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Due Napoli, due Sud

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di Salvatore Legnante

Scrive Isaia Sales, nel suo poderoso e fondamentale saggio “Storia dell’Italia mafiosa”, che nel nostro paese parlare di mafie significa innanzitutto parlare di rapporti istituzionali con le mafie. Le organizzazioni, anzi le istituzioni criminali sviluppatesi nel Sud Italia non avrebbero avuto il successo e la durata che hanno senza un costante ed indissolubile rapporto con le istituzioni “legittime”.

Guardando la foto della candidata a sindaco di Napoli, Valeria Valente, sorridente al fianco di Denis Verdini, sodale di Nicola Cosentino, lo scritto di Sales acquisisce piena e viva sostanza. La mancanza di qualsiasi imbarazzo da parte del partito di governo, mentre suoi alleati affermano di non trovare affatto anomala la presentazione nelle liste di Ala del figlio di un boss del rione Traiano, può far comprendere cosa si appresta a diventare il Partito della Nazione, che ben potrà rappresentare le istituzioni italiane e quelle loro collusioni mai interrotte col potere criminale.

Napoli rappresenta un vero laboratorio politico per il PD: a fronte di una città data per persa, si sperimenta “lo stomaco” dei propri elettori proponendogli schemi di alleanze e candidature in linea con quelle che saranno scelte politiche per i prossimi appuntamenti elettorali, dal referendum costituzionale alle Elezioni del 2018 (o dell’anno prossimo, stando ai rumors ed agli umori di Renzi).

Non esiste alcun rispetto per la maggiore città del mezzogiorno d’Italia, non c’è alcuna presa di coscienza dei problemi che rappresentano candidature e sostegni degli impresentabili, non si pone alcuna visione sul Sud oltre alle paracule firme di Patti per fondi già assegnati e debitamente decurtati: questa è Napoli per il governo, questo è il Sud per Renzi.

Contrapposta a questa (non) visione ve ne è un’altra: quella che immagina una autonomia meridionale, che parta dal cancellare tutte le collusioni criminali, a Napoli e nel Sud. E’ questo il senso degli abbracci delle Resistenze meridionali, negli incontri del fine settimana all’Officina delle Culture di Scampia. Ciro Corona, Giancarlo Costabile, attivisti dell’antimafia reale, sociale, assieme ad Isaia Sales, al nostro Marco Esposito, a Pino  Aprile, a Luigi de Magistris: per discutere e comunicare il Sud che vuole riscattarsi, per fare massa ed esportare modelli di liberazione dalle mafie, da Napoli alla Calabria, avendo come filo conduttore l’orgoglio e la passione di gridare che queste terre sono nostre, non sono e non saranno più appannaggio dei mafiosi.

E’ l’altro laboratorio politico che sta nascendo a Napoli: l’incrocio di esperienze di orgoglio e lotte, in cui l’identità meridionale si esprime nella voglia di liberazione dagli oppressori comuni: mafiosi e politici collusi.

In una moderna riedizione della Questione Meridionale gramsciana, compito primario di queste esperienze politiche che si stanno saldando sarà quello  di combattere il modello di potere espresso da Valente e Verdini, quel saldarsi degli interessi criminogeni tra politica, imprenditoria al soldo del potente di turno, e forme di criminalità.

Qui al Sud tale modello di potere potrà trovare, da un lato, nuove forme di espansione, perché è qui che si fa sentire più forte la crisi economica, è qui che può essere più semplice cadere nei tranelli e negli accordi sporchi. Dall’altro lato, però, è proprio qui a Sud che sarà possibile sviluppare una concreta resistenza a tale tentativo: partendo da Napoli per poi propagarsi in altre realtà meridionali, sarà compito arduo ma necessario dare sostanza politica al meridionalismo del nostro tempo, immaginando nuovi spazi di partecipazione orizzontali e non verticistici, proponendo nuove politiche economiche e redistributive, nei limiti praticabili, togliendo e tagliando i tentacoli dell’affarismo e delle camorre dall’economia e dalle nostre città.

Sarà complicatissimo se non impossibile, non nascondiamocelo. Ad alcune vittorie si succederanno sconfitte cocenti, Napoli potrebbe a lungo restare un’esperienza isolata.

Noi non dovremo mai più perdere il filo da tessere assieme. Dovremo sempre trovare la nostra strada del Sud, per ribaltare la visione dell’Italia e dell’Europa totalmente nordcentrica, in termini economici, politici, sociali.

Il potere reale è altrove da qui, lo sappiamo. Ma alle loro marionette da potere dovremo opporre la nostra capacità di non arrenderci al “puzzo del compromesso morale”, e restare allegri, schietti, inclusivi, solari: in una parola, Mediterranei.

Cronache da una colonia

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di Salvatore Legnante

Il 27 Aprile del 1937 moriva, nelle carceri fasciste, Antonio Gramsci, uno dei primi grandi intellettuali ad aver strutturato in pensiero concreto la questione meridionale. Perché parlarne oggi, a quasi 80 anni dalla sua morte? Perché ciò che Gramsci teorizzò, e cioè che la questione meridionale nascesse da un accordo di fatto tra classe imprenditoriale del Nord e latifondisti del Sud, dopo che il Risorgimento era stato, per le popolazioni meridionali, anche e soprattutto sterminio di contadini ribelli, è ancora attuale.

Oggi le cronache da queste parti parlano ancora di un trattamento simil-coloniale. Al saldarsi degli interessi tra imprenditori e latifondisti, viene oggi sostituito la connivenza tra classe politica nord-centrica e imprenditoria camorristica locale: il ricatto, per le popolazioni meridionali, resta lo stesso. E’ cronaca di ieri la nuova indagine sui rapporti tra clan dei casalesi e il maggior esponente del PD campano, Stefano Graziano, eletto al consiglio regionale con circa 16mila preferenze.

Noi non esultiamo per i guai giudiziari di un partito o di un altro. E’ miope tale atteggiamento. Noi riteniamo che tali legami vadano spezzati, una volta per sempre. La magistratura ha fatto fino in fondo il suo compito. I capi dei clan sono in carcere. La camorra è in difficoltà. Ma lo Stato non ha vinto. Non ha vinto perché restano in piedi le logiche di connivenze e di traffico di consenso che fanno ancora dei nostri territori colonie interne, in mano ad interessi poco puliti e politici sotto ricatto.

E’ per questo che riteniamo che le risposte vadano cercate in modelli politici ed amministrativi autonomi. Non possiamo più fidarci di partiti nazionali, in cui i rappresentanti locali rispondono ad interessi di corrente e di segretari lontani, piuttosto che dei loro elettori. Non possiamo più fidarci delle logiche filocamorristiche, che pretendono di piegare le istituzioni di città come Napoli al volere del presidente del consiglio. Non possiamo più piegarci ai velati ricatti di un segretario nazionale del PD, primo ministro, che non si degna di chiamare il sindaco della più grande città del mezzogiorno per discutere di camorra, e che trasforma la prefettura in una sede elettorale del suo partito.

Noi dobbiamo slegarci da tali logiche e capire una volta per tutte che la nostra liberazione dobbiamo conquistarcela da soli, senza attendere elemosine e senza più chinare il capo. Né davanti ai camorristi, né davanti ai presidenti del consiglio. Dobbiamo rivendicare rispetto, e dobbiamo preparare una classe dirigente autonoma che risponda al Sud, non ai capi partito. E, come fatto con Luigi de Magistris a Napoli, dobbiamo trovare gli interlocutori giusti.

Non sarà un percorso semplice.

Non sarà un percorso breve.

Ma alternative non ce ne sono: in nome di un Sud finalmente libero dalle connivenze, dai ricatti e dalle mafie abbiamo il sacrosanto dovere di metterci in cammino. Ora. Anzi, MO!

Quel pensiero del Sud inviso agli intellettuali italiani.

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Il professor Paolo Macry, sull’edizione odierna del Corriere del Mezzogiorno, rileva la nascita a Sud di una nuova “questione meridionale” basata sul “NO PROGRESS”, e cioè sull’opposizione tout court a qualsiasi ipotesi di modernizzazione: “in Puglia trivelle ed acciaierie, in Basilicata i pozzi petroliferi, in Campania i termovalorizzatori e la ristrutturazione delle aree dismesse”. A tutto si dice no, scrive Macry, e a mettersi di traverso sono “leader politici, amministratori pubblici, movimenti”. La personificazione politica di questo Meridionalismo No Progress , secondo Macry, è Luigi de Magistris, che sta conducendo la sua campagna elettorale sull’immagine dell’uomo solo contro i poteri forti.

La visione di Macry appare quantomeno limitativa, per svariati motivi. Non è il caso qui di questionare, alla Pasolini, sul significato filologico, etico e politico della parola “progresso”, se essa risulta svincolata dallo “sviluppo”: riteniamo che il professor Macry abbia studiato a fondo gli Scritti Corsari dell’intellettuale friulano e sia giunto alle sue conclusioni credendo che oggi, a rappresentare il progresso nel Sud, possano essere le trivelle e le acciaierie della Puglia, i pozzi petroliferi della Val d’Agri, i termovalorizzatori di Acerra o Napoli Est e gli interventi espropriatori e calati dall’alto su Bagnoli.

Noi non siamo d’accordo: noi non riteniamo affatto che a Sud stia nascendo un meridionalismo che si vuole opporre al progresso.

Noi riteniamo al contrario che il Sud stia acquisendo una consapevolezza forte su ciò che gli è stato per decenni spacciato per sviluppo e che invece ha significato anche e soprattutto devastazione ambientale, continuo ricatto tra lavoro e salute (come nel caso Ilva di Taranto), cattedrali nel deserto slegate dalle naturali vocazioni dei territori, arricchimento di pochi (i “prenditori” spesso denunciati da de Magistris) e sostanziale impoverimento dei tessuti urbani.

E’ questa consapevolezza che sta iniziando a fare paura ai soliti noti, ai gruppi editoriali di potere, ai politici teorici del ghe pense mi , dimentichi della pratica democratica del confronto. Questa presa di coscienza del Sud non è affatto un ostacolo al progresso, è al contrario una richiesta pressante di una nuova idea di progresso, di sviluppo sostenibile, di nuove pratiche sociali.

Editorialisti, professori universitari, intellettuali dovrebbero salutare con entusiasmo il risveglio democratico del Sud, e imparare a vedere al di là delle contingenze di turno: finalmente il Sud sta riscoprendo la sua vera vocazione, essere soggetto di pensiero e non semplice oggetto di potere.

Il Sud oggi vuole pensare e pensarsi da sé, senza interventi esterni. E’ una questione di orgoglio, senso d’appartenenza, identità, chiamatela come volete: il Sud inizia a chiedere finalmente autodeterminazione, autonomia, ricerca continua e costante delle risposte che più possono favorire l’uscita dalla drammatica crisi di questi anni, attraverso le proprie risorse, le proprie idee, le proprie intelligenze.

Allo stato italiano non chiede altro che un semplice principio: equità. Mettere i territori meridionali nelle stesse condizioni infrastrutturali, scolastiche, sociali degli altri, attraverso politiche di redistribuzione di dignità, essenzialmente.

Un caso esemplificativo è Bagnoli. Al governo Renzi è stata chiesta la bonifica, secondo un principio riconosciuto dal consiglio di Stato, e cioè che chi inquina paga. Poi, il modello di sviluppo di quell’area non può essere politicamente espropriato dalle prerogative della città. È un colpo di mano che lede i diritti democratici di una comunità. Bagnoli è un simbolo, non può essere oggetto di scambio.

E’ per questo che la parola d’ordine della campagna elettorale di Napoli, città emblema del mezzogiorno, è AUTONOMIA.

L’immagine di Napoli è stata finalmente riscattata in questi anni, e questo lo sentono i cittadini comuni più che i professori universitari che pontificano dalle pagine di giornali asserviti a taluni poteri: ora è il momento di continuare a lavorare, sapendo benissimo che enormi problemi restano da affrontare, che ci sarà bisogno di tempo e determinazione costante.

La strada, però, è tracciata: Napoli e il Sud hanno intrapreso il cammino che li porterà ad essere territori liberi, nuovamente protagonisti di quel Mediterraneo che riscoprirà di essere il faro, il porto e l’àncora della civiltà occidentale e mondiale.

Di Salvatore Legnante

MO: i prossimi appuntamenti

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Sabato 20 Febbraio 2016, si terranno presso la Casa della Paesologia, a Trevico (AV), i parlamenti comunitari organizzati da Franco Arminio per la seconda festa (sessione invernale).

Interverranno in rappresentanza di Unione Mediterranea, Marco Esposito e Salvatore Legnante. Durante la giornata si ricorderà Ettore Scola nella casa in cui è nato.

 

Domenica 21 Febbraio 2016, ore 09:00

presso il Centro Sociale di Rionero in Vulture (PZ) si terrà l’incontro-dibattito sul tema “Meridionalismo e Petrolio”, promosso da Giuseppe Di Bello. Sono previsti interventi della prof.ssa Albina Colella, di Pino Aprile e di Marco Esposito.

Centri commerciali, camorra e perdita d’identità

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di Salvatore Legnante

Se può esserci un caso emblematico dell’estrema urgenza e necessità di un movimento meridionalista, che nelle nostre terre dia il senso e una nuova visione di cosa deve essere la politica, beh questo caso è rappresentato dall’affaire Jambo, che nei giorni scorso ha portato alla ribalta l’ennesima dimostrazione di quanto sia incancrenito il rapporto tra camorra e istituzioni in taluni territori del Sud, e in particolar modo nell’agro aversano.

Una terra in cui malavita e politica hanno dato vita, per decenni, ad una vera e propria trattativa, un do ut des vantaggioso per entrambe le parti in causa, che ha condannato i cittadini a subire ancor più che in altre zone del Sud la condizione coloniale perpetrata dall’Italia.

Oggi che lo Stato ha finalmente messo in campo una reazione che ha portato alla decapitazione dell’ala militare dei clan, restano però le scorie tossiche dei colletti bianchi, dei gattopardi, di quei politici che hanno beneficiato dei voti e dei favori dei clan camorristici.

L’affaire Jambo, dicevamo, è emblematico. Un centro commerciale controllato da Michele Zagaria, il boss che con Iovine ha assunto, negli ultimi anni, la reggenza del clan camorristico comunemente conosciuto come ‘dei casalesi’, secondo l’abitudine tutta italiana e tutta coloniale di identificare un intero popolo come malavitoso. I camorristi sono camorristi, i casalesi sono soprattutto altro.

Il controllo avveniva – secondo gli inquirenti – con il consenso e l’appoggio della malapolitica, dei sindaci della zona, in particolar modo di Michele Griffo, primo cittadino di Trentola Ducenta, al momento latitante.

Una forza politica, in casi del genere, deve chiedersi come e perché sia potuto avvenire tutto questo, e quali azioni si possono mettere in campo.

Ecco, noi non riteniamo che quello che è avvenuto a Trentola, per il Jambo, sia un mero problema di criminalità organizzata. Non riteniamo neanche che sia sufficiente dare la responsabilità a quei politici che non si fanno scrupolo di fare affari con la camorra. Quello che è avvenuto, e che purtroppo avviene in altre realtà meridionali, è il frutto di un avvelenamento culturale, per meglio dire di un genocidio culturale.

Cos’è la presenza massiccia dei centri commerciali, concentrati in pochi km quadrati, se non il segno della perdita dell’identità dei nostri territori? Tra le province di Napoli e Caserta sono sorti in meno di un decennio numerosi di questi mostri  della modernità, che spesso hanno fatto scempio di beni artistici (come nel caso del Campania, a Marcianise), o sono stati utilizzati anche come discarica (Vulcano Buono, a Nola). Le nostre terre, le nostre campagne, sono state letteralmente svendute, sia praticamente che culturalmente: il controllo è passato facilmente ai clan camorristici, ed in cambio di pochi soldi un territorio a vocazione agricola ha cambiato forma, omologandosi a qualcosa di altro da sé.

La camorra e la malapolitica hanno avuto vita facile: perché operavano in zone senza più memoria, senza più identità, senza più legami con quella cultura contadina che faceva di quelle campagne le più fertili d’Europa. Da terra di eccellenze alimentari, di piccoli produttori, di artigiani, siamo stati consapevolmente portati a diventare terra di consumatori di merci prodotte altrove, svendendo noi stessi. I centri commerciali sono un totem del colonialismo italiano: al Sud la presenza della criminalità organizzata, assieme alla parte peggiore dei partiti politici, ha fatto sì che potesse sembrare progresso e sviluppo quella che era in realtà la morte civile del nostro modo di essere.

Il Campania, il Medì, il Jambo, l’Auchan, la Reggia Outlet, le Porte di Napoli, il Vulcano Buono, ecc.. sono sorti sulle macerie di un’identità collettiva e di una cultura contadina perduta, svilita, vista come retrograda. Può dirsi oggi sviluppato un territorio che ha visto sostituirsi quella cultura al consumismo senza regole di cui quei mostri sono il simbolo? Consumismo di cui si è nutrita, letteralmente, la camorra.

E’ per questo che un movimento politico meridionalista non può limitarsi a fare di casi come quelli del Jambo una semplice questione criminale. E’ una questione culturale, oltre che giudiziaria e politica. Una forza meridionalista deve interrogarsi sul modello di sviluppo futuro che i nostri territori possono avere,  tenendo sempre fortemente presente quell’identità svenduta e sottovalutata da tutti gli altri partiti di matrice italiana e perciò coloniale.

Abbiamo il dovere di proporre iniziative contro i legami tra mafie e politica che ancora oggi, purtroppo, imperversano in tanti comuni meridionali, abbiamo il dovere di sostenere quelle esperienze politiche che stroncano ogni giorno questi legami (pensiamo alla Napoli di De Magistris, che ha messo alla porta clientele ed affaristi camorristici, pensiamo a Renato Natale, che a Casal di Principe ha ridato orgoglio al suo popolo denigrato, ecc..), ed in più abbiamo il sacro dovere di essere degni della nostra identità, storica, territoriale, culturale.

Solo così, riteniamo, potremo finalmente togliere ossigeno alla malapolitica, che è la forma più perversa e pericolosa di camorra presente nella nostra terra, nobile e disgraziata.

‘Perché sei restato a Napoli?’

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di Salvatore Legnante

Maurizio De Giovanni, nel corso della presentazione del suo ultimo romanzo, Cuccioli, sabato 12 dicembre a Casoria (NA), ha raccontato lo stupore che lo ha colpito quando ha ricevuto questa domanda da una giornalista del Corriere della Sera.

In genere, ha detto De Giovanni, ci si chiede perché uno ha lasciato la propria città, non perché è rimasto. In genere. Non in Italia, non al Sud. L’innocente domanda della giornalista del Corriere, infatti, altro non è che una proiezione di quel ‘colonialismo introiettato’ di cui è pervaso l’establishment culturale – ma non solo – italiano.

Chiedere ad un napoletano di successo, quale è De Giovanni, uno degli scrittori più letti e tradotti,  chiedergli perché non è andato via dalla sua terra, da Napoli, rispecchia la visione che l’Italia ha del Mezzogiorno: una terra da cui fuggire. Una terra ostile al talento. Una terra da cui disinvestire in cultura e alta formazione. E’ la visione che i vari governi succedutisi soprattutto negli ultimi venti anni hanno impresso alla nostra terra, con le loro politiche improntate a disincentivare il diritto allo studio al Sud, coi vari tagli alle università meridionali.

Una politica che tenta in ogni modo di anticipare il momento della fuga dal Sud: ci dicono, con atti e fatti concreti, che è inutile restare qui, che l’Italia ha abbandonato il mezzogiorno, che qui al massimo ci si può tornare a trovare i parenti, una volta al mese, ma se ci vogliamo ‘realizzare’ dobbiamo andare altrove. Dobbiamo prendere un treno ad alta velocità, che infatti collega il Bel Paese soltanto lungo la direttrice Sud – Nord, e non in senso inverso, e dobbiamo andare a studiare in una delle università settentrionali, più funzionali e più aiutate dallo Stato, perché è lì, a Milano, Torino e Bologna che c’è speranza di futuro.

Anticipiamo la partenza, sembra dirci l’Italia. Anticipiamo lo spaesamento, lo sradicamento, abbandoniamo una terra abbandonata dallo Stato, troppo preso da altro per pensare al Mezzogiorno, un problema, anzi, un fastidio, presente nel dibattito politico italiano soltanto un paio di settimane all’anno, dopo il rapporto Svimez a cui seguono sempre promesse di impegno, che si rivelano poi solito fumo negli occhi. Ultimo esempio, il Masterplan per il Sud, annunciato in pompa magna dal governo Renzi, non meno leghista, de facto, dei governi che vedevano al loro interno ministri in camicia verde.

Oggi una forza politica meridionalista deve seguire innanzitutto due strade: opporsi ‘ideologicamente’ a questo abito mentale che vuole il Mezzogiorno terra da cui fuggire, appena possibile,  e lottare ‘concretamente’ per invertire la rotta, contro atti, leggi e disegni che vanno nella direzione indicata, quella dello spostamento coatto da Sud verso Nord.

E’ una battaglia durissima, quella contro il ‘colonialismo introiettato’. Perché non coinvolge soltanto la politica, ma tutto il sistema di potere di un Paese abituato a pensare a Nord e da Nord.

E’ una battaglia di resilienza, una battaglia controcorrente. Convincere i giovani a provare a restare qui, invece di immaginarsi altrove come gli impongono tutti.

E’ un lungo cammino, in salita, su un sentiero aspro. Ma è l’unico cammino che vale la pena di percorrere.

Progetto NA: se si sveglia Napoli, si risveglia il Sud

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di Salvatore Legnante

Un progetto che parla a tutto il Sud. E’ questo il senso più alto di NA – Napoli Autonoma, il programma di governo per la città emblema del meridione, che MO – Unione Mediterranea ha presentato assieme al sindaco partenopeo Luigi De Magistris.

Perché l’autonomia che vogliamo non è soltanto un’autonomia fiscale, tributaria.
L’autonomia che vogliamo è innanzitutto liberatoria: dagli stereotipi che ci vogliono città assistita, come tutto il Sud, dal convincimento, a volte introiettato, che non siamo capaci di governare i nostri territori, e che perciò abbiamo bisogno sempre di un ‘liberatore’ esterno che venga a salvarci.

L’autonomia che vogliamo è positiva, propositiva, non recriminatoria: una grande capitale del Mediterraneo quale è Napoli sente fortemente di poter dare molto di più, in termini di cultura, di sviluppo umano, di espressione di sé, liberandosi da quella che in questi ultimi anni è stata percepita sempre più spesso come un’elemosina da parte dello Stato italiano, che attuando il federalismo fiscale in salsa leghista ha sistematicamente dimenticato la solidarietà, tendendo invece ad accentuare le distanze economiche e sociali tra le due Italie.

L’autonomia che vogliamo, inoltre, è costituzionale, perché siamo consapevoli che la nostra deve essere una battaglia seria e pragmatica, non propagandistica. E per far ciò dobbiamo rispettare la Costituzione, anzi darne piena attuazione, anche di quegli articoli spesso dimenticati. L’art. 119 della carta costituzionale infatti declina già il concetto di autonomia per le Città Metropolitane, ed è nel solco di tale visione che intendiamo muoverci, per far sì che il nostro progetto si concretizzi.

L’autonomia che vogliamo è soprattutto assunzione di responsabilità, affinché le forze sane del meridionalismo si affranchino da un’idea eternamente minoritaria, e comincino a capire che è arrivato il momento di scrivere per davvero il futuro della nostra terra, al fianco di attori politici che hanno dato prova evidente di essere totalmente alternativi ad un sistema partitico italiano che ha sempre dimenticato il Mezzogiorno.

L’autonomia che vogliamo guarda finalmente al futuro di Napoli, e di tutto il Sud, avendo sempre impresso il ricordo di una terra storicamente indipendente, che a partire dalla sua città simbolo può tornare ad essere uno snodo centrale e cruciale del grande pensiero mediterraneo.

RipartiaMO. Dal Sannio, dal Sud.

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MO – Unione Mediterranea ha scelto di aiutare i sanniti a ridipingere le loro case sporcate dal fango. Un piccolo gesto, quello della consegna dei bidoni di pittura bianca raccolti nel corso dell’iniziativa “RidipingiaMO il Sannio”, ma significativo per cercare di essere vicini ad un popolo così orgoglioso e voglioso di tornare alla normalità.

Un gesto che si va ad aggiungere alle migliaia di piccoli aiuti concreti che sono scattati in una fondamentale gara di solidarietà, per dare risposte ad un territorio che in un momento di difficoltà si è ritrovato abbandonato da molti esponenti istituzionali.

Siamo stati a Ponte, sabato 28 novembre, ed abbiamo potuto constatare quanto lavoro ci sia ancora da fare per ripristinare strade, mettere in sicurezza gli argini, riparare collegamenti elettrici e telefonici.

Un luogo simbolo del Sud, il Sannio abbandonato. Simbolo perché è parte di quel Mediterraneo interiore, dell’appennino meridionale, di quelle terre dell’osso, da sempre scomparse dai ragionamenti e dalle narrazioni politiche. Ed è invece proprio da lì, da quelle terre, che un movimento meridionalista e mediterraneo come il nostro può raccontare una nuova politica, che parli di un nuovo sviluppo e di nuove possibilità di integrazione, affinché quei luoghi non siano più solo e semplicemente posti da cui andarsene, ma possano essere visti anche come terre da recuperare, nella loro splendida identità che li rende ancora, tutt’oggi, luoghi speciali.

Crediamo che sia necessario ripartire dal Sud. E ripartire proprio da quei luoghi che sono ancora più Sud, più periferici, più dimenticati. Ed è per questo che non dimenticheremo le immagini del fango dal quale il Sannio sta orgogliosamente riemergendo.

Pasolini, uomo mediterraneo

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di Salvatore Legnante

Ricorrono in questi giorni i 40 anni da quella tragica notte all’idroscalo di Ostia, in cui si spense una delle voci più coraggiose, autentiche e libertarie del ‘900.

Pier Paolo Pasolini non è stata una stella singola nel firmamento della cultura italiana del secolo scorso. È stata una costellazione. E nel suo splendore, ha dato luce alla sua visione mediterranea della vita, e al suo profondo amore per i Sud che ha attraversato.

Lui, nato a Bologna, cresciuto nel ventre del Friuli, può essere sicuramente annoverato nel Pantheon di un movimento politico che si rifà a valori meridiani per riscattare le terre del Sud.

Il Pasolini che riscopre i Sassi di Matera e gli dà nuova vita nel “Vangelo secondo Matteo”, il Pasolini che nei suoi scritti difende la cultura popolare partenopea, il Pasolini che entra nelle periferie con la stessa grazia con cui viaggia nel ventre di Napoli, senza giudicare, ma ritenendo l’espressione di quei luoghi delle necessarie resistenze alla omologazione piccolo-borghese voluta dal centro e dal Potere, ecco quel Pasolini è un gigante della cultura Mediterranea.

Si può essere figli nobilissimi del meridione pur non essendoci nati, si può penetrare nelle viscere del Sud, arricchendolo e arricchendosene, anche se si arriva dal profondo nordest di Casarsa, si possono leggere le stupende contraddizioni di questa terra nobile e disgraziata anche con gli occhi privi del pregiudizio ma vivi di un’intelligenza pura, di un’innocenza tenera, di una fragilità commovente.

Il Pasolini mediterraneo è quello che scrive che lo sviluppo non è di per sé un concetto positivo, se si tratta di rinunciare a cuor leggerissimo a culture come quelle legate alla terra, senza ottenere un effettivo progresso per chi ne subisce gli effetti più devastanti, da quelle perdite. E’ profetico, Pasolini, per quello che è capitato a tanti territori del Sud, che hanno visto un modello di sviluppo imposto da altri luoghi, dalla politica che ha sempre avuto cervello e cuore spostato a Nord di questo paese.

Profetico perché quello che è successo – ad esempio – alla Taranto devastata dall’Ilva niente altro è che questo: la perdita di culture storiche a favore di uno sviluppo, incensato da tutto il Potere dell’epoca, che oggi mostra il suo lato brutale, con una città perdutamente inquinata.

O ancora, è profetico nel demolire il mito fasullo di un incessante sviluppo industriale che aveva fatto sparire le lucciole, e che nell’ex Terra di Lavoro (cantata nelle Ceneri di Gramsci) ha poi acceso i   roghi tossici, figli anche essi della facile rinuncia che l’Italia del boom economico aveva accettato del Sud testardamente agricolo.

Un Intellettuale acutissimo, immaginifico lettore della storia e dei suoi tempi, cantore della geografia meridionale, una geografia commossa e commovente, come il suo amore per i Sud: anche questo è stato Pier Paolo Pasolini, magnifica e appassionata anima Mediterranea.

Il dramma di Benevento. Aiutiamolo noi, da ogni parte del Sud.

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Salvatore Legnante

Risulta difficile, di fronte alle tragedie vissute in questi giorni dalla città di Benevento, e dai sanniti, trovare le parole giuste per non cadere nella retorica, nel bizantinismo del già detto, nel ‘solito piagnisteo’ di cui ti accusano a prescindere, in quanto meridionale.

Risulta difficile evitare di pensare ai presidenti del consiglio, ad esponenti della classe dirigente di questo paese, ai mass media, che sembrano sempre comportarsi in maniera differente anche rispetto alle calamità naturali, guardando come al solito alla latitudine dell’evento, se accaduto a sud o a nord di una certa linea.

E perciò cerchi una spiegazione più razionale e più umana di quella del colonialismo interno, se il Gargano o la provincia di Messina o oggi Benevento piangono morti e devastazioni senza il conforto né morale né pratico di un solo rappresentante  istituzionale  di stanza a Palazzo Chigi.

Cerchi di capire perché ti senti sempre e più cittadino di serie B, in questa Italia, ogni giorno figlio minore di una nazione mai nata, mentre vedi le immagini di un territorio come il Sannio, e di una popolazione così nobile e lavoratrice, e di una settantina di aziende agro alimentari di eccellenza, che coi loro circa 500 dipendenti sono in tremenda difficoltà e lasciate sole, sempre, non soltanto in questo momento tragico.

Ora però agiamo.

Non possiamo lasciarli soli, i nostri fratelli sanniti. Aiutiamoli in qualsiasi modo, facciamogli sentire la nostra vicinanza, attraverso una delle tante iniziative spontanee che stanno nascendo dalla rete, e andiamo lì, nei luoghi della tragedia, a dare una mano concreta, un conforto, un saluto.

Oggi il Sud è il Sannio. E’ per questo che MO-Unione Mediterranea sarà presente nel fine settimana, a Benevento, per aiutare ed abbracciare un popolo così orgoglioso.

Il  Sannio deve risollevarsi. Aiutiamolo, noi. Da ogni parte del Sud.

 

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