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POVERTA’ NEL MEZZOGIORNO

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Sono stati pubblicati i dati Istat sulla povertà in Italia, dai quali è emersa una situazione drammatica per l’italia intera e disastrosamente tragica per il Sud.

Povertà assoluta. L’Istat ha calcolato la soglia di povertà assoluta, ossia la spesa minima mensile di beni e servizi considerati essenziali per uno standard di vita minimamente accettabile, ed è emerso che nel mezzogiorno d’italia l’11,4% degli individui e il 10,3% delle famiglie sono in povertà assoluta (ossia vivono al si sotto di questa soglia) contro la media nazionale dell’8,4% degli individui e 6,9% delle famiglie.

Incidenza di povertà. E’ il rapporto tra il numero delle famiglie/persone con spesa mensile sotto o pari all’indice di povertà e il totale delle famiglie/persone residenti. In particolar modo a destare la nostra attenzione sono stati gli incrementi significativi sia per le famiglie da 8,5% a 10,3% (Italia da 6,3% a 6,9%) sia per gli individui da 9,8% a 11,4% (Italia da 7,9% a 8,4%).

Intensità di povertà. Se analizziamo il dato dell’intensità della povertà ossia quanto la spesa mensile delle famiglie povere è mediamente sotto la linea di povertà, ovvero quanto poveri sono i poveri, emerge un dato di stabilità nel resto d’italia e di crescita (di povertà) al sud da 20,5% a 22,7%.

Aree territoriali. Emerge un dato interessante relativo alle aree territoriali in cui questo disagio si sviluppa. Mentre al nord le aree maggiormente colpite sono le periferie delle aree metropolitane e dei grandi comuni, al sud, invece, ad essere maggiormente colpiti sono i centri delle aree metropolitane con una crescita da 5,8% a 10,1% e i comuni fino a 50.000 abitanti che passano da 7,8% al 9,8%.

Livello di istruzione. I valori più alti di povertà sono riscontrabili in contesti con livelli di istruzione medio bassi: persone con nessun titolo di studio o licenza elementare, con incremento dal 24,6% al 35,7%; persone con licenza media, con incremento da 27% a 28,7%. Stupisce che ad essere colpiti siano anche famiglie e individui con dilpoma o laurea, con una crescita dei livelli di povertà dall’11,6% al 14,1%.

Sottogruppi. Alcune ulteriori classificazioni possono essere fatte tra le famiglie povere dividendole in sottogruppi in base a quanto si distanziano dalla soglia di povertà. Possiamo così individuare le famiglie “sicuramente povere”, il cui livello di spesa mensile è oltre il 20% inferiore alla linea standard di povertà e che mostrano, nel mezzogiorno, un dato di crescita allarmante dal 10,5% a 12.5%. Seguono le famiglie “appena povere” che crescono dal 9,2% al 12,2%.

Gruppi sociali. Anche la povertà assoluta divisa per gruppi sociali mostra delle differenze tra nord e sud come ad esempio per le famiglie di operai in pensione e i giovani blue collar, che rivelano rispettivamente percentuali dell’8,6% e del 6,4% contro il 2,6% e il 3,5% del nord.

Il report del’Istat infine mette in evidenza alcune variazioni statisticamente significative. Vediamo quelle che riguardano il Sud:

Povertà assoluta

famiglie in povertà assoluta da 8,5% a 10.3%

individui in povertà assoluta da 9,8% a 11,4%

famiglie di soli italiani da 7,5% a 9,1%

famiglie di soli stranieri da 29,7% a 42,6%

centri area metropolitana da 5,8% a 10,1%

comuni fino a 50.000 abitanti da 7,8% a 9,8%

Poverta relativa

famiglie in povertà relativa da 19,7% a 24,7%

individui in povertà reltiva da 23,5% a 28,2%

La situazione tragica che emerge dai dati Istat ci porta ad una riflessione più profonda sulla situazione del meridione, partendo dall’analisi dei dati è facile capire quali sono le conseguenze: sempre più giovani saranno costretti ad emigrare al nord o all’estero alla ricerca di condizioni di vita migliori. Vasti territori del sud Italia si trasformeranno, o si stanno già trasformando, in zone abbandonate senza futuro.

I livelli di povertà in Italia cambiano tragicamente al cambiare della latitudine, con percentuali che raggiungono al nord il 5,9%, al centro il 7,9% e al sud il 24,7% (con una media italiana del 12,3%). Solo importanti investimenti mirati e una programmazione adeguata potranno invertire questi dati mostruosamente allarmanti, ma per ora all’orizzonte non c’è nulla di tutto ciò.

Mai così poveri negli ultimi 27 anni, rischio di emarginazione in un Paese in cui crescono le disuguaglianze.

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di Massimo Mastruzzo

Portavoce Nazionale MO Unione Mediterranea

Questo è l’identikit dei nuovi poveri: giovani e principalmente residenti al Sud.
Lo scenario emerge dall’indagine di Bankitalia sui bilanci 2016 di oltre 7mila famiglie italiane.
Secondo l’indagine, nel 2016 è aumentata la quota di individui a rischio di povertà, ma l’incidenza di questa condizione, interessa per lo più le famiglie e i giovani del Mezzogiorno, dove il 13,3 per cento degli individui vive in famiglie senza alcun percettore di reddito da lavoro rispetto al 6,1 nel Nord e 6,9 nel Centro.
Il peggioramento della situazione emersa dall’indagine di Bankitalia amplia ancora di più, sembrava impossibile, la disomogeneità nazionale già di per se unica all’interno della UE.

Secondo l’Istat, i dati sullʼoccupazione migliorano ma solo al Nord: al Sud il tasso è quasi il triplo.

La media del 2017 dice che al Mezzogiorno il tasso di disoccupazione è il 19,4% mentre al Settentrione ci si ferma al 6,9%.

La situazione nel Sud Italia è drammatica – Nella media del 2017 il tasso di disoccupazione si riduce in tutte le aree territoriali del Paese ma “i divari rimangono accentuati: nel Mezzogiorno (19,4%) è quasi tre volte quello del Nord (6,9%) e circa il doppio di quello del Centro (10,0%)”.

Ufficio Studi CGIA 24 giugno 2017

AUMENTA IL DIVARIO ECONOMICO E SOCIALE TRA IL NORD E IL SUD. NEL MEZZOGIORNO QUASI 1 PERSONA SU 2 E’ A RISCHIO POVERTA’.

In questi ultimi anni di crisi, il divario economico e sociale tra il Nord e il Sud del Paese è aumentato. A questo risultato è giunto l’Ufficio studi della CGIA che ha messo a confronto i risultati registrati da 4 indicatori:

 

Il Pil pro capite;

il tasso di occupazione;

il tasso di disoccupazione;

il rischio povertà o esclusione sociale.

 

In termini di Pil pro-capite, ad esempio, se nel 2007 (anno pre-crisi) il gap tra Nord e Sud del Paese era di 14.255 euro (nel Settentrione il valore medio era di 32.680 e nel Mezzogiorno di 18.426 euro), nel 2015 (ultimo anno in cui il dato è disponibile a livello regionale) il differenziale è salito a 14.905 euro (32.889 euro al Nord e 17.984 al Sud, pari ad una variazione assoluta tra il 2015 e il 2007 di +650 euro)

Al Sud le variazioni percentuali più negative si sono registrate in Sardegna (-2,3 per cento), in Sicilia (-4,4 per cento), in Campania (-5,6 per cento) e in Molise (-11,2 per cento). Buona, invece, la performance della Basilicata (+0,6 per cento) e della Puglia (+0,9 per cento).

Sul fronte del mercato del lavoro, invece, le cose non sono andate meglio. Anzi… se nel 2007 il divario relativo al tasso di occupazione era di 20,1 punti a vantaggio del Nord, nel 2016 la forbice si è allargata, registrando un differenziale di 22,5 punti percentuali (variazione +2,4 per cento). Nella graduatoria regionale spicca la distanza tra la prima e l’ultima della classe. Se l’anno scorso la percentuale di occupati nella Provincia autonoma di Bolzano era pari al 72,7 per cento, in Calabria si attestava al 39,6 per cento (gap di oltre 33 punti).

La divaricazione più importante, tuttavia, emerge dalla lettura dei dati relativi al tasso di disoccupazione. Se nel 2007 era di 7,5 punti percentuali, nel 2016 è arrivata a 12 (gap pari a +4,5 per cento). Sebbene tutte le regioni d’Italia abbiano visto aumentare in questi ultimi 9 anni la percentuale dei senza lavoro, spiccano però i dati della Campania e della Sicilia (entrambe con un +9,2 per cento) e, in particolar modo, della Calabria (+12 per cento).

Anche in materia di esclusione sociale, infine, la situazione è peggiorata. Se nel 2007 la percentuale di popolazione a rischio povertà nel Sud era al 42,7 per cento, nel 2015 (ultimo anno in cui il dato è disponibile a livello regionale) è salita al 46,4 per cento. In pratica quasi un meridionale su due si trova in gravi difficoltà economiche. Al Nord, invece, la soglia di povertà è passata dal 16 al 17,4 per cento. Il gap, pertanto, tra le due ripartizioni geografiche è aumentato in questi 8 anni di 2,2 punti percentuali.

Il Mezzogiorno – dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo – ha delle potenzialità straordinarie ed è in grado di contribuire al rilancio dell’intera economia del Paese. Pensiamo solo al patrimonio culturale, alle bellezze paesaggistiche-naturali che contribuiscono a renderla una delle aree potenzialmente a più alta vocazione turistica d’Europa. Certo, bisogna tornare a investire per ammodernare questa parte del Paese che, purtroppo, presenta ancora oggi delle forti sacche di disagio sociale e di degrado ambientale che alimentano il potere e la presenza delle organizzazioni criminali di stampo mafioso. A nostro avviso, inoltre, bisogna riprendere in mano il tema del federalismo fiscale. Grazie al compimento di questa riforma potremmo avvicinare i centri di spesa ai cittadini, responsabilizzando maggiormente la classe dirigente locale che avrebbe sicuramente meno trasferimenti dallo Stato centrale ma, in cambio, beneficerebbe di una maggiore autonomia fiscale, elevando così l’efficienza della macchina pubblica. Il saldo per il Sud sarebbe comunque positivo: grazie anche alla solidarietà praticata dalle regioni più ricche, potrebbe beneficiare di maggiori risorse finanziarie di quante ne usufruisce adesso, innescando un meccanismo virtuoso che avrebbe delle ripercussioni positive anche nel resto del Paese”.

Il 4 marzo l’Italia si è recata alle urne con questa forte condizione di iniquità ed il risultato elettorale appare scontato quanto si riesce a capire che con questi presupposti la scelta degli elettori del sud non poteva che andare nell’unica direzione possibile: tutto quello che rappresentava una novità rispetto al già visto e, per ciò stesso ritenuto a ragione  responsabile rispetto ai dati sopra indicati.

Riuscirà il nuovo governo nazionale che si insedierà (Prima o poi dovranno trovare una soluzione) ad incidere dove altri hanno fallito? Perché di tentativi per una soluzione nazionale, con partiti nazionali, di questa maledetta (sarà mica una maledizione?) Questione Meridionale ne abbiamo visti tanti illudendoci che ogni volta fosse finalmente arrivata quella giusta.
Da Aldo Moro, che provò a tradurre il proprio meridionalismo in azione politica, ad Antonio Bassolino che nel marzo del 2000 firma il Patto di Eboli insieme ad altri rappresentanti politici delle sei regione del Mezzogiorno, a Gaetano Quagliariello che parla di Macroregione, solo per fare alcuni esempi. In tanti hanno provato ad affrontare la nostra Questione dall’interno di un partito nazionale, ma i dati dimostrano implacabilmente che questa vecchia Questione non può essere affrontata da partiti nazionali non fosse altro perché essa diviene Meridionale nel momento stesso in cui ad occuparsene furono proprio i partiti nazionali.

Massimo Mastruzzo

Portavoce Nazionale MO Unione Mediterranea

 

È dalle regioni più in difficoltà che è arrivato il NO!

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Mentre i partiti italiani si spartiscono le percentuali del risultato referendario, i dati ISTAT sono agghiaccianti. 1 italiano su 4 è povero. Le famiglie sotto la soglia di povertà sono così distribuite:

  • Nord 17.4%,
  • Centro 24%,
  • Sud 46.6%.

Le regioni più in difficoltà si confermano Sicilia, Puglia e Campania. L’emigrazione giovanile è in grave aumento. Nonostante ciò l’esecutivo Renzi ha calcolato le soglie di povertà assoluta in modo che risultassero più alte nel settentrione d’Italia riservando il 55% dei sussidi statali al Nord e il 45% al Sud (assecondando la richiesta delle soglie territoriali proposta dalla Lega nel 2005).

Il 4 dicembre si votava per modificare l’impianto costituzionale, certo. E di sicuro molti hanno scelto nel merito di una riforma avvertita come sbagliata. Ma l’eccessiva personalizzazione del referendum ha reso le percentuali un’occasione di giudizio popolare sull’operato politico del Governo. Il No in maggioranza dei giovani è geograficamente più forte al Sud ed esprime un messaggio di reazione ed inequivocabile insofferenza da parte di chi si sente ultimo nelle lista delle priorità di un paese diviso sempre più miope, gerontocratico e scandalosamente diseguale.

di Flavia Sorrentino