Legge di Stabilità, dov’ è finito il Masterplan per il Sud?

di Lino Patruno, articolo del 12/10/ 2015 su La Gazzetta del Mezzogiorno
di Lino Patruno, articolo del 12/10/ 2015 su La Gazzetta del Mezzogiorno
Abbiamo chiesto a vari esponenti del mondo meridionalista cosa ne pensano della recente elezione in Catalogna.
Oggi vi proponiamo il punto di vista di Lino Patruno, giornalista, scrittore, docente universitario, ex direttore della Gazzetta del Mezzogiorno.
1. Cosa ne pensa del percorso indipendentista catalano? È un modello riproducibile per il mezzogiorno d’Italia?
Se tutti i ricchi volessero diventare indipendenti, domani potrebbero chiedere l’indipendenza i quartieri centrali delle città rispetto alle periferie. E avrebbe ragione Bossi. Tante motivazioni storiche e tanti aneliti sono più fragili di quanto strillino. L’indipendenza dovrebbero chiederla i poveri che non ottengono giustizia dai ricchi. I Sud, per esempio, se continua così.
2. Quali sono i punti in comune tra il nostro sud e la Catalogna?
La dimenticanza e l’indifferenza dello Stato centrale. Solo in questo senso la Catalogna ha diritti da vendere. E in questo senso ci sono punti in comune col nostro Sud.
3. Quali sono, invece, le differenze?
Con i dovuti distingui storici, la Catalogna rispetto al nostro Sud sembra come la cosiddetta Padania: ci teniamo i nostri soldi. Chiaro che discorso diverso sono forme più o meno accentuate di autonomia. Ma sempre per far funzionare meglio il tutto, non per appagare egoismi territoriali dopo essere cresciuti anche a danno altrui.
4. La differente solidità dell’economia di queste due macroregioni non impone riflessioni diverse sull’opportunità di una secessione?
In linea teorica, sì. Quando si pensa però che il Sud continua ad ottenere dallo Stato sempre meno degli altri (spesa pubblica, infrastrutture, servizi), non sarebbe esclusa una secessione come autotutela. Ma sempre tenendo conto che viviamo in un mondo di grandi numeri nel quale i piccoli soccombono. E’ complicato e difficile, si fa presto a dire secessione.
5. L’UE come si comporterebbe di fronte ad una tale possibilità? In particolare accetterebbe il rientro tra i Paesi membri di una nuova nazione, già ex-regione?
Dalle prime reazioni alla Catalogna, tutto lascia credere di no. Ma può essere una posizione strumentale per evitarne la secessione. Non nego le ragioni della Catalogna, laddove ci sono. E certo è difficile lasciar fuori Barcellona. Il fatto è che dovremmo acquisire sempre più la cittadinanza europea, e diventiamo catalani, baschi, scozzesi. Credo che non sia questa la via. In definitiva ritengo che le secessioni siano l’ultima spiaggia per chi non è rispettato altrimenti, non per i razzisti dalle tasche piene. E il nostro Sud ha tante belle spiagge.
Di Lino Patruno (da “La Gazzetta del Mezzogiorno”)
Tutto sta a capire cosa il Sud voglia fare da grande. Quando ci si chiede perché non riesca ad avere voce in capitolo, la risposta è un ritornello: colpa delle sue classi dirigenti. Più fedeli al loro partito che al loro territorio, si dice. Incapaci soprattutto di difendere il Sud quando la politica nazionale ne ignora il diritto di pari trattamento con gli altri. Al termine di ogni dibattito sul Sud (pochini), c’è sempre il tipo che si alza a ribadire l’accusa. E a tornarsene a casa con l’aria del giusto che ha capito tutto.
Non senza una ragione. Per dire: questo giornale ha condotto la battaglia contro l’isolamento ferroviario, e un pugno di parlamentari sia pure di rincalzo l’ha appoggiata. Ma non è parso però di sentire voci contro la scelta dell’alta velocità solo al Nord. Perché? Forse anche la Costituzione dice “Prima il Nord” come si fa ogni volta che si decide un investimento pubblico? Forse anche la Costituzione dice che bisogna privilegiare le università dei territori più ricchi invece di quelli più poveri?
Effetto collaterale di tutto questo: ci vorrebbe un partito del Sud. Tanto invocato quanto controverso. Anche fra gli addetti ai lavori meridionali: non è che spacchiamo l’Italia con una Lega Sud contrapposta alla Lega Nord? Preoccupazione untuosa di chi non si è mai preoccupato dei danni che la Lega Nord ha fatto al Sud quanto poi si è preoccupato del pericolo di una Lega Sud. Ma tant’è: si è meridionali anche per questo. Anzi ora c’è chi va a Pontida a inginocchiarsi davanti a Salvini, presunto neo-amico del Sud, fra elmi celtici e schiamazzi padani. Appunto: si è meridionali anche per questo.
Però è successo alle ultime elezioni regionali in Campania qualcosa che è passata inosservata. Una lista civica di netta impronta meridionale per la prima volta si è presentata da sola, cioè senza abbinamenti con altri partiti nazionali come in passato. Si chiamava “MO!”, Adesso. Dignitosi tutti i tentativi precedenti, sia chiaro: si fa ciò che si può. Non lusinghiero neanche stavolta il risultato. Riaprendo il dibattito fra chi preferisce non rischiare lo zero virgola qualcosa per cento, e chi ribatte che se non si comincia non si può poi (eventualmente) crescere.
Ovvio che un qualsivoglia partito non si regga senza sostegno della cosiddetta società civile. E prima del voto, non alle urne. Società civile che vuol dire anche poteri: dal mondo economico a quello culturale. Ma l’esito del tentativo ha confermato che è ancòra una illusione sperare o credere che ci sia una società meridionale. Per dirla con paroloni, un popolo e un territorio. Che non ragionino per destra e sinistra e chissà che altro, ma per interesse di una parte del Paese troppo spesso considerata una serie B, un bagaglio appresso della solita “locomotiva” del Nord: che se parte, evviva, si porta tutti appresso a prendersi le briciole.
Ma anche nella galassia di movimenti e partitini meridionali la polemica non ha fatto sconti. Puntando il dito più su presunti colori di provenienza dei candidati alla lista campana che il loro Dna meridionale e tanto basta. Riproponendo appunto la divisione di un popolo e un territorio che non riescono a esserlo. Che non riescono a esserlo neanche verso i propri rappresentanti nazionali. Scelti (anzi nominati) appunto più perché di destra o sinistra che perché capaci di far valere la loro Crotone e la loro Caserta di fronte a Novara o Reggio Emilia. Di ricucire cioè l’Italia da altri lacerata.
Chi può allora scagliare la prima pietra contro le classi dirigenti meridionali? Non sono il meglio che la cicogna ci potesse portare, naturalmente. E non è una attenuante che siano nani (o dintorni) in un’Italia certamente non affollata di giganti di etica e moralità. Anzi, se proprio la vogliamo dire tutta, tutti gli scandali economico-finanziari-politici da Tangentopoli in poi sono avvenuti lassù. Ma neanche certa società civile del Sud che accusa può dare lezioni fra evasione fiscale, corruzione, illegalità diffusa, abusivismi vari e violazione delle regole. Meglio i rappresentanti o i rappresentati?
Poi avviene questo. Che dopo aver tanto messo sotto accusa i propri rappresentanti per la loro indifferenza verso il Sud, i rappresentati abbiano l’occasione elettorale per cambiare cavalli e non la colgano. Allora il Sud è Sud per le sue classi dirigenti o per il suo popolo che non c’è? Emblematico che alla fine di ogni dibattito sul Sud (pochini), oltre alla solita filippica contro i propri politici come se fossero di un altro pianeta, si alzi puntualmente una signora. Chissà perché, ma in genere è una signora. La quale, dopo tanto discutere (e come se fosse arrivata allora), conclude sinteticamente: “E’ tutta colpa nostra”. La signora non ha spostato di un centimetro il problema. Ma ci ha fatto capire alla buona perché il Sud continui a essere inesistente.