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Primarie Pd. Renzi riprende forza e vince? No, è solo dopato.

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di Raffaele Vescera

Primarie Pd. Renzi vince facile nelle sezioni Pd governate dai capetti suoi dipendenti, anche al Sud, ahinoi. in Campania, per dire, c’è De Luca, in Sicilia Crocetta, in Basilicata Pittella e così via, le cui carriere politiche, e anche giudiziarie, in un partito di nominati, dipendono dal capo del partito che, con un sì e con un no, può decidere del loro destino. Solo in Puglia, dove Emiliano è scarsamente ricattabile dal capo e ha la forza per sfidarlo, le cose vanno diversamente, vince il governatore pugliese.

Qualcuno ha fatto il raffronto tra il risultato plebiscitario del Sud contro Renzi del referendum costituzionale del 4 dicembre e quello a suo favore di questi giorni nelle sezioni di partito, leggendolo impropriamente come una “rivincita” dell’ex premier dato in forte rimonta, che dal 70% contro dei voti meridionali sarebbe passato ad averne quasi altrettanti a favore. Il raffronto tra i due voti è però improponibile. Il 4 dicembre hanno votato elettori veri, liberi da incarichi e ricatti di potere, nelle sezioni invece ha votato un folto ceto politico di dirigenti di partito, amministratori locali, sindaci, consiglieri provinciali, comunali e di circoscrizione, portaborse e faccendieri, tutta gente più o meno interessata alla reiterazione del sistema renziano.

Ma non si illudano, il Sud è altro da loro, il M5S è ampiamente la prima forza politica, i movimenti meridionalisti sono in avanzata fase di costruzione e crescita, il Mezzogiorno è in uno stato avanzato antisistema, non certamente contro il sistema democratico, ma contro quello dell’alleanza tra potere finanziario del nord e quello clientelare mafioso del Sud, entrambi minoritari eppure dominanti, in virtù della conquista del maggiore partito dell’ex sinistra che un tempo frenava gli appetiti degli uni e degli altri.

Il Sud vive un momento di riscatto culturale e politico, frutto della consapevolezza dello stato di minorità economico-sociale cui è costretto dallo stato che si fa beffe della costituzione e nega parità di diritti ai cittadini meridionali. Finanziamenti pubblici, per il lavoro, i trasporti, l’istruzione, la salute e quant’altro, tutto è ampiamente meno al Mezzogiorno. Checché ne dicano leghisti e affini. La spesa pubblica dello Stato per il Sud è di appena il 22%, a fronte del 34% della popolazione italiana che vi risiede. Il restante 78% è destinato al 66% di cittadini del Centronord. La sproporzione è vergognosa, persiste da un secolo e mezzo, e spiega l’arretratezza delle regioni meridionali. Vedi i dati pubblicati ieri dal giornalista economico Marco Esposito su Il Mattino di Napoli.

La protesta del Mezzogiorno a tali discriminazioni esplode e si riversa ovunque, dal respingimento di Salvini a Napoli, alla lotta contro la devastazione petrolifera in Basilicata, fino allo scempio del gasdotto in Puglia e ad altre battaglie territoriali. I meridionali non più “sudditi” di clientele politiche ma cittadini consapevoli dei propri diritti, sanno quello che vogliono e non sono più controllabili dai partiti “tradizionali” (affezionati all’italica tradizione della pagnotta, per dire).

Detto ciò, Renzi non avrà vita facile al Sud nei prossimi appuntamenti elettorali, dalle primarie popolari del 30 aprile, alle amministrative di giugno fino alle prossime elezioni politiche. Non si illuda. A proposito di primarie popolari del Pd del 30 aprile, tra gli elettori non iscritti al Pd gira la battuta che una spesa di due euro val bene la soddisfazione di mandare a casa Renzi per sempre. Ne gioverà Emiliano? Vedremo, vero è che il governatore pugliese è molto meno inviso all’elettorato meridionale di quanto lo sia Renzi, visto come il rappresentante del potere finanziario del nord.

La storia (della s.s. 106) si ripete

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Meno di un mese fa denunciavamo qui lo stato di abbandono in cui versano le infrastrutture meridionali. Purtroppo veniamo a conoscenza che la delibera n°41 del 10/08/2016, riguardante il progetto di realizzazione del Megalotto 3° della S.S. 106 Jonica, dall’innesto con la S.S. 534 fino a Roseto Capo Spulico, è stata ritirata ancor prima che la Corte dei Conti potesse esprimersi sulla sua validità.

Secondo una procedura non ufficiale, il cui scopo è quello di tendere a perfezionare ogni progetto coinvolgendo i diversi attori istituzionali, il CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) emana delibere di rilevanza economia strategica e le trasmette al DIPE (Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della Politica Economica), che redige un testo definitivo dei provvedimenti adottati e li passa al Ministero dell’Economia e delle Finanze.

In seguito, dopo un iter di formalizzazione che coinvolge anche il Presidente del Consiglio dei Ministri, le delibere sono inviate alla Corte dei Conti per dovute verifiche prima di approdare in Gazzetta Ufficiale in caso di riscontri positivi. Ebbene, la delibera riguardante il Megalotto 3° della S.S. 106 aveva raggiunto l’ultimo step, essendo ormai sottoposta al giudizio della Corte dei Conti, proprio nel momento in cui la petizione promossa dall’associazione “Basta Vittime Sulla Strada Statale 106” e diretta al Presidente della Repubblica aveva raggiunto oltre le 24000 firme.

Peccato che ci si sia resi conto di qualcosa che non andasse prima che la Corte si pronunciasse e la delibera è stata ritirata. Secondo il direttivo della stessa associazione, da quanto dichiarato tramite comunicato stampa dell’01/03/16 ( e che può essere rintracciato sulla pagina fb dell’associazione), la responsabilità di quella che si può a tutti gli effetti considerare come una presa in giro è soltanto di natura politica.

Sembrerebbe che la volontà dell’ormai ex-Presidente del Consiglio Renzi di avviare l’iter per l’approvazione del progetto fosse stata solo una trovata per raccogliere voti a favore del referendum costituzionale di dicembre 2016 che come tutti sappiamo, suo malgrado, lo ha costretto alle dimissioni. In altre parole, si sapeva che il progetto non fosse pronto ma il mese di agosto non era il momento giusto per dire di no alle richieste dei Calabresi. E nel frattempo, nel 2017, le vittime sulla S.S. 106 sono già due, che si sommano alle 32 del 2016.

Si conferma inoltre, l’incapacità e la subalternità del governatore Oliverio ai capibastone del PD che, a fatti compiuti – dicendosi stupito di quanto è avvenuto -, tramite nota stampa fa sapere di voler chiedere urgentemente un tavolo col Ministro delle Infrastrutture Delrio per fare il punto sulle motivazioni che hanno portato a questo dietrofront.

Delle due, l’una: Oliverio è in cattiva fede, oppure no. Nel primo caso, inutile aggiungere commenti a condimento della farsa confezionata dal partito antimeridionale per eccellenza. Nella seconda ipotesi, si conferma – in seno ai partiti nazionali – un disinteresse ed una preoccupante disaffezione nei confronti del mezzogiorno. Una disaffezione talmente tanto istituzionalizzata da costituire un freno all’azione amministrativa di elementi che – nominalmente – ricoprono posizioni di spicco nelle gerarchie partitiche, ma che evidentemente hanno la colpa di amministrare “a Sud”.

Noi non vogliamo più farci prendere in giro. In nessuno dei due casi, il PD ci serve. MO! basta!

Il rottamatore è stato rottamato…dal Sud.

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Il popolo ha rifiutato nel merito una riforma pasticciata e neo centralista, un rifiuto politico che delegittima il governo più anti-meridionale di sempre. Il rottamatore è stato rottamato. Soprattutto al Sud con picchi di sfiducia nelle isole. La Sicilia e la Sardegna si attestano capitali del NO insieme alla Campania. In Calabria, Puglia e Basilicata le percentuali superano il 65% e la provincia di Napoli raggiunge punte del 70%. Il No ha vinto ovunque tranne che in Toscana, Emilia Romagna e nella provincia autonoma di Bolzano.

La risposta negativa al Sud è stata netta e ha fatto la differenza. Solo chi è legato o orientato dai partiti nazionali può affermare che questo risultato non rappresenti un segnale di grande insofferenza sociale verso politiche discriminatorie e nord-centriste che hanno condannato, mai come in questi anni, i territori meridionali a subalternità politica ed economica. L’esecutivo Renzi ha sbagliato tutto con il Mezzogiorno: non accorgersene riduce la dialettica politica contingente ad una versione di favore di chi non non tiene conto (o non sa interpretare) il sentimento di rabbia e ribellione che sta montando al Sud.

In questi anni di attività legislativa il Governo ha incrementato profondamente le differenze tra Nord e Sud, provando finanche ad introdurle in Costituzione con la riforma appena bocciata dagli elettori. Stiamo al merito:

-Nell’aggiornamento del contratto di programma 2012-2016 con le Ferrovie grazie alle risorse della legge Stabilità 2015 e dello Sblocca Italia, il governo ha previsto investimenti per 8.971 milioni. Destinati al Sud solo 474 milioni, al Nord tutto il resto (8.497 milioni).

-Per finanziare l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali, sono state drenate risorse dai bilanci dei Ministeri, per complessivi 700 Milioni, ma soprattutto dai fondi che le Regioni avrebbero dovuto spendere in base al Piano di azione e Coesione che gestisce gli stanziamenti europei. ll bonus fiscale, che ha reso possibile le assunzioni, si è configurato come un massiccio trasferimento di risorse dal Sud al Nord del Paese. Quasi 2 Miliardi di euro sono stati prelevati in Campania, Sicilia, Puglia e Calabria che sono serviti ad incentivare circa 538mila nuovi contratti di lavoro nelle regioni del Nord e 255mila in quelle del Centro.

-Il piano “Connecting Europe Facility“ (Meccanismo per collegare l’Europa), contenuto in un allegato al DEF 2015 contiene 7 miliardi e 9 milioni di euro per i progetti UE fino al 2020. Ecco come sono stati ripartiti: 7 miliardi e 5 milioni al centro-nord e 4 milioni al sud. L’Italia investe al sud lo 0,05% e al centro-nord il 99,95%.

-Il CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) ha previsto investimenti per 2 miliardi di euro solo al Nord. In particolare ha finanziato l’ultima tranche del MOSE per 1.2 miliardi; ha contribuito allo sblocco di opere infrastrutturali, interventi di bonifica e reindustrializzazione a Piombino e Fidenza; finanziato i contratti di filiera nel settore agricolo per 130 milioni e i progetti di sviluppo e promozione economica per i territori per un totale di 21 mln euro. Il governo inoltre ha varato un piano complessivo per il Made in Italy di 260 milioni di euro. Interessate le sole città di Milano, Firenze e Roma. Zero al Sud.

-Il governo, limitatamente ai fondi nazionali destinati al Sud e ai fondi regionali di Campania, Calabria e Sicilia, ha ridotto a un terzo il cofinanziamento italiano dei fondi europei 2014-2020. Le tre regioni meridionali hanno perso complessivamente 7,4 miliardi di euro di investimenti.

Soglie di povertà assoluta: il governo le ha calcolate in modo che risultassero più alte nel settentrione d’Italia riservando il 45% dei sussidi al Sud e il 55% dei sussidi al Nord. In tal modo è stata esaudita la richiesta delle soglie territoriali previste dalla Lega Nord nel 2005.

-Le formule sui fabbisogni standard sono state tutte pensate in modo da danneggiare i Comuni del Mezzogiorno. In particolare, per gli asili nido e l’istruzione sono stati dirottati 700 milioni di euro dal Sud al Nord. Le risorse sono state ripartite sul calcolo della spesa storica senza tenere conto dei livelli di prestazioni sociali omogenei sul territorio nazionale.

Sulla sanità sono stati attuati parametri di assegnazione dei fondi togliendo risorse ai territori meridionali dove la speranza di vita è più bassa. Il blocco del turnover nelle Università è stato intensificato al Sud poichè il merito degli atenei è stato calcolato sui redditi delle famiglie, più alti al Nord. Inoltre, per finanziare le strade provinciali e le città metropolitane è stato inserito tra i parametri il numero di occupati sul territorio, il quale è notoriamente più alto nelle zone ricche.

-Nel «Piano strategico nazionale della portualità e della logistica» in vista del raddoppio del Canale di Suez, il governo ha solo annunciato la necessità di creare le condizioni per il transito di treni porta container da 750 metri in su per i porti di Gioia Tauro, Taranto e Napoli-Salerno. Ma nessun  investimento è stato previsto a sud di Livorno entro il 2020. Diversa sorte per il traffico merci su ferro che coinvolge Genova, i porti del Nord Adriatico e il tratto Torino-Trieste.

Tra i governi più anti-meridionali della storia quello di Matteo Renzi gareggia per il primo posto, insieme ad opposizioni fantasma in Parlamento che a parte qualche colpo di tosse per facile reperimento del consenso a scadenza elettorale, non hanno saputo difendere nè contrastare il compimento e l’evoluzione trasversale del disegno leghista riassunto nello slogan “Prima il Nord“.

Il referendum costituzionale era il banco di prova per il futuro indirizzo politico del Governo. Il SI lo avrebbe reso imbattibile ed incontrastabile; il NO lo ha esautorato.

La Costituzione non può mai essere uno strumento di affermazione del potere nè un’arma di ricatto sociale. Chi è in grado di attuarla ora che il popolo si è pronunciato? Il dopo Renzi è quasi più temibile di Renzi se si osserva il panorama partitico italiano.

Il voto del 4 Dicembre segna il punto di partenza di un nuovo protagonismo collettivo in grado di rimettere al centro dei processi decisionali gli interessi delle persone e dei territori, la loro autodeterminazione e sovranità. Se c’è ancora una speranza, coincide con una visione meridiana del cambiamento, fatta di donne e uomini liberi proiettati in direzione ostinata e contraria alla deriva leghista, populista e corrotta dell’Italia di ieri e di oggi.

Il riconoscimento dei diritti della nostra terra è lotta popolare per la dignità. Attenzione perciò a non accostare o sminuire il segnale politico di resistenza che arriva dai territori meridionali alla vittoria di propaganda dei partiti nazionali: la battuta d’arresto del Governo è risposta di riscatto e autonomia dopo decenni di umiliazioni e depauperamenti.

Flavia Sorrentino

Referendum Renzi-Boschi: un NO dal Sud.

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Non rappresenta una scelta casuale quella del presidente del consiglio Matteo Renzi, di svolgere la propria campagna referendaria soprattutto nel sud Italia. Matera, Foggia, Catania, Bari, non si è mai visto un Matteo così infuocato e passionale nelle sue rotte meridionali. Eppure il motivo c’è, i sondaggi parlano chiaro: il meridione d’Italia voterà compatto per il no alla riforma costituzionale.

Credevano di esserci riusciti, che il sillogismo “ragioni virtuose sì, ragioni virtuose no”, avrebbe ben mascherato l’intenzione del governo di privilegiare le regioni del nord Italia;  lo stato di assuefazione politica nella quale ci hanno relegato in questi anni, avrebbe mantenuto la situazione sotto controllo. Così, propagandare l’abbassamento del numero dei parlamentari, la riduzione dei costi della politica, avrebbe messo in una  condizione di subordinazione  l’attenzione sulla  modifica del Titolo V della Costituzione.

Il premier non aveva però fatto bene i suoi conti con un Sud sempre più sveglio, sempre più indignato e guardingo.

Le modifiche degli articoli 116 e 117, segnerebbero la costituzionalizzazione dello status di colonia interna delle regioni meridionali, la continuazione di un filo rosso a cui si è dato inizio 155 anni fa.   Così recita il testo della Riforma: “Condizioni particolari di autonomia possono essere attribuite alle regioni […] in condizione di equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio”. E’ questa una disposizione fuorviante e discriminante, poiché, di fatto, le regioni del sud Italia non sono messe in condizione di raggiungere il pareggio di bilancio. L’Imposta Regionale sulle Attività Produttive, meglio conosciuta come IRAP, ossia l’ imposta sul Reddito prodotto dalle attività professionali e produttive, rappresenta una tassa trattenuta dalle regioni, ma non uniforme sul territorio nazionale. Le regioni settentrionali possedendo un gettito fiscale più alto, possono raggiungere più facilmente una condizione di bilancio, differentemente dal meridione che,  con una minore capacità contributiva,  potrebbero raggiungerla  solamente privando i cittadini di quei servizi essenziali spettanti di diritto. Non si tratta quindi  di virtù regionale , ma di ricchezza storica.

La riforma introduce un regionalismo differenziato discriminante, in grado di danneggiare pesantemente il meridione, inficiandolo nella possibilità di scelta in ambiti vitali quali ambiente, istruzione e lavoro , turismo, governo del territorio, politiche sociali, ordinamento scolastico.  Come dire che la Toscana potrà promuovere il turismo locale, mentre la Calabria non avrà alcuna voce in capitolo; o che  l’Emilia Romagna potrà esprimere il proprio dissenso allo   stoccaggio di scorie radioattive sul proprio territorio, a differenza della Campania che dovrà  invece sottostare alle decisioni del governo centrale.

Se virtuoso (ricco), conti e  possiedi potere decisionale, mentre, se inefficiente (povero), dovrai accontentarti di ciò che lo Stato centrale deciderà al posto tuo:  questa la logica renziana.

I piani rischiano però di essere sfasati, e a farli “saltare” saranno proprio le regioni colpite, quelle ghettizzate, condannate da una politica che mira ad accrescere solo una parte del paese.

L’indignazione meridionale aleggia, si è resa tangibile: è un sud che ha deciso di alzare la testa e lottare.  Basta un “NO” per difendere i nostri diritti sociali, la nostra sovranità popolare; un “NO” per difendere il nostro diritto all’uguaglianza e alla crescita; un “No” per porre un freno alle spinte monopolistiche di un governo accentratore.

Carmen Altilia

Referendum, Italia a due velocità: il Nord è un frecciarossa, il Sud un treno a vapore.

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Insisto. Scalzare le volontà locali in riferimento a materie delicate come la produzione energetica o la tutela dell’ambiente, è un grave errore politico. Ma ammettiamo che sia più conveniente trasferire materie di legislazione concorrente, esclusivamente allo Stato centrale perché così si tenta di correggere le storture provocate dagli sprechi delle amministrazioni locali.

La riforma Renzi/Boschi toglie molteplici poteri alle Regioni, salvo restituirli alle Regioni del Nord. Giusto! (si dirà), perché il Nord è virtuoso. Ma essere in pareggio di bilancio non è un merito, è un parametro di misurazione della ricchezza. Le Regioni settentrionali hanno un gettito fiscale più alto e possono trovarsi più facilmente in condizione di equilibrio tra entrate e spese. Al Sud invece, il gettito fiscale non copre mai le risorse necessarie a garantire i servizi essenziali per i cittadini che hanno minore capacità contributiva. Con la modifica dell’art. 116 prende forma il regionalismo differenziato che sancisce autonomia decisionale su base economica. Sei ricco? Scegli come promuoverti il turismo. Sei povero? Allora sceglie lo Stato al posto tuo.

E però, scusate, come funziona? Il Mezzogiorno non viene messo in condizione di crescere quando bisogna prevedere investimenti e incentivi pubblici per lo sviluppo. Il Governo non ha mai individuato i Lep (livelli essenziali di prestazione concernenti diritti minimi civili e sociali); non ha mai stabilito la perequazione, finalizzata a distribuire finanziamenti utili per garantire servizi omogenei su tutto il territorio nazionale; i fabbisogni standard vogliono introdurli direttamente in Costituzione, ma per fregare il Sud hanno già attuato stratagemmi che calcolano il riparto dei fondi sulla base della spesa storica e non sulla base del reale bisogno della popolazione.

La solidarietà nazionale prevede che, chi più ha più dà e chi meno ha più riceve. Andrebbero applicati i principi di eguaglianza e di coesione sociale atti a rimuovere gli squilibri economici territoriali o va stabilita per legge fondamentale dello Stato, l’inferiorizzazione meridionale? Non serve promettere zero sgravi fiscali come fa #Renzi se poi si scrive nero su bianco che l’obiettivo finale è un’Italia a due velocità, dove il Nord corre come un freccia rossa e il Sud come una locomotiva a vapore.

Flavia Sorrentino

Allerta SVIMEZ: spese cultura -30% al Sud in tredici anni.

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Se è vero che i diritti sociali sono finanziariamente condizionati, dipendono cioè dalla quantità di investimenti che lo Stato distribuisce sul territorio per garantire servizi, la cultura al Sud, è considerata un bene di lusso. A denunciare ancora una volta l’aumento del divario tra il Nord ed il Sud del Paese è l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, nella nota di ricerca “Le spese per la cultura nel Mezzogiorno d’Italia”, curata dal consigliere Svimez Federico Pica e Alessandra Tancredi dell’Agenzia per la Coesione territoriale.

La nota analizza l’andamento delle spese correnti, in conto capitale e totali per la cultura, a livello delle circoscrizioni Nord/Sud e di alcune regioni italiane negli anni 2000-2013. Negli ultimi tredici anni la cultura è stata tagliata di più al Sud, dove la spesa è stata ridotta di oltre il 30%. Allo stesso tempo, ogni cittadino del Nord ha ricevuto il 35% in più di un cittadino del Sud.

“Dal 2000 al 2013- dice la Svimez- la spesa totale nel settore della cultura ha subito un crollo nel Mezzogiorno, passando da 126 a 88 euro pro capite, contro il -25% del Nord. Nel 2013 fatto pari a 100 il livello medio nazionale la spesa pro capite per la cultura è stata del
69% nel Mezzogiorno, a fronte del 105% del Nord e del 141% del Centro.”

Se si analizza la spesa per la cultura in alcune regioni le disparità si allargano: “se a livello nazionale dal 2000 al 2013 il calo è stato del 27%, il Veneto ha perso oltre il 21%, Emilia-Romagna e Toscana ben il 38-39%, ma la Calabria arriva addirittura a meno 43,6%.

Quando si parla di “cultura e servizi ricreativi” si intendono prioritariamente interventi a tutela e valorizzazione di luoghi d’arte, teatri, biblioteche, musei, accademie, archivi ma anche  attività sportive e attenzione per giardini e spazi pubblici.

Quello che serve, si legge nella Nota, è “non soltanto un maggiore impegno finanziario di tutti, ma altresì una effettiva riconsiderazione e riforma dei meccanismi finanziari e istituzionali”.
In primis, le spese per la cultura “attengono ai livelli essenziali delle prestazioni (LEP), che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”.

In altre parole, il Governo deve effettuare la ricognizione dei livelli essenziali delle prestazioni come prevede la Costituzione all’art.117 (lettera m), affinchè i diritti minimi sociali e civili, siano tutelati anche per gli enti territoriali con minore capacità contributiva. Con l’entrata in vigore del federalismo fiscale dal 2011, la ricognizione non è neppure stata avviata, con il risultato che i diritti fondamentali e i principi di coesione e solidarietà sono
diventati concessioni straordinarie, al punto di dividere i cittadini in categorie di serie A e serie B.

MO-Unione Mediterranea da sempre denuncia un ingiusto e disomogeneo meccanismo di ripartizione delle risorse che danneggia gravemente i meridionali, penalizzati e sacrificati da manovre disordinate, anticostituzionali e discriminatorie, i cui effetti hanno ricadute gravi sulla qualità della vita al Sud, “sotto la linea di confine”. Per dirla alla renziana maniera.

Flavia Sorrentino

Renzi: “sud piagnone”. Daje Matteo, facce ride’ ancora che nun è arte do presidente

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di Raffaele Vescera dalla pagina Terroni di Pino Aprile

Ogni volta che Renzi parla di Sud ci viene immediatamente da ridere, non per accettazione del suo invito a non piangerci addosso, ma perché noi Meridionali non ci curiamo dei suoi e altrui insulti, sappiamo ridere più degli altri e ridiamo soprattutto per le sue battute comiche sul Sud, quando afferma che finalmente lui “metterà i soldi per far rinascere il Mezzogiorno.”

Come? Sentite un po’ che cosa ha detto nella sua specie di discorso di fine anno in un’intervista rilasciata al Mattino di Napoli: “Faremo le bonifiche delle Terra dei fuochi e dell’area di Bagnoli, e per le infrastrutture la linea ferroviaria Napoli-Bari, il completamento dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria e la riforma dei porti. Se noi riusciamo a fare solo una parte di ciò che abbiamo deciso e finanziato, torniamo a essere competitivi”.

Tutto qui. Al Sud, basterebbe una ripulitura della Campania, una strada e un treno per rinascere. Roba da Circo Barnum. Insomma Matteo, i governi italiani depredano il Sud da sempre dando ai suoi cittadini il 40% in meno che a quelli del resto del Paese e lasciandolo senza industrie, lavoro, ferrovie, aeroporti, porti, scuole, asili, ospedali, tribunali, e tu ci vieni a raccontare la barzelletta che bastano queste cosucce per sanare il debito?

La Terra dei fuochi è stata martoriata per decenni dallo stato italiano e ora Renzi, dopo aver destinato 1500 milioni di euro al dopo Expo, ne dà appena la decima parte per “bonificare la Campania”, soldi che non basteranno neanche a rimuovere le ecoballe accumulate dall’azienda lombarda Impregilo, che avrebbe dovuto già farlo a proprie spese. Ma il regalo non finisce qui.
Il completamento della Salerno Reggio Calabria? E’ un atto dovuto da mezzo secolo, e rinviato all’infinito per colpa dei governi italiani che hanno mancare i finanziamenti e della stessa Impregilo che ha gestito la costruzione dell’opera.
Il raddoppio della linea ferroviaria Napoli Bari? A 155 anni dalla fondazione del paese Italia spa (indovinate a chi appartengono le azioni) non esiste ancora un treno tra le due maggiori città del Sud continentale. In quanto ai porti, stendiamo un velo pietoso”.

Ma questa è musica vecchia, la battuta più comica della sua intervista è quando afferma che “se riparte l’Italia riparte anche il Sud”. Riparte forse per emigrare ancora, visto che il tessuto produttivo del Sud è stato distrutto dai governi italiani a fin di nord? Insomma è la solita storiella del “prima aiutiamo a crescere il Nord e poi si vedrà per il Sud”. Altrettanto comica è la battuta che se riesce a fare per il Sud anche solo una parte delle cose che ha elencato, “torniamo a essere competitivi”.

Se non venissimo fuori da un’allegra festa per l’arrivo del nuovo anno ci incazzeremmo davvero, ma l’adrenalina è scarica e ci ridiamo su, mentre, nonostante l’euforia della festa, non riusciamo a ridere, sulle parole “politically correct” del presidente Mattarella, riusciamo solo a sorridere. Esce grigio che più grigio non si può, seduto in un grigio salotto quirinalesco, per leggere un discorso scritto senza un tono di passione: pur essendo siciliano parla senza alcun accento, e non ha accenti neanche per il Sud, per il quale dice che “bisogna fare di più”. Perché s’è fatto forse qualcosa sinora? Oppure intende dire che al Mezzogiorno bisogna fare ancora più male?
E come fa a non parlare della condanna a morte del giudice Nino Di Matteo, colpevole di indagare sul patto Stato-mafia, lui che ha avuto un fratello ammazzato dalla mafia?
Pare il presidente che non c’è, fa quasi tenerezza. Grillo l’ha definito un ologramma. Io arrivo a dubitare persino della sua esistenza reale, sembra quasi trasparente, pare uno di quei personaggi a mo’ di monsieur Travet inventati dal web, possono dire ciò che vogliono ma non possono fare nulla, neanche prendere un caffè per mancanza di soldi a fine mese.

.Che altro dire? Se gli auspici istituzionali per il Sud sono questi, ai cittadini del Sud non resta che voltare le spalle e affidarsi alla propria capacità di lotta, quella già dimostrata dalla battaglia contro il Muos in Sicilia, alla Terra dei fuochi, dalla difesa dei Bronzi di Reggio, a quella per gli ulivi, fino a quella contro le trivelle petrolifere. Battaglie vinte, ma la guerra da farsi è lunga, molto lunga, dunque prima si comincia e meglio è.

Platì (e la locride) ancora una volta preso di mira. Stavolta alla Leoponda, da Renzi!

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di Giuseppe Mammoliti

Renzi afferma che a Platì, negli ultimi 10 anni, due amministrazioni sono state sciolte, aggiungendo che sono stati uccisi degli amministratori.

Non ho buona memoria e non saprei se le amministrazioni sciolte siano una o più di una. Forse nell’ultima tornata elettorale non si sono presentate liste o non si è raggiunto il quorum, ma non mi risulta che in questi ultimi anni siano stati uccisi degli amministratori. Io non sono il presidente del consiglio e credo che un mio errore nel riportare fatti e circostanze abbia una risonanza infinitamente minore delle dichiarazioni di un “premier”.

Questo è servito a Renzi per presentare una ragazza, militante del pd, che sfidando tutto e tutti vorrebbe “immolarsi” per il bene di Platì candidandosi a sindaco di questo nostro bistrattato, vituperato e dimenticato (quando c’è da assegnare dei finanziamenti) paese della Locride.

Sui facili scioglimenti per “infiltrazioni mafiose” e altre accuse del genere, non contemplate neanche nel codice penale, ormai si è detto tanto, pro e contro, eppure nulla cambia, nulla viene fatto, men che meno dal comitato dei sindaci della Locride. Questo organismo dovrebbe prendere una posizione chiara e determinata, uscire con una sola voce e dire al resto d’Italia in quali condizioni versa l’economia del Paese, di fatto ferma a 60 anni fa. Dovrebbe dire come le leggi del governo italiano stanno distruggendo anche quel poco che esiste in campo agricolo. La mancanza quasi totale di collegamenti stradali, ferroviari, aeroportuali e portuali, impediscono persino di ipotizzare una qualsiasi idea di sviluppo. Un territorio che ad ogni evento alluvionale si sgretola progressivamente. E’ così che si evidenziano le carenze strutturali della Locride e del meridione in genere, un’area paragonabile a qualche zona arretrata del Medio Oriente e non ad un pezzo di Europa.

I vari governi che si sono succeduti dal 1861 ad oggi non amano investire al Sud. Chi ha voglia di lavorare deve abbandonare la propria terra. Al Sud non si investe e non viene permesso di intraprendere (come auspicava un certo Brombini oltre un secolo fa), e per non investire si sono inventati un alibi: al sud non si investe perché i soldi vanno a finire nelle tasche dei mafiosi!

E allora non si dovrebbe investire in nessuna regione d’Italia! Non conosco, infatti, nessuna regione in cui il malaffare e i comitati affaristici non siano presenti. Prendiamo il caso di Venezia: la realizzazione del MOSE, opera costosissima quanto inutile, ha già inghiottito alcuni miliardi di euro senza che nessuno si sia scandalizzato più di tanto. Nessuno è finito in galera, tutto è stato messo a tacere. Eppure stiamo parlando di almeno 2 miliardi di euro! Ben 4.000 miliardi delle vecchie lire! SPARITI! SVANITI! Se una roba del genere fosse avvenuta al Sud avrebbero arrestato interi paesi e gettato via le chiavi! Ma al nord la mafia NON ESISTE per definizione e allora si continua a pompare denari sul MOSE per foraggiare le mafie del nord. Certo, sono mafie “più civili”, “meno rumorose”, insomma più eleganti. Non esiste lo stereotipo del tipo con “lupara & barritta”, ma i lupi del nord sono infinitamente più famelici e dannosi di qualsiasi altro fenomeno malavitoso. Sarà forse che attorno a quelle ricche tavole imbandite trovano posto i più grandi delinquenti d’Italia? I più grandi massoni, banchieri, politici di alto borgo, e uomini di chiesa porporati? Solo così si spiegherebbe l’assordante silenzio che avvolge gli affari delinquenziali del nord. Non si possono certo disturbare tutti codesti signori mentre banchettano… e allora?

E allora dirottiamo l’attenzione della nazione sul meridione! Paesi ormai semi o del tutto abbandonati, patrimoni edilizi per lo più fatiscenti, strutture urbane inesistenti, paesi dormitori senza speranza, senza avvenire che non ricevono dallo Stato nessun concreto aiuto, a parte qualche regalia giusto per far tacere i più riottosi. Un tantino, tanto per evitare sommosse popolari che potrebbero risultare sgradite ai signori del parlamento europeo.

Ma nessuno si sogna di finanziare una qualsiasi attività imprenditoriale di un certo respiro. Il massimo che ho visto proporre è qualche obsoleta centrale a carbone, rifiutata nel resto d’Italia. Il nord non vuole concorrenti! Vuole manodopera a basso costo che, con i continui sbarchi di un altro sud ancora più a sud di noi terroni, trova senza difficoltà alcuna. Ma pur non pesando sul bilancio statale e pur non gestendo risorse finanziarie degne di nota, i paesi del sud vengono additati come centri di malaffare e pozzi divora-soldi!
Ma quando mai!

Il signor “premier”, prima di parlare di realtà a lui sconosciute, è mai venuto a fare una visita a questi paesi dimenticati? Non credo! Dovrebbe venire e abitare per alcuni giorni o settimane e perché no, MESI, a Platì o a San Luca, o altrove nella Locride. Solo così potrebbe rendersi conto di quanto Stato ci sia nel Sud. Dovrebbe andare in giro per le strade provinciali, a tratti inesistenti, provare ad usare qualche “mezzo pubblico” per raggiungere i paesi vincitori o le grandi città del meridione e del resto d’Italia. Dovrebbe pure farsi venire un ictus o qualcosa del genere per valutare la qualità dell’assistenza medica offerta dalla sanità pubblica, oppure farsi un giro per le scuole e quant’altro di pubblico esiste ancora nella Locride.

Non sono andato a votare per eleggere il sindaco, né mai ci andrò! Almeno fino a quando lo Stato non avrà cambiato, in meglio, le regole del gioco. Nessuno andrà in galera con il mio voto!
Ho visto arrestare e condannare persone colpevoli di aver risposto ai cittadini, al telefono, con frasi del tipo: “stiamo lavorando per voi!” Roba che scritta dall’ANAS ai margini delle strade non scandalizza nessuno, ma che, se proferita da un amministratore ad un qualsiasi cittadino, ancorché in odor di mafia, diventa reato perseguibile! Si possono mandare persone serie, padri di famiglia ad amministrare i pochi averi di questi malandati comuni con il rischio di vederli portati via in manette per reati di “mafia”? Non con il mio voto! Non in mio nome!

Alla tanto intrepida ragazza che sogna chissà quale epopea salvifica del comune di Platì dico di non avere il minimo timore di venire a farsi eleggere. Forse riuscirà a farsi sentire meglio dei nostri abituali amministratori e ottenere quell’ascolto da parte dello stato finora negato agli autoctoni. Venisse pure, se non teme di vivere 5 anni in un centro in cui l’unico ritrovo è qualche bar, frequentato da alcuni amici della briscola, e il cinema più vicino è a circa 30 km. Di discoteche e roba simile non se ne parla, ma se è una amante della natura, dei grandi panorami, della montagna in genere, allora troverà ciò che cerca: il grande Aspromonte merita di essere visitato e valorizzato. Comunque dovrà prima riuscire a convincere i platiesi che lei ha una buona bacchetta magica o che comunque sia esperta in miracoli.
Auguri alla piddina intrepida, e che la forza sia con lei!

Bassolino si candida. Il PD supera se stesso: dalla rottamazione alla supervalutazione dell’usato.

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Di Eva Fasano

C’era una volta un piccolo rottamatore fiorentino. Prima di diventare capo del Governo e dei ‪#‎nogufi‬ del PD, l’ex Sindaco di Firenze Matteo Renzi saltellava da una poltrona televisiva all’altra per promuovere la sua ricetta social e giovanilistica della politica e della sinistra in particolare, auspicando la rottamazione dei “vecchi dinosauri della politica”. Per alcuni Renzi era l’immagine del “nuovo che avanza” e forse lo è ancora.

A conti fatti però, i risultati e le proposte del giovanissimo presidente del consiglio non paiono tanto innovative: la questione meridionale è ancora ignorata e rimandata a data da destinarsi, le famiglie stentano ad arrivare a fine mese, il Jobs Act ha cancellato i diritti dei lavoratori, la burocrazia delle PA è tutt’altro che snellita, l’Italia conta ancora poco nell’Unione Europea, nessun progetto di legge sulle unioni civili è mai stato discusso e così via. Eppure se controlliamo sul dizionario Treccani online leggiamo
“(iron.) Per antonomasia, Matteo Renzi, esponente politico del Partito democratico”.

Dal punto di vista della rottamazione delle persone, largo ai giovani e agli onesti, notiamo che il nuovo Presidente della Regione Campania è il piddino Vincenzo De Luca, ex Sindaco di Salerno per vent’anni, con qualche difficoltà di comunicazione e ancor più trascurabili problemi giudiziari pendenti. Un neonato della politica, insomma.

Oggi, sabato 21 novembre 2015, Antonio Bassolino annuncia la sua candidatura a Sindaco di Napoli. In tal senso il PD ha superato sé stesso, passando dalla rottamazione alla supervalutazione dell’usato. Se De Luca è stato il sindaco sceriffo per vent’anni, Bassolino cos’è, il “nonno che avanza”?

Antonio Bassolino (Afragola, 1947), ex esponente del Partito Comunista Italiano, del PDS e dei DS, oggi nel Partito Democratico. È stato deputato, sindaco di Napoli dal 1993 al 2000, Ministro del lavoro e della previdenza sociale nel primo governo D’Alema dal 1998 al 1999, Presidente della Regione Campania dal 2000 al 2010.

Non sappiamo some andranno le primarie del PD per individuare il candidato sindaco di Napoli, ma una cosa è certa: Bassolino ha asfaltato il Partito Democratico con due parole: “Mi candido”.

MO-Unione Mediterranea è felice per la candidatura di Bassolino, poiché essa ci sembra un’opportunità che i napoletani dovrebbero cogliere al volo. E’ arrivato il momento di scegliere da che parte stare e noi l’abbiamo già fatto.
La lista Mo! di Unione Mediterranea alle scorse regionali campane ha ottenuto la fiducia di 18 mila persone, che ringraziamo ancora, partendo dal nulla, ignorata da certi canali nazionali d’informazione, ricordiamo a tal proposito i casi Matrix di Canale 5 e Ansa, raccogliendo prima 7500 firme nelle piazze, tra i pendolari, poi facendo una campagna elettorale di soli 45 giorni con pochissimi mezzi e nessun finanziamento pubblico.

Con il progetto “Na – Napoli Autonoma” abbiamo realizzato l’unica, vera proposta innovativa per i partenopei e non prende ordini né da Roma né da Milano.

MasterPlan per il Sud? Se ne parla l’anno nuovo!

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di Mattia Di Gennaro

Era il pomeriggio afoso del 7 agosto scorso, quando uomini in maniche di camicia e donne in vesti leggiadre si alternavano, su di un predellino dalla sede del PD, per dire la propria su come risollevare le sorti del Mezzogiorno. Questi individui avevano saputo, qualche settimana prima delle agognate ferie estive, dello stato comatoso in cui versava l’economia meridionale, grazie alla pubblicazione delle anticipazioni del Rapporto Svimez 2015. Me lo ricordo bene, perché fu proprio quel giorno che sua eccellenza il primo ministro, Matteo Renzi, rassicurò i piagnoni meridionali che, entro metà settembre, il Governo sarebbe uscito con un MasterPlan di interventi per sconfiggere la depressione economica di quest’area geografica. Da allora, sotto agli ombrelloni non si parlava che di questione meridionale, più del calciomercato, più degli amori estivi dei VIP. Quella che, pian piano, sembrava essere diventata l’emergenza nazionale per eccellenza, però, è ben presto scomparsa dalle agende politiche, diventando argomento di secondo ordine, indietro nella lista delle priorità alla detassazione di ville faraoniche e castelli, piatto forte della Legge di Stabilità 2016.

Ma andiamo per ordine.

Prima del ddl Stabilità, bisogna ammettere che gli uomini e le donne del PD si sono riuniti ancora sul tema “emergenza Sud”. Era un sabato di inizio settembre, a Milano, durante la festa dell’Unità. Tra un selfie e una salsiccia, gli organizzatori hanno trovato tempo pure per il Seminario sul Sud, in cui una raggiante quanto fuori luogo Debora Serracchiani, la romana governatrice del Friuli Venezia Giulia, annunciava l’organizzazione di incontri tematici per risolvere i punti critici causa dell’arretratezza del Mezzogiorno: fondi europei, infrastrutture e rivalutazione del capitale umano. Dopo quel sabato di fine estate, nessuno ne ha più saputo nulla di questi incontri e, semmai avessero avuto luogo, sarebbe imbarazzante per il PD rivendicarne l’esistenza, dati gli sterili effetti prodotti. Metà settembre, però, era ormai vicino, e con lui sarebbe finalmente arrivato il tanto atteso MasterPlan per il Sud, di cui tutti aspettavano, con ansia febbrile, la presentazione; e, invece? Nulla. O meglio, qualcosa fu dichiarato in quei giorni: il rinvio ufficiale del MasterPlan all’emissione della disegno di Legge di Stabilità, prevista un mese più tardi, a metà ottobre. Nel frattempo sui giornali era iniziata la caccia al colpo di genio che il Governo avrebbe messo in atto per stimolare l’economia meridionale. Si è iniziato a dire e a scrivere tutto e il contrario di tutto: dal redivivo Ponte sullo Stretto di Messina a meno fantascientifiche idee come il taglio dell’IRES, la decontribuzione delle nuove assunzioni o l’incentivazione agli investimenti sotto forma di credito d’imposta per le imprese meridionali. Ad un certo punto ci si aspettava una manovra finanziaria (il ddl Stabilità, appunto) tutta e solo incentrata sul Mezzogiorno, con decine di miliardi di investimenti ad aggiungersi a quelli già previsti con la programmazione della spesa dei fondi comunitari. E poi arriva metà ottobre, arriva il tempo della verità e Renzi, invece di presentare un testo serio del ddl Stabilità alle Camere, si presenta davanti ai giornalisti con delle sgargianti slide, colorate come i fuochi di artificio che ci si aspettava per il Sud; tre di queste parlano, in effetti, di Mezzogiorno: fondi alla Salerno – Reggio Calabria, interventi per la bonifica della Terra dei Fuochi e fondo di garanzia per l’Ilva di Taranto. Praticamente, i fuochi di artificio per il Sud hanno ancora una volta fatto “fetecchia”!

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Insomma, questo è il MasterPlan per il Sud che abbiamo atteso per tutta l’estate, per questo primo scorcio d’autunno o, come qualcuno direbbe, per 155 anni? Secondo il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Claudio De Vincenti, sì, o meglio, anche. Come lo stesso ha raccontato a “La Stampa”, quelli delle slide sono solo gli interventi prioritari, che in un certo senso non fanno parte del MasterPlan per il Sud vero e proprio che, invece, è ancora in fase di definizione (meno male che doveva essere pronto a settembre!).

Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio ha spiegato che sono ancora in corso di svolgimento gli incontri con i presidenti di regione e i sindaci delle principali città meridionali per mettere a punto i cosiddetti “Patti per il Sud”, che conterranno, quelli sì, interventi e obiettivi per il rilancio dell’economia meridionale. Naturalmente, questi patti non saranno pronti prima del 2016 e la cosa, ormai, non ci stupisce più. Dopotutto, che il Governo fosse impreparato sul Mezzogiorno era cosa assodata, dopo che Renzi, durante quell’incontro del 7 agosto aveva detto che quello sarebbe stato solo il primo incontro sul Sud, ammettendo implicitamente che, prima d’allora, né il PD né il Governo si era mai posto il problema della risoluzione della questione meridionale. De Vincenti, però, ha parlato anche di 7 miliardi pronti per il Sud, o meglio ha detto “abbiamo attivato la clausola per lo 0,3% di PIL, ossia, per 5 miliardi di euro di spesa nazionale, con un effetto leva complessivo di oltre 11 miliardi di investimenti di cui almeno 7 saranno destinati al Mezzogiorno”. Il sottosegretario, però, dice anche altro, ossia che questi finanziamenti saranno impiegati su progetti cofinanziati ed è subito chiaro tutto: i 7 miliardi andranno a finanziare opere e progetti la cui costruzione ed esecuzione è già stata prevista nei Piani Operativi Nazionali e Regionali di spesa dei fondi comunitari. Insomma, il Governo ha sbloccato del denaro (o, meglio, ne ha previsto lo sblocco, che è ben diverso) per investimenti già programmati prima del Rapporto Svimez, all’epoca in cui non si sapeva (o non si voleva sapere) della drammatica situazione dell’economia meridionale. Niente di eccezionale, nulla di rivoluzionario! Il solito storytelling tendenzioso del governo più anti-meridionale di sempre, che, ricordiamo nelle infrastrutture, negli incentivi alle imprese e ai cittadini ha sempre guardato sempre e solo a una parte del Paese, quella a nord del Tronto. Esempi: gli ottanta euro in busta paga, mossa populista a vantaggio della popolazione degli occupati, in maggior numero al Centro-Nord che non al Sud, o gli investimenti per le infrastrutture CEF presentati a Bruxelles con 7 miliardi e 5 milioni di euro destinati al Centro Nord e 4 milioni al Sud. Per non parlare dei fondi per il piano di prevenzione del dissesto idrogeologico, che nonostante la strage di Rossano in Calabria o del Gargano, o quelle recenti dell’Irpinia e del Sannio sono stati destinati in maggioranza alle aree settentrionali. Intanto, i 54 miliardi di Fondi per lo Sviluppo e la Coesione previsti nella legge di stabilità 2014 si erano ridotti già ai 42 miliardi degli Accordi di partenariato. Una drastica cura dimagrante per un paziente, Il Mezzogiorno, già anemico e sottopeso, il tutto per distogliere i fondi per le aree sottosviluppate ad altri scopi, alla maniera della Lega Nord e di Tremonti, che con i fondi FAS destinati al Mezzogiorno ci pagava le multe per le quote latte dei produttori padani. Qualcosa destinata in maggioranza al Sud, però, c’è: il famigerato PON “Infrastrutture e reti”, approvato dalla Commissione Europea lo scorso 29 luglio, che si occupa di finanziare progetti infrastrutturali a valere sulle tratte ferroviarie Napoli-Bari, Catania-Palermo oltre ad investimenti per la Salerno-Reggio Calabria e per alcuni porti del Mezzogiorno. Un bel librone di 120 pagine abbondanti che da un lato spiega quali sono i gap infrastrutturali del Sud e dall’altro fornisce le ricette per la loro soluzione, stanziando complessivamente 1 Mld e 800 Milioni per tutto il Mezzogiorno, che è poco più della metà di quanto stanziato per la contestatissima TAV Brescia-Verona-Padova. Tanto cosa importa, presto ci sarà il MasterPlan per il Sud, presto da Brescia si andrà a Verona in un (costosissimo) batter d’occhio. Tanto cosa importa se a Matera, Capitale Europea della Cultura 2019, ancora non arriva il treno nazionale! Altro che #zerochiacchiere, il Governo ancora una volta ha dimostrato che quando si tratta di Mezzogiorno è bravo a fare #solochiacchiere (e qualche slide colorata)!

Credete ancora che questo Governo e questo Parlamento abbiano ancora credibilità quando parlano di Mezzogiorno?

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