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Governo Gentiloni: perchè non cambia niente per il Sud.

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Di Flavia Sorrentino

Che il neo governo di Paolo Gentiloni abbia un Ministro ad hoc per il Mezzogiorno, il professore Claudio De Vincenti, già sottosegretario di Stato, non basta a rassicurare i cittadini meridionali che il 4 Dicembre hanno sonoramente bocciato la riforma costituzionale, divenuta per l’eccessiva personalizzazione, un banco di prova e fiducia popolare verso l’operato politico dell’esecutivo Renzi. Il nuovo governo infatti, è di fatto un Renzi-bis che conferma 12 ministri su 18 incaricati e addirittura promuove ai piani alti di Palazzo Chigi Maria Elena Boschi, che pur declamandosi esempio di classe dirigente non attaccata alla poltrona, ha accettato senza riserve il prestigioso ruolo di Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio sacrificando la coerenza sull’altare dell’arroganza: il cortocircuito di chi si definisce rottamatore e si rivela restauratore. Due sono invece le new entry tra i Ministri a capo di un dicastero, Marco Minniti subentrato ad Angelino Alfano andato agli Esteri e Valeria Fedeli che prende il ruolo di Stefania Giannini, sostituita dopo i risultati della “Buona Scuola.”

Per il resto vengono riconfermati tutti: Orlando alla Giustizia, Pinotti alla Difesa, Padoan all’Economia, Calenda allo Sviluppo economico, Martina all’Agricoltura, Galletti all’Ambiente, Poletti al Lavoro, Franceschini alla Cultura, Lorenzin alla Salute e Delrio alle Infrastrutture. Cosa debba aspettarsi di diverso il Sud dalla squadra di Governo che in tre anni ha aggravato pesantemente le differenze territoriali nel paese, è la domanda a cui dobbiamo realisticamente provare a rispondere. Cambierà forse la legge leghista sulla sanità che assegna meno fondi alle Regioni in cui l’aspettativa di vita media è più bassa? Il ministro della Salute resta Beatrice Lorenzin che definisce i morti di cancro nella terra dei fuochi il risultato dei cattivi stili di vita in Campania e non la conseguenza di decenni di criminale affarismo politico-imprenditoriale irrobustito da indifferenza ed accondiscendenza di Stato. Resta al suo posto anche Graziano Delrio, che sarà ricordato dai posteri per aver rinviato ai “prossimi riparti” le storture sul calcolo dei fabbisogni standard della rete di servizi Welfare del Mezzogiorno (asili nido ed Istruzione) e per non aver investito nelle infrastrutture ferroviarie per colpa delle rocce al Sud.

L’esecutivo Gentiloni è lo stesso delle soglie di povertà calcolate in modo che risultassero più alte nel settentrione d’Italia, riservando il 45% dei sussidi al meridione e il 55% dei sussidi al Nord; è il governo dei 7 miliardi e 5 milioni al centro-nord e 4 milioni al sud per i progetti europei fino al 2020; è il governo dei voucher e dei 2 miliardi di euro del Sud del Piano di Azione e Coesione utilizzati per incoraggiare 536.000 nuove assunzioni al Nord, mentre i dati Istat sulla povertà, l’esclusione sociale e la disoccupazione giovanile nel Mezzogiorno raggelano il sangue per drammaticità e continuità nel tempo. 

Ma questa volta-si dirà- è stato incaricato un Ministro senza portafoglio (ma dai!) per affrontare la questione meridionale, di matrice risorgimentale, mai risolta. A pensar male si fa peccato, ma quasi sempre si indovina: il Sud che comincia a reagire e ha votato in maggioranza per il NO al referendum, se non può essere fermato quanto meno deve essere imbonito, lusingato e controllato. Così Claudio De Vincenti, che fino a ieri ha partecipato a tutti i tavoli di concertazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri e quindi alle decisioni discriminatorie contro il Sud, è diventato la garanzia e la promessa per la ripresa e lo sviluppo meridionale. “Il nostro Paese-ha dichiarato- ha bisogno per il suo sviluppo che il Mezzogiorno prenda in mano il suo destino e dia il suo contributo.”

Quale altro contributo? C’è da chiedersi. Quanti contributi deve ancora dare la colonia Sud prima di vedersi riconosciuti giustizia sociale, dignità lavorativa, pari diritti, condizioni ed opportunità? Un territorio con grandi sacche di disoccupazione può competere e crescere solo se le politiche di governo sono concentrate sulla definizione di una strategia di sviluppo strutturale (che preveda magari una fiscalità di vantaggio per le imprese che investono e assumono al Sud) e sull’adeguata ripartizione dei finanziamenti. Invece per dirne un’altra, il governo Renzi ha ridotto ad un terzo la programmazione dei fondi europei 2014-2020 in Campania, Puglia e Sicilia e ha utilizzato il reddito delle famiglie come indicatore di “merito” per stabilire tetti al turnover dei docenti universitari, favorendo di fatto lo spostamento di 700 ricercatori al Nord e un calo di iscrizioni negli atenei del Sud. De Vincenti questo lo sa, c’era anche lui quando drenavano risorse favorendo emigrazione e desertificazione industriale. Ed era sempre lui ad affermare che «non è scontato che sia un bene introdurre una decontribuzione differenziata ad hoc per il Mezzogiorno» così come era lui a definire <<strumentalizzazioni per coprire l’inadeguatezza del servizio sanitario pugliese>> le proteste dei tarantini dopo dietrofront del governo sui 50 milioni di euro da destinare ai bambini vittime del mostro Ilva tenuto in piedi a colpi di decreti di Stato.

Ci dicono che dobbiamo rimboccarci le maniche, ma ci fendono le braccia. Dobbiamo imparare a correre e ci spezzano le gambe. Smettetela con questo vittimismo, dicono i carnefici. Eppure su una cosa hanno ragione: dobbiamo cogliere ancora di più e con più convinzione l’invito a fare bene da soli, in autonomia. Per il Sud imperversano tempi bui e di peggiori se ne prospettano se non sapremo cogliere la richiesta di rappresentanza che viene dai territori e delle fasce più deboli della società. Tutta la sfiducia e la refrattarietà alle promesse dei partiti italiani, compresi quelli di opposizione che ora fanno la voce grossa ma in Parlamento si adeguano per fregare il Sud, è emersa con il voto sulla riforma Costituzionale. La Carta Costituzionale è salva, per niente lo sono i diritti che contiene. A partire dall’equità e dall’ uguaglianza che per troppo tempo ci sono apparse come concessioni straordinarie e che ora dobbiamo rivendicare come espressione di ritrovato orgoglio e dignità.