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Mai così poveri negli ultimi 27 anni, rischio di emarginazione in un Paese in cui crescono le disuguaglianze.

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di Massimo Mastruzzo

Portavoce Nazionale MO Unione Mediterranea

Questo è l’identikit dei nuovi poveri: giovani e principalmente residenti al Sud.
Lo scenario emerge dall’indagine di Bankitalia sui bilanci 2016 di oltre 7mila famiglie italiane.
Secondo l’indagine, nel 2016 è aumentata la quota di individui a rischio di povertà, ma l’incidenza di questa condizione, interessa per lo più le famiglie e i giovani del Mezzogiorno, dove il 13,3 per cento degli individui vive in famiglie senza alcun percettore di reddito da lavoro rispetto al 6,1 nel Nord e 6,9 nel Centro.
Il peggioramento della situazione emersa dall’indagine di Bankitalia amplia ancora di più, sembrava impossibile, la disomogeneità nazionale già di per se unica all’interno della UE.

Secondo l’Istat, i dati sullʼoccupazione migliorano ma solo al Nord: al Sud il tasso è quasi il triplo.

La media del 2017 dice che al Mezzogiorno il tasso di disoccupazione è il 19,4% mentre al Settentrione ci si ferma al 6,9%.

La situazione nel Sud Italia è drammatica – Nella media del 2017 il tasso di disoccupazione si riduce in tutte le aree territoriali del Paese ma “i divari rimangono accentuati: nel Mezzogiorno (19,4%) è quasi tre volte quello del Nord (6,9%) e circa il doppio di quello del Centro (10,0%)”.

Ufficio Studi CGIA 24 giugno 2017

AUMENTA IL DIVARIO ECONOMICO E SOCIALE TRA IL NORD E IL SUD. NEL MEZZOGIORNO QUASI 1 PERSONA SU 2 E’ A RISCHIO POVERTA’.

In questi ultimi anni di crisi, il divario economico e sociale tra il Nord e il Sud del Paese è aumentato. A questo risultato è giunto l’Ufficio studi della CGIA che ha messo a confronto i risultati registrati da 4 indicatori:

 

Il Pil pro capite;

il tasso di occupazione;

il tasso di disoccupazione;

il rischio povertà o esclusione sociale.

 

In termini di Pil pro-capite, ad esempio, se nel 2007 (anno pre-crisi) il gap tra Nord e Sud del Paese era di 14.255 euro (nel Settentrione il valore medio era di 32.680 e nel Mezzogiorno di 18.426 euro), nel 2015 (ultimo anno in cui il dato è disponibile a livello regionale) il differenziale è salito a 14.905 euro (32.889 euro al Nord e 17.984 al Sud, pari ad una variazione assoluta tra il 2015 e il 2007 di +650 euro)

Al Sud le variazioni percentuali più negative si sono registrate in Sardegna (-2,3 per cento), in Sicilia (-4,4 per cento), in Campania (-5,6 per cento) e in Molise (-11,2 per cento). Buona, invece, la performance della Basilicata (+0,6 per cento) e della Puglia (+0,9 per cento).

Sul fronte del mercato del lavoro, invece, le cose non sono andate meglio. Anzi… se nel 2007 il divario relativo al tasso di occupazione era di 20,1 punti a vantaggio del Nord, nel 2016 la forbice si è allargata, registrando un differenziale di 22,5 punti percentuali (variazione +2,4 per cento). Nella graduatoria regionale spicca la distanza tra la prima e l’ultima della classe. Se l’anno scorso la percentuale di occupati nella Provincia autonoma di Bolzano era pari al 72,7 per cento, in Calabria si attestava al 39,6 per cento (gap di oltre 33 punti).

La divaricazione più importante, tuttavia, emerge dalla lettura dei dati relativi al tasso di disoccupazione. Se nel 2007 era di 7,5 punti percentuali, nel 2016 è arrivata a 12 (gap pari a +4,5 per cento). Sebbene tutte le regioni d’Italia abbiano visto aumentare in questi ultimi 9 anni la percentuale dei senza lavoro, spiccano però i dati della Campania e della Sicilia (entrambe con un +9,2 per cento) e, in particolar modo, della Calabria (+12 per cento).

Anche in materia di esclusione sociale, infine, la situazione è peggiorata. Se nel 2007 la percentuale di popolazione a rischio povertà nel Sud era al 42,7 per cento, nel 2015 (ultimo anno in cui il dato è disponibile a livello regionale) è salita al 46,4 per cento. In pratica quasi un meridionale su due si trova in gravi difficoltà economiche. Al Nord, invece, la soglia di povertà è passata dal 16 al 17,4 per cento. Il gap, pertanto, tra le due ripartizioni geografiche è aumentato in questi 8 anni di 2,2 punti percentuali.

Il Mezzogiorno – dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo – ha delle potenzialità straordinarie ed è in grado di contribuire al rilancio dell’intera economia del Paese. Pensiamo solo al patrimonio culturale, alle bellezze paesaggistiche-naturali che contribuiscono a renderla una delle aree potenzialmente a più alta vocazione turistica d’Europa. Certo, bisogna tornare a investire per ammodernare questa parte del Paese che, purtroppo, presenta ancora oggi delle forti sacche di disagio sociale e di degrado ambientale che alimentano il potere e la presenza delle organizzazioni criminali di stampo mafioso. A nostro avviso, inoltre, bisogna riprendere in mano il tema del federalismo fiscale. Grazie al compimento di questa riforma potremmo avvicinare i centri di spesa ai cittadini, responsabilizzando maggiormente la classe dirigente locale che avrebbe sicuramente meno trasferimenti dallo Stato centrale ma, in cambio, beneficerebbe di una maggiore autonomia fiscale, elevando così l’efficienza della macchina pubblica. Il saldo per il Sud sarebbe comunque positivo: grazie anche alla solidarietà praticata dalle regioni più ricche, potrebbe beneficiare di maggiori risorse finanziarie di quante ne usufruisce adesso, innescando un meccanismo virtuoso che avrebbe delle ripercussioni positive anche nel resto del Paese”.

Il 4 marzo l’Italia si è recata alle urne con questa forte condizione di iniquità ed il risultato elettorale appare scontato quanto si riesce a capire che con questi presupposti la scelta degli elettori del sud non poteva che andare nell’unica direzione possibile: tutto quello che rappresentava una novità rispetto al già visto e, per ciò stesso ritenuto a ragione  responsabile rispetto ai dati sopra indicati.

Riuscirà il nuovo governo nazionale che si insedierà (Prima o poi dovranno trovare una soluzione) ad incidere dove altri hanno fallito? Perché di tentativi per una soluzione nazionale, con partiti nazionali, di questa maledetta (sarà mica una maledizione?) Questione Meridionale ne abbiamo visti tanti illudendoci che ogni volta fosse finalmente arrivata quella giusta.
Da Aldo Moro, che provò a tradurre il proprio meridionalismo in azione politica, ad Antonio Bassolino che nel marzo del 2000 firma il Patto di Eboli insieme ad altri rappresentanti politici delle sei regione del Mezzogiorno, a Gaetano Quagliariello che parla di Macroregione, solo per fare alcuni esempi. In tanti hanno provato ad affrontare la nostra Questione dall’interno di un partito nazionale, ma i dati dimostrano implacabilmente che questa vecchia Questione non può essere affrontata da partiti nazionali non fosse altro perché essa diviene Meridionale nel momento stesso in cui ad occuparsene furono proprio i partiti nazionali.

Massimo Mastruzzo

Portavoce Nazionale MO Unione Mediterranea

 

È dalle regioni più in difficoltà che è arrivato il NO!

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Mentre i partiti italiani si spartiscono le percentuali del risultato referendario, i dati ISTAT sono agghiaccianti. 1 italiano su 4 è povero. Le famiglie sotto la soglia di povertà sono così distribuite:

  • Nord 17.4%,
  • Centro 24%,
  • Sud 46.6%.

Le regioni più in difficoltà si confermano Sicilia, Puglia e Campania. L’emigrazione giovanile è in grave aumento. Nonostante ciò l’esecutivo Renzi ha calcolato le soglie di povertà assoluta in modo che risultassero più alte nel settentrione d’Italia riservando il 55% dei sussidi statali al Nord e il 45% al Sud (assecondando la richiesta delle soglie territoriali proposta dalla Lega nel 2005).

Il 4 dicembre si votava per modificare l’impianto costituzionale, certo. E di sicuro molti hanno scelto nel merito di una riforma avvertita come sbagliata. Ma l’eccessiva personalizzazione del referendum ha reso le percentuali un’occasione di giudizio popolare sull’operato politico del Governo. Il No in maggioranza dei giovani è geograficamente più forte al Sud ed esprime un messaggio di reazione ed inequivocabile insofferenza da parte di chi si sente ultimo nelle lista delle priorità di un paese diviso sempre più miope, gerontocratico e scandalosamente diseguale.

di Flavia Sorrentino

L’Italia delle disparità

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Ieri, 02 dicembre, è stato diffuso il consueto rapporto BES che viene elaborato una volta l’anno dall’ISTAT al fine di “misurare e valutare il progresso della società italiana”. La sigla BES sta appunto per “Benessere Equo e Sostenibile”.
 
Il rapporto certifica e conferma che il reddito medio per nucleo familiare è più basso a sud che a nord, a fronte però di un livello di tassazione locale mediamente maggiore. Fin qui nulla di nuovo.
 
Dal rapporto emerge inoltre che il 20,6% della popolazione del Mezzogiorno vive in una situazione di grave deprivazione materiale e non può permettersi di sostituire gli abiti consumati, un quinto non può svolgere attività di svago fuori casa per ragioni economiche, un terzo non può permettersi di sostituire mobili danneggiati.
 
A fronte di questo scenario cosa fa il Governo? Decide di erogare contributi alle famiglie povere basandosi sui calcoli relativi alle soglie di povertà assoluta elaborate dalla stessa istat. Queste soglie sono fortemente discriminatorie a danno delle famiglie del sud. Si stima che 1000000 (UN MILIONE!) di famiglie meridionali non avranno diritto ai bonus di povertà. Le stesse famiglie, se fossero residenti al centro nord, ne avrebbero diritto.
 
Abbiamo denunciato la cosa già ad ottobre, ma nessun’azione è stata intrapresa dal Governo. Peggio ancora le opposizioni hanno taciuto. Non una sola parola è stata spesa a riguardo da nessuna componente parlamentare.
Come sempre il SUD è isolato, abbandonato a se stesso, nelle mani di una classe dirigente incompetente e corrotta, sta a noi cambiare le cose.

Soglie di povertà, nessun partito italiano difende il Sud in Parlamento.

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Su “Il Mattino” il 1 Ottobre 2015 è stato pubblicato un articolo a cura di Marco Esposito, nel quale si denunciavano le tabelle sulle soglie di povertà in Italia calcolate dall’ISTAT e utilizzate dal Governo Renzi per aiutare le famiglie del Nord e non quelle del Sud, seppur in presenza di eguali condizioni di indigenza.

Nessun partito nazionale ha reagito dinanzi ad una simile ingiustizia, comprese le opposizioni, il cui ruolo istituzionale in Parlamento corrisponde esattamente a questo: mettere in discussione l’operato del potere esecutivo.

Difendere gli interessi del Sud equivale a dire battagliare per stabilire equità economica tra le due parti del Paese, e per farlo, è necessario ammettere che il “sistema-Italia” è tenuto in piedi dalla storica e reiterata concentrazione di investimenti al Nord e dallo sfruttamento di risorse al Sud. Un’ammissione di questo tipo da parte dei partiti nazionali, comporterebbe una preoccupante perdita sociale di consenso politico al Nord, tenuto a bada al Sud dal senso di minorità psicologica dei meridionali, da una classe dirigente ascara, una stampa asservita ai potentati e da una imposta subalternità economica che rallenta e ostacola la reazione delle fasce più deboli della società.

Il progetto MO! delle scorse elezioni regionali in Campania è nato per questo: essere alternativi alla sterilità ed improduttività politica che danneggia il Sud. Ecco perchè è in atto una discussione con gli iscritti del MOvimento per portare avanti un’azione di contrasto concreta e dirompente contro il provvedimento del Governo che cancella con un colpo di spugna statistico la povertà nel Mezzogiorno.

La sfida del meridionalismo, relegata ai confini del web, dovrebbe costringere anche i più ingenui a capire che la soluzione ai nostri problemi non può essere offerta da chi questi gravi disagi li ha creati o ingigantiti con la propria passività.

Ma se il cosiddetto “mondo consapevole” preferisce nutrirsi di conflitti di levatura piccola piccola, come può diventare grande il meridionalismo?

InterroghiaMOci. La nostra terra non ha più tempo da perdere.

Flavia Sorrentino

Ipotetico dialogo tra il signor Gennaro ed il signor ISTAT

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ISTAT:
Presto arriveranno i sussidi economici per le famiglie povere con figli, promessi dal governo Renzi.
Un’ottima notizia, no? Finalmente le famiglie bisognose riceveranno l’aiuto di cui hanno bisogno per condurre una vita dignitosa e anche al Mezzogiorno, dove il disagio sociale si sente di più, arriveranno i soldi necessari a garantire alla prole un po’ di sicurezza, no?

GENNARO:
Sì, finalmente un po’ di giustizia!

Certo che lo Stato deve spendere proprio un sacco di soldi al Sud… ho letto che il disagio sociale si trova per il 65% nel Mezzogiorno.

ISTAT:
Sì, saranno un sacco di soldi, ma non preoccuparti per l’Italia! Al Mezzogiorno, il governo ha riservato soltanto il 45% dei sussidi, mentre il restante 55% va al Centronord.

GENNARO:
Ma come? Allora non è vero che al Sud c’è più povertà?

ISTAT:
Certo che c’è più povertà, ma noi dell’Istat abbiamo studiato la situazione e il governo è riuscito a trovare il modo per risparmiare al sud.

GENNARO:
Famm capì… com’è successo?

ISTAT:
Vedi, quando noi dell’Istat Studiamo il costo della vita nelle diverse zone d’Italia, valutiamo gli acquisti considerati socialmente indispensabili, per esempio un frigorifero, una lavatrice, la spesa alimentare, ecc… Solo che noi non calcoliamo i prodotti dal prezzo più basso, ma calcoliamo i prodotti maggiormente acquistati. Quindi se, per esempio, a Milano ci sono persone più benestanti che comprano lavatrici costose, sui nostri studi si leggerà che in quella zona il costo della vita è più elevato. Se invece scopriamo che a Napoli i prodotti acquistati più frequentemente sono più economici, perché la gente è mediamente più povera e tende a comprare cose di qualità più bassa, allora sui nostri studi risulterà che la vita costa meno.

GENNARO:
Ah, fammi vedere se ho capito: secondo voi essere poveri non significa non poter acquistare nemmeno prodotti economici, ma significa non potersi permettere gli stessi acquisti che fanno i vicini di casa?

ISTAT:
Ehm, sì. Effettivamente ci rendiamo conto che confrontare prezzi diversi sia errato, infatti nelle note metodologiche lo abbiamo riportato, è a pagina 69, vedi? «I prezzi elementari rilevati fanno quindi riferimento a specifiche molto diverse in termini di marche, varietà, packaging, non comparabili tra le differenti unità territoriali». Anche perchè… se proprio vogliamo dirla tutta, la vita non costa meno al sud. Pensa che tutti gli studi delle società di consumatori e della Nielsen certificano che gli identici beni industriali sono più cari nel Mezzogiorno.

GENNARO:
Ma come sono più cari nel Mezzogiorno?

ISTAT:
Di sicuro alcune cose costano più al Nord, per esempio il pane, il caffè al bar e gli ortaggi. Altre, come i prodotti industriali, nei supermercati del Nord costano meno. Per non sbagliare si dovrebbero calcolare sempre i prezzi più bassi e non i più acquistati

GENNARO:
Ma come? E quindi per molte cose dobbiamo pagare prezzi più alti?

ISTAT:
Eh sì, Gennaro caro, perché se tutte le produzioni si concentrano a nord è ovvio che trasportare i prodotti a sud abbia un costo, soprattutto perché…beh, lo sai… non esiste una rete efficiente di trasporti al meridione. La lavatrice che compri in Calabria magari ha dovuto prendere un treno e un camion… e il biglietto del viaggio glielo dovrai pur pagare, no?

GENNARO:
Eh certo, hai ragione. Ma certo che voi dell’Istat potevate essere più equi… che accidenti sono ste distinzioni tra nord e sud?!

ISTAT:
Ma Gennaro… non è colpa nostra! Fino al 2002 abbiamo misurato la povertà assoluta senza differenze. Poi però la Lega Nord ha chiesto le soglie territoriali e, dopo due anni di silenzio, nel 2005 abbiamo cominciato a dividere i poveri tra Nord, Centro e Mezzogiorno.

GENNARO:
Mi sa che ho capito: la Lega ha voluto fare delle distinzioni territoriali per attrarre a Nord le politiche sociali!

ISTAT:
Io questo non lo so, so solo che in base ai nostri calcoli, se due famiglie uguali ricevono lo stesso stipendio, diciamo 1.100 Euro, la famiglia di Milano riceverà un sussidio di 426 euro al mese, mentre quella di Napoli ne riceverà 76.

GENNARO:
Ma adesso la Lega non è più al Governo, e fino ad ora nessuno aveva distribuito sussidi economici sulla base dei calcoli discriminanti richiesti dalla Lega! Perché proprio Renzi è il primo Premier disposto ad attuare delle politiche sociali discriminatorie? Lui non aveva a cuore il Mezzogiorno?

 

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Soglie di povertà assoluta: aiuti solo al Nord. Renzi, il Robin Hood… dei ricchi

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In un paese che si definisce unito geograficamente e culturalmente, che condivide valori e propina retorica patriottica da mano sul cuore nei salotti tv pomeridiani, non esisterebbe alcuna forma di discriminazione territoriale.

Immaginiamo di venire a conoscenza del metodo di ripartizione dei fondi per le famiglie povere proposta dal premier Renzi e di scoprire che tale ripartizione avviene effettuando una grave forma di discriminazione verso una certa categoria. Sembra assurdo in un paese che vuol dirsi civile e democratico, eppure accade.

Fino al 2002 l’Istat ha misurato la povertà assoluta senza differenze territoriali, mentre dal 2005 le soglie di povertà vengono calcolate tenendo conto delle tre macroaree “Nord – Centro – Sud”, così come richiesto dalla Lega Nord, che proprio in quell’anno era molto forte politicamente, con cinque esponenti in ministeri chiave. Per ricordarne solo uno: Umberto Bossi prima e Roberto Calderoli dopo, al dicastero per le Riforme Istituzionali e Devoluzione.

Negli ultimi dieci anni il criterio delle soglie territoriali non ha avuto conseguenze sul piano pratico perché nessun governo è riuscito a mettere in atto un provvedimento sul calcolo delle soglie di povertà assoluta. Con la proposta di Renzi invece, tali soglie saranno operative.

A guardare nel dettaglio (lavoro svolto da Marco Esposito e pubblicato su Il Mattino del 1 Ottobre 2015), le soglie territoriali di ripartizione sembrano tener conto anche di un ipotetico stile di vita, un dato che falsa i valori, come la stessa Istat avverte: “Le ragioni ora esposte sconsigliano, quindi, l’utilizzazione dei dati sui livelli dei prezzi per confronti territoriali”.

Le soglie di povertà sono calcolate in modo che esse siano più alte al Nord, con la conseguenza che il 55% della povertà risulti al Centro Nord. In pratica un nucleo familiare composto da una coppia con due figli che dispone di 1200 euro al mese è considerata povera se vive al Nord e agiata se vive nel Mezzogiorno, quindi non necessita di aiuti.

Eppure ogni indagine sulla deprivazione materiale, cioè l’incapacità, per scarsità di risorse, di accedere a beni e servizi essenziali, mostra che le Regioni più povere sono quelle meridionali.

Una possibile obiezione potrebbe essere rappresentata dall’idea il costo della vita al Nord sia mediamente più alto, ma un’indagine dell’azienda Nielsen rivela che, a parità di prodotti, la Regione più cara è la Calabria. Dov’è il trucco allora?

Nel sistema di calcolo dei prezzi. Se immaginiamo la povertà assoluta come un paniere di beni da acquistare, nel paniere dei prodotti di una famiglia povera non rientrano beni ritenuti non necessari (vacanze e automobili), ma rientrano i così detti beni indispensabili tra i quali la cucina e il frigorifero, la tv e il cellulare, considerati socialmente indispensabili. E’ definita povera perciò la famiglia che non riempie il paniere, cioè che non può permettersi di acquistare i beni minimi necessari.

Seguendo l’esempio di Esposito, consideriamo il costo, o valore economico, di un televisore. Secondo le rilevazioni Istat il televisore più venduto al Nord costa 238 euro mentre al Sud 171. Risulta difficile credere che il prezzo dello stesso prodotto all’interno dello stesso paese vari addirittura del 30%. La ragione di questo gap sta nel fatto che i costi indicati riguardano lo stesso genere di prodotto (il televisore ad esempio), ma non dello stesso tipo, marca, risoluzione, ecc… La tv più venduta al Sud dal valore di mercato di 171 euro è forse tra le più economiche e di media qualità rispetto al bene più diffuso al Nord.

Risulta quindi evidente, che il metodo di confronto dei prodotti non si basa sul calcolo dei prodotti più economici ma sul calcolo dei prodotti più venduti. Per valutare il costo della vita al Nord, al Centro e al Sud, il confronto dei prezzi andrebbe fatto su un prodotto identico per tipologia, marca e qualità.

Confrontare semplicemente due prezzi, come ribadisce “l’Osservatorio Prezzi”, è sbagliato: “Le quotazioni possono riferirsi a diverse combinazioni di varietà, marca e confezione. Le ragioni ora esposte sconsigliano, quindi, l’utilizzazione dei dati sui livelli dei prezzi per confronti territoriali”.

Da queste osservazioni è quanto mai chiaro che i confronti territoriali generano un sistema iniquo della ripartizione dei fondi di aiuto alla povertà: a un nucleo familiare di Bari composto da due genitori e un bambino, con reddito mensile di 1000 euro non spetterà alcun aiuto, ma spetterà ai nuclei parimenti composti e di pari reddito se residente al centro nord. E’ come se alla famiglia settentrionale spettasse un aiuto maggiore perché ha il diritto di acquistare un prodotto più costoso o di miglior qualità a causa di un supposto stile di vita medio più alto che al sud.

Tale ragione per noi di MO/UM è del tutto inaccettabile. Fa specie constatare che il metodo di ripartizione descritto sarà fatto ad opera di un Governo che si definisce di sinistra e che afferma (a chiacchiere), di avere tanto a cuore il Mezzogiorno.

Tabella tratta da "Il Mattino" del 1 Ottobre 2015

Tabella tratta da “Il Mattino” del 1 Ottobre 2015