Tag Archives: annamaria pisapia

Un monumento a Napoli per ricordare le vittime del risorgimento

Share Button

Patrizia Stabile intervista Annamaria Pisapia su il “Roma”. 

Annamaria Pisapia non è solo un’instancabile ed indomabile donna del Sud che sin dai primi anni ’90 ha abbracciato nel concreto la causa meridionalista, ma è anche l’ideatrice e promotrice di ‘O Monumento, cioè dell’idea di erigere un monumento in memoria delle vittime perpetrate dall’esercito sabaudo durante l’invasione del 1860 a Napoli.

Tale proposta ha fatto molto scalpore, da dove nasce l’esigenza di erigere tale monumento e quali ne sono le finalità. 
L’idea di dedicare un monumento alle vittime del Risorgimento mi accompagna da 26 anni, da quando appresi un’altra storia o meglio, da quando scoprii che quanto avevo studiato sui libri scolastici, in cui veniva mostrato un sud arretrato, povero, analfabeta, nient’affatto industre, tendente alla delinquenza e per questo erano venuti a liberarci nel 1860, non corrispondeva a verità. E soprattutto, scoprii che le vittime dei massacri, che si erano perpetrati per il raggiungimento dell’Unità d’Italia, erano state destinate all’oblio. Nessun ricordo di quel sacrificio, nessuna elaborazione del lutto venne concessa al popolo del Regno delle Due Sicilie, il cui grido di dolore è ancora intrappolato nello spazio e nel tempo. E’ indubbio che un popolo non può costruire la propria identità se non dalla memoria del suo passato, passaggio che serve a rafforzare ed accrescere la propria autostima, tanto più se è stato glorioso. Oltretutto, in molti paesi sono stati eretti monumenti in ricordo del sacrificio dei vinti, che mi sembra del tutto doveroso e naturale erigerne uno anche nel nostro. Inoltre, a mio avviso, rappresenta un punto imprescindibile per il riscatto del Sud”.

Lei è stata promotrice anche della raccolta dei fondi necessari a coprire le spese vive dell’opera realizzata, a titolo gratuito, dall’artista Domenico Sepe: quali sono state le difficoltà legate alla realizzazione di un progetto iniziato ormai 20 mesi fa?
Lanciai l’idea in seno al Movimento Unione Mediterranea, di cui sono coordinatrice, che appoggiò l’iniziativa 19 mesi fa. Il progetto venne presentato al sindaco De Magistris e agli assessori Calabrese e Piscopo che appoggiarono l’iniziativa. Ovviamente necessitava di uno scultore e non potevo che scegliere uno tra i migliori, Domenico Sepe, sia per l’amicizia che ci lega sia per l’amore che nutre verso la sua terra e che traspare nelle sue opere. Egli accettò con entusiasmo la mia proposta e anche la richiesta di produrre l’opera gratuitamente. Ovviamente si è resa necessaria una raccolta fondi a copertura delle spese materiali calcolate in 3.000 euro, e a tal scopo abbiamo aperto una pagina Facebook che abbiamo chiamato ‘O Monumento

Il monumento sarà firmato dal popolo napoletano: quali sono le ragioni di tale scelta e perché è importante che sia realizzato proprio a Napoli?
Il monumento sarà firmato dal popolo napoletano perché vedrà la luce nella città di Napoli, ma esso rappresenta tutto il popolo di una terra che un tempo andava sotto la denominazione di Regno delle Due Sicilie

Una questione a parte è rappresentata dal tema del luogo in cui verrà collocato.
Sul luogo prescelto, la galleria commerciale della stazione centrale, c’è il rifiuto da parte della società Grandi Stazioni di Roma. Oggi si chiede di porla all’aperto. Certo potrò dire di essere finalmente sicura di aver raggiunto l’obiettivo, quando firmerò l’ultimo documento che sancirà l’atto di donazione alla città di Napoli. Sarà scaramanzia? Dopotutto sono napoletana!”.


Su il Roma il 9 novembre 2017.

 

SE UNA MEMORIA E’ PIU’ INUTILE DI UN’ALTRA

Share Button

Di Annamaria Pisapia

“Sud, no alla memoria inutile”. Così titola “Il Mattino”, il dibattito tra Massimo Adinolfi e Gianfranco Viesti riguardo alla proposta approvata dalla Regione Puglia di istituire una giornata della memoria, per commemorare le vittime del Regno delle Due Sicilie. Un articolone scritto a due mani in cui l’uno rafforza le tesi dell’altro, che definire dibattito, senza un contraddittorio, suona mostruosamente beffardo. Laddove la memoria della perdita di quanti furono sacrificati per l’unità acquista lo stesso valore di un insetto, inutile e fastidioso. Sorprende che Adinolfi affermi: “ Come se la storia non fosse altro che una macelleria di uomini e popoli. E come se l’unica posizione moralmente legittima fosse quella che si pone sempre solo dalla parte degli sconfitti…” Non so se se n’è accorto ma ha appena disconosciuto l’Olocausto. Tranquillo, non verrà tacciato di negazionismo, reato punito con la detenzione, perché sono sicura che il riferimento era riservato solo a quelli del Sud, facilmente intuibile dall’ affermazione successiva: “ Insomma, è come se fare l’unità d’Italia-uno dei più grandi risultati dell’età moderna- non rendesse oggi meno accettabili i fucili piemontesi puntati contro l’esercito borbonico…” Io non so in base a quale perverso meccanismo mentale si possa arrivare a simili affermazioni. La legittimazione di un’aggressione di un territorio, di uno Stato libero e indipendente, di una Nazione, di un popolo, la depredazione, l’abominio subito, la devastazione, gli stupri, l’annientamento, la perdita di una capitale,( Napoli, retrocessa a capoluogo di provincia, in favore di una insignificante città come Torino, da cui distava 900 km, per non parlare dei 1600 km di distanza che la nuova capitale aveva con la Sicilia) con l’aggravio del decimo di guerra , esteso a tutto il Regno, per le spese sostenute per la “liberazione”,ed infine la colonizzazione, tuttora in atto. Eppure la sorpresa più sconcertante arriva proprio da Viesti: “ L’ampia evidenza storica non giustifica particolari nostalgie. Non era l’inferno, comparato al paradiso sabaudo, ma la ricerca converge ad esempio nel valutare come infimo, molto più basso che negli altri stati preunitari, fosse il livello di alfabetizzazione. Un divario, quello dell’istruzione elementare, che sarà colmato solo dopo un secolo e che peserà enormemente sul ritardo economico e civile del Sud…” Di quali nostalgie va cianciando se parla di evidenza storica? E di quale analfabetizzazione? Dimentica il 90% di analfabeti della Sardegna, appartenente al Regno dei Savoia, la quale, per un “oscuro” motivo, viene accorpata al Sud nelle statistiche dell’analfabetismo facendo innalzare la percentuale e per contro aumentare il livello di alfabetizzazione del nord. Nientedimeno che occorse un secolo per “colmare” questo divario? Viesti non si indigna? Non pensa che, invece, occorse un secolo per deprivare e impoverire sempre più il Sud a vantaggio del nord,( come dimostrato anche da Francesco Saverio Nitti in “Napoli e la Questione Meridionale”, o dall’ unitarista Maddaloni nella sua mozione d’inchiesta del 20 novembre 1861) ed instillare quella forma mentis di un Sud povero, arretrato, ignorante, sporco, analfabeta e… vennero a liberarci? Ma se Viesti ha cercato di dare un colpo al cerchio e uno alla botte( capita quando non si hanno le idee chiare e si risente di quel copione che preme sulla coscienza, impedendo un’analisi lucida e priva da condizionamento), Adinolfi chiude con una “chicca”: “Infine vorrei porre una domanda sul significato di una memoria condivisa. Questo tema è stato posto in Italia a proposito del discrimine sul fascismo-antifascismo e a quel riguardo Giorgio Napolitano, da Presidente della Repubblica, ha più volte messo in guardia dalle false equiparazioni e banali generalizzazioni. Non è lo stesso avviso che bisogna tenere nei confronti delle vittime meridionali dell’unificazione per evitare di dare la 1861 il significato di una morte della Patria meridionale?”. In che modo definirebbe la cancellazione di uno Stato- Nazione libero indipendente, come già esposto, annesso con la forza e tenuto in stato di colonia, se non come la morte di una Patria, (tale era prima dell’arrivo dei piemontesi)? E perché mai le migliaia o centinaia di migliaia, (forse che fa differenza?)di vittime che si batterono, per legittima difesa, contro chi , a suon di fucilate, era venuto a liberarli, non avrebbero pari diritti alla rimemorazione come gli ebrei, gli armeni, gli istriani, i cileni, i giapponesi, i cambogiani, i nativi americani… Cosa li distingue dalle vittime dell’ex Regno delle Due Sicilie (diamogli il nome giusto, perché essi facevano parte di uno Stato che andava sotto tale denominazione e non c’entra un fico secco la nostalgia)? Il numero delle perdite? Qual è il limite minimo garantito, da cui si può “avanzare” il diritto a richiedere di poter elaborare un lutto ( intrappolato nello spazio e nel tempo, soffocato e sostituito da una macabra euforia, imposta dai liberatori) un riconoscimento al loro sacrificio senza che qualcuno si arrampichi sugli specchi nel tentativo maldestro di protrarre l’occultamento di una verità scomoda , pesante? E non è forse proprio quel Giorgio Napolitano, che menziona Adinolfi, ad aver affermato, in occasione della giornata della memoria della Shoah: “bisogna sempre guardare al passato per non dimenticare, affinchè sia di monito per le generazioni future” . L’unità d’Italia porta i segni di una conquista violenta e cruenta celata, come è d’uso, dagli stessi conquistatori. Prima se ne prenderà coscienza e meglio sarà per tutti.

Un passo verso la decolonizzazione: perchè è importante cambiare la toponomastica delle città del Sud.

Share Button

Di Annamaria Pisapia

“Di fronte al mondo sistemato dal colonialista il colonizzato è sempre supposto colpevole” –Frantz Fanon “I Dannati della Terra” .

La colonizzazione del Sud, avviata 155 anni fa, potè espandersi grazie, anche, alla diffusione capillare su tutta la penisola, di una storiografia improntata all’annichilimento delle popolazioni del Mezzogiorno, della sua storia, della sua identità,  con l’intento di sottrargli forza e capacità. Un modello che si è sviluppato in maniera esponenziale e su cui la classe politica nord-centrica ha costruito la sua egemonia sul Sud. Fin dal 1860 la divulgazione storiografica fu affidata a quegli storici che vennero definiti “sabaudisti”.

Essi avevano il compito di divulgare la “Storia Patria” attraverso la mitizzazione dei Savoia. L’indottrinamento avveniva mediante compendi, letture e manuali, che venivano imposti nelle scuole elementari, così che l’imprinting (condizionamento)potesse fissarsi e forgiare le giovani menti.  In una Circolare Ministeriale del 26 novembre 1860 si legge: “La storia nazionale deve essere identificata con quella dei sovrani sabaudi…”. Ma, per la riluttanza di molti insegnanti, in special modo quelli del Mezzogiorno, ad adottare la nuova versione storiografica, il Ministro della P.I. Broglio, nel 1868 istituì una commissione d’inchiesta in cui spiegava: “ I maestri sono estranei in massima parte, quando non ostili, al nuovo corso politico inauguratosi nel 1861… specie nelle scuole degli ex territori pontifici e del Meridione…”  Così, al fine di un vigoroso attecchimento il Ministro Baccelli istituì delle “Conferenze Pedagogiche” da tenersi in tutta la penisola.

E’ inutile dire che da allora nulla è cambiato e  i libri di testo scolastici sono tuttora concepiti in maniera da alimentare la colonizzazione del Sud.  Colonizzazione che fu chiara fin da subito a eminenti politici, come il Deputato Proto Maddaloni,  il quale presentò una mozione parlamentare a riguardo il 20 novembre 1860, censurata dalla Commissione Parlamentare, e ad altri tra cui il Ministro Francesco Saverio Nitti, che non esitò a denunciare le condizioni cui era costretta a vivere Napoli: “…ridotta ormai a città capitale di una colonia…”. Da allora le condizioni in cui è  tenuta Napoli continuano, tuttora, ad essere quelle di una capitale colonizzata.  Condizioni che si sono negli ultimi decenni fatte sempre più evidenti, in cui non possiamo non riconoscere  quelle dinamiche innescate da quel fatidico 1860 e che sono proprie dei colonizzatori. Tra queste ne riconosciamo alcune, tuttora ben visibili: l’occultamento della storia, come già evidenziato, e  la distruzione dei segni del passato del popolo conquistato. Quest’ultima dinamica acquista una importanza rilevante, come ci insegna la semiotica, perché fa riferimento, inequivocabilmente, al predominio e marcazione del territorio. Il tutto viene attuato rimuovendo monumenti e toponimi da strade, vie, piazze, che vengono sostituiti da quelli dedicati ai nuovi governanti.

Questa lunga premessa si rendeva necessaria per focalizzare meglio l’attenzione su  uno dei punti fondamentali:” Napoli, così come l’intero Mezzogiorno, ahimè, prima di essere colonizzata economicamente continua ad esserlo mentalmente”. E fintanto che continuano ad esistere monumenti, strade, vie e piazze in ricordo di coloro che si resero rei del massacro del Sud la colonizzazione si autoalimenta.  E con essa l’educazione alla minorità. Tutto ciò ci depriva delle nostre radici, della nostra memoria e della nostra identità: indebolendoci e instillandoci un errato senso di colpa e di riconoscenza verso i nostri “liberatori”.

Pertanto ritengo di fondamentale importanza la rimozione di quei toponimi, dedicati a personaggi che si sono macchiati di delitti efferati contro il popolo napoletano. E, laddove possibile, di ripristinare l’antico toponimo. Considerando che: “La memoria del proprio passato restituisce dignità e identità ad un popolo e ne rafforza l’autostima”.

 

Parallelo Italia, Riotta manda in onda lo sputtanapoli. La lettera di Annamaria Pisapia

Share Button

“Gent. dott. Riotta,
ero stata invitata alla vostra trasmissione dalla confartigianato come imprenditrice, insieme ad altri imprenditori, i quali avrebbero dovuto rappresentare l’eccellenza di Napoli. Ci aspettavamo, quindi, che durante la trasmissione sarebbe emersa l’immagine vera di Napoli. Ma, ahimè, ancora una volta ho assistito all’ennesimo “sputtanapoli” ormai divenuto sport nazionale volto a rafforzare il messaggio di una città quale simbolo di camorra e degrado.

Non è un caso che si sia scelto di mandare in onda, il servizio di una zona degradata (zone degradate ce ne sono in ogni città, ma come per magia spariscono. Così come è sparita, sempre per magia, nella puntata precedente da Milano, il marcio sull’ Expo, tra tangenti, appalti truccati, mafia e arresti, con interi padiglioni chiusi. Liquidato il tutto da lei con uno striminzito: grande polemica su questi grandi avvenimenti,per lasciare che passasse un altro messaggio: la capacità di fare le cose (Giuseppe Sala)’efficienza e la dirittura morale lombarda(sic). Ovviamente mal si conciliava mostrare qualche zona degradata della città meneghina. La puntata da Napoli, invece, doveva essere proprio come voleva il giornalista Riotta: il napoletano che si laurea all’estero, quasi ad avallare la tesi che le Università del Sud siano di serie B, la camorra, etc. etc.

L’unico momento, in cui un barlume di luce ha tentato di squarciare le tenebre, è stata la risposta del giornalista napoletano che ha evidenziato il momento della morte del Sud facendola risalire a150 anni fa ( si sarà sentito il mio urlo di dolore: dall’unità d’Italia.

In verità sono 154 anni, giacchè prima del 1860 la “Questione Meridionale”, termine coniato per la prima volta dal deputato Billia nel 1863, era sconosciuta, ma forse varrebbe la pena anche sapere che fino all’infausta unità erano lombardi, veneti e svizzeri ad emigrare al Sud. Non so quanto possa interessarla, ma a Napoli esiste una Via S.Anna dei Lombardi. Il nome le è dato dalla presenza dell’Arciconfraternita dei Lombardi che fin dal XV secolo avevano il compito di accogliere i loro concittadini, che emigravano nel Regno delle Due Sicilie procurando loro lavoro e alloggio.

Figuriamoci, come sarebbe stato possibile far emergere qualcosa come: Sud colonia interna del Nord. Sarebbe bastato questo per venire licenziati. Riotta in primis. Ma forse ci vuole coraggio per dire certe cose. Per cui, meglio un collegamento con l’onnipresente Salvini. E che c’azzecca? Diamine, che serva da mònito! E soprattutto faccia sentire la voce del padrone: il nord! Per carità che a nessuno venga in mente di invitare Ciro Corona, Padre Patriciello, Maurizio De Giovanni etc.

Non sia mai dovesse venire fuori la verità. il Sud non decolla perchè: i tassi d’interessi sono più del doppio che al nord, 9% contro 3,8% ; che il ministro Lupi prima e Delrio poi, hanno presentato 83 progetti a Bruxelles per oltre 13 miliardi di euro da destinare al nord in alta velocità, collegamenti ferroviari, per aeroporti di Venezia, Roma, Milano, potenziamento di linee e impianti per Venezia, Treviglio, Brescia, Torino-Milano, tunnel Brennero, Torino Lione e nel settore marittimo ai porti di Ravenna, Trieste, Venezia, Livorno, Cagliari etc. E il Sud? Cosa vedrà di questi miliardi? Solo tre milioni per un by pass stradale a Palermo e Napoli. O vogliamo parlare dei 4miliardi e 799 milioni di euro destinati per l’alta velocità dalla Toscana in su e di solo 60 milioni a Sud. Interpellato Delrio rispose: l’alta velocità a Sud si farà ma con calma, percè ci sono le rocce! Le rocce del nord saranno di grana padano? O vogliamo parlare dei 700 milioni di euro dirottati per gli asili nido del nord e zero euro a quelli del Sud. Ma no, tutto questo non poteva e non doveva venir fuori. Guai a parlare di imprenditori del nord che hanno sversato rifiuti tossici nella campagna napoletana.Con la camorra. Certo! Entrambi hanno fatto un affare, ma chissà perchè viene fuori solo la camorra nelle notizie dei media. Guai a parlare che il Sud è invaso, colonizzato, da prodotti del nord: banche assicurazioni, centri commerciali, supermercati, prodotti alimentari. Il che significa che ogni anno versa nelle casse del nord 63 miliardi di euro. Inutile dire che con questi soldi si potranno costruire strade, aeroporti, scuole, ospedali, magari proprio quelli dove spesso sono costretti a dover ricorrere proprio da Sud, pur avendo delle eccellenze come il Monaldi di Napoli, con l’aggravio di spese per sè e i congiunti che avranno necessità di alloggio e ristorazione lasciando altri soldi sul suolo nordico. Aggiungendo al danno la beffa.

Direi che come stuzzichino per una trasmissione da Sud e sul Sud poteva bastare. Ammesso che non si volesse far vedere altro.

In conclusione: mi dispiace della reazione di alcuni facinorosi, probabilmente di qualche centro sociale, ed anche dello spavento di Malika Ayane, ma mi dispiace ancor di più della frase di lei dott. Riotta: “qualcuno dirà che noi meridionali non sappiamo stare al mondo”. I violenti, i centri sociali, i black bloc etc non vengono mai identificati, geograficamente parlando, con questo o quella regione, per cui trovo inopportuno l’accostamento ai meridionali, come se questo fosse una nostra caratteristica. Mi creda sono altri che non sanno stare al mondo. Noi ci stiamo appena da tremila anni da che eravamo, e siamo, Magna Grecia.”
Di Annamaria Pisapia 

Senso di minorità a scuola: dobbiamo cambiare i libri di storia sul Risorgimento

Share Button

L’intervista di “vairanonews.it Leggi tutto