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TRIVELLE NEL MAR JONIO, I TERMINI PER IL RICORSO AL CONSIGLIO DI STATO SONO SCADUTI?

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COORDINAMENTO NAZIONALE NO TRIV

R.A.S.P.A. – RETE AUTONOMA PER SIBARITIDE E POLLINO PER L’AUTOTUTELA

MO UNIONE MEDITERRANEA

COMUNICATO STAMPA

TRIVELLE NEL MAR JONIO, I TERMINI PER IL RICORSO AL CONSIGLIO DI STATO SONO SCADUTI?

IL PRESIDENTE OLIVERIO DICA ESATTAMENTE COME STANNO LE COSE E COSA FARA’ LA REGIONE

Con sentenza pubblicata il 27 novembre 2017, il TAR Lazio ha respinto il ricorso proposto dalla Regione Calabria contro i Ministeri dello Sviluppo Economico, dell’Ambiente e dei Beni Culturali, nei confronti della compagnia americana Global Med, per l’annullamento di due distinti decreti del 15 dicembre 2016 («F.R 41.GM» e «F.R 42.GM») con cui il MISE ha accordato il permesso di cercare gas e petrolio nel Mar Ionio, in un’area di circa 1.500 kmq nell’off shore della provincia di Crotone.

Il TAR Lazio ha sentenziato che «[…] il ricorso è irricevibile ed infondato e deve essere respinto».

La Regione Calabria ha la possibilità di proporre appello dinanzi al Consiglio di Stato entro il termine del 27 maggio 2018, sempre che nel frattempo la sentenza del TAR Lazio non sia stata notificata, nel qual caso il termine sarebbe di 60 giorni dalla notifica. I cittadini possono sapere se i termini per proporre il ricorso sono scaduti? Si possono ancora fidare delle istituzioni?

Per le vie informali, le strutture territoriali del Coordinamento Nazionale No Triv hanno già da tempo sollecitato più volte la Regione a muovere passi concreti e immediati contro le pretese di Global Med e gli atti del MISE.

Ad oggi, tuttavia, non si registrano né prese di posizioni ufficiali da parte del Presidente Oliverio, né fatti concreti che autorizzino a pensare che la Regione intenda far sul serio. I precedenti non giocano certamente a favore della comunità calabrese: basta leggere le motivazioni della sentenza del TAR Lazio per capirlo.

Dei tre motivi addotti dal TAR per respingere il ricorso, due appaiono, infatti, fondati. Ci si chiede come sia stato possibile averli citati nel ricorso quando anche un avvocato in erba sa bene che per progetti “petroliferi” in mare la legge non prevede alcuna Intesa tra Stato e Regione, e che per far valere questioni più strettamente ambientali si sarebbe dovuto ricorrere contro i decreti di compatibilità ambientale.

MA NON È FINITA QUI. Gobal Med è in attesa di ottenere un terzo permesso di ricerca (istanza denominata «d 87 F.R-.GM»), sempre nello Ionio, in un’area contigua alle due oggetto dei permessi «F.R 41.GM» e «F.R 42.GM». Il Ministero dell’Ambiente si è già pronunciato a favore della compatibilità ambientale del terzo progetto con Decreto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 3 ottobre 2017, contro cui la Giunta si è ben guardata dal proporre ricorso anche grazie alla disattenzione di tutte le forze politiche.

Il Coordinamento Nazionale No Triv, per il tramite di RASPA (Rete Autonoma Sibaritide e Pollino per l’Autotutela), ha tra l’altro offerto alla Regione Calabria il supporto giuridico gratuito di Enzo Di Salvatore, noto costituzionalista e padre dei quesiti referendari No Triv, che garantirebbe un ricorso che non abbia fini esclusivamente elettorali o di facciata.

La domanda sorge spontanea: si vuol concedere al Ministero e a Global la possibilità di vincere a mani basse su tutti i fronti? Vogliamo regalare 2.200 kmq di mare a Global Med? La Regione Calabria vuol farsi ridere dietro dal resto d’Italia o intende prendere la cosa veramente sul serio?

In occasione del ricorso al TAR, il Presidente Oliverio scrisse al MISE che «Il nostro mare è una risorsa da salvaguardare e valorizzare. Una risorsa per alimentare lo sviluppo sostenibile». Bene: alle parole faccia seguire passi seri e concreti e non ricorsi mal fatti.

Roma, 17 febbraio 2018

Coordinamento Nazionale No Triv

RASPA- Rete Autonoma Sibaritide e Pollino per l’Autonomia

MO Unione Mediterranea

 

Attacco alla Calabria, Istituzioni non stiano a guardare

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di Massimo Mastruzzo 
Portavoce Nazionale MO Unione Mediterrranea

Un anno fa il Ministero dello Sviluppo Economico ha rilasciato due nuovi permessi di ricerca di idrocarburi, denominati rispettivamente «F.R 41.GM» ed «F.R 42.GM», in favore della società petrolifera statunitense GLOBAL MED LLC per cercare gas e petrolio nel Mar Ionio in due aree contigue pari, rispettivamente, a 748,6 kmq e 748,4 kmq., per complessivi 1.497 kmq.
Gli enti interessati dai decreti di conferimento dei due permessi di ricerca sono:
Regione: Calabria
Province: Crotone, Catanzaro
Comuni: Strongoli, Cropani, Montepaone, Soverato, Borgia, Staletti’, Ciro’ Marina, Sellia Marina, Melissa, Crucoli, Catanzaro, Crotone, Isola di Capo Rizzuto, Botricello, Cutro, Simeri Crichi, Ciro’, Montauro, Squillace, Belcastro.

I due provvedimenti ministeriali (DECRETO MINISTERIALE 15 dicembre 2016 – Numero di Pubblicazione 180 e DECRETO MINISTERIALE 15 dicembre 2016 – Numero di Pubblicazione 181), pubblicati sul BUIG – Bollettino ufficiale degli idrocarburi e delle georisorse – Anno LX N. 12 – 31 Dicembre 2016, eludono palesemente il divieto fissato dal Decreto Legislativo n. 625 del 25 novembre 1996 che vieta che un singolo operatore possa avere la titolarità di un permesso di ricerca in un’area (terraferma o mare) estesa più di 750 kmq.
Per eludere il divieto di legge, dunque, Global Med ha diviso artificiosamente un’unica area da destinare al medesimo progetto industriale, di estensione pari a 1.497 kmq., in due porzioni contigue, in modo da porsi di sotto della soglia prevista dalla legge.
Sempre al largo delle coste di Crotone e Provincia, Global Med sta per incassare un terzo permesso di ricerca: l’istanza è convenzionalmente denominata d 87 F.R-.GM e la sua area è contigua a quella dei due permessi già rilasciati. Ha un’estensione di 729,5 km2.

A quanto pare, nessuno ha vigilato e monitorato lo stato del procedimento dell’Istanza d 87 F.R-.GM e, adesso, scaduti i termini per fare ricorso al Tar Lazio contro il Decreto di Compatibilità Ambientale (D.M. n. 252 del 26.09.2017), non resta che prepararsi al ricorso al TAR Lazio contro il futuro decreto MISE che accorderà il TERZO Permesso di Ricerca nello Jonio calabrese al medesimo operatore.

Regione Calabria e Comune di Crotone non stiano a guardare, il rischio che corrono le future generazioni di una terra già martoriata è molto alto, le responsabilità delle istituzioni che devono tutelare il territorio sono facilmente individuabili e non assumersele è sinonimo di complicità.
Dopo l’esito negativo della sentenza del Tar Lazio le istituzioni interessate ricorrano al Consiglio di Stato, affidandosi a persone esperte, non a consulenti occasionali poco esperti in materia.
Deve essere rispettata la volontà di tutti i cittadini che il 17 aprile 2016 votarono contro le trivelle in mare.

 

MICHELE CONIA, quando l’amore per il territorio va oltre le bandiere politiche

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Nasce il quattro agosto del 1976 a Taurianova (RC), da bambino ha vissuto in Germania, trasferito con il padre, quando i migranti eravamo noi ed il muro, con malta leghista, andava fatto per fermare i terroni. Vi rimarrà dall’età di 2 mesi fino a 6 anni per ritornare poi a Cinquefrondi, da dove non andrà più via e nel 2015 ne diventerà il Sindaco con la lista civica Rinascita,offrendo un nuovo volto non solo a Cinquefrondi, 6500 anime all’interno dell’area protetta del Parco nazionale dell’Aspromonte, nella Piana di Gioia Tauro, ma dando una immagine positiva di una Calabria che vuole emergere e che volta pagina, della quale molto spesso non si parla perché non fa notizia.

Laureato in giurisprudenza con una tesi sul lavoro e lo sfruttamento  minorile, nel 1993 è tra i fondatori nonchè il portavoce del Kollettivo Onda Rossa, nel 1994 si iscrive al partito della Rifondazione Comunista ricoprendo nel tempo vari incarichi dirigenziali a livello provinciale, regionale e nazionale. Crede fortemente in una sinistra unita come alternativa reale all’attuale Pd, e nel febbraio del 2017 viene eletto nel direttivo nazionale di Sinistra italiana.

L’impegno nella lotta alle ecomafie, la difesa dei beni comuni che lo ha visto negli anni  aderire, sostenere e partecipare, con piena convinzione, ai movimenti di difesa del territorio contro gli speculatori ed i vari colonizzatori (No PONTE, No Rigassificatore, No Inceneritore). l’amore concreto per il territorio che lo ha portato a schierarsi al fianco dei lavoratori del porto di Gioia Tauro, unico sindaco della piana di Gioia Tauro presente a Roma  presso il Ministero delle Infrastrutture, come al Movimento 14 luglio una realtà che combatte sul territorio per il diritti dei cittadini di Nicotera, e per ultima la risposta al sindaco di Como che ha deciso di impedire la distribuzione anche di un bicchiere di latte caldo alle persone in difficoltà economica, definita da Michele Conia « una scelta inaccettabile e vergognosa che cozza con i valori della solidarietà e con i principi fondamentali della Costituzione italiana » e concretamente organizzando nella cittadina di Cinquefrondi, insieme ai volontari dell’associazione Senza Frontiere una “colazione solidale” distribuendo non solo bevande calde e prodotti alimentari, ma principalmente amore, accoglienza e abbracci.

Sono stati probabilmante tra gli elementi che lo hanno spinto tra i primi 6 nelle primarie de L’altroCorriere per la poltrona di governatore (virtuale) della Regione Calabria, e sono sicuramente i motivi che ci fanno seguire con attenzione e stima questo sindaco che negli anni si è contraddistinto nella realizzazione di progetti concreti a difesa, tutela e valorizzazione del territorio, battaglie che non possono che avere una visione comune ad un movimento come Unione Mediterranea che ha nel riscatto del Mezzogiorno il suo principale obiettivo.

 

Attualizzare la questione meridionale – Uno sforzo unitario per evitare la deriva astoricizzante

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di Massimo Mastruzzo

25 settembre 2017

Prendiamo atto di due diagnosi: l’intervento di Angelo Sposato, segretario regionale CGIL della Calabria, ai microfoni di Italia parla[1] e l’articolo di Paolo Macry sul Corriere del mezzogiorno. Queste disamine ripropongono la solita triste prognosi: la Calabria sembra essere un  territorio dimenticato che solo i rapporti della Svimez  e dell’Istat riportano brevemente all’attenzione dei mass media. Attenzione fugace, distratta. Un vago lamento che dirige meccanicamente lo sguardo sull’ammalato cronico. Una crudele cronicità che dura da 156, con buona pace dei teorici dell’unità salvifica.

Una regione dimenticata, un territorio in abbandono, dove mancano le risorse anche per gli interventi ordinari e nessuno più investe. È questa la Calabria descritta da Sposato: “Quella che manca è una visione generale delle cose da fare – ha spiegato il dirigente sindacale –. Anche la recente iniziativa ‘Cantiere Calabria’, che ha visto la partecipazione di quattro ministri all’università di Cosenza rischia di restare sulla carta, perché nessuno dei rappresentanti dello Stato ha preso un impegno concreto sui fondi ordinari per la nostra Regione. Noi abbiamo chiesto un cambiamento di strategia a livello nazionale, con un riequilibrio nella redistribuzione delle risorse che il governo destina quasi esclusivamente alle regioni del Centro-Nord ”.

Sorge il dubbio che Sposato sabbia virato verso il Meridionalismo. Affermazioni del genere lo candidano fortemente ad una tessera onoraria in qualsiasi realtà a noi affine.

Il dubbio si fa quasi certezza, quando il sindacalista rilancia con : “Nel pubblico impiego in Calabria la situazione è ancora più emergenziale, perché il calo demografico dovuto allo spopolamento del territorio con la fuga dei giovani mette in forse la stessa sopravvivenza di molte pubbliche amministrazioni. Un caso limite è quello di Vibo Valentia, il cui comune è al collasso, non paga i dipendenti da mesi e vi sono 5.000 Lsu-Lpu da stabilizzare e contrattualizzare. Per non parlare di vertenze come Call and call di Locri, che purtroppo sono l’emblema delle politiche pubbliche fatte di bonus, decontribuzioni e incentivi che si sono dimostrate fallimentari nel corso del tempo”, e ancora : “Attualmente, è  come se le grandi reti si fermassero ai confini della nostra regione: penso alla statale 106 jonica, la cui ristrutturazione è ferma ai confini con la Basilicata; all’Alta velocità ferroviaria, che non va oltre Salerno; al porto di Gioia Tauro, che rischia di rimanere uno scatolone vuoto, se non s’investe sull’area retroportuale. Oltretutto, con la sparizione delle province, abbiamo anche problemi di collegamenti interni, perché la manutenzione delle strade ordinarie non la fa più nessuno. Per non parlare della messa in sicurezza del territorio, che si ripropone ogni volta che piove o c’è il mare mosso”.

Naturalmente le ragioni di questa “sbandata” sui nostri temi può essere frutto di ragioni più ovvie. Purtroppo. Non serve il polso da meridionalista per rimanere sgomenti difronte alle cifre fornite dalla Svimez e relative al rischio desertificazoine demografica del meridione.

Paolo Macry riporta, nel suo articolo, il giudizio disincantato di Angelo Panebianco, secondo il quale è ormai illusorio pensare ad un superamento del gap tra Nord e Sud, e che ha ormai riaperto il dibattito sulla «quistione». impossibile bollare il tema come “déjà-vu“,a nche a giudicare dal dibattito aperto sulle pagine del corriere.

Era prevedibile, per esempio, rispondendo a Panebianco due economisti di differente ascendenza scientifica e politica come Adriano Giannola e Massimo Lo Cicero esprimessero diagnosi piuttosto antitetiche. Il primo, convinto che il Nord non vada da nessuna parte senza il Sud. Il secondo, più pessimista, che il Paese sia già meridionalizzato. Ma è invece significativo che, per il resto, i due dicano cose simili, esprimendo giudizi molto critici sulle regioni meridionali e sul loro ceto politico e proponendo, in sostanza, la stessa ricetta: neocentralismo.

Dibattito che potrebbe anche essere interessante, se non fosse che i problemi irrisolti del Mezzogiorno, prima ancora che dall’alternativa tra centralismo e decentramento, sono oramai sintetizzabili nei  dati che illustrano una disomogeneità nazionale unica nel panorama europeo.

Centralismo o regionalismo o federalismo che dir si voglia, dibattuti come argomenti nazionali, sembra,  per non voler affrontare il vero storico problema di una irrisolta Questione Meridionale denunciata a cominciare dall’immediato post unitario, una crescente iniquità in ogni campo, dall’economico  al sociale all’infrastrutturale, a discapito della popolazione meridionale. E non sto ad elencare personoaggi che da Francesco Saverio Nitti ad Antonio Gramsci  fino al più recente Nicola Zitara hanno denunciato le modalità in cui è avvenuta l’unificazione. E’ inutile continuare a discutere di un problema contemporaneo se si fatica a coglierne i nessi causali. Si continua a discutere sulle basi di una sociologia “non-generata”, come se l’oggetto dello studio non avesse un’origine e la situazione attuale fosse da considerarsi innata. Astoricizzare il concetto per giustificare la mitologia del (mica tanto) buon selvaggio terrone e colpevole.

Quale la soluzione, allora?

Al momento la nascita di nuove realtà meridionaliste sembra essere più una reazione all’indignazione. Vedere morire il proprio territorio ed emigrare i propri cari, sta generando via via un moto di rivalsa. Ma per ora non possiamo dire di trovarci difronte ad una vera e propria azione articolata che punti ad affrontare la Questione. Nella stragrande maggioranza dei casi questa reazione è puramente d’opinione, e non ne consegue alcun impegno politico. Nei casi in cui questo impegno viene “quagliato” ci si imbatte nel sistema di rivoli ideologici che frastagliano il meridionalismo: si va dagli indipendestisti, agli autonomisti, ai macroregionalisti e così via.

MO – Unione Mediterranea nasce per cercare di riunire queste  realtà che nella loro apparente diversità hanno un minimo comune denominatore: salvare il proprio territorio dalla ineluttabile indistricabilità della Questione Meridionale. Il nostro compito, nel proporre soluzioni, dovrà tenere conto dello scopo, e creare aggregazione. L’unione fa la forza, e l’apparente banalità di questa locuzione non può nasconderne l’efficacia.


[1]. Intervento di Angelo Sposato su RadioArticolo1

Hic sunt Leones. Le infrastrutture al Sud: storie di ordinario malgoverno

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Che il meridione fosse rimasto abbandonato a sé stesso da ormai più di qualche decennio (circa 16), è una cosa che forse poteva sembrare chiara solo ad alcuni. Ma negli ultimi anni non lo nota solo chi non vuole.

Possiamo parlare di infrastrutture, ad esempio. Dopo ogni ondata di maltempo interi territori rimangono isolati e abbandonati al loro destino. Il comprensorio montano delle Serre Vibonesi, in Calabria, in cui si sta anche registrando un veloce ed inesorabile spopolamento, sta urlando disperazione per la situazione in cui versano le sue strade provinciali e statali. Esse rappresentano l’unico modo per raggiungere vie di comunicazione più importanti, dislocate lungo le coste jonica e tirrenica: la famosa A3 Salerno – Reggio Calabria, la SS106 Taranto – Reggio Calabria, le ferrovie e l’aeroporto di Lamezia.

Non solo, la comunicazione tra i vari centri montani risulta a volte quasi impossibile, con automobilisti costretti ad allungare il loro tragitto a causa di continue frane e smottamenti che, attivi dal punto di vista geologico, aspettano solo il momento giusto per raggiungere valle e rimanere lì come una spada di Damocle sulla testa dello sfortunato ed ignaro automobilista. Sindaci e cittadini si stanno mobilitando per suggerire di far passare la manutenzione della rete viaria dalla provincia, in dichiarato stato di dissesto economico, direttamente all’ANAS.

La famosa Trasversale delle Serre (SS713 Soverato – A3, Svincolo Serre), il cui scopo sarebbe quello di collegare Jonio e Tirreno passando per questa zona, è un progetto di oltre 50 anni fa, realizzato solo per qualche chilometro e usato ad ogni campagna elettorale per raccogliere consensi. É diventata una barzelletta. Da qualche anno a questa parte, grazie all’impegno di un comitato spontaneo (Comitato Trasversale delle Serre – 50 anni di sviluppo negato), qualcosa sembra muoversi. Lo stato, incalzato dai cittadini, sembra anche stia dando qualche risposta. Non è comunque abbastanza.

Non che le “maggiori vie di comunicazione” versino in migliori condizioni. Non sono più adatte agli attuali livelli di traffico e non risultano nemmeno degne del loro nome. La SS106, che potremmo definire la seconda autostrada calabrese, si trasforma in fiumara quando un evento temporalesco colpisce il litorale jonico. Il tutto documentato da foto e video postati su facebook da automobilisti che percorrendola vogliono indurre altri a prestare attenzione.

La promessa di una nuova e più funzionale – oltre che sicura – SS106, rimane tale. Anche in questo caso, come per la SS713, solo qualche tratto è stato realizzato. Ma la 106, più che una strada sembra un vero e proprio bollettino di guerra: “Sulla S.S. 106, in Calabria, dal 1996 ad oggi, abbiamo avuto oltre 9.000 sinistri e oltre 24.000 feriti; mentre le vittime sono oltre 700. Nel solo anno 2016 abbiamo avuto 32 vittime“.

I dati sono forniti dall’associazione “Basta vittime sulla 106” e sono contenuti in una petizione[1] inviata al Presidente della Repubblica.

Le firme raccolte, secondo un comunicato stampa dell’Associazione, hanno superato le ventimila e sono provenienti oltre che dalle varie province calabresi, anche da altre regioni d’Italia e perfino dall’estero (per sottoscriverla).

Altro evento degno di nota, sempre sulla SS106, è il cedimento del ponte sull’Allaro che il 23 gennaio ha diviso in due la Locride.

Ma la Calabria non è l’unica regione meridionale ad essere stata abbandonata. Dalla Puglia, il 6 febbraio, è partita una petizione, sottoscritta da oltre 3500 persone, per mettere in sicurezza la SS16 Foggia – San Severo, e diretta anch’essa al Presidente della Repubblica. Anche qui si parla di centinaia di vittime e condizioni indegne per una arteria principale come una strada statale.

Si potrebbe continuare a parlare del tema per molto: Matera – meta turistica oltre che capitale della cultura 2019 -, isolata dal resto d’Italia; Sicilia divisa in due a causa di autostrade in pessime condizioni; investimenti sulle ferrovie in Lombardia pari alla somma di tutti quelli fatti nell’intero meridione; chiusura aeroporto di Reggio Calabria e cancellazione della tratta Lamezia Terme – Roma Fiumicino senza che nessuno (a livello politico intendo) si opponesse a questa scelta della compagnia Ryanair.

E per finire, per comprendere a fondo la gravità della situazione, il 2017 è l’anno in cui la Calabria è stata definita come una tra le principali mete per le vacanze estive dal New York Times. Se qualcuno lo sa, ci indichi per favore come l’attuale situazione infrastrutturale in Calabria (ed al Meridione, in genere) potrebbe favorire questi ipotetici turisti.

Insomma, il Sud non ce la fa più. Si moltiplicano comitati e associazioni per rivendicare i diritti basilari che dovrebbero essere offerti a tutti i cittadini in egual misura. E forse per intercettare truffaldinamente questo malcontento che molti insospettabili smemorati cominciano a ricordarsi la Storia (vedi Tremonti, che paragona il comportamento della Germania a quello dei piemontesi riguardo al tema dell’Europa a due velocità).

Ma questa volta non ci faremo imbambolare da qualche specchietto per le allodole.

MO basta! Una nuova generazione di Meridionali sta raccogliendo il testimone, ed è una generazione incazzata. Una generazione allo stremo che intende fare tesoro delle tribolazioni di chi la ha preceduta, ma più consapevole dei propri mezzi. Chi dovrebbe programmare la crescita infrastrutturale del Meridione si è sempre adagiato sulla locuzione “Hic Sunt Leones” con cui i Romani indicavano le aree che non li interessavano, oltre il Limes.

Eppure, al contrario dei Romani, questi signori sono in grado di interessarsi a noi, saltuariamente: miracoli delle campagne elettorali. Ebbene, che vengano! Stavolta, i Leoni, li troveranno sul serio!

 


[1]Ecco il testo della petizione

Quando il “Modello Gomorra” viene esportato. Nicotera ed il Movimento 14 Luglio

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MO! – Unione Mediterranea esprime il più totale supporto al Movimento 14 Luglio, impegnato sin dalla sua nascita in battaglie a favore della Legalità e della difesa del territorio di Nicotera.

MO! – Unione Mediterranea esprime una forte perplessità nei confronti dell’operato dei media locali e nazionali. Per l’ennesima volta viene commesso il grossolano errore di fidarsi di colleghi che per un motivo o per un altro preferiscono imitare il “Modello Gomorra”, alimentando pregiudizi col solo scopo di acquisire notorietà.

E’ così che a Nicotera, attraverso una vera e propria mistificazione, si è dato adito ad una assurda campagna tesa ad accostare fatti torbidi, vicende scandalose e personaggi loschi a chi ha sempre fatto di abnegazione e specchiata onestà vere e proprie bandiere.

Attraverso il tam tam “giornalistico” si è riusciti a trasformare una legittima richiesta di rettifica in un atto di intimidazione mafiosa. Una civilissima raccolta firme per chiedere la correzione di alcune inesattezze e la rimodulazione di frasi fuori luogo (precedentemente espresse sul Quotidiano del Sud) è riuscita a diventare

una raccolta firma che ha il sapore della delegittimazione nei confronti della cronista da anni in prima linea contro le cosche locali

fornendo al tritacarne mediatico il pretesto per buttare in un unico orribile calderone la ‘Ndrina dei Mancuso e le persone per bene che invece le ‘Ndrine le affrontano da anni, silenziosamente e con eroico coraggio. Poco importa se questa collocazione risulta stretta ed odiosa. Poco importa se qualche esponente di primo piano del Movimento 14 Luglio ha in passato ricevuto gli avvertimenti che la ‘Ndrangheta consuetamente riserva alle persone oneste che la avversano.

Invece di mettere in luce quanto di buono ed esemplare è stato creato da persone come Arturo Lavorato e Felice D’Agostino si cerca di battere vie tristemente note e di sperimentata efficacia, dando in pasto all’opinione pubblica vere e proprie narrazioni più vicine alla retorica di certi “Liristi della minorità” che alla realtà fattuale.

Il “Modello Gomorra”, si sa, garantisce tirature maggiori.

Cassa Sacra: come le Due Sicilie gestivano i terremoti

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CASSA SACRA

Il 5 febbraio del 1783, alle ore 12.45, un rovinoso terremoto (gradi 11,00 della scala Mercalli- Cancani – Sieberg, corrispondenti a gradi 7,00 della scala Richter) con epicentro la Piana di Gioia Tauro sconvolse la Calabria Ulteriore causando la distruzione di molti centri abitati e la morte di 29451 persone (1041 uomini, 10829 donne, 8265 ragazzi, 204 religiosi e 112 religiose), oltre i quasi 1000 del messinese.
Altri 5000 persone morirono negli anni successivi per carestie, pestilenze e miseria per effetto delle continue scosse, durate per oltre tre anni.
Alla prima scossa ne seguirono altre minori (tra il VII e l’VIII grado della scala Mercalli): nella notte tra il 5 e il 6 febbraio nella zona aspromontana, alle 20.20 del 7 tra Monterosso e Soriano e tra il 28 febbraio e il primo marzo nella zona di Polia.
Con il terremoto si ebbero: crolli, frane, scivolamenti di intere colline, fenomeni di liquefazione, pestilenze, carestie e malattie di ogni genere.
Nella parte nord – ovest dell’Aspromonte e nella Piana di Gioia Tauro intere colline franarono precipitando nei fondovalle trascinando diversi centri abitati e ostruendo i corsi d’acqua, che di conseguenza formarono alcuni laghi.
Nel tratto di mare tra Bagnara Calabra e Scilla si verificarono pure fenomeni di tsunami con onde alte 8 m.
La notizia dell’immenso disastro fu data al governo borbonico il 14 febbraio dal comandante della nave militare S. Dorotea, partita da Messina e di passaggio dalle coste calabresi proprio nel momento del sisma.
Secondo lo scrittore ed economista Achille Grimaldi il valore approssimato del danno fu di circa 31.250.000 ducati (per avere un’idea reale del disastro si pensi che in quel periodo un muratore costava circa 0.50 ducati).
Il governo borbonico, subito dopo aver appreso la notizia, impose un’imposta straordinaria di 1.200.000 ducati e il re Ferdinando IV inviò nelle zone interessate del sisma, in qualità di Vicario Generale il maresciallo Francesco Pignatelli, principe di Strongoli.
Dopo il terremoto il geologo francese Déodat Guy Silvain Tancrède Gratet de Dolomieu, gli accademici partenopei e il cavaliere Hamilton (inviato straordinario e ministro di S.M. Britannica alla corte delle Due Sicilie), su incarico dei reali di Napoli, fecero le relative relazioni sui danni.
Pure l’ambasciatore d’Inghilterra a Napoli, su una “speronata” noleggiata appositamente, visitò attentamente le zone colpite dal sisma, sbarcando spesso sulla costa per rendersi conto personalmente dei danni.
I 391 paesi della Calabria Ulteriore furono suddivisi in base ai danni in: interamente distrutti e da riedificare in nuovo sito (33), interamente distrutti e da riedificare nello stesso sito (150), in parte distrutti ed in parte non abitabili (91), parzialmente distrutti o lesionati (44), inabitabili perché gravemente lesionati (14), lesionati ma abitabili (26), poco lesionati (18), parzialmente distrutti (8) e rimasti illesi (7).
Gli esperti inviati dal governo centrale misero in risalto le antiche e gravi condizioni economiche della Calabria, peggiorate a causa dal terremoto.
Gli stessi proposero un moderno sistema economico e amministrativo capace di eliminare la prepotenza dei baroni, le gravose tasse dovute alla manomorta, la povertà e la corruzione.
Interessanti furono le norme emanate dal governo borbonico per la ricostruzione, le quali suggerivano la forma delle città, la regolarità degli edifici, la larghezza delle strade (la strada principale doveva essere diritta e larga 8 metri per le città minori, da 10 a 13 per quelle più importanti; le strade secondarie, larghe da 6 a 8 metri, diritte e ortogonali tra loro) e le regole per eseguire le strutture degli edifici adottando, il cosiddetto sistema delle case baraccate, che prevedeva la costruzione di case non oltre i due piani di altezza, le strutture portanti in legno all’interno delle murature, capaci di resistere alle sollecitazioni sismiche e l’eliminazione dei tetti spingenti.
Il reali di Napoli, per sostenere le gravose opere della ricostruzione e per favorire i coloni a diventare proprietari della terra, emanarono una serie di dispacci tra il 15 maggio e il 4 giugno del 1784.
Nel “dispaccio” del 15 maggio, trasmesso dal Vicario Generale maresciallo Francesco Pignatelli, si dispose l’abolizione degli enti ecclesiastici della Calabria Ultra e l’utilizzazione dei loro beni per aiutare le popolazioni colpite dal terremoto, si dispose altresì che tutti i religiosi fossero trasferiti in altre province e le religiose inviate alle case paterne o presso famiglie agiate.
Nel “dispaccio” del 4 giugno vennero emanate le “norme istitutive” della Cassa Sacra, necessarie per riscuotere tutte le rendite ecclesiastiche ed amministrarle in attesa di essere utilizzate per il recupero delle opere più urgenti. Si stabilì anche che la stessa fosse gestita da una giunta, con sede in Catanzaro, composta da 4 Ministri: Don Francesco Pignatelli Strongoli, il vescovo di Catanzaro Don Salvatore Spinelli, Don Andrea de Leone e Don Domenico Ciaraldi.
La Cassa Sacra aveva la facoltà di vendere, affittare o censire i beni dei monasteri soppressi o sospesi. I beni invenduti, inoltre, dovevano essere concessi in enfiteusi con l’obbligo del versamento di un corrispettivo annuo in censo liquido o in derrate.
Col “dispaccio” reale del 29 maggio 1784 furono allargati gli espropri già previsti con la confisca delle rendite delle abbazie, dei benefici dei patronati laicali, delle cappelle laicali e gentilizie vacanti e delle rendite che costituivano la dote dei monti frumentari.
Nel febbraio 1785 furono incamerate le proprietà delle congreghe laicali, la quarta e quinta parte delle rendite delle abbazie, le rendite dei vescovati vacanti, il terzo delle rendite dei vescovati non vacanti ed infine lo spoglio dei vescovi defunti.
Gli enti ecclesiastici colpiti dai provvedimenti della Cassa Sacra furono diversi: alla fine del settecento, in Calabria Ultra, vi erano 450 parrocchie e 250 conventi (120 francescani, 17 basiliani, 40 domenicani, 17 agostiniani, 10 carmelitani; inoltre cistercensi, certosini e benedettini).
Nonostante il pronto intervento e l’impegno fattivo del governo borbonico per la ricostruzione delle zone colpite dal sisma e per aiutare i coloni, le cose non andarono come previsto.
Infatti, le proprietà ecclesiastiche della Calabria, già deturpate da borghesi e contadini fin dal periodo angioino ricevettero un colpo mortale con l’avvento della Cassa Sacra,.
I “riformisti” non hanno tenuto conto che nei secoli la proprietà ecclesiastica hanno consentito prestiti massicci alle famiglie importanti e piccole anticipazioni ai ceti poveri.
Il patrimonio ecclesiastico ha esercitato quindi, pur con alcuni aspetti negativi, un importante “calmiere” sociale.
La Cassa Sacra, riforma rivoluzionaria e coraggiosa, fallì quasi completamente i propri obbiettivi; il pagamento in contanti delle terre ecclesiastiche favorì gli avidi ricchi a discapito dei coloni che non potevano disporre di somme così cospicue.
Così i contadini, che avevano in fitto le terre, o dovettero cambiare padrone o addirittura furono cacciati.
Nel 1790, dopo una denuncia anonima dettagliata, pervenuta al governo borbonico sulle prepotenze e sugli arricchimenti di alcuni calabresi, si recò in Calabria in veste d’ispettore generale il cavaliere Luigi De Medici che, dopo minuziose indagini, inviò al governo borbonico il 15 maggio dello stesso anno una lettera da Monteleone: “talune delle persone che vi si nominano sono veramente ricche e prepotenti; ma per bene intendere la parola prepotenti fa duopo sapersi il significato che vi danno i calabresi. Qui si dicono prepotenti taluni ricchi che proteggono gli inquisiti per via di grosse contribuzioni che di continuo fanno ai subalterni ed ufficiali dell’udienza, ed a questo modo sì fatta gente ribalda resta per sempre, o almeno per lungo tratto, impunita. Questi ricchi di maltalento si servono di questi protetti facinorosi per rendersi autorevoli presso della povera gente su della quale esercitano, specialmente ne’loro negoziati, le maggiori avarie”.
Inoltre, secondo il De Medici, esistevano dei problemi gravi sulla città di Catanzaro dove erano fiorenti le idee della massoneria
Infine, secondo il De Medici, la Cassa Sacra era servita solo a poche persone in quanto il previsto acquisto delle terre ecclesiastiche da parte dei coloni era svanito.
Contemporaneamente i riformisti calabresi più importanti: De Filippis, De’ Mari, Del Toro, Muscari, Spiriti, ecc. misero in risalto il fallimento della riforma e ne indicarono i rimedi necessari per fare uscire la regione dalla miseria.
Nella primavera del 1792 Giuseppe Maria Galanti, in qualità di visitatore ufficiale, percorse la Calabria traendone pessimistiche notizie. Lo stesso scrisse una relazione al sovrano per la segreteria delle finanze dove si elencavano i motivi che hanno causato la povertà della Calabria.
La cruda e reale relazione del Galanti impensierì il re; la preoccupazione aumentò dopo che lo stesso ricevette dal vescovo di Mileto, mons. Enrico Capace Minutolo, una relazione sullo stato precario della propria diocesi e dopo che l’arcivescovo Giuseppe Rossi, incaricato dal re, mise in risalto il fallimento della riforma e la povertà della Calabria Ulteriore.
Così il 16 gennaio 1796, il governo borbonico decretò finalmente la soppressione della Cassa.

Bibliografia

BRASACCHIO G., Storia economica della Calabria, Chiaravalle Centrale1977
CIRILLO D., Squillace e la Diocesi prima e dopo il terremoto del 1783, Squillace 1983
GIUSTINIANI L., Memorie istoriche degli scrittori del regno di Napoli, Napoli 1787
PLACANICA A., L’Iliade funesta, storia del terremoto calabro messinese del 1783
PLACANICA A., Alle origini dell’egemonia borghese in Calabria, Salerno 1979
PRINCIPE I., Città nuove in Calabria nel tardo settecento, Chiaravalle Centrale 1976
SERRAO E. , Dei tremuoti di Castelmonardo e della nuova Filadelfia in Calabria, Chiaravalle Centrale 1974
VIVENZIO G., Istoria dei tremuoti, Napoli A. S.

 

di Francesco Antonio Cefalì

Perché ci sono veleni e veleni

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Le istituzioni e i cittadini della provincia di Catanzaro sono in fermento per le note vicende portate in risalto dalla cronaca nazionale con il programma delle Iene circa la presunta presenza di sostanze pericolose, radioattive, sulla spiaggia di Calalunga di Montauro.

La mobilitazione mediatica  ha portato  immediatamente  sul posto  i nuclei speciali dei Vigili del Fuoco e dei Carabinieri per  effettuare un sopralluogo, con contestuali misurazioni radiometriche e, da subito, dagli accertamenti effettuati, non venivano  evidenziati parametri al di fuori della norma.

Il Commissario dell’Arpacal, chiamato direttamente in causa dal Prefetto, ha  dichiarato  che la vicenda, di cui si e’ occupata la trasmissione televisiva, era stata oggetto di diverse verifiche nel corso degli anni 1995, 1996 e 2002; le analisi condotte sulle spiagge, sulle acque costiere e sui sedimenti, nonche’ su alcuni campioni del pescato non hanno mai rilevato la presenza di radionuclidi di origine antropica nell’ambiente costiero catanzarese. Gli esiti degli studi condotti dall’Anpa e dall’Apat nel 2002 sono pubblicati sui siti dell’Arpacal e dell’Ispra.

Nei giorni successivi sono state  nuovamente  ripetute le misurazioni e i prelievi da parte del fisico Dott. Salvatore Procopio dipendente Arpacal  ed incaricato dalla Procura della Repubblica di Catanzaro per questo specifico problema ad effettuare le analisi. Anche  queste rilevazione hanno dato esito negativo: non vi sono tracce tali da dover procedere con provvedimenti drastici.

A questo punto  le domande che ci poniamo sono diverse e talune inquietanti.

Sappiamo che i paesi di quel tratto di costa hanno appena fatto richiesta di bandiera blu. Il dubbio sorge spontaneo,potrebbe trattarsi  forse di una forma di  boicottaggio? le nostre meravigliose spiagge, riconosciute tali da tutti i visitatori, danno forse fastidio? Danneggeremo forse qualche nota spiaggia del nord? Non è forse vero che strumenti per  rilevazione così delicate non possono , seppur certificati ,  essere utilizzati da chiunque  per elaborare teorie e mettere in subbuglio un’intera regione? E potremmo continuare a lungo con gli interrogativi che ruotano intorno a questa vicenda.

Ricordiamo che  i dati statistici  del  turismo in Italia sono confortanti sia per il 2015, cosi come le proiezione del 2016 e per il futuro.

Infatti secondo lo studio e ricerche Enit “L’Europa – che si conferma l’area più visitata del mondo – ha raggiunto quota 607,7 milioni di arrivi, con 27,5 milioni di turisti in più rispetto al 2014; l’aumento è apprezzabile anche nell’Europa Meridionale/Mediterranea con 10,4 milioni di arrivi in più (+4,8%)”

Per questo e tanti altri motivi, in sostanza, i Calabresi vogliono che si faccia chiarezza sulla vicenda  a tutto tondo  per sgomberare ogni possibile dubbio residuo. Da tempo si chiede con forza che venga istituito un registro tumori che faccia una mappatura reale della incidenza di tale malattia e che individui anche eventuali dirette ed indirette cause ambientali, dove ve ne fossero.

Danno di immagine, per le inevitabili conseguenze negative sul turismo che è la base della nostra economia costiera, e procurato allarme: sono questi i reati eventuali che verranno utilizzati dal sindaco di Montauro, Pantaleone Procopio, a tutela della collettività che presiede qual’ora se ne stabilissero i presupposti.

La vicenda appare quindi non del tutto conclusa e ci  auguriamo che ciascuno  riesca a fare serenamente il proprio lavoro senza sconfinare, talvolta e frettolosamente,  nelle competenze dell’altro generando il caos mediatico.

di Lucia Gatto