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Analisi meridionale del referendum

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Il risultato del referendum costituzionale è inequivocabile: è no, e a dirlo con più forza sono coloro che hanno pagato in misura maggiore i danni provocati dalle scelte fallimentari del mai passato per le urne governo Renzi. Dice no la fascia più giovane degli elettori, quella dai 18 ai 34 anni, dove l’opposizione al quesito raggiunge la soglia plebiscitaria dell’81%: è evidente che la mancata crescita, il fallimento del Jobs Act e l’aumento dell’emigrazione sia interna che verso l’estero, tanto per citare alcuni tra gli esempi più eclatanti, non hanno giovato molto alle pretese di grandezza del guitto fiorentino.

Dice no il Sud, con un risultato che si attesta mediamente intorno al 70%, ovvero dieci punti percentuali ed oltre rispetto a quanto fatto registrare nelle regioni del centro – nord, ed è fin troppo facile ricordare che stiamo parlando di uno dei governi, quello del duo Renzi – Delrio, più antimeridionale di sempre, a partire dagli investimenti nelle infrastrutture destinati in percentuali bulgare al settentrione e passando per lo svilimento dei diritti sociali, della sanità e delle università del Mezzogiorno. Sembrava difficile far passare la denuncia del regionalismo differenziato, ovvero la nostra terra colonia interna per costituzione, nel marasma della propaganda nazionale, e tuttavia se si analizzano i risultati di alcune realtà come Taranto o Napoli viene anche da pensare che alcuni errori madornali, commessi a ridosso della tornata consultiva, come i 50 milioni per il caso ILVA scomparsi nel nulla oppure i 308 milioni per Napoli spacciati per panacea di tutti i mali, salvo poi destinarne più del doppio alla città metropolitana di Firenze, che ha un terzo dei residenti rispetto ala realtà partenopea, abbiano contribuito a scavare la fossa al premier uscente.

Accanto alla questione dell’articolo 116 ve ne era un’altra non meno importante, ovvero quella dell’articolo 117 e della subordinazione della carta costituzionale ai vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione Europea, cosa che avrebbe aperto la strada a due tasselli fondamentali dell’agenda neoliberista, ossia unione bancaria e armonizzazione fiscale. Non è in discussione la geografia o l’antropologia, ovvero l’Europa e i suoi popoli, ma l’impianto ultra-neoliberista dei trattati europei che si traduce in una serie di sigle per lo più ignorate dalla stampa ufficiale, come TTIP, CETA, MES, ma la cui interpretazione è alquanto semplice: favorire gli interessi di grandi banche e multinazionali. Quando tali direttive si trasformano in scelte concrete, diventano altrettanti rulli compressori contro qualsivoglia velleità di autonomia, identità e realtà economiche locali, basti pensare agli agrumi siciliani o all’olio pugliese sacrificati sull’altare di accordi internazionali che non hanno tenuto in alcun conto le esigenze e le specificità del Mezzogiorno.
Tornando al risultato referendario nella nostra terra, è abbastanza evidente che esso è la risultante di diverse componenti che si sono ritrovate assieme contro ciò che è stato di comune accordo percepito come minaccia: si va dalle associazioni e gruppi presenti sul territorio alle varie anime del pensiero meridionalista, passando per gli attivisti pentastellati e l’esperienza di Napoli Autonoma e DEMA fino ad autentici “picchi”, come la spaccature tutta interna al Pd, ovvero la netta contrapposizione tra De Luca e Emiliano, oppure l’inaspettato “outing” di Caldoro.

In sostanza è evidente che anche esponenti politici non chiaramente ascrivibili alla corrente meridionalista o facenti parte di partiti nazionali sono stati costretti dalla forza dei fatti, dall’innegabile trattamento da colonia interna della nostra terra e dalla minaccia rappresentata dal regionalismo differenziato (ossia la perdita di autonomia in base a quanto si è più o meno ricchi), a portare avanti battaglie meridionaliste o ad assumerne almeno in parte il linguaggio e la chiave di lettura.

Il dato politico è abbastanza chiaro: siamo stati capaci di dire cosa non vogliamo, adesso il punto per il mondo meridionalista è avere progetti, proposte ed organizzazione per dire, ed anche per pretendere, ciò che vogliamo. L’altro aspetto interessante della questione sarà osservare fino a che punto gli esponenti dei partiti tradizionali potranno ancora provare a conciliare gli interessi della propria terra con le direttive padanocentriche dei gruppi politici di riferimento, oppure se si raggiungerà un “punto di non ritorno”, al di là del quale le priorità dell’agenda politica saranno dettate dagli interessi del Mezzogiorno. In sintesi questa è la sfida per l’immediato futuro, anche se almeno per le prossime ore è cosa buona e giusta concedersi il lusso di godersi questo scampato pericolo per la nostra terra.

Il metodo De Luca, il metodo Emiliano e il Sud che non c’è

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Il punto di vista di… Raffaele Vescera

Vincenzo De Luca, scampato alla mannaia della legge Severino, è più baldanzoso che mai. Nel suo stile tra l’arrogante e il qualunquista riprende a fare battute di cattivo gusto, famose quelle sui “napoletani nati geneticamente ladri” e quella su “Io e Cosentino ci siamo visti tremila volte, e se porta voti che male c’è?” E’ di ieri la notizia che, durante un convegno alla Città della scienza di Napoli, ha ordinato, in perfetto stile berlusconiano, a un cameraman di spostare la telecamera che gli impediva la vista di una bella consigliera.

Ma al di là del folclore da osteria del personaggio, e delle vicende giudiziarie nelle quali è coinvolto pesantemente , De Luca ha annunciato la formazione della nuova Giunta regionale, composta oltre che dai propri fidi, soprattutto da tecnocrati esperti di fondi comunitari. Il suo pallino è spenderli quei fondi, dopo anni di lassismo e incapacità. Farà bene se vi riuscirà, ma resta pur sempre un uomo comandato dal clan di Matteo Renzi che ha chiuso del tutto i rubinetti dei finanziamenti statali al Sud. A De Luca spetterà amministrare le briciole e obbedir tacendo al governo nazionale, essendo egli da questo ricattabile per via dei guai giudiziari e dunque ben manovrabile. Sarà un buon governatore coloniale, ammesso che la sentenza definitiva del tribunale di Napoli gli sarà favorevole. Dopotutto gli unici politici meridionali buoni per il governo sono quelli ricattabili.

Seppure meno ricattabile di De Luca e apparentemente più indipendente da Renzi, è altrettanto baldanzoso, seppure in modo diverso, lo stile di Michele Emiliano in Puglia, che, dopo aver nominato portavoce la propria compagna, ha nominato assessori “a loro insaputa” tre consigliere grilline: Antonella Laricchia all’Ambiente, Rosa Barone all’Agricoltura e Viviana Guarini al Personale. Non è questione di “cherchez la femme” ma di coinvolgimenti mirati di una prevedibile opposizione senza sconti da parte del M5S. Le tre consigliere pentastellate hanno rifiutato sdegnosamente l’incarico, non si lasciano irretire dalle carezze del “satanasso” come Grillo ha definito Emiliano e chiedono di ricoprire gli incarichi di garanzia e controllo democratico loro spettanti per legge. Sul tappeto in Puglia questioni grosse, dall’Ilva di Taranto alla centrale a carbone di Brindisi, dalla bufala xylella al Tap nel salento, fino al progettato deposito Energas di Manfredonia, il più grande e pericoloso d’Europa. Emiliano parla di azione ambientalista, ma lo faceva anche Vendola, mentre faceva scempio della regione più bella del mondo.

Saranno i fatti a dire la verità, intanto l’arca di Noè di Emiliano che ha imbarcato bestie d’ogni genere, quali politicanti di lungo corso forniti di poderosi clan elettorali, comincia già a scricchiolare, è di ieri la notizia di un suo assessore indagato per truffa, mentre il giovane neoassessore foggiano targato pd, Raffaele Piemontese, eletto senza uno straccio di programma, ha lasciato l’amaro in bocca alla sua città avendola sporcata, anzi devastata con migliaia di manifesti abusivi piazzati in ogni dove. E’ il vecchio metodo clientelare duro a morire, ma quale speranza di legalità potrà mai dare il politico campione di illegalità? Certo è che il riscatto del Sud, oltre che attraverso la lotta contro l’antimeridionale governo nazionale, passa anche attraverso la lotta ad un ceto politico meridionale incapace di battersi contro le secolari discriminazioni riservate al Sud. Meglio assecondare il padrone del nord e godersi i privilegi, briciole, è vero, ma possono bastare per uomini di scarse vedute e poche pretese.