Giovani? E allora non resta che andare

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di Lino Patruno dalla pagina Terroni di Pino Aprile

I giovani, i giovani. Se diventassero posti di lavoro tutte le parole colate su di loro, il problema sarebbe bell’e risolto. Ne hanno parlato anche il presidente Mattarella e il papa a fine anno, ma loro possono solo indignarsi e incitare. La verità è che la valanga di parole profuse è indirettamente proporzionale al lavoro creato. Così non c’è giovane che sotto l’albero di Natale non avrebbe voluto trovare un biglietto per andarsene. Andarsene dove? Non lo so, ma dobbiamo andare: seguendo il famoso motto dello scrittore maledetto Jack Kerouac.

Ma sappiamo che quelli del Sud se ne vanno al Nord, quelli del Nord se ne vanno all’estero. Per dirla col ministro Poletti, si tolgono dai piedi. Non potendo mai incontrarsi e diventare forza politica, visto che non hanno né sindacati né partiti. Invisibili. Così loro possono reagire solo votando in massa “no” all’ultimo referendum. Perché in questo Paese di vecchi per vecchi, più che come emergenza nazionale sono trattati con rassegnazione secolare. Allora più si sostiene di occuparsene, più lo perdono questo lavoro: nell’ultimo trimestre del 2016 ben 55 mila posti in meno.

Marx criticava l’alienazione del lavoro prodotta dal capitalismo. Negli anni della contestazione giovanile fu il lavoro punto e basta a essere sospettato come forma di sfruttamento. In questa nostra lunga crisi, lo sfruttamento è tanto la norma da diventare addirittura l’unica possibilità. Quindi non è più il lavoro ma la sua mancanza a generare mostri. Quelli di una generazione perduta. Schiacciata in tutto il mondo dall’automazione che affida al computer funzioni prima umane: dal bonifico alla prenotazione della vacanza. Scacciata dall’ingresso di nuovi produttori come Cina e India che tolgono spazio agli altri. Dal dominio di un’economia che non crea più prodotti ma finanza col miraggio di fare soldi solo coi soldi.

Il risultato è una diseguaglianza planetaria che colpisce soprattutto chi ha meno di 35 anni. Ai quali si dice: vedete che nulla è più come prima, ora dovete avere sempre più intraprendenza e diventare imprenditori di voi stessi. Intraprenditori. E dovete avere flessibilità, passare da un contratto all’altro e da un impiego all’altro con la stessa velocità di una piroetta sul ghiaccio. Ma se uno decide di non voler fare da grande il posto fisso come Checco Zalone, tutto trova tranne porte girevoli come un albergo.
Tanti ragazzi delle “start up” (le inventive nuove piccole aziende) hanno raccontato del loro contatto con le banche: generalmente pacca sulla spalla e non fateci perdere tempo. L’impatto con la burocrazia è una Via Crucis nella quale sai quando entri ma non sai quando (e come) esci. Il mondo delle imprese considera l’innovazione più rischiosa di una strada buia di periferia, continua a guardare il merito come più pericoloso di obbligazioni subordinate, ritiene che il figlio dell’amico ancorché mediocre sia sempre meglio di uno bravo ma figlio di nessuno. I sindacati hanno più attenzione per i pensionati non meno maltrattati ma più facilmente rappresentabili.

Ancòra. Il governo dà 500 euro ai diciottenni i quali si comprano libri che vanno a rivendere perché tutti gli scherzi bisogna fare agli italiani tranne che farli lèggere. Felicemente ignoranti. I voucher presentati come trovata infallibile contro il lavoro nero hanno ottenuto l’esatto effetto opposto (se si guardano i dati della Puglia ti chiedi davvero se i datori di lavoro siano più impossibilitati o furbi). Il programma europeo Garanzia Giovani ha garantito solo lavoro e luoghi che nessuno vuole. Il tirocinio col quale una volta il maestro di bottega insegnava all’allievo è in Italia da record ma con la differenza che da noi è diventato soprattutto sistema rapido non per trasmettere il lavoro ma per ridurne il costo. Le cosiddette politiche attive del lavoro sono più disattive di un calciatore fuori rosa. L’alternanza scuola-lavoro è solo ai primi passi: ma invece che mezzo per evitare studenti che sanno tutto (o quasi) ma non sanno fare niente, è spesso considerata una seccatura che fa perdere tempo e intralcia i programmi.

Fatte le somme, ecco una generazione in sala d’attesa. Con la generazione dei padri che ha fallito per egoismo e per impotenza. Dovrebbe funzionare tutto ciò che abbiamo visto non funzionare. Si dovrebbe riprendere a crescere. Cosicché i nostri figli non ci guardano neanche più. Partono. Quasi sempre più leggèri verso la vita di quanto non sia la preoccupazione retorica degli anziani. Ma servirebbero al futuro di un’Italia che ha deluso proprio quelli di cui più aveva bisogno.
(P.S. Ci si rende conto di cosa significhi partire solo ora che a farlo sono anche i ragazzi del Nord. Ma dal Sud si parte da sempre. Ancora una volta si rischia che una Questione Settentrionale prevalga su una Questione Meridionale troppo vecchia per fare notizia).

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