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Da Cantù all’UE: non chiamatela sottocultura, si chiama razzismo

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di Pierluigi Peperoni

Troppo semplice definire il razzismo meridionale sottocultura, sminuire il problema non servirà a risolverlo. Non fino a quando tale razzismo sarà funzionale a un sistema fatto di intrecci tra politica e interessi economici. Ma andiamo con ordine…

Da Bizzozero (sindaco di estrazione leghista di Cantù) a Dijsselbloem (Presidente Eurogruppo), in questi giorni siamo stati costretti ad assistere a un rigurgito anti-napoletano e anti-meridionale.

Ecco cosa ha scritto Bizzozero sulla propria pagina FB:

Il web si indigna, ma nessun esponente del mondo politico invoca dimissioni, né annuncia iniziative contro il sindaco settentrionale. Lo stesso Salvini, che pure ha affermato di essere interessato a difendere il mezzogiorno, ha pensato di tacere.

Ecco che a distanza di poche ore Jeroen Dijsselbloem, olandese Presidente dell’Eurogruppo, dichiara in un’intervista:

Durante la crisi dell’euro i Paesi del Nord hanno dimostrato solidarietà con i Paesi più colpiti. Come socialdemocratico do molta importanza alla solidarietà, ma hai anche degli obblighi, non puoi spendere tutti i soldi per alcol e donne e poi chiedere aiuto

In questo caso c’è stata un’immediata reazione da parte degli europarlamentari spagnoli prima, italiani poi che ne hanno chiesto dimissioni. Eppure Dijsselbloem è un socialista e in quanto tale dovrebbe fare della solidarietà il centro della propria azione politica, o almeno questo è quello che pensa il suo elettorato. Peccato che lo stesso Dijsselbloem è stato tra i più intransigenti quando la crisi del debito pubblico ha toccato il proprio apice, soprattutto a danno delle nazioni economicamente più deboli.

Definire il razzismo antimeridionale semplice sottocultura è sbagliato e pericoloso. Si rischia infatti di non dare il dovuto rilievo agli occhi dell’opinione pubblica a questo genere di episodi, innescando così un processo che tende a legittimare queste uscite e dà la possibilità a chi dovrebbe intervenire di evitare scomode prese di posizione. Difficile credere che questo possa succedere davvero: il razzismo è ancora funzionale a ottenere i voti dei settentrionali.
Un po’ come accade nel movimento di Beppe Grillo, con il leader dei 5 stelle che definisce “geneticamente modificati” gli onesti (e ingenui) meridionali del suo movimento, mentre gli attivisti napoletani presentano mozioni a spiccato contenuto meridionalista.

È il bispensiero della politica dei partiti nazionali, dettato dall’opportunismo e dalla necessità di far cassa (o meglio, far voti) facendo leva sulle differenti sensibilità degli elettorati a cui si parla.

Ecco perché a sud bisogna capire che ci dobbiamo difendere da soli, con i liberatori abbiamo già dato.

La mezz’ora più lunga – Lettura del confronto fra De Magistris e Salvini ospiti di Lucia Annunziata

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Partiamo subito chiarendo una cosa: Lucia Annunziata è interprete di un certo giornalismo che si finge scomodo e fuori dagli schemi ma che spesso, ad uno sguardo più attento, risulta chiaramente “sotto padrone”, e quello che in un primo momento era sembrata provocazione ficcante finisce per rivelarsi una conduzione sottilmente tendenziosa. Un modo di fare alla Cruciani teso a screditare l’interlocutore non gradito o a rendere comoda la vita a quello gradito (che quasi sempre è in area maggioritaria PD).

Questa volta non è esattamente il caso, ma è anche vero che durante la doppia intervista di oggi, 19 marzo, a Luigi de Magistris e Matteo Salvini la verve faziosetta della Annunziata ha fatto spesso capolino, rendendo scarso servigio al Giornalismo inteso come nobile mestiere.

Ad ogni modo i tentativi di mettere in cattiva luce il sindaco di Napoli in merito ai fattacci della settimana scorsa è stato puntualmente e chiaramente controbattuto da un sereno de Magistris, che con equilibrio e pragmatismo si assume la sua responsabilità politica senza nascondere ed anzi esaltando il fatto che fra la sua esperienza politica e quella dei centri sociali napoletani esiste una mai taciuta e proficua collaborazione. La sinergia fra i vari elementi del corpo politico napoletano, orchestrata dal sindaco in qualità di mediatore, ha ottenuto in questi anni splendidi risultati, e de Magistris non fa altro che elencarne qualcuno rivendicando la partecipazione attiva di tutti i movimenti politici e culturali coinvolti. La serenità di chi ha ragione (e che verrà poi contestata a sparate dal ciarlatano padano, come vedremo) fa scempio del sillogismo “centri sociali/black block”. Certo nessuno può negare che le violenze ci siano state, tanto meno de Magistris, ma le parole del sindaco sulle motivazioni del suo diniego a Salvini, della sua vicinanza ai centri sociali e sulle inopportune prese di posizione di Minniti dovrebbero aver depotenziato le scandalose strumentalizzazioni a cui abbiamo assistito ( ed alle quali, comunque, si doveva evitare di prestare il fianco)

Da questa prima mezz’ora emerge ancora più fortemente come Dema e Luigi de Magistris possano essere interlocutori estremamente interessanti assieme ai quali percorre una parte del nostro cammino. Difficilmente ci sarà mai un totale allineamento di tematiche e ricette politiche, ma le coordinate di base sono comuni.

Salutato de Magistris la Annunziata passa a Salvini. Rileviamo innanzitutto come un ipotetico contraddittorio terzo, da parte del sindaco di Napoli, sia negato dalla incomprensibile conduzione della puntata che non prevede il diritto di replica del primo intervistato. La conseguenza naturale è il grottesco spettacolo di Salvini che replica con le solite sparate vacue e retoriche agli argomenti concreti precedentemente buttati sul tavolo. L’esempio più lampante vede il segretario della lega criticare l’amministrazione comunale che – a suo dire – non si cura delle buche in strada mentre concede chissà quali privilegi di natura immobiliare ai centri sociali. Salvini ignora totalmente i termini in cui si è espresso il suo predecessore ai microfoni, ed oppone calunnie incontrastate a termini come riqualificazione urbana e collegialità della cura cittadina. Ma questa è la sua cifra politica, e ci siamo abituati.

Le panzane si attestano a livelli ragguardevoli. E’ proprio il caso di dire che Matteo da i numeri: “centinaia di circoli”, “migliaia di iscritti”, “2000 convenuti al comizio a napoli” (in una struttura che ne ospita al massimo 1150), 35 mila voti a Roma (11.880 in realtà) etc. il tutto condito dal sempre evidente – anche se scandalosamente negato – preconcetto antimeridionale. Non mancano infatti i richiami alle solite fanfaluche di stampo padano: gli sprechi al sud (e mai al nord), la sanità disastrata (ricordiamoci che la lega è fra le principali cause), quartieri di napoli in mano ai clandestini (dove?). Forse ne azzecca una quando parla delle truffe sssicurative, ma per una che ne indovina i toni rovinano tutto: “Napoli capitale mondiale delle truffe assicurative”. Ellallà!

Non manca nemmeno l’ennesima autoassoluzione del suo razzismo che, come al solito, viene derubricato a banale mancanza di educazione da ultras.

Gli argomenti concreti, invece, stanno a quota zero. Nessun accenno alle ricette concrete. Non vole l’Euro, i nemici sono gli immigrati, i genitori devono essere mamma e papà e non genitore 1 e genitore 2 e via dicendo con la solita ridda di fumogeni politici colorati quanto evanescenti. Pretenderebbe anche che Minniti cambiasse in mezza giornata le direttive alla marina militare in merito all’emergenza migranti nel mediterraneo. Risposte semplici a problemi complessi. Tipico della lega.

Non mancano poi le citazioni alla Le Pen, a cui concede la verginità dall’estremismo di destra. I Lepenisti in francia hanno allargato il consenso proprio grazie ad un populismo di estrema destra, ma a Salvini conviene negare l’evidenza perché spera di replicare in Italia e diventare ministro degli interni (sic.)

Dio ce ne scampi e liberi!

Ad inizio intervista Salvini si dice preoccupato per Napoli che è amministrata da quel poveretto che c’era in studio. De Magistris risponderà per conto suo, a questo, ma da parte nostra valga un chiarissimo: “Stai pure a casa tua, Matteo, ché a noi badiamo noi stessi!”

Salvini via dal sud. Dal 1989 a oggi: tutte le ragioni per scendere in piazza l’11 marzo.

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Una nota di Pierluigi Peperoni,
segretario nazionale di MO! – Unione Mediterranea

Troppo semplice identificare nelle ragioni del razzismo antimeridionale le vere ragioni di un’opposizione a Salvini. Nessuno dimentica o sminuisce l’importanza di quel coro cantato a Pontida:

“senti che puzza, scappano anche i cani, stanno arrivando i napoletani”.

Oppure il suo illuminato intervento al congresso dei giovani padani del 2013:

Ho letto sul Sole 24 Ore che, ancora una volta, verranno aiutati i giovani del Mezzogiorno. Ci siamo rotti i coglioni dei giovani del Mezzogiorno, che vadano a fanculo i giovani del Mezzogiorno! Al Sud non fanno un emerito cazzo dalla mattina alla sera. Al di là di tutto, sono bellissimi paesaggi al Sud, il problema è la gente che ci abita. Sono così, loro ce l’hanno proprio dentro il culto di non fare un cazzo dalla mattina alla sera, mentre noi siamo abituati a lavorare dalla mattina alla sera e ci tira un po’ il culo”.

Uscite come queste sono solo la punta dell’iceberg di un processo ben più profondo e radicato di cui la lega nord è il principale attore. E’ noto che il razzismo antimeridionale si è tramutato nel corso degli anni in un’azione continua di boicottaggio ai danni del mezzogiorno che ha portato ad un dimezzamento degli investimenti in opere pubbliche a sud. Siamo passati da circa 10 miliardi nel 1989 (anno della fondazione della Lega Nord) a circa 2 miliardi nel 2014.

Il partito di cui Salvini è segretario nazionale ha mostrato una fortissima capacità di incidere trasversalmente su tutti i partiti che si sono succeduti al governo. Che fossero di destra o di sinistra poco importa. Ma l’azione leghista non si è limita a questo. I padani hanno strategicamente occupato ogni spazio politico a propria disposizione per boicottare qualsiasi iniziativa potesse dare prospettive di rilancio a sud.

Il seguente prospetto parla chiarissimo.

Un esempio su tutti: le zone franche urbane. La proposta di istituire delle zone a fiscalità di vantaggio fu accettata dall’UE nel 2008, quindi nel 2009 pareva che dovessero finalmente partire. A 2 giorni dell’entrata in vigore il governo decise di introdurre alcune modifiche all’impianto normativo che aveva ottenuto l’ok, vanificando di fatto tutto il lavoro svolto fino a quel momento. Cosa successe? Pare che i comuni scelti, dislocati principalmente al centrosud, non fossero graditi ad alcuni membri dell’allora Governo che preferirono mandare a rotoli l’intero lavoro svolto, piuttosto che accettare l’idea che una parte del Paese potesse godere di un importante vantaggio fiscale.

Il rinnovato Salvini che pure vuole dimostrare di essere cambiato, finge di non sapere che la commissione tecnica sul federalismo fiscale è presieduta da Giancarlo Giorgetti, leghista. Finge quindi di non aver alcun ruolo nelle assegnazione delle risorse basate su parametri-capestro per il sud. Parliamo ad esempio delle risorse per la manutenzione stradale basate sul numero di occupati, oppure della “formula Calderoli” che assegna le risorse per il servizio sanitario in misura MINORE là dove si muore prima.

Un meridionale che spera nell’aiuto di Salvini è come il derubato che spera che il ladro gli restituisca la refurtiva.

L’unica risposta sensata da dare a Matteo Salvini è che noi non ci caschiamo, che il suo tentativo di rubare voti al sud per diventare premier non andrà a buon fine.

Stavolta non ci caschiamo.

Come il lupo tra le pecore – Salvini a Il Mattino di Napoli

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L’apparizione di Matteo Salvini al Mattino ha del fiabesco. I toni morbidi e sognanti della fiaba hanno accompagnato le parole del segretario leghista, assoluto protagonista del forum organizzato dal quotidiano napoletano in vista della manifestazione attesa in città l’undici marzo e promossa da “Noi con Salvini”.

Una chiacchierata fiabesca nei toni. Moderazione, rispetto e cortesia. Salvini è stato squisito, negando prepotentemente il registro utilizzato nella sua comunicazione politica usuale. Ostentando una sicurezza ed un savoir faire degno dei più raffinati salotti, ha speso parole d’ammirazione per Napoli. I maliziosi avranno pensato alla più banale captatio benevolentiae ma sarà bene non prestare orecchio a questi livorosi pignoli.

Fiabesco all’inverosimile nei temi. Buonsenso elargito a piene mani su (quasi) tutti i punti trattati. Chi non vorrebbe liberarsi di una classe politica cialtrona ed inefficiente al punto tale da non riuscire a spendere le casse di dobloni che ogni anno arrivano al sud? Chi non vorrebbe vedere il porto di Napoli in pieno sviluppo? Chi non vorrebbe vedere un “generico” sviluppo infrastrutturale al mezzogiorno? Chi potrebbe non simpatizzare per l’uomo che ha pietà dei nostri emigrati?

Insomma, Matteo ci vuole bene. Basta far fuori la Merkel (che lui sostituirebbe con Marine LePen), l’Euro ed i tanto vituperati, mostruosi migranti, per far decollare le sue idee di sviluppo ecumenico e perequante. Spiace non aver avuto una scheda elettorale sottomano. Si sarebbe votato Lega Nord senza pensarci un attimo.

Ma visto che non avevamo matite copiative ed urne elettorali nei paraggi, forse è bene che ci si fermi un attimo a riflettere sulla fiaba salviniana, perché potrebbe non essere esattamente aderente alla realtà.

Innanzitutto ci chiediamo come mai il segretario leghista abbia eluso tutte le domande direttamente poste da Marco Esposito. Domande tecniche, più concrete di quelle necessariamente generiche poste nell’arco del dibattito da Barbano e Perone. Nei casi in cui si è trovato, suo malgrado, a non poter evadere, l’arrembante padano si è rifugiato in comode ammissioni di ignoranza. Ammissioni che risultano un po’ sconfortanti se prodotte da chi si prende la briga di venire a Napoli a “salvarci da noi stessi”, a maggior ragione se certi argomenti recano in calce l’ingombrante firma di Roberto Calderoli, vera e propria eminenza leghista.

A corroborare i dubbi sulla sincerità organica della trama salviniana ci si mette l’incidente sul residuo fiscale. Braccato sull’argomento della odierna sperequazione economica nel bel paese, la prima ed immediata difesa che sgorga sulle labbra del bel Matteo assomiglia pericolosamente ad un vecchio refrain della lega più oltranzista. Marco Esposito non fa quasi in tempo ad articolare la domanda sui criteri del federalismo fiscale che Salvini vomita quasi istintivamente la manfrina delle povere regioni del nord depredate dal famelico e parassitario sud.

Non appena gli si fa notare che se chi è più ricco non investe su chi è più povero lo sviluppo infrastrutturale che fino poco prima lui stesso caldeggiava rimarrebbe lettera morta, il verdissimo si ravvede. Fa marcia indietro facendo passare per rivoluzionaria una banalità: “molta della tassazione dovrebbe rimanere in loco, e poi chi sta meglio aiuterà chi sta peggio”. Incredibile la facilità con la quale il funambolo lombardo riesca a passare in poco più di due frasi dalle geremiadi sul principio di solidarietà fiscale invalso nell’occidente moderno, alla pleonastica e convinta affermazione dello stesso.

Un caso esemplare del famoso “tutto e contrario di tutto”.

Sorge quasi il sospetto che questo contorsionismo sia stato dettato dall’incoerenza di base del presunto buonsenso salviniano. Costretto a prendere pubblicamente le parti del sud per raccattare voti, ma intimamente consapevole di giocare per un’altra squadra.

Il tutto appare abbastanza grottesco anche tralasciando il siparietto durante il quale il nostro nega che il federalismo fiscale sia mai stato applicato. Naturalmente lo scivolone gli procura le giuste bacchettate dagli interlocutori

L’ultima domanda che ci poniamo riguarda l’argomento apparentemente più “leggero”, ma che invece è estremamente rivelatorio.

Ci chiediamo infatti come Salvini possa continuare a giustificare il fattaccio dei cori razzisti con cui dimostrava, tempo fa, le proprie doti canore. Prima prova a negare, e poi riduce tutto a bighellonate per le quali ha già chiesto scusa. La cosa fastidiosa è che – mentre ribadisce scuse non troppo convinte – riesce a trattare la questione con quel tono paternalistico di chi, ad esempio, giustifica il bullismo a scuola col più sospetto dei “so’ regazzi”.

Per levarsi le castagne dal fuoco deve necessariamente minimizzare amenità del calibro di “Vesuvio lavali col Fuoco”, sdoganandole ed equiparandole al normale sfottò da stadio (come se un vaffan* fosse in qualche misura paragonabile all’augurare catastrofi naturali). Nessuna presa di posizione reale, insomma, ma artifici retorici atti a “ripulire” il tronco razzista dell’albero ed agghindarlo con le foglie di una contrizione insincera e di circostanza. Le foglie di plastica dell’ipocrisia.

Questo piccolo ed apparentemente secondario elemento da in realtà la cifra del personaggio Salvini: predicare meravigliosamente ma essere incapaci di razzolare altrettanto bene. Raccontare la fiaba più rassicurante e benevola, ma avallare e rappresentare l’esatto contrario quando i nodi vengono al pettine. La lega ha avuto mille ed una occasioni per occuparsi di un’equa distribuzione delle risorse e dunque per favorire la transizione verso forme giuste di federalismo. In nessuna di queste occasioni si è rivelata diversa da se stessa, ovvero una forma di sindacato politico degli interessi tosco-padani più gretti. Oggi Matteo Salvini ci chiede un atto di fede. Noi dovremmo credere alla conversione radicale della Lega sulla base di mezz’oretta di “sani principi” e belle parole.

Salvini ci chiede di credere alle fiabe!

Secondo noi, invece, la narrazione leghista si sgretola ai primi raggi del sole napoletano. Si sente puzza di bruciato a grande distanza ed a ben vedere questo è naturale perché Salvini vende fumo, e per produrre fumo devi bruciare qualcosa. In questo caso ad andare fra le fiamme è stato il pudore di chi rappresenta da anni un serio ostacolo al nostro sviluppo, mentre oggi viene in casa nostra e pretende di insegnarci a risorgere.

Il segretario della lega nord rimane fiabesco in un’unico elemento: Salvini è il lupo. Il lupo travestito da pecora che pretende di intrufolarsi nel gregge per mangiare più comodamente.

Solo che a noi, di fare le pecore, non va più.

156 anni fa sono sbarcate le camicie rosse, ed oggi sbarcano quelle verdi. Se in mezzo ci mettiamo il colore delle camicie di “Noi con Salvini” (bianche, con lunghe maniche legate dietro la schiena) otteniamo un’infausta cromìa che al Sud ha portato solo ed unicamente sventura.

L’11 Marzo, alle 14, in piazza Sannazaro a Napoli, portiamo l’azzurro del nostro mare ed usiamolo per lavare via questo tricolore di disgrazie.

La parola e le parole

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di Mariano Palumbo

Nella comunicazione l’uomo non si consuma, ma si manifesta. In tale realtà la sua umanità -cosa che va oltre, più su, la sua animalità- raggiunge e si “accorda” con le altre umanità…, perchè siamo una sola umanità. Abbiamo molti e diversi modi di sentire e percepire la realtà, ma le cose vere… -che sono sempre persone!- hanno, abbiamo, come un sol cuore, un sol cielo, una comune esigenza di vita e di vita bella, di vita ricca di relazioni, di amore.

Quando l’uomo dice il vero, il vero profondo di se stesso, arriva a toccare le corde intime dell’essere. E’ l’accordo dell’umanità, che come le corde (accordate) di uno strumento vibrano bene, in armonia. La verità dell’uomo vibra sempre nell’intimo di ogni uomo, perché l’accordo della memoria e della Storia ci ha resi edotti che se si dimentica l’uomo inevitabilmente si allargano i cimiteri!

Va accordato, oggi più che mai, in questo tempo di “tregua” la memoria e la Storia, la responsabilità e il futuro…, ecco che è urgente trattenere il nostro mondo dall’impazzimento delle coscienze e delle parole, dal perdere cioè il senno e il senso delle cose…, o meglio della persona.

Chi non ricorda il dramma del XX secolo? E in quel tempo ci sono state parole-programma che hanno condotto il mondo al disastro, alla distruzione. Le parole vanno vigilate, vanno tenute nel recinto degli uomini, non possono essere allevate come cani d combattimento…, perchè la parola uomo è l’unica che ha senso e deve avere futuro futuro radicale e assoluto!

Le parole spesso sono più che vocaboli e verbi, sono prospettiva, progetto, ma anche incubo, brivido, terrore… come quello vissuto da Anna Frank a 12 anni, nel 1941. Viveva “nel terrore di non sapere quello che da un momento all’altro ci sarebbe potuto accadere”. E accadde che le parole diverse da uomo, la raggiunsero lì dove viveva, nascosta per la paura delle parole diverse e disumana, senza cuore…, e la deportarono a morire.

Matteo Salvini in un discorso pubblico ha detto: «Ci vuole una pulizia di massa via per via, quartiere per quartiere, e con le maniere forti se occorre». Tutto ciò per prospettare ai suoi seguaci ordine e sicurezza…; ma già Pertini ci ammoniva: “Le dittature si presentano apparentemente più ordinate, nessun clamore si leva da esse. Ma è l’ordine delle galere e il silenzio dei cimiteri. (Sandro Pertini, Messaggio di fine anno agli Italiani, 1979)

Le parole di Salvini vanno respinte e ricacciate nelle fogne della storia criminali di governi corrotti e massacratori. Quelle parole sono senza parola… uomo! Parole che fanno correre un brivido e un fremito… . Parole che devono provocare un sussulto morale, di coscienza, una ribellione!
“Irresponsabile e imbecille, parole di odio che spero non verranno ascoltate, gli italiani sono fortunatamente più intelligenti”, questa la definizione di un collaboratore di Emergency.

Le parole di Salvini sono l’orrore della storia riproposte in questo tempo di cambiamento d’epoca, dove -forse- il rischio che “la tregua” si rompa, che la memoria scordi (ex-cor), porti fuori dal cuore, quanto fu, quando accadde, e i peggiori orrori si ripresentino. Tutto ciò deve allertarci tutti, tutti! Nessuno si tiri indietro, nessuno addolcisca la parole: mai, mai più parole senza l’uomo, parole pazze, parole disumane e assassine del futuro, dell’uomo, unico vero futuro da coltivare. Senza parole, con l’unica parola da dire: questo uomo, questo devo salvare, ora, domani e sempre!

Pd-Renzi e PdL-Salvini a Bologna. Il super partito anti-Sud.

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di Raffaele Vescera dalla pagina Terroni di Pino Aprile
“Silvio non è ancora rimbambito come pensate voi cronisti” confessa l’Umberto ai giornalisti nella piazza grande di Bologna, cantata dal grande Lucio Dalla, un tempo ritrovo di cervelli pensanti e ora di omuncoli pesanti. A difendere la saviezza del vecchio amico, forse per far emergere quel poco che resta di quella propria, è quel Bossi padano, sotto processo per una truffa di 59 milioni di euro, che ha chiamato in correità i complici politici Salvini e Maroni, secondo lui veri gestori della sparizione e della spartizione di quella montagna di soldi.

Il Silvio, dichiarato non del tutto rimbambito dall’Umberto, che fa il padre nobile della combriccola leghista, è un ottuagenario milanese, già tesserato alla loggia P2, più volte capo di governo, poi condannato per mega evasione fiscale, e processato per induzione minorile alla prostituzione di una prorompente nipotina di Mubarak, di cui però ignorava sia la parentela che l’età, ancora inquisito per compra-vendita di senatori a botto di milioni e di donnine innamorate delle mazzette che elargiva loro. Ma questo è niente se non fosse che ha ispirato un partito il cui fondatore e suo braccio destro sta in galera per faccende di mafia. “Grillo è come Hitler” ha urlato dal palco Berlusconi, mentre s’alleava con Salvini e Meloni, fratelli e sorelle d’italiella, nostalgici del “quando c’era lui, caro lei”, e a loro volta amici di Forza nuova e casa Pound, che le nostalgie da Terzo Reich non se le fanno mancare.
E mentre il Silvio sproloquia, la piazza leghista lo fischia e rumoreggia, spingendo Salvini a battere il pugno sul leggio per far capire a Silvio che è tempo di lasciargli il microfono, ora è lui il capo, Salvini Matteo, autodefinitosi un nullafacente di Milano e prende il microfono per dire che Alfano è un cretino.

Se non fosse tutto tragicomicamente vero, si penserebbe ad una repubblica delle banane, e invece la sceneggiata tribale accade nella un tempo dotta Bologna: sarà per colpa della tropicalizzazione del clima che le banane ora crescono in Val Padana, mentre molti paesi del cosiddetto Terzo mondo sono avanti per onestà di governo e libertà di stampa?

A Bologna, è nato il nuovo partito della destra italiana unita, una destra di strada, imbarbarita in chiave xenofoba, dopo aver cavalcato per decenni l’antimeridionalismo più becero, ora messo da parte in nome del progetto di “sfondamento” leghista al Sud, mentre la destra storica da salotto, più colta e raffinata, ha scelto il partito di Renzi, meno rozzo ma più efficace nella gestione del potere. Un potere comunque riconducibile agli interessi della borghesia del Nord e del ceto politico parassitario del Sud a quella asservito, in cambio di briciole di ricchezze.

La grande borghesia finanziaria subalpina, che regge ininterrottamente il potere in Italia fin dalla sua fondazione, oggi governa per conto Renzi, continuando a fare ciò che ha sempre fatto: assorbire, anzi derubare le risorse dello Stato e utilizzare il Mezzogiorno come colonia interna da spremere per avere forza lavoro e risorse naturali a basso costo. Il tutto con la complicità delle mafie associate allo Stato. Mai governo italiano fu più antimeridionale di quello attuale. E questa sarebbe la cosiddetta “sinistra” di uno Stato pur ricco che ha un debito pubblico spaventoso, accumulato a botta di 100 o 200 miliardi di euro di corruzione l’anno, tra la più alta al mondo, maturata dalla spartizione di opere pubbliche alla stessa alta finanza che risiede nella Piazza Affari della fantomatica “capitale morale”, dove famiglie storiche di imprenditori settentrionali e politici mangiasoldi, formano la razza padrona che s’arricchisce smodatamente, maggiorando i costi fino a dieci volte il reale, com’è accaduto per l’alta velocità ferroviaria.

In quanto alla destra Salviniana di cui sopra, è il partito dei piccoli cumenda brianzoli, padroncini, allevatori, ‘gnurant e gran lavuratur con la mania degli sghei, e degli operai specializzati, anche figli e nipoti di immigrati meridionali, messi razzisticamente contro i loro cugini rimasti al Sud, da loro additati come colpevoli della perdita progressiva dei loro privilegi, al fine di nascondere le proprie colpe di arraffoni, come nel caso clamoroso delle multe miliardarie delle quote latte, pagate con i soldi destinati al sud.
Laddove la borghesia “illuminata” alla De Benedetti, patron di Repubblica e tessera numero 1 del PD, e iscritto ad altre logge, parla invece un linguaggio culturalmente avanzato, per mistificare l’uso funzionale di Renzi ai suoi progetti, e nasconde accuratamente il razzismo antimeridionale, additando i cattivi costumi meridionali come colpevoli del divario Nord-Sud.

In comune, sinistra e destra hanno l’interesse a finire di spolpare il Sud, e di impedire la sua crescita industriale, concorrenziale a quella loro. Un Sud che oggi più che mai non conta una mazza nel governo a zero ministri meridionali, che dirotta oltre l’80% delle sue risorse per “far ripartire il paese” al di sopra della linea gotica, al motto di “prima il Nord”. Ferrovie, strade, aeroporti, industrie, stanziamenti per dissesto idrogeologico, grandi opere, Nord tutto si fa per te, amor di Renzi e Salvini.

Siamo al regime, ma nessuno dimentichi che non esistono regimi incrollabili, oggi è crollato incredibilmente quello birmano per opera di una piccola grande donna, Aug San Suu Kyi, insignita di Nobel, che stravince con il 70% dei voti. Non dormano sonni tranquilli i gestori del regime italiano, ciò che sembra eterno è destinato a finire. A parte l’incognita a 5 Stelle che già agita i loro sonni, tanti piccoli meridionali consapevoli preparano il vero rovesciamento del regime italico: la fine della Questione meridionale.

Unione Mediterranea: noi MAI con Salvini

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“Il Sud non si può comprare come una mercanzia in offerta al miglior acquirente. La presentazione della lista “Noi con Salvini” a Napoli è la dimostrazione di come la Lega Nord stia cercando di rinforzare quella progettualità che ha portato negli ultimi venti anni alla maggiore diseguaglianza di tutti gli indici economici e finanziari tra Nord e Sud, ovviamente a favore della immaginaria Padania. Unione Mediterranea ribadisce come un Sud competitivo, vivo e socialmente innovativo non ha alcun bisogno delle parole di Salvini e del qualunquismo di una politica fatta di promesse e voluto scontro, ma di assenza totale di concretezza”: sono queste le valutazioni di Enrico Inferrera sulla presentazione a Napoli della lista “Noi con Salvini”, avvenuta ieri tra cortei di protesta e scontri tra manifestanti e polizia.

“Da quando la Lega ha capito che per promuovere “prima il Nord”, non serve adorare il Dio Odino ma votare per un partito italiano qualunque – ribadisce Flavia Sorrentino, Portavoce Nazionale Unione Mediterranea-, chiedere voti al Sud non è più un tabù: i “terroni” disprezzati e offesi per decenni, oggi sono utili alla causa leghista che punta a crescere nei consensi. Gli ascari che si vendono al padrone leghista non hanno memoria degli insulti, le ingiustizie e le vili umiliazioni, ma noi che mai ci alleeremo con i razzisti, non dimentichiamo. La politica dell’odio della Lega Nord nei confronti del Sud non può essere oggi banalizzata e barattata dietro logiche di accordi politici che vedono il Sud come mera merce di scambio.”

Unione Mediterranea promuove tra l’altro proprio in questi giorni, il lancio della propria campagna associativa , volta a convogliare nel movimento, la parte sana di quella società civile meridionale, intenzionata a rompere definitivamente quello stato di quiescenza della cittadinanza, rispetto ad arbitrari abusi della politica nazionale e regionale. Dopo il progetto civico della lista MO! ed i risultato raggiunto alle recenti elezioni regionali, il movimento ribadisce la propria vitalità ed il lancio di importanti iniziative in tutto il Sud d’Italia.

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Salvini al Sud: ancora tu? Ma non dovevamo vederci più?

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Il punto di vista di… Pino Aprile (dalla pagina “Terroni”)

C’è gente che farebbe qualsiasi cosa, pur di non lavorare: Matteo Salvini, per esempio, perseguita gli ultimi della Terra, a pro dei padroni della Terra (se lo fa consapevolmente, decidete voi cos’è; se lo fa inconsapevolmente, decidete voi cos’è; io non so dire quale delle due possibilità sia più umiliante).

Ora, il giustiziere dei poveri cristi opera in trasferta, in Calabria, a casa di quei terroni che, per anni (finché non gliene sono serviti i voti), da direttore di Radio Padania, ha ferocemente insultato e fatto insultare, fomentando i peggiori sentimenti. E cosa va a fare? A cercare dei titoli sui giornali di domani e dopodomani, con le sue inutili ma irritanti incursioni in un campo rom e in un centro di accoglienza: prima rompe le palle, perché “quelli” non li vogliono a casa loro, poi se li va a cercare dove stanno. Rom e immigrati in Terronia: tombola! (Qualche fascitello locale gli tiene la felpa).

Naturalmente, ci spiegherà che viva la ruspa e bisogna raderli al suolo; perché sono ladri, perché sporcano, perché rubano il lavoro e perché violentano le nostre donne.

Nemmeno a me piace essere derubato, ma so che tutti i ladri rom ed extracomunitari messi insieme non fanno il danno di uno solo dei ladroni dell’Expo o del Mose (oggi un interessante articolo di Sergio Rizzo, sul Corriere della sera, segnala che i soli “collaudatori” del Mose, a botte di milioni e centinaia di migliaia di euro, sono 316!!!). Ma quelli, il Salvini, dimentica di andarli a provocare a Venezia e a Milano, con uso di ruspa o senza.

Sporcano i rom e gl’immigrati? Salvini (mi sono perso qualcosa?) non ha mai minacciato la ruspa contro chi ha fatto della sua Lombardia la regione più inquinata d’Italia e una delle più inquinate d’Europa; né ha mai minacciato la ruspa contro i suoi corregionali che scaricano illegalmente i rifiuti tossici industriali nella Terra dei Fuochi e in giro per l’Italia. Per dirla tutta, pur avendo così facilmente disponibilità di ruspe, l’uomo che per non perdere il pensiero unico se lo scrive sulla felpa, non si è mai offerto di usarle per bonificare quei terreni.

Il lavoro che “rubano” gli stranieri è, normalmente, quello che non fanno gli italiani. E tanti di coloro che arrivarono con un barcone, si sono integrati, hanno creato imprese che producono una quota importante della ricchezza nazionale; e danno lavoro anche a italiani.

Quanto agli stranieri stupratori, sono dei delinquenti come tutti gli altri delinquenti, ma in forte minoranza, perché quelli che “violentano le nostre donne” sono quasi sempre italiani e familiari di quelle donne (però… “nostre”?).

La questione dei migranti è colossale, ma non si risolve gridando contro di loro, istigando (cosa vuol dire “radere al suolo”?) e blaterando che la legge che fa schifo: l’ha fatta un leghista, primo firmatario, Umberto Bossi. Voi la fate, Maroni progetta la rete dei centri d’accoglienza e poi la colpa è degli altri?

Ma tutto questo schiamazzo non è inutile. Intanto, abbiamo un disoccupato in meno: Salvini. Poi, è facilmente spendibile un’accusa generica, contro chi non può difendersi e c’entra pure poco e niente. Ma rende dire che “bisognerebbe…” e fermarsi lì. Nessuno, come la Lega con Berlusconi, nella storia italiana (a parte il dittatore Mussolini) ha governato tanto tempo, con una maggioranza così grande. Chi avesse un minimo di pudore andrebbe a nascondersi per la vergogna, per non aver risolto le questioni per le quali oggi accusa gli altri (e che non intendo difendere).

Ma è così comodo creare un nemico su cui far sfogare la rabbia del popolo in difficoltà! Pensate se la gente, incazzata nera, se la prendesse con chi è davvero responsabile dei nostri disastri. Invece di assaltare la carrozza del re e del conte zio, si regalano scarpe chiodate al popolo, per prendere a calci i mendicanti, chi è già a terra.

Il razzismo non è mai gratis, ma sempre al servizio di una economia. Se si “dimostrava” che i neri erano più animali che esseri umani, era solo perché servivano “mandrie” di lavoratori gratis nei campi di cotone dei latifondisti americani; fino a che lo scontro armato fra due civiltà (quella industriale, nuova e dilagante negli Stati del Nord, e quella agricola degli Stati del Sud) recuperò i neri al genere umano. Tanto, da poter dire che se Satchmo Armstrong suonava la tromba da dio, non era perché si trattava di una specie di pappagallo o cane ben addestrato, ma perché era un genio; come quell’altro nero, pianista e cantante, considerato uno dei 10 più grandi artisti di tutti i tempi, Ray Charles, il pioniere del genere “soul”, che vuol dire “anima” e pare sia una dote umana (azz…, pure Salvini? Pensa quant’è stato bravo a non farsene accorgere!).

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