Referendum Renzi-Boschi: un NO dal Sud.
Non rappresenta una scelta casuale quella del presidente del consiglio Matteo Renzi, di svolgere la propria campagna referendaria soprattutto nel sud Italia. Matera, Foggia, Catania, Bari, non si è mai visto un Matteo così infuocato e passionale nelle sue rotte meridionali. Eppure il motivo c’è, i sondaggi parlano chiaro: il meridione d’Italia voterà compatto per il no alla riforma costituzionale.
Credevano di esserci riusciti, che il sillogismo “ragioni virtuose sì, ragioni virtuose no”, avrebbe ben mascherato l’intenzione del governo di privilegiare le regioni del nord Italia; lo stato di assuefazione politica nella quale ci hanno relegato in questi anni, avrebbe mantenuto la situazione sotto controllo. Così, propagandare l’abbassamento del numero dei parlamentari, la riduzione dei costi della politica, avrebbe messo in una condizione di subordinazione l’attenzione sulla modifica del Titolo V della Costituzione.
Il premier non aveva però fatto bene i suoi conti con un Sud sempre più sveglio, sempre più indignato e guardingo.
Le modifiche degli articoli 116 e 117, segnerebbero la costituzionalizzazione dello status di colonia interna delle regioni meridionali, la continuazione di un filo rosso a cui si è dato inizio 155 anni fa. Così recita il testo della Riforma: “Condizioni particolari di autonomia possono essere attribuite alle regioni […] in condizione di equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio”. E’ questa una disposizione fuorviante e discriminante, poiché, di fatto, le regioni del sud Italia non sono messe in condizione di raggiungere il pareggio di bilancio. L’Imposta Regionale sulle Attività Produttive, meglio conosciuta come IRAP, ossia l’ imposta sul Reddito prodotto dalle attività professionali e produttive, rappresenta una tassa trattenuta dalle regioni, ma non uniforme sul territorio nazionale. Le regioni settentrionali possedendo un gettito fiscale più alto, possono raggiungere più facilmente una condizione di bilancio, differentemente dal meridione che, con una minore capacità contributiva, potrebbero raggiungerla solamente privando i cittadini di quei servizi essenziali spettanti di diritto. Non si tratta quindi di virtù regionale , ma di ricchezza storica.
La riforma introduce un regionalismo differenziato discriminante, in grado di danneggiare pesantemente il meridione, inficiandolo nella possibilità di scelta in ambiti vitali quali ambiente, istruzione e lavoro , turismo, governo del territorio, politiche sociali, ordinamento scolastico. Come dire che la Toscana potrà promuovere il turismo locale, mentre la Calabria non avrà alcuna voce in capitolo; o che l’Emilia Romagna potrà esprimere il proprio dissenso allo stoccaggio di scorie radioattive sul proprio territorio, a differenza della Campania che dovrà invece sottostare alle decisioni del governo centrale.
Se virtuoso (ricco), conti e possiedi potere decisionale, mentre, se inefficiente (povero), dovrai accontentarti di ciò che lo Stato centrale deciderà al posto tuo: questa la logica renziana.
I piani rischiano però di essere sfasati, e a farli “saltare” saranno proprio le regioni colpite, quelle ghettizzate, condannate da una politica che mira ad accrescere solo una parte del paese.
L’indignazione meridionale aleggia, si è resa tangibile: è un sud che ha deciso di alzare la testa e lottare. Basta un “NO” per difendere i nostri diritti sociali, la nostra sovranità popolare; un “NO” per difendere il nostro diritto all’uguaglianza e alla crescita; un “No” per porre un freno alle spinte monopolistiche di un governo accentratore.
Pingback: Analisi meridionale del referendum