Qui o si disfa l’Italia o si muore.

Nel rapporto della fondazione RES sull’università nel Mezzogiorno, si evidenzia che nelle regioni del Sud continentale e nelle Isole è aumentata esponenzialmente l’emigrazione studentesca: i giovani partono, si formano fuori e gli effetti della loro emigrazione non ricadono nemmeno nel tempo in maniera positiva sui nostri territori poichè una volta partiti, non tornano più. Così, il Sud che sostiene i costi del suo capitale umano, si impoverisce, esportandolo a “senso unico”. Allo stesso tempo gli interventi pubblici statali si sono ridotti spaventosamente al Sud, dove i criteri premiali e la valutazione degli Atenei corrispondono al reddito delle famiglie (notoriamente più povere nel Mezzogiorno) e non al merito degli studenti. La futura classe dirigente meridionale, in assenza di mezzi economici, non si forma più. L’emorragia delle intelligenze è il tassello principale di un puzzle politico economico coloniale, atto a disintegrare il futuro di questa terra attraverso l’alibi di un passato dimenticato e di un presente senza opportunità. Da qui ai prossimi 50 anni la Svimez stima la perdita di 4,2 milioni di abitanti nel Mezzogiorno rispetto all’incremento di 4,5 milioni al centro-Nord. Dinanzi a tutto questo, il Governo (nel silenzio generale delle opposizioni in Parlamento) che fa?
-Investe 13 miliardi di euro in progetti europei per infrastrutture al Nord;
-taglia 3,5 miliardi dei fondi azione e coesione per il Sud e con il bonus occupazione incentiva 538.000 nuove assunzioni al Nord.
-riduce a un terzo il cofinanziamento nazionale sui fondi UE e taglia 7,4 miliardi di euro alle regioni Campania, Calabria e Sicilia.
-investe 9 miliardi per le ferrovie al Nord.
-destina 130 milioni alla filiera agricola di qualità al Nord; 260 milioni per l’industria manifatturiera a Milano, Firenze e Roma; sottrae 700 milioni di euro agli asili del Sud a vantaggio dei municipi del Centro Nord.
-cancella le soglie di povertà al Sud.
Chi dinanzi all’evidenza dei numeri, si sente minacciato dal meridionalismo e non dalla sua italianità, commette l’ingenuità di mostrarsi smisuratamente contraddittorio. Gli italiani dovrebbero essere i primi interpreti delle istanze del Sud e i più strenui difensori di chi combatte per vedersi riconosciuti pari diritti e pari condizioni. Ne trarrebbe, a rigor di logica, enorme vantaggio tutto il Paese a cui sentono fieramente di appartenere. In realtà, l’ipocrisia di chi retoricamente sventola la bandiera della fratellanza, nasconde il cattivo pensiero che alcuni italiani siano più italiani di altri.
Attraverso il recupero di un’ identità negata bisogna lavorare per l’affermazione di una nuova, onesta e preparata classe dirigente che faccia gli interessi della propria terra e abbia gli strumenti per opporsi con coraggio alla deriva demagogica del populismo e alla corruzione, in nome di una autonomia governativa che si affranchi dai modelli che l’Italia ci ha imposto e a cui la politica locale ha acconsentito. La vera sfida è mettere a fattore comune le nostre risorse, unendoci nella battaglia di riscatto, da Sud per il Sud. Senza prendere ordini da Roma, Milano, Firenze, Genova o qualunque altro posto che non sia la nostra terra e la nostra coscienza.
“Ettore Ciccotti, deputato lucano, nel 1904, chiese che la sua regione fosse abbandonata dallo stato, perchè potesse, con le proprie risorse, badare finalmente a se stessa” (P. Aprile, Terroni, pag. 120).
Dopo 112 anni, alla luce (abbagliante) di tutto quello che abbiamo visto (e sopportato), mi pare proprio che sia giunto il momento di avanzare una richiesta analoga. Intendiamoci, questo è il punto di arrivo (capirai, dopo 155 anni!) di un progetto che sta muovendo i primi passi. Mi auguro – e sinceramente – di sbagliarmi, ma mi pare che in giro c’è una certa confusione.
Saluti