Il punto di vista di Raffaele Vescera
Uomini di Cuffaro e di Berlusconi passati al Pd, impresentabili e legati ai clan elettorali e affaristici, e anche mafiosi, capeggiati da Faraone, egli stesso indagato per peculato e renziano di ferro, sono gli stessi che spingono per la defenestrazione di Crocetta, ma senza andare a nuove elezioni, ché il Pd sarebbe travolto dai 5 Stelle. I rottamati e riciclati della peggio politica mirano a un colpo di stato, anzi di regione, ce ne dà conto l’articolo di Pipitone pubblicato sul Fatto.it, di cui riportiamo il link. Sono gli stessi che potrebbero aver architettato lo scoop della telefonata fantasma di Tutino, approfittando delle difficoltà politiche da essi stessi create a Crocetta. Ovviamente in accordo con il potere nazionale, di cui sono servi e complici, e al quale l’azione eccentrica del governatore siciliano dava non poco fastidio. Più di tutto, quando ha denunciato e dimostrato che le cause del deficit regionale erano da attribuire non alla sua cattiva amministrazione, ma ai mancati trasferimenti nazionali. Chiunque, in Sicilia e nel Sud continentale, critichi la politica antimeridionale dello Stato, ha vita breve. Prima di Crocetta, ci è passato Lombardo, che seppure tra contraddizioni e mala politica, parlava di rispetto del trattato di autonomia siciliana. La Sicilia è da sempre strategica per gli ingordi interessi continentali, in virtù della sua posizione centrale nel Mediterraneo e delle sue non poche risorse.
Sembra un raffinato gioco siciliano, di quelli pirandelliani, dove la verità è sempre molteplice e mai assoluta. Tuttavia, se facciamo ricorso ai giochi tradizionali della politica italiana, forse possiamo capirci meglio. La Sicilia ha sempre aspirato alla propria indipendenza e sovranità. Nell’Ottocento, baroni e latifondisti, tenuti a freno dal governo partenopeo, non volendo sottostare al potere centrale di Napoli, hanno consegnato l’Isola nelle mani dei piemontesi. Ciò in cambio di alcuni privilegi, quali la spartizione delle terre demaniali, sottratte all’uso civico del popolo, che veniva così affamato, e il comando diretto sugli affari, garantito dal patto stato-mafia. Patto inaugurato in quello sciagurato 1860, quando baroni e latifondisti trasformavano le loro bande di bravi in mafia moderna, cui affidare il controllo degli interessi del nuovo stato italiano sull’isola. La strage garibaldina di Bronte contro i contadini poveri parla da sé.
L’Isola del Sole passava dalla padella napoletana alla brace italiana. Sappiamo con quante ruberie, quanto disprezzo e quanto sangue si è manifestato il potere piemontese e poi romano, comunque “padano” nel Mezzogiorno. Nel dopoguerra, i forti indipendentisti siciliani furono massacrati. In cambio fu concessa una Costituzione che garantisce l’autonomia amministrativa dell’Isola, promulgata per calmare le aspirazioni autonomiste, ma non è stata mai applicata dallo Stato. Bisogna sfatare molti luoghi comuni sulla Sicilia, a partire dal gattopardismo. E’ il garibaldino Tancredi, non il principe di Salina a dire “Tutto cambi affinché nulla cambi”. Anche se poi in verità le cose sono cambiate, in peggio. Non i gattopardi (il trasformismo è un male universale) ma gli sciacalli hanno fatto scempio della Sicilia. Il Sud Italia è stato ridotto a colonia di sfruttamento, come denunciavano Gramsci e altri, e dunque va governato con metodi coloniali. Per disattendere la Costituzione siciliana, c’è bisogno di uomini fidati al potere nazionale. Più che da governatori, le regioni coloniali meridionali sono governate da ”viceré” italiani. Prendete De Luca, così amato da Renzi. Appena eletto, ha firmato con soddisfazione un accordo che trasferisce a Bologna la trasformazione del tabacco, di cui la regione campana è in assoluto la maggiore produttrice nazionale. Che dire poi della Basilicata devastata dalle trivelle, della Puglia ferita al cuore non solo dall’Ilva, della Calabria abbandonata e degli Abruzzi e Molise ridotti a discarica tossica? Al Sud, il sonno delle regioni genera mostri.