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Uno Stato omertoso mostra ancora una volta il suo lato più oscuro: la collusione coi poteri mafiosi

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Uno Stato omertoso che non spende una sola parola di vicinanza e solidarietà per restare accanto ad uno dei suoi servitori più fieri. Al suo servitore più esposto, oggi, contro la Mafia: il pm palermitano Nino Di Matteo.

In questi giorni un nuovo pentito (Francesco Chiarello, ex boss di Borgo Vecchio) ha confermato la notizia del tritolo pronto a Palermo per il magistrato siciliano: dopo Antonino Zarcone, Carmelo D’Amico e Vito Galatolo è un’ulteriore conferma sull’attentato preparato per il PM che sta indagando sulla trattativa Stato-mafia in cui sarebbero stati coinvolti pezzi importanti del nostro Paese.

Il silenzio è calato su questa non-notizia, non ripresa da alcun telegiornale, nascosta nelle pagine interne dei maggiori quotidiani nazionali, esclusa dal dibattito politico-mediatico.

Né il capo dello Stato, che per storia personale dovrebbe essere quantomeno attento a quanto sta succedendo attorno al pm siciliano, né il premier Renzi, sempre pronto ad intervenire su qualsiasi cosa favorisca la sua narrazione iper-ottimistica del paese, né il ministro dell’interno Alfano hanno ritenuto doveroso esprimere una solidarietà anche solo di facciata verso un uomo dello spessore di Nino Di Matteo.

Silenzio anche da parte del presidente della commissione antimafia, quella Rosi Bindi pronta a dare patenti di “camorrosità” ad alcune città, molto meno solerte quando si tratta di far sentire la presenza delle istituzioni al fianco di un magistrato che ha avuto il coraggio di indagare nel fondo torbidissimo delle trattative tra Stato e Mafia, nei terribili anni delle stragi.

Unione Mediterranea ritiene indispensabile, essenziale, irrinunciabile, esprimere la propria vicinanza ad uno dei figli migliori del nostro Sud, un uomo coraggioso che ha sempre anteposto la ricerca della verità alle proprie convenienze.

Nino Di Matteo è un cittadino onorario dell’intero meridione, perché dimostra ogni giorno, coi fatti, col suo impegno forte e costante, che le parole di Paolo Borsellino non sono utopie: sarà grazie ad uomini come lui, al loro coraggio, alle loro battaglie per la verità, che questa Terra un giorno tornerà ad essere bellissima, e che respireremo di nuovo quel fresco profumo di libertà, e non più il puzzo del compromesso mafioso.

Giancarlo Siani e gli altri: la mafia teme la verità più delle leggi

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di Eva Fasano

Il 23 settembre dovrebbe essere lutto nazionale in un paese che combatte realmente le mafie e non dimentica i suoi martiri. Oggi ricorre il trentesimo anniversario della morte del giovane Giancarlo Siani, giornalista napoletano assassinato sotto casa sul sedile della sua auto, una Citroen Mehari verde.

Siani è morto per amore, quello per la verità, perché egli non era un semplice cronista di nera, ma uno che scavava, collegava, cercava e denunciava. Su di lui sappiamo tutto. Conosciamo il suo volto, la sua auto, le sue preziose inchieste e anche i nomi dei suoi assassini. Quello che spesso dimentichiamo è che la verità raccontata così com’è, nuda e cruda, spaventa i sistemi mafiosi, politici ed affaristici molto più dei presidi militari.

Sicuramente spaventano più di una commissione antimafia presieduta da una presidente, l’onorevole Rosy Bindi, che in visita nella Napoli che si ribella, quella di Siani e tanti altri, afferma fatalista “La camorra è un dato costitutivo della città partenopea” ma non dichiara guerra vera alla malavita, non la colpisce negli interessi come suggerivano gli indimenticati Falcone e Borsellino. Prova ne sono i 2351 gornalisti italiani minacciati dal 2006 ad oggi, alcuni dei quali attualmente sotto scorta, con un picco di 506 nel 2014.
(dati consultabili su www.ossigenoinformazione.it)

Cosa fa lo stato italiano a parte insultare la nostra intelligenza e disquisire sul DNA dei napoletani ignorando la verità storica? Discute la cosìdetta legge bavaglio sulle intecettazioni, senza le quali inchieste come Mafia Capitale e scandali corruzione dell’Expo non sarebbero mai esistiti.

Tante parole abbiamo speso su Siani. Ben vengano i premi, le iniziative di commemorazione, i film, le targhe, ma noi di Unione Mediterranea preferiamo credere che Siani lotti ancora grazie al lavoro di giornalisti come lui, minacciati e screditati.
A loro va la nostra immensa gratitudine e proprio oggi vogliamo ricordarne solo alcuni. Vogliamo celebrare grazie a loro e a Siani l’amore per la vita e la verità.

Sandro Ruotolo, napoletano, dal maggio 2015 sotto scorta dopo aver ricevuto minacce da Michele Zagaria, boss dei Casalesi, a causa delle sue inchieste sul traffico di rifiuti tossici in Campania.

Lirio Abbate, palermitano, nel 2012 con un’inchiesta giornalistica su l’Espresso ha svelato, due anni prima dell’inchiesta giudiziaria,l’esistenza di “mafia Capitale” e il potere del clan di Massimo Carminati che per questo motivo inizierò a minacciarlo. L’organizzazione internazionale Reporters Without Borders nel 2014 lo ha inserito nella “top dei 100 eroi dell’informazione nel mondo” perché «Le minacce di morte e la sua presenza nella lista nera di Cosa nostra non lo hanno intimidito». Nel 2015 l’associazione Index on Censorship lo ha nominato fra le 17 persone al mondo che lottano per la libertà di espressione.

Salvatore Minieri, casertano, da anni si occupa di inchieste eco ambientali, in particolare dell’area tra Casal di Principe e Castel Volturno. A Calvi Risorta scopre una delle più grandi discariche illegali d’Europa. Nel 2012 da un’auto in corsa sotto casa sua vengono urlati insulti e minacce.

Gennaro Tedesco, foggiano di San Giovanni Rotondo, in trincea per le vicissitudini della sua città e dintorni, quest’anno ha subito un attentato incendiario.