Tag Archives: indipendenza

Catalogna: 5 domande a… Pierluigi Peperoni

Share Button

Oggi vi presentiamo il punto di vista sul referendum catalano di Pierluigi Peperoni, Segretario nazionale di Unione Mediterranea, attualmente in carica.

1. Cosa ne pensa del percorso indipendentista catalano? È un modello riproducibile per il mezzogiorno d’Italia?

Il percorso catalano è stato favorito da una diffusa consapevolezza della forte identità che li caratterizza come popolo. Abbiamo visto piazze gremite e festanti, abbiamo visto un popolo che nel momento in cui subiva la violenza vessatrice del Governo spagnolo ha saputo reagire compostamente, pacificamente, aggirando gli ostacoli posti sul loro cammino.
Risulta difficile immaginare che il mezzogiorno tutto sia pronto per intraprendere un cammino lungo un percorso così arduo, ma ci stiamo arrivando a grandi passi.

2. Quali sono i punti in comune tra il nostro sud e la Catalogna?

Al momento è difficile trovare similitudini tra due aree che per indicatori sociali, economici e per storia sono molto diverse.

3. Quali sono, invece, le differenze?

La presenza di un tessuto produttivo ricco che ha interesse a schierarsi a difesa dei propri interessi e una consapevolezza della propria identità che è molto più radicata. Loro sono una regione che ha costruito tanto, noi invece siamo sempre stati indotti a pensare che “non si può”. Inoltre la loro consapevolezza di essere popolo è certamente in una fase molto più avanzata della nostra. Nelle scuole si parla il catalano, esistono canali televisivi catalani e le insegne dei negozi sono nella loro lingua. Evidentemente questo referendum a cui, pare, seguirà la dichiarazione unilaterale di indipendenza è solo l’atto finale di un lungo percorso di autodeterminazione.

4. La differente solidità dell’economia di queste due macroregioni non impone riflessioni diverse sull’opportunità di una secessione?

Dietro ogni cambiamento storico importante vi sono ragioni economiche. La Catalogna vuole difendere il proprio “status quo” di area ricca. Noi invece subiamo sistematicamente l’attacco dei Governi che si succedono da ormai quasi 160 anni e che vanno sistematicamente a impoverire i nostri territori con scelte che penalizzano gli investimenti, l’università, i servizi.
La loro secessione è difesa dei privilegi, la nostra sarebbe affermazione dei diritti. Per noi sarebbe legittima difesa.

5. L’UE come si comporterebbe di fronte ad una tale possibilità? In particolare accetterebbe il rientro tra i Paesi membri di una nuova nazione, già ex-regione?

Esiste una questione aperta, di natura squisitamente tecnica, legata alla permanenza della Catalogna nell’Unione Europea: alcuni sostengono che continuerebbe a far parte dell’UE, altri che dovrebbe fare richiesta per rientrare. In questo caso l’ok dovrebbe arrivare dagli stati membri, inclusa la Spagna. Politicamente però l’UE avrebbe tutto l’interesse ad accogliere la Catalogna tra le proprie fila.

Riflessioni sul referendum catalano

Share Button

di Marco Rossano, sociologo

Sono 15 anni che vivo a Barcellona e non ho la presunzione di sapere cosa è giusto o sbagliato. So che esiste una “questione catalana” che affonda le sue radici nel tempo e che è molto più complessa di quello che molti politici e mezzi di comunicazione stanno dando in queste ultime ore. Non si può paragonare alla Scozia o al Sud Italia, ogni contesto ha le sue peculiarità e le sue cause. Non è questa la sede per un’analisi dettagliata delle ragioni storico culturali della “questione catalana”. Voglio però riflettere sulla giornata di oggi 1 ottobre 2017, giorno del referendum. Si è arrivati a uno scontro frontale, a un muro contro muro che non porterà a nessuna soluzione e probabilmente la aggraverà. In questo contesto non esistono buoni o cattivi, oppressi ed oppressori, vittime e carnefici. Tutte le parti in causa hanno la loro dose di responsabilità in questa situazione che si è radicalizzata e polarizzata. O sei con me o sei contro di me, o sei mio amico o mio nemico. Le misure giudiziarie e di polizia delle ultime settimane, gli interventi repressivi della giornata di oggi sono eccessivi e antidemocratici, ma sono anche una risposta (che non giustifico e condanno) alla violazione di leggi e regole fondamentali da parte del governo catalano.

Non c’è dubbio che esiste una “questione catalana” che la politica spagnola ha in più occasioni negato e che ha trovato il suo culmine nella incostituzionalità dello Statuto Catalano nel 2010. Da allora, con il ritorno del Partido Popular (partito di centrodestra) al governo nazionale, le posizioni si sono radicalizzate e l’atteggiamento di rifiuto e di mancanza di riconoscimento da parte delle istituzioni spagnole ha di fatto avuto un ruolo importante nella crescita del movimento indipendentista catalano e la fine di ogni tipo di dialogo fino all’escalation odierna.

Sicuramente uno dei responsabili della situazione attuale è il PP e il suo leader Mariano Rajoy. Dall’altro lato non vanno dimenticate le responsabilità del governo catalano e dei suoi rappresentanti. Nel 2015 durante le ultime elezioni al parlamento catalano, i partiti indipendentisti hanno totalizzato meno del 48% anche se hanno ottenuto la maggioranza parlamentaria. Il governo catalano ha interpretato questo voto come un mandato a procedere sulla via dell’indipendenza. Il sociologo Peter Wagner, professore all’Università di Barcellona, ricorda che tra le cose fatte, il Govern ha riscritto le procedure del parlamento catalano, non tenendo conto della consulenza legale dei propri esperti . Ha proposto, attraverso il parlamento, una legge per un referendum e una cosiddetta legge di rottura, equivalente a una dichiarazione di indipendenza unilaterale. Il passaggio di queste leggi viola la costituzione catalana – l’Estatut – fino ad allora visto orgogliosamente come espressione dell’autodeterminazione catalana. In questo processo, ai partiti dell’opposizione sono stati negati il diritto di dibattito e di proporre emendamenti. Wagner addirittura afferma che “queste leggi assomigliano alla legge di abilitazione (Ermächtigungsgesetz) al Parlamento di Weimar del 1933, anche se il governo catalano non si è preoccupato nemmeno di assicurare la maggioranza dei due terzi”.

In questo clima di scontro, il governo catalano cerca di dare l’impressione che esiste una doppia legalità, una spagnola e una catalana, la prima imposta e la seconda liberamente autodeterminata. Il governo catalano trasmette l’idea, investendo anche una quantità notevole di fondi, di portare avanti la volontà della società catalana con la consapevolezza che l’indipendenza non è mai stata scelta dalla maggioranza dei catalani. Ma nonostante tutto il Govern giustifica la violazione delle leggi e della Costituzione esistente in virtù di una volontà indipendentista della Catalogna. La propaganda catalana degli ultimi anni riversa sullo stato spagnolo le colpe di tutto. Uno stato che i catalani dimenticano di aver partecipato – liberamente – a creare durante la difficile fase della “transizione” dalla dittatura fascista e che ha portato ingenti investimenti sul territorio tra cui le Olimpiadi del 1992 che hanno cambiato il volto di Barcellona portandola alla ricchezza e allo sviluppo attuale e che non avrebbero certo ottenuto con una Catalogna indipendente.

Un dato è certo. L’autoritarismo del governo Rajoy ha portato a una radicalizzazione dello scontro. La grande maggioranza dei catalani vuole un referendum, vuole poter decidere il proprio futuro. Ma, a mio avviso, il referendum di cui ci sarebbe bisogno non è questo organizzato dal governo catalano in violazione della legge e dei principi democratici. La democrazia e la libertà non si esercitano solo nella possibilità di votare, sacrosanta e legittima, ma anche nel rispetto dello stato di diritto e delle minoranze che tanto minoranze non sono. Il muro contro muro non serve a nessuno e porterà solo a un vicolo cieco. L’unica via è quella del dialogo che né il governo spagnolo né quello catalano sembrano voler perseguire.

Elisabet Nebreda (Junts Pel Sí): “Vi spiego come la Catalogna otterrà l’indipendenza il prossimo 27 settembre”

Share Button

di Mattia Di Gennaro

Elizabeth Nebreda, esponente di Esquerra Republicana de Catalunya (ERC), è intervenuta lo scorso 19 settembre al “Forum dell’Europa dei Popoli”, organizzato in provincia di Varese conto di European Free Alliance (EFA), dove Unione Mediterranea Lombardia l’ha incontrata per voi (al convegno su delega Segretaria come osservatori).

ERC parteciperà, il prossimo 27 settembre, alle elezioni per il governo della “Generalitat” della Catalogna, in alleanza con Convergència Democràtica de Catalunya, partito di Artur Mas (‘attuale governatore catalano e leader indipendentista), Demòcrates de Catalunya, Moviment d’Esquerres e altri movimenti identitari catalani.

Dall’incontro di queste voci e idee è nata l’alleanza “Junts Pel Sí” e il “Si” che si vuole affermare insieme, domenica prossima, è quello all’indipendenza della Catalogna dalla Spagna.

12046742_10207530606973726_7552179586576611875_n

Elisabet Nebreda (che è anche consulente del Dipartimento relazioni internazionali di EFA), intervistata da Leonardo Facco, ha spiegato l’origine del movimento indipendentista catalano: “Il processo di indipendenza in Catalogna è ad uno stato di maturità avanzata grazie soprattutto a quattro fattori che caratterizzano il popolo catalano: la consapevolezza e l’orgoglio di sentirsi una nazione diversa da quella spagnola e un popolo dell’Europa; la voglia di autogovernarsi; l’amore per la propria lingua e la propria cultura; la volontà di non fermarsi davanti a nulla”.

Quanto all’autogoverno, la Catalogna non è nuova a simili esperienze e, proprio per questo, i catalani vogliono lasciarsi definitivamente indietro le date in cui fu sancita, per ben due volte, la perdita di questo diritto: 11 settembre 1714, quando Barcellona e la Catalogna vennero conquistate dai Borbone e annesse con forza allo Stato Spagnolo e il 1976 quando, in seguito alla morte del generale Franco, iniziò la discussione della nuova Costituzione. Proprio durante questo processo costituente, fu prevista la concessione di Statuti di Autonomia alle regioni facenti parte della Spagna franchista aventi un’identità propria, seppur sancendo il riconoscimento di un’unica nazionalità (e sovranità), quella spagnola.

Da buoni testardi, i catalani non si arresero e, dopo innumerevoli tentativi, nel 2006 riscrissero l’”Estatut”, il proprio Statuto di Autonomia, introducendo la nozione di “nazionalità catalana”. Il documento fu sottoposto al popolo della Catalogna e approvato con referendum da una larga maggioranza. Tuttavia, quando lo stesso fu esaminato a Madrid, furono richieste ed eseguite molte modifiche, fino a che, nel 2010, il PPE del premier Mariano Rajoy impugnò lo Statuto presso la Corte Costituzionale Spagnola. Il “Tribunal Constitucional” emise una sentenza con la quale reinterpretava diversi articoli dello Statuto, affossandone definitivamente i contenuti originali.

Questo atto, vissuto dai catalani come un affronto alla propria autonomia, scatenò un’ondata patriottica senza precedenti che sfociò in manifestazione di protesta il 10 luglio 2010 a Barcellona. Il popolo catalano sentì che il peso del governo di Madrid era diventato insopportabile e, da quel giorno, ogni 11 settembre, in occasione della “Diada” (il giorno in cui si commemora la caduta di Barcellona nel 1714 dopo 14 mesi d’assedio), la capitale catalana è invasa da una folla vestita a strisce giallo e rosse che manifesta il proprio orgoglio nazionale e che chiede a gran voce l’indipendenza.

Proprio questa spinta dal basso è il segreto del successo del movimento indipendentista catalano; è stata la spinta dal popolo a convincere i leader dei principali partiti indipendentisti e identitari a confluire in “Junts Pel Sí”, superando diversità e dissidi in nome dell’obiettivo supremo della secessione da Madrid.

E se chiedete alla Nebreda cosa succederà se “Junts Pel Sí” vincerà le elezioni del 27 settembre, il giovane avvocato non ha dubbi: “Se l’esito delle elezioni vedrà vincere “Junts Pel Sí” con la maggioranza assoluta dei votanti (50%+1), alla cerimonia d’insediamento del nuovo Parlamento Catalano verrà fatta una dichiarazione solenne con l’obiettivo di aprire il processo di distaccamento dallo Stato Spagnolo, da concludere entro i successivi 18 mesi”.

Dalla dichiarazione solenne partiranno due processi paralleli: uno, istituzionale, che provvederà alla formazione di un Governo di Unità Nazionale con l’obiettivo di creare le istituzioni di cui uno stato indipendente ha bisogno (e.g. Ministeri, Banca Centrale, Relazioni diplomatiche), l’altro, costituente, che coinvolgerà tutto il popolo catalano provvedendo a scrivere la nuova Costituzione della Catalogna.

Una volta a buon punto il processo di costruzione delle nuove istituzioni, il Governo di Unità Nazionale proclamerà unilateralmente l’Indipendenza della Catalogna dalla Spagna; con quest’atto, Mas intende vendicarsi del provvedimento con il quale il Governo Rajoy stroncò con la forza il referendum indetto il 9 Novembre 2014, per sottoporre al popolo catalano il quesito sull’indipendenza.

Agli indipendentisti di “Junts Pel Sí” non sembra spaventare neppure lo spettro di un’uscita dall’Unione Europea. La Catalogna è una regione che vive di esportazione ed è solida economicamente. Quanto a Juncker, presidente della Commissione Europea, se è vero che il suo portavoce si è dichiarato contro la secessione catalana, è anche vero che, secondo quanto riportato da Elisabet Nebreda, alla domanda “Cosa pensa di una Catalogna indipendente in Europa?” il diretto interessato abbia risposto “Perchè no?”

Insomma, scenari imperscrutabili che potrebbero trovare un epilogo proprio tra qualche giorno, quando la Storia (e la geografia) d’Europa potrebbe cambiare di nuovo, restituendo a un popolo la dignità di autodeterminarsi.

11137166_10207530608013752_8188004895887954395_n

da sinistra Domenico Oliveti, Mattia Di Gennaro, Elisabet Nebreda e Martino Grimaldi