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ennesimo reato ripetuto e continuato a danno della salute della gente del Mezzogiorno

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Le compagnie petrolifere che svolgono attività estrattive in Basilicata, hanno un atteggiamento di totale indifferenza rispetto alle richieste della popolazione locale e mancanza di rispetto delle leggi vigenti.
Eni, nonostante i numerosi processi in corso e le pompe sommerse a tiraggio del petrolio sversatosi nel sottosuolo, visibili da chiunque si trovi in Val d’Agri, continua a non trasmettere alla Regione Basilicata i dati sulla qualità delle acque.
E’ palese la violazione del diritto alla salute dei cittadini, i quali possono conoscere l’estratto giornaliero di greggio, ma non devono avere alcuna informazione sulla qualità delle acque che utilizzano quotidianamente. Si pensi che in presenza di attività ad alto impatto ambientale, come quelle di estrazione di petrolio e gas, per garantire la salute dei cittadini si dovrebbero ricercare nelle acque centinaia di elementi, ma per legge le compagnie petrolifere sono tenute a trasmettere, insieme ai dai relativi alle estrazioni petrolifere, i valori riferiti ad appena 4 elementi. Ciò nonostante, nemmeno i dati relativi a questi soli 4 elementi vengono resi noti, sebbene si tratti di acque destinate ad uso umano e potabile e che soddisfano le esigenze di milioni di cittadini del Sud.
Le compagnie petrolifere continuano a farla da padrone, a dispetto di un processo in corso per illecito smaltimento di rifiuti per centinaia di migliaia di tonnellate annue di rifiuti pericolosi, fatti passare per non pericolosi e smaltiti illegalmente nel pozzo di reiniezione Costa Molina2, nel territorio agro di Montemurro (PZ) e presso l’impianto di Tecnoparco Val Basento di Pisticci (MT), causando l’inquinamento di vaste aree della regione Basilicata e malgrado l’incidente scoperto nel gennaio 2017, avvenuto presso il Centro di prima raffinazione e desolforazione di Viggiano, che ha provocato lo sversamento di migliaia di tonnellate di greggio semilavorato nella rete fognaria, nella falda e nei terreni circostanti, arrivando ad inquinare anche il vicino comune di Grumento Nova (PZ).
Questo atteggiamento gravissimo continua ad essere tollerato dai vertici politici ed amministrativi della Regione Basilicata che non ha mai sollevato alcuna comunicazione alle compagnie petrolifere in tal senso.
A tal proposito occorre sottolineare che il processo in corso vede tra gli imputati, ed a giudizio, dirigenti della Regione Basilicata, della Provincia di Potenza, dell’Agenzia Regionale per l’Ambiente di Basilicata e dirigenti di Tecnoparco Val Basento, società partecipata al 40 % dalla Regione Basilicata, tutti imputati dei reati di omissione in atti d’ufficio, abuso d’ufficio e rivelazione di segreti d’Ufficio. L’accusa è grave, consisterebbe nell’aver favorito i petrolieri garantendo loro la copertura sull’illecito sversamento di rifiuti pericolosi, ed avvallando la trasformazione di quei rifiuti da pericolosi a non pericolosi, svendendo la propria terra per procurare un risparmio alle compagnie petrolifere pari a 140 milioni di euro l’anno.
In questa situazione di violenta aggressione ai territori della Basilicata, è inconcepibile che le istituzioni continuino a coprire i signori del petrolio, fingendo di non sapere che esiste un preciso obbligo di trasmettere il riscontrato sulla qualità delle acque. Si tratta dell’ennesimo reato ripetuto e continuato a danno della salute della gente del Mezzogiorno d’Italia.
Nello stigmatizzare simili atteggiamenti, Unione Mediterranea comunica che avrà cura di informare la cittadinanza sistematicamente su queste mancanze e che provvederà a trasmettere le informazioni in suo possesso all’autorità giudiziaria, affinché prenda, quanto prima, provvedimenti in merito a questo disastro ambientale in atto.

Attacco alla Calabria, Istituzioni non stiano a guardare

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di Massimo Mastruzzo 
Portavoce Nazionale MO Unione Mediterrranea

Un anno fa il Ministero dello Sviluppo Economico ha rilasciato due nuovi permessi di ricerca di idrocarburi, denominati rispettivamente «F.R 41.GM» ed «F.R 42.GM», in favore della società petrolifera statunitense GLOBAL MED LLC per cercare gas e petrolio nel Mar Ionio in due aree contigue pari, rispettivamente, a 748,6 kmq e 748,4 kmq., per complessivi 1.497 kmq.
Gli enti interessati dai decreti di conferimento dei due permessi di ricerca sono:
Regione: Calabria
Province: Crotone, Catanzaro
Comuni: Strongoli, Cropani, Montepaone, Soverato, Borgia, Staletti’, Ciro’ Marina, Sellia Marina, Melissa, Crucoli, Catanzaro, Crotone, Isola di Capo Rizzuto, Botricello, Cutro, Simeri Crichi, Ciro’, Montauro, Squillace, Belcastro.

I due provvedimenti ministeriali (DECRETO MINISTERIALE 15 dicembre 2016 – Numero di Pubblicazione 180 e DECRETO MINISTERIALE 15 dicembre 2016 – Numero di Pubblicazione 181), pubblicati sul BUIG – Bollettino ufficiale degli idrocarburi e delle georisorse – Anno LX N. 12 – 31 Dicembre 2016, eludono palesemente il divieto fissato dal Decreto Legislativo n. 625 del 25 novembre 1996 che vieta che un singolo operatore possa avere la titolarità di un permesso di ricerca in un’area (terraferma o mare) estesa più di 750 kmq.
Per eludere il divieto di legge, dunque, Global Med ha diviso artificiosamente un’unica area da destinare al medesimo progetto industriale, di estensione pari a 1.497 kmq., in due porzioni contigue, in modo da porsi di sotto della soglia prevista dalla legge.
Sempre al largo delle coste di Crotone e Provincia, Global Med sta per incassare un terzo permesso di ricerca: l’istanza è convenzionalmente denominata d 87 F.R-.GM e la sua area è contigua a quella dei due permessi già rilasciati. Ha un’estensione di 729,5 km2.

A quanto pare, nessuno ha vigilato e monitorato lo stato del procedimento dell’Istanza d 87 F.R-.GM e, adesso, scaduti i termini per fare ricorso al Tar Lazio contro il Decreto di Compatibilità Ambientale (D.M. n. 252 del 26.09.2017), non resta che prepararsi al ricorso al TAR Lazio contro il futuro decreto MISE che accorderà il TERZO Permesso di Ricerca nello Jonio calabrese al medesimo operatore.

Regione Calabria e Comune di Crotone non stiano a guardare, il rischio che corrono le future generazioni di una terra già martoriata è molto alto, le responsabilità delle istituzioni che devono tutelare il territorio sono facilmente individuabili e non assumersele è sinonimo di complicità.
Dopo l’esito negativo della sentenza del Tar Lazio le istituzioni interessate ricorrano al Consiglio di Stato, affidandosi a persone esperte, non a consulenti occasionali poco esperti in materia.
Deve essere rispettata la volontà di tutti i cittadini che il 17 aprile 2016 votarono contro le trivelle in mare.

 

PIANO DELLE AREE – Una posizione chiara a tutela dei nostri territori

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di Nicola Manfredelli

Il Piano delle Aree è innanzitutto un fattore di coesione sociale e territoriale che mette mano agli squilibri non più accettabili tra cittadini e amministrazioni pubbliche. A MO! – Unione Mediterranea sta molto a cuore il ripristino di un provvedimento che va nella direzione di individuare nei territori la sovranità decisionale sull’uso delle risorse e sulla salvaguardia dell’ambiente.

D’altronde non si chiede nulla di straordinario ma soltanto di dare attuazione a uno degli orientamenti più importanti dell’UE (purtroppo solo in minima parte preso in considerazione) che è il Principio della sussidiarietà, non solo quella verticale, che quasi sempre è a prevalenza centralistica, ma soprattutto quella orizzontale, che assegna voce in capitolo alle popolazioni locali.

Nelle regioni meridionali in particolare lo strumento del Piano delle Aree assume una valenza di notevole rilievo poiché siamo in presenza di una situazione di rischio ambientale non più sostenibile, denunciata dal nostro movimento con una PETIZIONE presentata al Parlamento Europeo, con la quale, ai sensi dell’art. 44 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE abbiamo chiesto l’istituzione di una Commissione Speciale per verificare il rispetto di tali Diritti Fondamentali nelle regioni del SUD. Sono note le vicende della Terra dei Fuochi in Campania, così come quelle delle violazioni in tante altre zone del Sud. Non ultime le violazioni in materia di concessione delle licenze offshore in Calabria e quelle che riguardano le ipotesi di disastro ambientale nei territori della Lucania dove l’impatto delle attività petrolifere sta compromettendo le risorse naturali di vaste zone.

Per tutelare i nostri territori si rende necessario introdurre strumenti normativi, regolamentari, programmatori, in grado di scongiurare ulteriori interventi che potrebbero procurare danni irreversibili. Considerato che in aggiunta alla già rilevante attività estrattiva dell’Eni e della Total, che riguarda all’incirca il 20% dell’intero territorio regionale su cui si estraggono oltre 100.000 barili al giorno di petrolio, sono in essere ulteriori richieste di autorizzazione di pozzi petroliferi da parte della Shell nell’area del Potentino. In Basilicata è in corso un’azione del consiglio regionale per concordare con le altre regioni l’approvazione di un testo di legge che possa essere presentato al Parlamento su proposta dei Consigli regionali per reintrodurre il Piano delle Aree, che nell’immediato può rappresentare un utile strumento per superare lo stato di confusione che si è determinato e le preoccupazioni circa un quadro autorizzativo che lascia campo aperto a qualsiasi intervento a forte impatto sull’ambiente.

Più in generale le azioni di sfruttamento eterodirette sul territorio si scontrano (specialmente a sud) col diritto all’autodeterminazione di chi quei territori li vive. Troppo spesso si è sacrificato un patrimonio paesaggistico, naturalistico e culturale nel nome di un presunto sviluppo che pure non ha lasciato ricchezza là dove questi processi di sfruttamento hanno avuto luogo.

NIMBY – Not In My Backyard (non nel mio giardino). Se n’è parlato anche durante il referendum del 17 aprile. L’accusa di particolarismo serve solo ad attaccare e delegittimare chi si oppone alle trivelle, togliendo peso invece alle istanze propositive di cui il piano delle aree fa parte a pieno titolo.

Tuttavia MO! – Unione Mediterranea fa presente che oltre al ripristino del Piano della Aree si rende necessario introdurre nella normativa anche strumenti di Partecipazione attiva dei cittadini prevedendo, almeno per le attività maggiormente sensibili per l’ambiente e la salute delle popolazioni, di introdurre forme obbligatorie di iniziative pubbliche, sia informative (Conferenze semestrali sullo stato dell’Ambiente) che consultive (Parere Popolare tramite consultazione dei cittadini residenti) in modo da restituire alle comunità locali la sovranità degli orientamenti sugli interventi che incidono sulla conservazione e sulla tutela dell’ambiente in cui vivono”.