Mozione politica generale (13/15)

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La mozione politica generale di Unione Mediterranea è stata approvata all’unanimità durante il primo Congresso nazionale del Movimento, tenutosi a Casalduni il 22 e 23 Giugno 2013.

“Mozione politica generale”

1. Da dove partiamo

“Il movimento politico Unione Mediterranea ha un obiettivo chiaro: il riscatto del Mezzogiorno. Il movimento ripudia mafia, violenza, razzismo e qualsiasi forma di discriminazione”. Partiamo da qui. Dall’obiettivo indicato nella nostra Carta dei Principi. La quale, sin dal primo punto, è chiara: sappiamo cosa vogliamo e sappiamo chi non sarà mai compagno di strada, ma anzi è un nemico da combattere. Siamo orgogliosi della nostra Carta dei Principi, non solo perché è bella, fresca, ma perché – lo ricordiamo tutti – è stata approvata il 24 novembre 2012 a Napoli dopo un confronto aperto e con votazioni schiette e libere.

Essere nel profondo democratici è una nostra cifra distintiva. Quale organizzazione politica ha scelto il proprio nome con una votazione aperta? Ha scritto la propria Carta dei principi votando liberamente decine di emendamenti? Ha scelto il proprio simbolo tra oltre cento proposte? Il nome e il simbolo, in molti movimenti politici attivi, sono proprietà di una associazione privata spesso composta da poche persone. Nel nostro statuto è stabilito che non una singola persona, non un’associazione privata e neppure il segretario protempore, ma solo il Congresso è proprietario del nome e del simbolo di Unione Mediterranea. E il Congresso è fatto da tutte le persone che possono partecipare al progetto in carne e ossa o che hanno un loro delegato di fiducia. Senza però possibilità di fare incetta di deleghe. In Unione Mediterranea davvero uno conta uno, o al massimo conta due se chi partecipa è portatore di una delega.

La scelta del metodo della democrazia partecipata non è un vezzo. E’ una necessità per riavvicinare le persone alla vera politica. La parola è stata talmente sporcata da politicanti desiderosi di arricchimenti personali che è diventato difficile anche solo pensare alla politica nel suo senso vero e nobile. L’arte di governare la polis, la comunità, nell’interesse della comunità stessa. Ecco perché la ricerca quasi ossessiva di partecipazione, di confronto vero, che ha caratterizzato Unione Mediterranea sin dalle prime battute è dovuta non solo al fatto che le decisioni maturate in modo democratico nel lungo periodo si rivelano più sagge di quelle prese nel chiuso delle stanze o nell’ambito dei cosiddetti “cerchi magici”, ma è dovuta anche alla necessità di riportare passione nella partecipazione alla vita pubblica dimostrando che chi lo desidera decide e chi decide non è più un soggetto passivo ma diventa un protagonista, la cui forza deriva dalla passione dei singoli tanto quanto dall’azione collettiva. Chi è stato a Napoli il 24 novembre 2012 alla Stazione Marittima lo ricorda bene. Quei cartellini Verdi e Rossi con i quali accettavamo o respingevamo i singoli emendamenti erano la rappresentazione visibile che ciascuna persona registrata in sala contava quanto ciascun altro. La Carta dei Principi è nata così, con molte madri e molti padri. E’ una Carta scritta dal nostro popolo. Una Carta che avrà una lunga vita perché dura ciò che il popolo riconosce come proprio.

Ora però dai Principi bisogna passare alle Azioni. Con il primo congresso va definita la linea politica di Unione Mediterranea, va individuato il “come” perseguire il riscatto del Mezzogiorno. Il Congresso ci dà un orizzonte temporale di due anni ed è su questi due anni d’azione che ci concentreremo. E lo faremo con la testa alta, guardando cioè lontano. Non ci stiamo a fare la politica del giorno per giorno, anche se ogni giorno ci sarà una battaglia, una sfida da affrontare. Il nostro fine è alto: cambiare il corso della storia.

2. Cosa si legge nel cruscotto dell’economia

L’Italia è nel bel mezzo di una crisi economica senza precedenti. Dopo la recessione del 2008-2009 è seguita quella del 2012-2013. Se si fa un confronto con l’Unione europea, l’Italia va sistematicamente peggio della media Ue da oltre un decennio. Non funziona l’Italia. E all’interno di questa Italia non funziona il Mezzogiorno, che va sistematicamente peggio del resto del paese. L’Ocse ha di recente avvertito: la disoccupazione in Italia nel 2013 rischia di crescere al 12,5%. Benvenuti al Sud: nell’area la disoccupazione era al 12,5% già nel 2009 e all’inizio del 2013 ha superato il 20%, con una punta oltre il 50% tra i giovani di entrambi i sessi. Eppure l’allarme per il Mezzogiorno non scatta mai: la crisi dell’Italia fa dire a Confindustria che “il Nord è sull’orlo del baratro” dimenticando che qualcuno, nel baratro, c’è finito da tempo, spinto chissà da chi.

Dietro i numeri ci sono storie, persone. Nel baratro c’è chi ha perso il lavoro, chi dispera di trovarlo mai, chi è costretto a lavori irregolari, fatti in spregio alle regole sulla sicurezza del lavoro. Nel baratro sono le centinaia di migliaia famiglie del Sud che hanno un ammalato in casa colpito dai veleni di industrie provenienti da altre regioni: a Taranto come nella Terra dei Fuochi tra Napoli e Caserta, come a Gela. La vecchia politica ha fallito in Italia e ha fallito ancora più nel Sud. Le ricette messe in campo con i provvedimenti “Salva Italia”, il continuo ricorso a presunti “saggi”, l’annuncio di fantomatiche riforme si susseguono negli anni senza ormai più neppure l’effetto-annuncio. Tocca a noi indicare una strada, ritrovare un percorso di speranza. Il nostro fine è alto: cambiare il corso della storia.

Una storia partita male nel 1861: non siamo qui, a Casalduni, per un caso. Tra poco più di un mese, il 6 agosto, saranno 150 anni dall’eccidio di Pietrarsa, l’occasione per ricordare tutte le vittime dell’occupazione. E la storia dell’unità d’Italia, partita male, è finita in un vicolo cieco nell’ultimo quarto di secolo. In questo paese il declino economico è coinciso con la nascita e la crescita di un partito politico a vocazione territoriale. Una situazione che ha creato un’asimmetria in un’Italia già duale, con un territorio rappresentato due volte (dai politici del partito territoriale e da quelli dei partiti nazionali) e un altro rappresentato poco e nulla. In Italia da 24 anni non c’è un meridionale che abbia avuto la ventura di diventare capo del governo. Il premier attuale, Enrico Letta, nelle elezioni di febbraio era capolista in Campania 2 alla Camera, il collegio che comprende anche Casalduni e Pontelandolfo. Così come Guglielmo Epifani era capolista in Campania 1, ovvero Napoli e provincia. Vengono dalla Campania gli uomini con più responsabilità in Italia? No, piovono in Campania, come in tutto il Sud, candidati paracadutati da partiti nazionali, estrema offesa a un territorio al quale si dice: nessun vostro figlio è abbastanza degno da rappresentarvi. Un paese che in anni recenti ha avuto la spudoratezza di affidare a politici che hanno giurato fedeltà al “conseguimento dell’indipendenza della Padania” (articolo 1 dello statuto della Lega Nord) ministeri come le Riforme istituzionali, gli Interni, il Bilancio e la programmazione economica, l’Industria, la Giustizia, il Lavoro e le politiche sociali e persino l’Agricoltura, che un tempo era premio di consolazione per qualche notabile meridionale e si è trasformato in uno strumento per colpire la Mozzarella di Bufala. In questo paese ci si riempie la bocca di sostegno ai giovani, alle famiglie, alle donne, alla scuola, alla ricerca, al lavoro eppure si bloccano le politiche in favore di quella parte di territorio dove ci sono più giovani, più famiglie, meno donne occupate, più necessità di scuola, ricerca, lavoro. I politici del Sud hanno avuto mille volte l’occasione di reagire eppure non hanno reagito con efficacia. A volte per pavidità, talvolta per sospetta complicità, nel migliore dei casi per l’oggettiva disparità delle forze in campo. In ogni caso il risultato è sotto gli occhi di tutti: Calabria, Campania, Sicilia, Puglia, Basilicata sono fanalino di coda in Europa per tasso di occupati. Ecco perché a noi tocca provare a cambiare il corso della storia.

3. Le nostre battaglie

Unione Mediterranea deve contribuire a una battaglia politica e prima ancora culturale perché si possa intanto rendere visibile la presenza di un’alternativa al declino italiano. E per dare forza a tale alternativa occorre promuovere azioni concrete su pochi filoni principali: memoria, lavoro, ambiente, legalità. Ovvero il recupero della verità storica; il Comprasud; la lotta ai veleni; il contrasto alla criminalità organizzata e al patto Stato-mafia.

Principi già presenti nella nostra Carta, nella quale al punto 5 si legge che Unione Mediterranea “assegna un grande valore alla verità storica e in particolare al disvelamento delle falsità scritte sul Regno delle Due Sicilie dopo la sua occupazione militare nel 1860, falsità che hanno accompagnato il sistematico sacco di risorse e cervelli del Mezzogiorno, fino a portare a una condizione economica dualistica, rafforzata dall’applicazione di un federalismo fiscale privo degli elementi di equità che pure son presenti nella Costituzione. Si ritiene fondamentale inserire nei libri di testo scolastico di ogni ordine e grado, su tutto il territorio nazionale, la verità storica sul Regno delle Due Sicilie”. Una sete di verità che non si limita a correggere le falsità del passato. “Unione Mediterranea sa che c’è un forte bisogno di informazione libera e autonoma e promuove l’editoria del Sud che ne tuteli la sua immagine. Unione Mediterranea nel prendere atto dei continui attacchi, offese e diffamazioni perpetuati nei confronti della gente del Sud – frutto di pregiudizi, ignoranza e atteggiamenti razzistici – si pone quale obiettivo quello di opporsi e mettere in atto tutte le contromisure, entro i limiti dei propri mezzi, attraverso richieste di smentite e azioni giudiziarie volte a tutelare e difendere la dignità della gente del Sud e dei suoi territori”. Abbiamo bisogno come il pane di informazioni coordinate e tempestive: il Mezzogiorno si deve dotare di una capacità di un’analisi propria, autonoma, attenta ai fatti, rapida. Avere le informazioni di base è la premessa perché si apra una battaglia politica e culturale pronta a contrastare gli eventi colpo su colpo, perché è chiaro che non è sufficiente una strategia di mediazione se una parte dell’Italia – per sua responsabilità, cioè per chiusura mentale – è convinta che il problema dell’Italia sia il Sud. In tanti, al Nord, si sono convinti di aver capito una cosa: se togliamo il Sud l’Italia è in Europa; se resta il Sud l’Italia non c’è la fa. Non è difficile dimostrare che tale ragionamento sia sbagliato: l’Europa cresce di più grazie all’arrivo di paesi a minore ricchezza e maggiore potenziale di sviluppo. L’Asia si sta sviluppando grazie alla Cina e all’India, non al ricchissimo e affaticato Giappone. Ma quando gli argomenti tecnici non sono sufficienti, come si fa a convincere chi ha intrapreso una strada sbagliata? Certo, migliorando noi stessi, correggendo i nostri difetti. Ma non basterebbe. Abbiamo bisogno di un’azione politica alta, che non vada sempre a mediare con l’unica strategia di contenere i tagli: non è limitando i danni che si cambia direzione di marcia.

Al punto 6 della Carta è riassunto il concetto del Comprasud: “Unione Mediterranea ha tra i suoi obiettivi la promozione dei prodotti del Mezzogiorno e l’educazione ad acquisti rispettosi dell’ambiente e che favoriscano le economie locali, con una forte spinta agli scambi inter-mediterranei di genti, pensiero e prodotti. Unione Mediterranea punta a uno sviluppo di tipo conservativo fortemente legato al territorio, in alternativa all’attuale consumismo”.

Infine il tema dei veleni e un corretto rapporto con l’ambiente. Al punto 10 della Carta si legge: “Unione Mediterranea pone il rispetto dell’ambiente e del territorio a fondamento di ogni politica economica sia essa industriale, agricola, commerciale, turistica, culturale. Massima attenzione è posta al fenomeno dello smaltimento illegale di rifiuti di ogni genere”.

4. Una strada per il riscatto

Un paese che non sa distribuire le risorse, prima o poi la paga cara. Se non offri le migliori università ai giovani che si mostrano più brillanti, e magari ti inventi come hanno fatto in rapida successione i ministri Gelmini e Profumo regole che legano la residenza alle borse di studio, rischi di vedere i più promettenti tra quei giovani prendere la strada dell’estero o, peggio, interrompere gli studi. Se non selezioni gli insegnanti in base alla capacità, bensì in ragione della provincia di provenienza, rischi di far occupare le cattedre dai più pigri lasciando disoccupato chi è capace. Se nel 2013 fai pagare le tasse sui redditi (Irpef), sulle imprese (Irap) e sulla casa (Imu) non in rapporto alla ricchezza, ma in proporzione ai deficit degli enti locali maturati nel decennio precedente, rischi di colpire i consumi e soffocare ogni spirito economico proprio dove si dovrebbe utilizzare la leva fiscale per attrarre investimenti, tagliando le gambe a chi prova a correggere gli sfasci degli amministratori del passato. Un paese che invece di colpire i disonesti fa pagare i costi delle frodi sulla Rc auto a chi non ha mai denunciato un sinistro ha perso ogni senso dell’equità. Un paese che concentra gli investimenti ferroviari al Centronord non crede in se stesso. Un paese che proroga gli incentivi della Tremonti al Nord in base a un decreto che certificava “piogge insistenti” non ha senso della misura. Un paese che propone un bando per le smart cities riservato alle città del Nord non sa come si crei innovazione. Un paese che alza una barriera per escludere le imprese che operano oltre 350 chilometri da Milano per i lavori dell’Expo 2015 ha perso anche la memoria di cosa voglia dire presentarsi al mondo per l’Esposizione Universale. Tra il 2007 e il 2011 sono stati falcidiati i fondi Fas, ovvero le risorse per il futuro del Mezzogiorno. Nel 2012 e nel 2013 si è passati a colpire i fondi per la solidarietà, ovvero quelli che devono garantire i diritti minimi di cittadinanza. Tagliando a più riprese il “Fondo sperimentale di riequilibrio” hanno iniziato a mettere le mani in tasca ai pendolari, ai bambini dell’asilo, a chi vive il disagio sociale al Sud. Prima hanno sottratto il futuro, ora attaccano il presente. Comportamenti che restano costanti a dispetto dell’alternarsi dei governi e del declino elettorale del partito esplicitamente nordista. Nella prima riunione del Cipe guidata da Enrico Letta, il Comitato interministeriale per la programmazione economica ha finanziato due opere al Nord, una al Brennero e l’altra in Val di Susa, e nessuna al Sud. Anzi, per coprire i costi di opere compensative relative alla Tav Torino-Lione si sono tolte risorse già destinate al rifacimento della statale 172 dei Trulli, nota in Puglia come la statale della morte. Il 31 maggio il governo ha tolto i soldi alla statale 172 e il 3 giugno si è contato un altro morto su quella strada, il quarantenne di Casamassima Francesco Dambruoso. La sicurezza stradale al Sud può attendere perché c’è da convincere con opere compensative i riottosi comuni piemontesi contrari alla Tav tra Torino e la Francia.

Dal 2011, lo certificano i dati del ministero dell’Economia, la quota di investimenti pubblici ordinari al Sud è scesa sotto il 20% del totale. A fronte del 33% di popolazione e persino a fronte del 23% di tasse pagate da persone e imprese meridionali. Ormai il Mezzogiorno non riceve più neppure gli investimenti che potrebbe pagarsi da solo, con il proprio pur modesto gettito fiscale. Ma un governo che investe sempre e solo in un’area del paese non è un governo savio perché nessuna nazione si sviluppa armoniosamente se abbandona una delle sue parti. E l’errore investe particolare gravità se la parte abbandonata è quella dove vivono più giovani. La palla al piede dell’Italia non è il Mezzogiorno: è l’incapacità di vedere lontano, nel tempo e nello spazio. La palla al piede dell’Italia è l’inadeguatezza politica e culturale della classe dirigente del Nord.

Ecco perché, di fronte al progressivo e devastante declino dell’Italia e all’incapacità della sua classe dirigente nel correggere gli errori, bisogna chiedersi se non convenga a tutti, ma intanto non convenga a noi meridionali, rafforzare la nostra autonomia senza escludere, in prospettiva, la possibilità di ritrovare la propria indipendenza. Certo, non per resuscitare uno o più staterelli ottocenteschi, ma per partecipare al progetto di aggregazione politica europea degli stati o delle macroregioni con cultura e voce proprie, quella cultura mediterranea finora poco rappresentata nella stessa Unione europea. In Europa è anzi in atto un processo di impoverimento industriale ed economico degli Stati mediterranei che per taluni aspetti ricorda quanto accaduto con l’unità d’Italia. In opposizione a tale andamento, occorre ripensare le politiche si mera austerità, rilanciando una politica di perequazione europea che punti alla coesione non solo economica ma dei diritti.

Ove nel breve periodo da parte dello Stato italiano non vi sia una decisa inversione di rotta politica nei confronti del Mezzogiorno, dobbiamo porre con chiarezza, come cittadini dell’Italia Mediterranea, l’opzione politica dell’autonomia. Una opzione che potrebbe spingersi fino all’indipendenza, senza escludere nessun percorso pacifico di avvicinamento all’obiettivo, a partire dalla macroregione, ente che potrebbe unire le sei regioni a statuto ordinario del Sud continentale, previsto nella Costituzione vigente. La macroregione potrebbe poi conquistarsi maggiori gradi di autonomia, sul modello di quanto già previsto per la Sicilia. Fino ad arrivare alla vera e propria indipendenza. In ogni caso il nostro territorio deve ritrovare una strada propria, in modo da poter partecipare da protagonisti al processo di costruzione di una Unione europea non più delle banche ma dei cittadini.

Nel Parlamento nonostante l’ambiguità dell’esito elettorale del febbraio 2013 si è aperta una fase di revisione della Costituzione dai profili quanto mai incerti. Altri saggi, stavolta 35, sono stati nominati, al solito con una scarsa attenzione verso i meridionali. Ecco perché nei prossimi due anni Unione Mediterranea dovrà ritagliarsi uno spazio da protagonista e intervenire con proprie iniziative pubbliche nonché chiedere audizioni alle Camere per sostenere le proprie argomentazioni.

Costruiamo una piena autonomia e l’Italia Mediterranea potrà guardarsi con i propri occhi e non con quelli distorti di chi deve alimentare e confermare comodi luoghi comuni. Il Mezzogiorno potrà liberarsi degli alibi che vedono sempre negli altri la responsabilità della propria inadeguatezza. Il territorio che si riconosceva nella bandiera delle Due Sicilie potrà riannodare il filo spezzato della sua storia, mettendosi alla prova per vedere se saprà recuperare e meritare i primati di cui è stato capace nella scienza, nell’arte, nell’industria, nel rispetto dei beni comuni, nelle conquiste civili. Anche in caso di separazione, l’Unione europea garantirebbe, come in Slovacchia, al Sud indipendente una moneta accettata in tutto il mondo, garantirebbe la libertà di circolazione ai tanti meridionali non più residenti nel proprio territorio d’origine e garantirebbe finalmente alle Terre mediterranee, le Terre del Sole, di diventare arbitri del proprio destino nell’ambito di un progetto comunitario di crescita, sicurezza, sviluppo umano e materiale.

Certo, far nascere un nuovo soggetto politico significa davvero cambiare il corso della storia e ciò richiede una straordinaria forza di volontà, unita alla formazione di una classe dirigente non improvvisata, formazione alla quale Unione Mediterranea dovrà contribuire. Diventare pienamente responsabili del proprio destino richiede una particolare intelligenza, capacità d’equilibrio, convinzione nei propri mezzi e anche una certa dose di spregiudicatezza, di capacità di sognare. Ma forse è proprio questo di cui abbiamo più bisogno: credere in se stessi, tornare a sognare.

5. I rapporti con gli altri movimenti

Rileggiamo insieme la Carta dei Principi. All’articolo 2 si dice che “In Unione Mediterranea trovano spazio sia singole persone sia gruppi organizzati”. Un tema, quello dell’aggregazione, al quale siamo affezionati perché se la missione è quella quanto mai ambiziosa di cambiare il corso della storia nessuno può pensare di essere di per sé adeguato al compito. Non solo. Diciamolo con chiarezza: l’unità d’azione del meridionalismo è una forma minima di saggezza tuttavia anche l’eventuale unione ferrea di tutti i gruppi meridionalisti esistenti non avrebbe oggi la massa critica sufficiente a ribaltare lo stato delle cose. Occorre coinvolgere nuove energie: studenti, professori universitari, imprenditori, medici, disoccupati, madri e padri che non vogliono arrendersi. E per farlo bisogna dire basta alle nostre divisioni di carattere personalistico. Ben vengano le diverse visioni politiche, quelle portano ricchezza, ma evitiamo di trasformare ogni confronto in uno scontro, ogni dibattito in una bega. E questo, sia chiaro, non solo perché litigare fa perder tempo, e il nostro tempo è adesso, ma soprattutto perché un movimento litigioso tiene a distanza le persone migliori. Quelle delle quali abbiamo bisogno.

Ecco perché Unione Mediterranea lancia il Forum dei movimenti. Uno spazio libero dove su posizioni di parità, senza necessità di iscriversi a UM, i responsabili dei vari gruppi regolarmente registrati possono incontrarsi per trovare il minimo comune denominatore, sia in termini di programma sia di organizzazione. Anche perché all’unità – intesa non come azzeramento delle differenze bensì come capacità di organizzare azioni comuni – non c’è alternativa.

6. Contarsi per contare

Unirsi è necessario. E la cronaca suggerisce una data.

Tra meno di un anno, il 25 maggio 2014, si vota per il Parlamento europeo. Una data che nessun politicante italiano può spostare e già solo questo – in un paese culla del diritto eppure privo di rispetto per le norme – è un fattore non secondario. Le Europee possono diventare il punto di partenza di un Progetto Mediterraneo. L’occasione per chi ha a cuore l’Italia Mediterranea per contarsi e per iniziare a contare.

Le Europee rappresentano storicamente un voto libero per gli italiani. L’unico voto che ha visto il Pci arrivare primo, era il 1984, o la radicale Emma Bonino superare l’8%, era il 1999. Non si ha notizia di voto di scambio alle Europee. Né sono mai stati concepiti nel sistema elettorale aborti come la lista bloccata. Nel 2014 non è difficile prevedere che le Europee saranno un voto persino più libero che in passato, per la delusione che può colpire l’elettorato del Pd come quello del Pdl nonché per l’insoddisfazione che può prendere gli elettori dello stesso Movimento Cinquestelle. Offrire nella circoscrizione Mezzogiorno e nella circoscrizione Isole un progetto politico chiaro può raccogliere consensi che adesso non immaginiamo neppure. Il voto sarà libero da condizionamenti di destra e di sinistra. Il voto non è vincolato da un obiettivo – l’elezione di un sindaco, di un governatore, di un premier – tema che finisce per polarizzare l’attenzione dei mass media e degli stessi elettori. Nello stesso tempo sarà un voto più europeo rispetto alle precedenti elezioni analoghe, perché si prevede l’indicazione di un simbolo comunitario oltre a quello nazionale e in Europa esistono già molti movimenti che fanno del proprio territorio il perno dell’azione politica.

Il Progetto Mediterraneo dovrà dare un messaggio chiaro: vogliamo avviare un percorso verso l’autonomia, senza escludere in prospettiva l’indipendenza da un’Italia nordcentrica che è stata conquistatrice e si è dimostrata matrigna. Vogliamo uscire dalla condizione di colonia interna. Vogliamo riprendere la nostra secolare libertà. Vogliamo giustizia ed equità. Vogliamo smetterla di essere derubati delle risorse che ci spettano in base alla Costituzione e poi subire persino l’umiliazione di essere chiamati ladri.

Per questo lanciamo da Casalduni un appello agli amici dei tanti movimenti meridionalisti e a chi si sente meridionalista nel cuore ma non ha mai aderito a un gruppo organizzato a non lasciar cadere l’occasione delle Europee per gridare forte la nostra sete di giustizia e libertà. Le divisioni, le liti che hanno caratterizzato i rapporti tra i tanti gruppi meridionalisti e che hanno attraversato anche i primi mesi della vista stessa di Unione Mediterranea sono la conferma di una condizione di minorità nella quale siamo stati spinti dopo il crollo del Regno delle Due Sicilie e non a caso i contraccolpi maggiori sul tessuto sociale si sono visti a Napoli, trasformata in pochi giorni da una delle più vivaci e ricche capitali d’Europa in capoluogo di provincia.

Cerchiamo un simbolo comune, una bandiera che abbia un significato forte. Cerchiamo un nome bello, nuovo. Che non contenga la parola Sud perché noi non siamo un punto cardinale. Il Mediterraneo è l’unico mare che bagni tre continenti. E nel mezzo di quel mare ci siamo noi. Noi siamo al centro, siamo il centro.

Ai fratelli che ricordano con orgoglio i primati dei Borbone, ai fratelli che lottano per la liberazione della Napolitania, ai fratelli insorgenti, a chi tiene alta la memoria dei briganti, ai meridionalisti tutti diciamo: il tempo è adesso.

Un solo nome, una sola bandiera, un progetto di riscatto chiaro, non una fusione ma una lista di persone battagliere e coraggiose intorno alle quali raccogliere 60mila firme vere, 30mila per le sei regioni della circoscrizione Mezzogiorno e 30mila per la circoscrizione Isole.

Una prova organizzativa di sicuro molto impegnativa; ma chi si propone di dare una svolta al corso delle cose non può spaventarsi per una raccolta firme. Anzi, sarà il primo atto di una campagna elettorale e culturale allo stesso tempo.

Per la prima volta in 153 anni potremmo presentarci con il nostro volto libero e fiero. Saremo schietti, allegri, orgogliosi, mediterranei.

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Presentano la mozione politica generale

Salvatore Argenio Franco Blosio Carlo Capezzuto Alida Competiello Antonio Corbo Giovanni Corsi Antonio De Falco Marco Esposito Paolo Esposito Francesco Falbo Attilio Fioritti Martino Grimaldi Vincenzo Gulì Lucio Iavarone Salvatore Imparato Enrico Inferrera Francesco Labruna Antonio Lombardi Roberto Longo Massimo Matrici Marta Matano Francesco Menna Roberto Natale Giuseppe Pepe Giovanni Piombino Annamaria Pisapia Vincenzo Presutto Paola Selvaggio Flavia Sorrentino Rosario Terracciano Giuseppe Teti Guglielmo Ursumando Raffaele Vescera

Un commento

  • Per partire: “Ma forse è proprio questo di cui abbiamo più bisogno: credere in se stessi, tornare a sognare.”
    …ad occhi aperti. E qualche idea in testa c’è pure.

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