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Dossier federalismo fiscale: svelati i trucchi per fregare il Sud.

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L’UFFICIO PARLAMENTARE DI BILANCIO SMONTA IL FEDERALISMO FISCALE

di Marco Esposito (articolo pubblicato su Il Mattino il 15/12/2016)

Il federalismo fiscale funziona al contrario: toglie ai Comuni in regioni povere e dà con generosità ai Comuni ricchi. E l’effetto cresce nel tempo, con un balzo già nel 2017 se saranno approvati i nuovi fabbisogni standard comunali.
Ecco: se il governo cerca un dossier simbolo dal quale ripartire per segnare una svolta in favore del Mezzogiorno, lo ha già sul tavolo. È la durissima relazione presentata in Parlamento dall’economista Alberto Zanardi, dell’Ufficio parlamentare di bilancio. L’Upb è una struttura tecnica e indipendente voluta dalla Ue per tenere d’occhio i conti degli Stati aderenti all’Unione europea. Zanardi ha messo a punto un dossier denso di dati e di osservazioni critiche che svela (o conferma, per i lettori del Mattino) i trucchi messi in atto per favorire le aree ricche anche quando scatta la solidarietà.

Zanardi, milanese e bocconiano, non si fa scrupolo a tirare in ballo la sua Milano. La quale, è cosa nota, è una città molto ricca e quindi le spetta contribuire non poco al Fondo di solidarietà comunale. In particolare, per la cosiddetta perequazione delle capacità fiscali, Milano versa un gettito di oltre 400 euro per abitante. Non sono pochi soldi, ma a chi vanno? Sono destinati, com’è giusto, a Comuni che ne hanno più bisogno. E chi ha fabbisogni particolarmente elevati? Milano! Che quindi si restituisce 350 euro a testa riducendo l’effettiva solidarietà ad appena 50 euro. «La determinazione dei fabbisogni standard – spiega Zanardi – essendo in parte basata sui servizi effettivamente forniti, rispecchia le capacità fiscali di ciascun Comune». In pratica se un Comune ha alte capacità fiscali (cioè è ricco) fornisce più servizi, da cui si afferma che ha più bisogni e quindi le ricchezze se le tiene, almeno in massima parte.

Tale sistema è già scattato per il 2016 e aveva come paradosso più evidente l’assegnazione di un fabbisogno zero ai Comuni dove nel 2010 (anno di riferimento) non c’era l’asilo nido. Nel 2017, continua Zanardi, il riferimento è aggiornato al 2013 ma c’è stato un «potenziamento dell’attenzione ai servizi effettivamente forniti». L’economista non fa esempi, ma i lettori del Mattino già sanno: a Caserta nel 2013 non c’era servizio di autobus perché la società di trasporto pubblico era fallita e così si è deciso di assegnare alla città fabbisogno zero di trasporto pubblico per il 2017. Come a dire: «Non passa l’autobus? Vuol dire che non ti serve».

Tale regola, va ricordato, è talmente contraria al buon senso e agli obiettivi del federalismo che la Commissione bicamerale per il federalismo fiscale ha chiesto al governo di togliere per il 2017 quegli zeri sul trasporto pubblico locale e sugli asili nido. Il governo Renzi non ha avuto il tempo di dare una risposta. Ecco perché l’esecutivo Gentiloni, che ha fatto dell’attenzione al Sud un proprio marchio di fabbrica, ha l’occasione di dare un segnale concreto, anche perché la relazione dell’Ufficio parlamentare di bilancio documenta, al di là di ogni ragionevole dubbio, la deriva che ha preso il federalismo, fino a calcolare il punto di arrivo, con Napoli – già oggi la città più colpita – che a regime si vedrebbe tagliato «il 24,3% delle risorse» mentre «Roma accrescerebbe la sua dotazione di risorse del 23%».

Zanardi poi puntualizza che molti problemi nascono dal fatto che siamo «in assenza della fissazione da parte del governo centrale di Lep», ovvero livelli essenziali di prestazioni sociali da garantire in tutta Italia. Con la conseguenza che «si indeboliscono gli incentivi agli enti in ritardo a promuovere un adeguamento delle loro forniture pubbliche» mentre cresce il «rischio di cristallizzare le disparità». Infine, accusa Zanardi, non è mai partita la perequazione delle infrastrutture previste dalla legge 42 del 2009, cioè gli interventi statali per superare i divari storici.

Come hanno reagito i parlamentari della Bicamerale per l’attuazione del federalismo fiscale dopo aver ascoltato il j’accuse di Zanardi? Sono intervenuti in tre. Il presidente della Commissione, il deputato leghista Giancarlo Giorgetti, si è detto allarmato perché, a suo dire, i Comuni della Liguria e quelli della provincia di Sondrio ne uscirebbero «massacrati». Ha preso poi la parola la senatrice del Pd Magda Angela Zanoni che ha chiesto i dettagli regionali: «A me ovviamente interessa il Piemonte», ha precisato. Infine è intervenuta un’altra senatrice del Pd, Maria Cecilia Guerra, la quale pur affermando che a lei come emiliana «va anche bene» si è posta il problema che si stanno assegnando a dei tecnici (la Sose, la Commissione tecnica fabbisogni standard) delle scelte che dovrebbero essere politiche. E i parlamentari meridionali? Assenti o silenti.

Allerta SVIMEZ: spese cultura -30% al Sud in tredici anni.

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Se è vero che i diritti sociali sono finanziariamente condizionati, dipendono cioè dalla quantità di investimenti che lo Stato distribuisce sul territorio per garantire servizi, la cultura al Sud, è considerata un bene di lusso. A denunciare ancora una volta l’aumento del divario tra il Nord ed il Sud del Paese è l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, nella nota di ricerca “Le spese per la cultura nel Mezzogiorno d’Italia”, curata dal consigliere Svimez Federico Pica e Alessandra Tancredi dell’Agenzia per la Coesione territoriale.

La nota analizza l’andamento delle spese correnti, in conto capitale e totali per la cultura, a livello delle circoscrizioni Nord/Sud e di alcune regioni italiane negli anni 2000-2013. Negli ultimi tredici anni la cultura è stata tagliata di più al Sud, dove la spesa è stata ridotta di oltre il 30%. Allo stesso tempo, ogni cittadino del Nord ha ricevuto il 35% in più di un cittadino del Sud.

“Dal 2000 al 2013- dice la Svimez- la spesa totale nel settore della cultura ha subito un crollo nel Mezzogiorno, passando da 126 a 88 euro pro capite, contro il -25% del Nord. Nel 2013 fatto pari a 100 il livello medio nazionale la spesa pro capite per la cultura è stata del
69% nel Mezzogiorno, a fronte del 105% del Nord e del 141% del Centro.”

Se si analizza la spesa per la cultura in alcune regioni le disparità si allargano: “se a livello nazionale dal 2000 al 2013 il calo è stato del 27%, il Veneto ha perso oltre il 21%, Emilia-Romagna e Toscana ben il 38-39%, ma la Calabria arriva addirittura a meno 43,6%.

Quando si parla di “cultura e servizi ricreativi” si intendono prioritariamente interventi a tutela e valorizzazione di luoghi d’arte, teatri, biblioteche, musei, accademie, archivi ma anche  attività sportive e attenzione per giardini e spazi pubblici.

Quello che serve, si legge nella Nota, è “non soltanto un maggiore impegno finanziario di tutti, ma altresì una effettiva riconsiderazione e riforma dei meccanismi finanziari e istituzionali”.
In primis, le spese per la cultura “attengono ai livelli essenziali delle prestazioni (LEP), che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”.

In altre parole, il Governo deve effettuare la ricognizione dei livelli essenziali delle prestazioni come prevede la Costituzione all’art.117 (lettera m), affinchè i diritti minimi sociali e civili, siano tutelati anche per gli enti territoriali con minore capacità contributiva. Con l’entrata in vigore del federalismo fiscale dal 2011, la ricognizione non è neppure stata avviata, con il risultato che i diritti fondamentali e i principi di coesione e solidarietà sono
diventati concessioni straordinarie, al punto di dividere i cittadini in categorie di serie A e serie B.

MO-Unione Mediterranea da sempre denuncia un ingiusto e disomogeneo meccanismo di ripartizione delle risorse che danneggia gravemente i meridionali, penalizzati e sacrificati da manovre disordinate, anticostituzionali e discriminatorie, i cui effetti hanno ricadute gravi sulla qualità della vita al Sud, “sotto la linea di confine”. Per dirla alla renziana maniera.

Flavia Sorrentino