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Referendum: la clausola di supremazia che ci incatena tutti

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Il nuovo art. 117, comma 4 stabilisce che “su proposta del governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”.

Traduzione: il governo può intervenire liberamente anche nelle materie legislative dedicate alle Regioni se lo ritiene in qualche maniera necessario per la tutela dell’interesse nazionale.
Provvedimenti come quello dello sblocca italia, ovvero atti di forza giustificati con la formula “di interesse nazionale”, diventeranno più semplici.

Ad esempio se una trivella è interesse nazionale, si fa come decide il governo.
Un sito di stoccaggio scorie di interesse nazionale, si fa come decide il governo.

Nell’art. 70 si afferma che nel merito di quanto scritto sopra può esprimersi il Senato “nel termine di dieci giorni dalla data di trasmissione. Per i medesimi disegni di legge, la camera dei deputati può non conformarsi alle modificazioni proposte dal Senato della Repubblica a maggioranza assoluta dei suoi componenti, solo pronunciandosi nella votazione finale a maggioranza assoluta dei propri componenti.”

Cosa significa? Che il Senato “delle autonomie” scavalca le Regioni e deve esprimersi in tempi rapidissimi, forse fantascientifici per la burocrazia italiana: 10 giorni! Ma la immaginate tutta questa efficienza? Io no.
Ma questo è il meno.
L’altro aspetto più preoccupante è che alla fine la Camera può anche decidere di non conformarsi alle decisioni del senato.

Immaginiamo uno scenario: il governo decide che è necessario fare un certo tipo di intervento di forte impatto sul territorio. I cittadini devono eventualmente trovare il modo di orientare il senato (e non più la Regione). Se pure riescono a farlo il senato deve esprimersi nel merito in 10 giorni. Se pure riesce a farlo la camera può fregarsene.

di Pierluigi Peperoni

La Puglia che si ribella andrà avanti per difendere la terra nostra.

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Ambientalisti e meridionalisti pervenuti ieri da tutte le province pugliesi, hanno partecipato ad un incontro a Bari, nella sede del Circolo Ostro, sul che fare per fermare il decreto sblocca Italia, che condanna il Sud alla devastazione ambientale, per estrazioni petrolifere selvagge, sversamento di rifiuti tossici ed emissioni velenose dagli impianti industriali monstre, quali l’Ilva di Taranto e la centrale a carbone di Brindisi, e alla totale negazione di finanziamenti dello stato, dirottati interamente verso il nord, per ben 5 miliardi di euro alle infrastrutture e 2 miliardi di euro per lo sviluppo, oltre i 4 miliardi di fondi europei scippati alle regioni meridionali da utilizzare in quelle settentrionali.
E’ emersa, da parte di tutti i partecipanti, la volontà di proseguire nella lotta per il diritto alla salute ed al lavoro pulito dei pugliesi, che vedono nella distruzione dei settori agricolo e turistico, conseguente alla devastazione ambientale, la “soluzione finale” della già povera economia regionale.
Dopo la presentazione del barese Agostino Abbaticchio, responsabile del circolo, e l’introduzione del foggiano Raffaele Vescera, moderatore dell’incontro, sono iniziati i vari interventi. Particolarmente significativa la testimonianza del tenente della guardia ambientale di Potenza, Giuseppe di Bello, che ha denunciato il massacro territoriale della Lucania e il conseguente impoverimento degli abitanti, per via delle selvagge estrazioni petrolifere in atto da decenni, oltre all’aumento vertiginoso della mortalità tumorale, dovuta all’inquinamento delle acque che colpisce altresì i tre milioni di pugliesi che bevono l’acqua inquinatissima della diga del Pertusillo.
A seguire, ha parlato Gregorio Mariggiò, portavoce dei verdi per l’ambiente di Taranto, il quale ha evidenziato gli irrisolti problemi ambientali dell’Ilva, così rovinosi per la città, proponendo inoltre, in virtù del ruolo negativo dei partiti, la formazione di una lista civica per le prossime elezioni regionali che si batta per la difesa dell’ambiente, tenendo alta la bandiera dell’onestà.
A lui ha fatto seguito Vittoria Orlando, del movimento “Taranto respira” che ha evidenziato il crescente tasso di mortalità per cancro in città, più di tutto al Rione Tamburi, prossimo all’Ilva, dove non v’è famiglia che non sia stata segnata da tale cattiva sorte.
Anche la brindisina Marzia Mastrorilli, rappresentante del movimento “No carbone”, ha calcato l’accento sulle disastrose conseguenze per la salute per le abnormi emissioni inquinanti della centrale di Cerano e per la persistenza della megadiscarica tossica di Micorosa, posta a pochi metri dal mare.
Ha continuato con la disamina degli altrettanto preoccupanti problemi ambientali della Capitanata, Vincenzo Rizzi, consigliere comunale a Foggia. A lui facevano seguito il salentino Crocifissso Aloisi, il quale ha messo in rilievo la questione del gasdotto Tap, che approdando sulla riva di Melendugno rovinerebbe un incantevole e finora incontaminato tratto di costa, e il barlettano Ezio Spina, che in rappresentanza della sesta provincia ha evidenziato la rovinosa presenza del cementificio, auspicando una politica indipendente per il Sud.
Per finire, l’avvocato lucano Antonio Romano ha elencato le possibilità legali di ricorrere avverso il decreto “trivella sud”, ponendo in rilievo la necessità di ricorrere ad una class action contro le multinazionali petrolifere.
Dopo questo primo incontro, i partecipanti si sono dichiarati intenzionati a costituire un coordinamento regionale dei vari comitati al fine di concordare forme ed obiettivi di lotta, dandosi un nuovo appuntamento, sempre a Bari, per sabato 29 novembre. Anche in vista della partecipazione alla prevista manifestazione regionale contro il decreto Renzi del 4 dicembre a Bari.
Dai partecipanti è altresì emersa l’intenzione di far pesare la volontà di salvare la Puglia dalla programmata devastazione ambientale ed economica anche alle prossime elezioni regionali nelle forme che saranno in seguito concordate.
Raffaele Vescera

 

Sblocca trivelle. Cos’è l’articolo 38 e cosa accadrà in Basilicata approvato lo Sblocca Italia.

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Dopo il servizio del Tg 3 Regione Basilicata, mandato in onda ieri pomeriggio alle ore 14.00, occorre fare chiarezza sulla questione Sblocca Trivelle.


Ci sono dei posti in cui si muore in silenzio. Prima ci si ammala e poi si muore, così, nella più totale indifferenza. Ci si ammala perchè si è vivi, si ha la sfortuna di abitare alcune terre inquinate, terre maltrattate e sfruttate. Ci si ammala mangiando i frutti che questa terra marcia continua a dare, ci si ammala anche solo sorseggiando un bicchiere di acqua oppure respirando. Le chiamano le morti silenziose, quelle che non fanno troppo rumore e non fanno nemmeno notizia per i giornalisti avvoltoi.
Uno di questi posti è la Basilicata.
Cause scatenanti queste morti silenti sono le trivellazioni, l’inquinamento che ne deriva e la violenza inaudita che si scatena mentre si scavano nuovi pozzi e si contaminano, per sempre, nuove falde acquifere. In Basilicata esistono oltre 400 siti inquinati, non esistono regole morali e neanche burocratiche o civili; si scava a distanze di 500 metri dagli ospedali, a 200 metri dai centri abitati, si trivella da più di quarant’anni il tutto nel silenzio assordante degli uomini politici che godono anche di una certa notorietà, che definirei, con il più volgare dei modi, acquiescenti, complici di un neocolonialismo interno che ha radici ben più profonde. Basti pensare che grazie alla Lucania, dove l’oro nero venne scoperto nel 1987, l’Italia è al quarto posto fra i paesi europei produttori di petrolio. La Val d’Agri, dove si concentra il bacino più importante, da sola produce l’82% del petrolio italiano e possiede il più grande giacimento di petrolio onshore (sulla terraferma) dell’Europa continentale. Le aree di estrazione sono gestite da una holding dove l’Eni ha la maggioranza del 61% e il resto (39%) è detenuto dall’inglese Shell.

I paesi arroccati, i pastori, l’aria pulita, i campi fioriti e distese di campi coltivati. Detta così sembra che in Lucania il tempo si sia fermato. Ma la verità è un’altra. Dietro questa maschera si nasconde un mostro, un untore, un male: la povertà. Sì, perchè la regione resta una delle più povere d’Italia ( un paradosso se ci soffermiamo a pensare ), una regione in cui vi è un alto tasso di spopolamento ed un alto tasso di mortalità, proprio qui in Basilicata, una regione indispensabile per il fabbisogno italiano.

In molti, grazie anche alla disinformazione, non avranno compreso le motivazioni di queste manifestazioni che stanno andando contro i poteri, contro la dinastia, contro questo ceppo ormai malato e infettato da una fame senza fine, una fame senza stimolo che volge solo a potere e non al bene del popolo.
Cosa ha fatto Pittella dopo il 23 settembre? Aveva promesso che avrebbe fermato le trivellazioni, che non avrebbe permesso la distruzione di una terra così pura e vergine.
Aveva.
E adesso? Non c’è stato nulla, solo oblio, una mossa astuta nel richiedere, al posto della carta idrocarburi, una social card da destinare ai più poveri con un finanziamento di 25 milioni di euro da parte del governo fiorentino ( oltre i 50 milioni destinati per il neocolonialismo petrolifero).
E questo decreto? Nessun approfondimento rispetto a quanto stabilito dagli art. 36, 37 e soprattutto 38 del Decreto Sblocca Italia.
Ma cosa si dice in tali articoli?
In sostanza si precisa che le attività di prospezione, ricerca e coltivazione d’idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale rivestono carattere d’interesse strategico e sono di pubblica utilità, urgenti e indifferibili.
I relativi decreti autorizzativi comprendono, pertanto, la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza dell’opera e l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio dei beni in essa compresi.
Inoltre, per i procedimenti di valutazione d’impatto ambientale in corso presso le Regioni alla data di entrata in vigore del presente decreto, relativi alla prospezione, ricerca e coltivazione d’idrocarburi, la Regione presso la quale è stato avviato il procedimento, deve concludere il procedimento entro il 31 dicembre 2014. Decorso inutilmente tale termine, la Regione trasmette la relativa documentazione al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.
In sostanza una vera e propria accelerazione con successivo esproprio delle competenze previste e regolamentare dall’art. 117 della Costituzione, non ancora però riformata.
Su tali concetti non una sola parola è stata spesa dal Governo Pittella, nessun timido accenno di difesa delle prerogative che la nostra costituzione ancora riconosce alle Regioni se non un generico riferimento alla richiesta di abrogazione dell’articolo del decreto, non meritevole però, di ricevere approfondimenti con slide come per la questione royalties.
Il Governo Regionale non approfondisce neanche il concetto di pubblica utilità, qualifica attribuita agli idrocarburi dal decreto Sblocca-Italia, anzi Pittella parla di “non voler portare avanti il concetto di petrolio come riserva regionalizzabile”.
Allora anche lui crede alla favola del petrolio lucano quale “riserva strategica nazionale”?
E’ assurdo cercare di perseguire la diversificazione energetica e la promozione delle energie rinnovabili se si attribuisce agli idrocarburi la connotazione di pubblica utilità e quindi, d’interesse pubblico alla sua estrazione.
Precisiamo che l’opera di pubblica utilità, pur soddisfacendo interessi collettivi e possedendo un carattere immobiliare, non è realizzata da un ente pubblico, ma da un soggetto privato e quindi, si supera tranquillamente il problema delle estrazioni di petrolio eseguite da società private.
Ma in sostanza cosa comporta la dichiarazione di pubblica utilità per il cittadino lucano?
Se consideriamo che la dichiarazione della pubblica utilità è un atto autoritativo che fa emergere il potere pubblicistico in rapporto al bene privato, ne consegue che il provvedimento espropriativo è autorizzato a sottrarre il bene al legittimo proprietario nella misura in cui effettivamente il bene stesso sia utilizzato per il conseguimento dello specifico interesse pubblico fissato con la dichiarazione di pubblica utilità.
Ma se la dichiarazione di pubblica utilità può essere plurima, ossia rivolto a un numero rilevante, determinato di soggetti, può essere collettivo così come si configura nel decreto Sblocca-Italia?
Su tali legittimi dubbi che possono trasformarsi anche in eccezioni d’incostituzionalità del decreto dispiace non aver sentito nulla da una classe politica che si dimostra troppo conciliante e desiderosa di condividere con il Governo le scelte in materia d’idrocarburi, rischiando così di perdere di vista altri importanti aspetti.
Pittella, durante la sua conferenza stampa ha parlato della sua terra come un “malato in agonia” o “in pre-agonia”.
Purtroppo, dispiace dover segnalare che il vero malato in agonia è la nostra democrazia regionale.
Il titolo V e l’art. 117 della Costituzione non è stato ancora riformato, ma tutti sembrano averne perso memoria.

Si ringrazia Carla Bottiglieri per questo approfondimento sull’articolo 38 del Decreto Sblocca Italia.

 

Dal CIPE 2 miliardi per lo sviluppo, al centro-nord

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In data 10 Novembre 2014 si è riunito il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica, presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri, Matteo Renzi. Leggi tutto

Lo “sblocca Italia” succhia 1,2 miliardi al sud

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Si chiama “Sblocca Italia” e all’articolo 1 parla delle ferrovie Napoli-Bari e Palermo-Catania-Messina, come a dire che l’Italia riparte se riparte il Sud. Poi però per quelle due linee non viene investito un euro in più.

Lo sblocca-cantieri prevede investimenti per altre 29 opere con un importo di 3.890 milioni di euro. La distribuzione dei lavori è 62% al Nord e 38% al Sud. Ma da dove arrivano i 3.980 milioni? In massima parte (3.050 milioni) dal taglio del Fondo sviluppo e coesione 2014-2020, il quale per legge è destinato all’80% al Mezzogiorno.

In pratica si realizzano opere al Nord con 1.256 milioni del Sud. Fatti i conti, il Mezzogiorno contribuisce per il 63% quando c’è da pagare e vale il 38% quando c’è da investire.

E’ possibile leggere l’articolo di Marco Esposito su “Il Mattino” del 21/09/2014