Le voci di dentro

L’Italia “unita” sta correndo ai ripari. Come era prevedibile, visto il successo turistico smisurato di Napoli durante il periodo natalizio, le altre città d’arte devono attrezzarsi per prepapare al meglio la Pasqua e la stagione estiva. Se Napoli non rientra nel buco oscuro dove è stato deciso da 155 anni che debba essere conficcata, c’è da preoccuparsi: vuoi vedere che viene alla luce che è la città con la più alta concentrazione di beni culturali d’Europa?
Così, finite le feste, comincia la nuova campagna antinapoli. Ieri sera, 9 gennaio, va in scena su Rai 1 “Cose nostre” il solito programma sulla camorra, anzi sulla Napoli camorrista, che riduce tutto ad una dimensione: quella che deve essere messa in risalto per danneggiare la città e favorire altri territori.
Tremila anni di arte e di storia, benedetti da un ripetuto riconoscimento internazionale, gettati via in un baleno.
Non che la camorra non esista, ma è uno schizzo putrefacente finito su una meraviglia sorprendente. Se veramente la si vuole combattere e vincere, lo si deve fare valorizzando, incentivando, sviluppando e diffondendo tutto quello che le è estraneo, a cominciare dalla bellezza e dalla vivacità della città e dalla solarità e spirito di sacrificio delle persone che la abitano.
Ma io non credo nella buona fede dell’Italia, che dice di voler combattere la criminalità organizzata e poi la alimenta con una cultura di discriminazione e di morte e la usa per i traffici della parte industrializzata del Paese.
Ho fotografato la “Fontana della Maruzza”, appena restaurata, un piccolo gioiello del ‘500, come una pietruzza incastonata su un anello. All’inaugurazione, il sindaco De Magistris ha detto: “noi non abbiamo avuto alcun sostegno, non abbiamo avuto il Giubileo, l’Expo o eventi finanziati dallo Stato e dal Governo. Tutto quello che si sta facendo e che porta Napoli ai vertici del turismo internazionale è frutto del lavoro di questa città”. Esattamente questo.
Ed ora prego cortesemente tutti i sapientoni ascari che si sentono in dovere di precisare, puntualizzare, ribadire e offendere la propria città per dare corpo alle “voci di dentro”, gli obblighi coloniali introiettati da un secolo e mezzo di educazione alla soggezione, che risuonano imperiose nelle loro identità inferme, di evitare di commentare questo post. Ieri sera ho già vomitato.