Gioia Tauro – Presente e futuro di una promessa mai mantenuta
di Massimo Mastruzzo
Il 15 luglio è una data importante per l’area portuale di Gioia Tauro
Non è naturalmente il giorno delle ferie estive per quello che, stando alle dichiarazioni trionfali del 1975, sarebbe dovuto diventare il quinto centro siderurgico d’Italia e tanto meno è il giorno di paga per chi, dal 1994, produce il 50% del PIL della Regione.
Il 15 luglio, purtroppo, partiranno 400 lettere di licenziamento per altrettanti impiegati in quella che è definita “la porta del sud”. Una struttura dalle potenzialità immense e che invece, per mano della solita politica italiota, vede una riduzione del personale. Qualsiasi alta nazione avrebbe trasformato il bacino nella miniera d’oro che palesemente è ed invece, a Gioia Tauro, sta accadendo altro.
La scelta dell’azienda terminalista Mct sembra non essere la classica triste questione di esuberi. Sembra che dietro il fattaccio si nascondano ombre molto più cupe e che riguardano più in generale il futuro stesso del Porto e dell’area prospiciente. Mala tempora currunt sed peiora parantur
A pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca, e fu proprio Giulio Andreotti a posare la prima pietra del cantiere che doveva dare vita al porto. Nato come “moneta di scambio per la composizione dei moti reggini del 1970, l’ambizione della colossale opera era quella di dare lavoro a 7500 persone.
Oggi, purtroppo, se ne contano solo 2240, fra porto ed indotto. E di cosa ci stupiamo, se giusto qualche settimana fa – vedi a volte le coincidenze -, il premier Paolo Gentiloni ha indicato ai grandi imprenditori orientali i porti di Triste e Genova come UNICI terminali verso cui indirizzare le merci in entrata nel Mediterraneo?
Immaginarsi un coro di proteste sarebbe stato legittimo: invece nulla. Regione Calabria, Città Metropolitana di Reggio Calabria e (salvo qualche eccezione) amministratori locali si sono accomodati in un assordante silenzio.
Il territorio calabrese è piegato da mille emergenze e vessato da una criminalità che ve ne si nutre. In queste condizioni quattrocento posti di lavoro persi rappresentano un costo esiziale e lo stato dovrebbe intervenire.
Ad oggi solo promesse. In teoria ci si aspettano la ZES (Zona economica speciale) e 45 milioni all’agenzia per il lavoro. In concreto? Nulla si muove.
Quessto stato non ha dignità. Quanta volete che ne conceda alla sua colonia interna?