccanismo virtuoso che avrebbe delle ripercussioni positive anche nel resto del Paese”.

Il 4 marzo l’Italia si è recata alle urne con questa forte condizione di iniquità ed il risultato elettorale appare scontato quanto si riesce a capire che con questi presupposti la scelta degli elettori del sud non poteva che andare nell’unica direzione possibile: tutto quello che rappresentava una novità rispetto al già visto e, per ciò stesso ritenuto a ragione  responsabile rispetto ai dati sopra indicati.

Riuscirà il nuovo governo nazionale che si insedierà (Prima o poi dovranno trovare una soluzione) ad incidere dove altri hanno fallito? Perché di tentativi per una soluzione nazionale, con partiti nazionali, di questa maledetta (sarà mica una maledizione?) Questione Meridionale ne abbiamo visti tanti illudendoci che ogni volta fosse finalmente arrivata quella giusta.
Da Aldo Moro, che provò a tradurre il proprio meridionalismo in azione politica, ad Antonio Bassolino che nel marzo del 2000 firma il Patto di Eboli insieme ad altri rappresentanti politici delle sei regione del Mezzogiorno, a Gaetano Quagliariello che parla di Macroregione, solo per fare alcuni esempi. In tanti hanno provato ad affrontare la nostra Questione dall’interno di un partito nazionale, ma i dati dimostrano implacabilmente che questa vecchia Questione non può essere affrontata da partiti nazionali non fosse altro perché essa diviene Meridionale nel momento stesso in cui ad occuparsene furono proprio i partiti nazionali.

Massimo Mastruzzo

Portavoce Nazionale MO Unione Mediterranea

 

COSA MANCA AL SUD

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di Massimo Mastruzzo
Portavoce Nazionale MO Unione Mediterranea

Cosa manca al Sud? una vera coscienza meridionalista. E non perché non amiamo la nostra terra, ma perché anni di colonizzazione ci hanno convinti che da soli non saremmo capaci di salvarci e perché nessuno si metterebbe a fare il ragionamento perverso del “Prima il Nord” dell’Homo padanus. Non tanto per educazione, quanto per la convinzione che nulla possa cambiare, che non valga la pena lottare.

Tanto per cominciare, il Sud non si è mai reso conto che sono i suoi voti a decidere le elezioni in Italia, né che con i suoi voti abbia sempre mantenuto in piedi un sistema che lo danneggiava incrementando il divario col Nord. Forse che ai meridionali vada bene così: assistenzialismo e qualche condono in cambio di voti ?

Quando la Lega Nord era ancora brutta e cattiva e con il coso duro urlava “separiamoci”, non solo nessuno gli ha risposto che stava usando un tono fortemente anticostituzionale, ma con il suo “coso” duro è arrivata a governare l’Italia al motto di Prima il Nord.

Mentre il Sud, che sul suo “coso” duro ha sempre mantenuto una certa privacy, se prova ad alzare il ditino per prendere la parola viene additato di revanscismo.

Anche questa volta il Sud va al voto elemosinando attenzione dagli stessi distratti partiti nazionali, speranzoso che prima o poi qualcuno gli porga la mano per tirarlo fuori dalla palude degli ultimi posti dell’intera Comunità Europea, e magari, nella migliore tradizione del cornuto e mazziato,  la mano spera che gliela porga l’ex partito secessionista fautore della Padania libera, oggi però pentito e convertito sulla via della Salerno/Reggio Calabria a nuovo Salvatore del povero popolo meridionale.
Avendo il Sud un problema comune: il dramma del lavoro che non c’è, servizi , infrastrutture, ferrovie, strade, ospedali, inefficienti ( ignorati da sempre da tutte le forze in campo, e per questo presenti da decenni ) non vedo come la soluzione possa arrivare dalla possibilità di poter acquistare un’arma per la difesa personale o dalla lotta, giusta o sbagliata non è argomento di quest’articolo, degli immigrati arrivati quando oramai Garibaldi &co. avevano già obbedito. I problemi del meridione c’erano prima degli immigrati e ci sono anche adesso. I nostri nonni furono costretti a emigrare per gli stessi motivi per cui oggi lo fanno i loro nipoti. Questo non vuol dire che non esiste il problema della regolamentazione dell’immigrazione, ma dubito che sia il primo problema del Mezzogiorno.

I meridionali che osannano Salvini (alleato con Berlusconi e Meloni) dovrebbero ricordare che pizzo e mazzette le pretende la mafia locale, con la collusione della stessa politica, non certo lo straniero che raccoglie pomodori e arance nei campi.

La Questione Meridionale, rimane uno storico problema nazionale, vecchio almeno quanto gli stessi soliti partiti che oggi ci offrono con l’ennesima legislatura la stessa soluzione riscaldata.

 

Al sud vogliono il reddito di cittadinanza perché sono sfigati poveracci nullafacenti che si grattano il ventre. Questo quello pensa, e lo scrive su Libero, Vittorio Feltri

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di Massimo Mastruzzo
Portavoce Nazionale di MO Unione Mediterranea.

Una delle poche note positive dell’età che avanza è la contemporanea saggezza che con lo scorrere degli anni si acquisisce o meglio si dovrebbe acquisire.
Ci sono delle eccezioni dove la saggezza appare inversamente proporzionale al numero degli anni, decrescendo mano a mano che questi aumentano, un esempio eclatante è quello di un anziano signore di Bergamo, tal Vittorio Feltri, che probabilmente ignaro di questa sua simil-demenza senile si sente “Libero” di scrivere su un “Quotidiano” di dubbia qualità che nel sud Italia chi non trova lavoro non è un comune disoccupato ma uno sfigato, poveraccio e lazzarone.
Secondo costui i corregionali del governatore De Luca, del governatore Pittella, del governatore Emiliano,  del governatore Olivierio e del Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella alle prossime elezioni politiche del 4 marzo saranno orientati a votare il Movimento 5 stelle perché sedotti dalla possibilità di ricevere, grazie alla loro proposta elettorale del reddito di cittadinanza,  denaro  senza lavorare, e che per la loro naturale indole di nullafacenti accoglieranno, Di Maio, Napoletano e affamato pure lui, quale Salvatore della Patria e della pancia, preferendo un illusorio intascamento in massa dell’obolo, al rischio che le altre forze politiche alzino le tasse per mantenerli.
Questi Terroni, sempre secondo il parere dell’anziano bergamasco, dopotutto sono stati abituati dal “laurismo” a grattarsi il ventre piuttosto che a rompersi i coglioni lavorando.
A questo punto noi non sappiamo se il più asservito dei pennivendoli italiani, vero e proprio insulto vivente al concetto di Giornalismo, che scrive nelle pause fra una salamelecco ed un inchino ai propri padroni, sia realmente intaccato da qualche sintomo di demenza senile e questo si traduca spesso in isteriche arringhe destituite di ogni fondamento razionale o documentale, ma se esiste una pena per diffamazione della dignità del popolo meridionale, mi aspetto che i governatori delle Regioni del sud reagiscano a questo insulto dei loro cittadini e che Sergio Mattarella, se pensa di essere Presidente anche del popolo meridionale, ponga un freno a questo continuo insulto perpetrato ai danni dei meridionali, definiti ancora oggi con estrema leggerezza “Terroni”.
Noi di MO Unione Mediterranea non accetteremo più nessun insulto razzista di marca Feltriana.

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