Ecco perché votereMO NO!
La chiamano “ Riforma delle riforme”, il proseguo di un cammino politico iniziato con ciò che potrebbe essere definito ‘presa al potere’ del Premier Matteo Renzi. Non esiste espressione più adatta per la modalità in cui Matteo Renzi è divenuto capo del Governo. Così, con un premier privo di un’ampia base di consensi , sostenuto dai poteri forti nazionali, nominato da un parlamento scarsamente rappresentativo ed eletto attraverso una legge elettorale dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale, il giorno 4 dicembre saremo chiamati a esprimerci sulla riforma costituzionale.
Ma procediamo per piccoli passi, e spieghiamo perché MO! Unione Mediterranea milita tra le file del NO.
In questi mesi siamo stati bombardati mediaticamente da parole come “semplificazione”, “risparmio”, “virtuose”, inserite all’interno di un linguaggio creato per adattarsi al volere del potente di turno. Le false dichiarazioni e mezze verità, però, facilmente possono essere smentite.
Si fa passare, ad esempio, il concetto di semplificazione legislativa come salvezza da tutti i mali del sistema parlamentare italiano. In realtà, se si semplifica nel senso indicato dai sostenitori del sì, con la fine del bicameralismo perfetto, si ridurranno soltanto i tempi per controllare su cosa si sta legiferando.
Risparmio. Non verranno ridotti i costi della politica, poiché ad essere depennate saranno solamente le indennità, mentre ben sappiamo che le spese politiche gravose, dipendono soprattutto dalla gestione degli immobili, dei servizi, del personale. Il risparmio, tanto sbandierato da Renzi e i suoi, è stato quantificato dalla Ragioneria di Stato in 50 milioni di Euro all’anno. Meno di un caffè annuale per ogni italiano. Per questa cifra irrisoria, tolgono un pezzo di democrazia: i senatori, che continueranno ad avere comunque una voce importante su determinate leggi, quali ad esempio quelle di conversione dei decreti europei, non saranno più eletti dal popolo, ma – non si sa bene come – saranno scelti tra consiglieri regionali e sindaci dei comuni capoluogo. Il risparmio che ci vendono è in realtà una contrazione di diritti democratici.
Ancora di più si perderanno contrappesi democratici se i deputati dell’unica Camera saranno eletti con un sistema come l’Italicum, in cui la rappresentanza viene del tutto svilita, mortificata, con un premio di maggioranza abnorme in un sistema tripolare quale è l’Italia e i capilista bloccati scelti dalle segreterie di partito. La semplificazione sbandierata dai sostenitori del sì sarà in realtà una maggiore concentrazione di potere in mano al capo del partito di maggioranza relativa (molto relativa) che sceglierà il 55% dei seggi con percentuali che potranno, al primo turno, essere anche inferiori al 30%, mentre al ballottaggio si correrà il rischio di avere un’altissima percentuale di astenuti, se a quelli oramai fisiologici delle democrazie occidentali si aggiungeranno gli elettori della forza politica arrivata terza al primo turno.
Bisogna inoltre sottolineare che tra le modifiche proposte vi è l’innalzamento del numero di firme necessario per presentare una legge di iniziativa popolare che passa da 50.000 a 150.000. Si conferma che l’iniziativa popolare è temuta e se ne triplica la soglia come se frenare uno strumento democratico fosse un bene. Diverso sarebbe stato se si fossero introdotti principi di democrazia diretta digitale con la possibilità di raccogliere le firme online in modo certificato. Una modifica di pari spirito riguarda i referendum: si abbassa il quorum per la loro validità a patto che le firme salgano da 500mila a 800mila.
L’impatto della riforma sui territori del mezzogiorno
MO! Unione Mediterranea, vuol però dare, con tale documento, una panoramica da Sud. Quali quindi gli effetti che si presenteranno come particolarmente dannosi per le regioni meridionali? In particolare cosa succederebbe se dovesse passare la riforma e quindi venisse approvata la modifica del Titolo V della Carta Costituzionale?
La riforma, con la modifica del titolo V della Costituzione, riporta tutta una serie di materie sotto l’egida esclusiva dello Stato, e toglie la possibilità per le regioni di legiferare in autonomia su tali materie.
L’art. 116 del Titolo V, modificato tra l’altro da Calderoli, prevede la possibilità per le Regioni ”virtuose” di poter ancora legiferare su alcuni temi importanti.
Cosa significa in realtà “virtuose”? Virtuose significa ricche, nell’attuale vocabolario del linguaggio politico. Vengono infatti definite virtuose le regioni che riescono a raggiungere l’obiettivo del pareggio di bilancio.
Di seguito uno specchietto riepilogativo delle materie di competenza.
Materie di competenza delle sole regioni “virtuose” |
Materie di competenza regionale |
Materie di competenza statale |
• organizzazione della giustizia di pace;
• politiche sociali;
• istruzione;
• ordinamento scolastico;
• istruzione universitaria e ricerca scientifica e tecnologica;
• politiche attive del lavoro;
• istruzione e formazione professionale;
• commercio con l’estero;
• tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici;
• ambiente ed ecosistema;
• ordinamento sportivo;
• attività culturali e turismo;
• governo del territorio. |
• rappresentanza delle minoranze linguistiche;
• pianificazione del territorio regionale e mobilità al
suo interno;
• dotazione infrastrutturale;
• programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali
• promozione dello sviluppo economico locale e organizzazione in ambito regionale dei servizi alle imprese e della formazione professionale;
• fatta salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche, servizi scolastici, di promozione
del diritto allo studio, anche
universitario;
• per quanto di interesse regionale, attività culturali, della promozione dei beni ambientali, culturali e paesaggistici, di valorizzazione e organizzazione regionale del turismo, di regolazione, sulla base di apposite intese concluse in ambito regionale, delle relazioni finanziarie tra gli enti territoriali della Regione per il rispetto degli obiettivi programmatici regionali e locali di finanza pubblica, nonché in ogni materia non espressamente riservata alla competenza esclusiva dello Stato. |
• rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni;
• tutela e sicurezza del lavoro (per la parte non rientrante nelle politiche attive del lavoro);
• professioni;
• sostegno all’innovazione per i settori produttivi;
• tutela della salute;
• alimentazione;
• protezione civile;
• porti e aeroporti civili;
• grandi reti di trasporto e di navigazione;
• ordinamento della comunicazione;
• produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia;
• previdenza complementare e integrativa;
• coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;
• casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale;
• enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. |
Va notato che da questa ripartizione vanno escluse le regioni a Statuto Speciale che mantengono tutti i poteri a loro attribuiti.
Il problema che si pone per le regioni del mezzogiorno è che, dato l’impianto normativo in vigore e gli squilibri economici cui sono sottoposte, l’obiettivo del pareggio di bilancio non è raggiungibile se non privando i cittadini dei servizi sociali che spetterebbero loro di diritto.
Quali rischi corrono le regioni non virtuose? Pensiamo, ad esempio, al caso in cui il Governo si trovi costretto a scegliere un sito dove stoccare scorie radioattive di vecchie centrali nucleari dismesse: quale sito sceglierà? Quello di una regione ricca in pareggio di bilancio che avrà potuto legiferare in autonomia che sul proprio territorio non si stoccano scorie radioattive, o quello di una Regione povera che non avrà potuto farlo? Quali saranno i cittadini che avranno meno voce, meno autonomia di scelta?
Con tale riforma, dunque, verrà attuato un regionalismo differenziato discriminante, ai danni di tutte le regioni del mezzogiorno ordinario che non avranno poteri decisionali in molti ambiti cruciali. Il nuovo testo modifica profondamente l’articolo 116 della costituzione definendo quindi 13 materie di competenza regionale differenziata disponendo quanto segue: le Regioni in equilibrio di bilancio tra entrate e spese avranno maggiore autonomia legislativa, per tutte le altre tali materie tornano ad essere di competenza esclusiva dello Stato. Un “regionalismo differenziato”, cui traduzione in termini di colonialismo interno è semplice: le regioni più ricche, ovvero quelle del nord, avranno notevole potere decisionale anche su temi cruciali, per quelle più povere deciderà invece lo stato centrale..
Già di per sé riconoscere diritti differenti, seppure su base regionale, a cittadini che in teoria dovrebbero appartenere allo stesso stato, in base a criteri meramente economici, rappresenta un inaccettabile passo indietro rispetto al concetto stesso di civiltà giuridica, tuttavia la questione diventa paradossale se si considera che le regioni più ricche, quelle in cui le entrate tributarie sono maggiori, godono di tale status anche a spese del sud.
Basti pensare a tutte le riforme che strutturalmente, giorno per giorno, sottraggono risorse al Mezzogiorno. Solo per citarne alcune: il trasferimento al nord della proprietà di quasi tutte le banche meridionali, iniziato con la legge Amato 218/1990, il federalismo energetico (D.Lgs. 185/2008), grazie al quale produciamo più energia di quella che consumiamo, ne smistiamo l’eccesso al Nord ed in cambio paghiamo bollette più salate. Negli ultimi 10 anni le regioni meridionali hanno dovuto, inoltre, sopportare la vergognosa applicazione del federalismo fiscale che con trucchi come gli 0 per gli asili nido (700 milioni sottratti ai comuni del sud), meno fondi alla sanità nelle regioni dove l’aspettativa di vita è più bassa, meno fondi per la manutenzione stradale dove ci sono più disoccupati…
La “Compartecipazione regionale all’IVA” è stata istituita col D.Lgs. 56 del 18 Febbraio 2000, recante disposizioni in materia di federalismo fiscale. All’articolo 2 si legge: “E’ istituita una compartecipazione delle regioni a statuto ordinario all’IVA.” Alle regioni va il 52,89% del gettito, come stabilito dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 18 Gennaio 2013, cui va aggiunta un’ulteriore quota del 2% che va ai comuni, in base al DPCM del 17 Giugno 2011.
La sottrazione di risorse fiscali è particolarmente rilevante se si considera che mediamente oltre il 90% dei prodotti acquistati nel Mezzogiorno provengono da aziende con sede al nord e che in base a dati Bankitalia (anno 2012), ben il 96% delle aziende settentrionali ha come mercato di riferimento la nostra terra. A ciò va aggiunto che se per quanto riguarda il cosiddetto carrello della spesa possiamo contare ancora su una seppur minima possibilità di scelta, per tutta una serie di servizi irrinunciabili siamo invece pressoché costretti a comprare da aziende con sede legale al nord, dato che Enel, Eni, Snam Gas, Poste Italiane e Trenitalia, ma anche banche, assicurazioni, Tv e compagnie telefoniche non hanno mai la sede legale più a sud di Roma. Il regionalismo differenziato è già di per sé aberrante, in quanto sembra riproporre su base regionale l’arcaico concetto di partecipazione alla democrazia in base al censo, tuttavia letto nel quadro complessivo rappresentato da federalismo energetico e fiscale e dall’assetto proprietario di banche, assicurazioni, grande distribuzione e altre grandi aziende del paese, esso significa per il Mezzogiorno essere condannato alla condizione di colonia interna “per costituzione”.
Si consuma in tal modo il disegno monopolistico dei commissariamenti e delle ricette nord- centriste applicate ai territori meridionali, ciò che si cela dietro millantate applicazioni di meritocrazia amministrativa, coincide con l’interpretazione punitiva e non perequativa delle autonomie locali previste e disciplinate dalla Costituzione. Dopo 156 anni di mala unità, l’attuale governo, di fatto, sta tentando di costituzionalizzare il colonialismo interno.
Depauperamento di risorse, sfruttamento e differenzazione nella distribuzione di servizi socio-sanitari ci hanno messo in ginocchio con il volto chino di chi vien considerato inferiore dalla storia del passato e del presente; ora stanno cercando con ogni mezzo di non farci rialzare, di far affievolire l’impeto del riscatto.
Il 4 dicembre saremo chiamati ad esprime la scelta. Questa volta però l’astensionismo e la disinformazione potrebbero portare ad un esito rovinoso per il sud Italia; il voto dei cittadini viene contemplato dall’articolo 48 della Costituzione come un dovere civico, ma questo non basta. Il voto è in realtà, un potere, una delle poche forme di potere decisionale rimasteci .
AndiaMo a votare NO, consapevoli di quanto sia importante difendere le autonomie locali perché i nostri territori non si faranno governare senza tener conto della volontà delle popolazioni. VotiaMo No per noi stessi e per la nostra terra, per il nostro diritto ad essere liberi ed a trascinare sul banco degli imputati le classi dirigenti corrotte dei partiti politici nazionali.