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SUD E SWADESHI – parte II

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di Antonio Lombardi

A proposito di Comprasud, un altro efficace esempio di noncollaborazione economica come strumento di pressione politica, lo si ebbe in Sud Africa nel 1985, nella città di Port Elizabeth. Fu uno dei momenti fondamentali della lotta nonviolenta di liberazione dal regime di apartheid.

Cominciò grazie ad alcune madri nere che lanciarono un boicottaggio delle merci vendute dai bianchi, per mettere la popolazione bianca di fronte alle sue responsabilità nella discriminazione razziale. In poche settimane, col sostegno di una rete di associazioni (United Democratic Front), riuscirono a persuadere mezzo milione di persone a non acquistare in centro città nei supermercati gestiti dai bianchi, ma a restare a fare la spesa nei negozi delle townships, i sobborghi neri.

Il 15 luglio, giorno stabilito per l’azione di massa, le strade commerciali, solitamente affollate, erano deserte; l’adesione fu del 100%. In 5 giorni il boicottaggio si propagò in tutto il Paese.

Il governo proclamò lo stato d’emergenza in alcune aree, tra le quali Port Elizabeth. Ma aveva le armi spuntate. Il Colonnello Lourens du Plessis fu tra i protagonisti della repressione del movimento, essendo ufficiale capo a Port Elizabeth. Le sue parole sono illuminanti: “Che razza di crimine è non voler comprare? E’ un’azione di massa. E cosa si può fare? Non si può sparare a tutte quelle persone, non si può arrestarle tutte. È una strategia estremamente efficace. Gandhi fu il fondatore del movimento di resistenza nonviolenta”.

Intimidazione e brutalità non fermarono il boicottaggio, che iniziò a incrinare il blocco sociale dominante.

L’arcivescovo anglicano Desmond Tutu, che verrà poi insignito del Premio Nobel per la Pace, fu tra i più determinati ad ammonire del pericolo di un’eventuale involuzione violenta della lotta.

Le sue parole: “Perché tradire la nostra causa usando metodi, gli stessi metodi che i bianchi usano con noi? Dobbiamo ricordarci, amici miei, che la nostra è una causa meravigliosa: è la causa della libertà, della giustizia, della bontà. E noi, tutti noi dobbiamo camminare a testa alta. Noi affermiamo che useremo solo quei metodi che passeranno al verdetto, all’alto verdetto della storia (…) Non sono le armi quello che autocrati e tiranni devono temere di più, bensì la decisione della gente di essere libera; quando si arriva a tanto è un processo irrefrenabile”.

La lotta fu lunga, complessa, articolata e beneficiò del sostegno della comunità internazionale con il boicottaggio delle banche sudafricane. Essa si concluse vittoriosamente nell’aprile del 1994 allorché in Sud Africa vi furono libere elezioni che videro Nelson Mandela trionfare.

Ma tutto cominciò un mattino di luglio, allorché persone consapevoli e organizzate fecero la spesa in modo diverso.

(Nella foto: 15 luglio 1985, un supermercato di Port Elizabeth desolatamente vuoto, con le sole commesse a girare tra le merci esposte).

Sud e Swadeshi

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di Antonio Lombardi

Il Comprasud, ossia la pratica del consumo critico esercitata dagli abitanti del Sud dell’Italia, che si manifesta nel preferire i prodotti di aziende con sede legale nel Mezzogiorno, è un potente strumento di promozione economica dei nostri territori e di pressione politica per attivare processi di cambiamento nel senso della giustizia e della non discriminazione.
Il Comprasud ha un nobile esempio nello Swadeshi di Gandhi, il quale usava tale parola per esprimere al tempo stesso l’obiettivo e lo strumento della lotta per la liberazione dell’India dal dominio coloniale britannico. Swadeshi è un’economia basata sulle proprie forze. Esso trovò espressione nel boicottaggio dei prodotti inglesi, al fine di favorire la produzione e la vendita di quelli indiani e, così, promuovere l’autosufficienza delle comunità locali.

La nostra terra è una terra sottomessa al predominio economico del Nord Italia, così come tutti i sud del mondo lo sono nei confronti del nord economico-geografico planetario. Agire localmente, impegnarsi per la pace nella giustizia della propria terra, mantenendo una visione globale dei problemi, ha tanti vantaggi:
• rende attivi evitando di cadere in un fatalismo deresponsabilizzato;
• contribuisce alla crescita della pace a livello mondiale perché comporta la noncollaborazione con le logiche di potere dominanti e violente;
• mantiene immuni da un pacifismo opportunista (rischio che corrono al Nord Italia), che mentre si occupa della giustizia all’altro capo del mondo (e fa bene) si tiene stretti i privilegi sotto casa (servizi migliori, iniqua distribuzione delle ricchezze, ecc.);
• scongiura un pacifismo alienato (rischio che si corre al Sud Italia), per il quale opporsi alla condizione coloniale di una terra nell’altro emisfero è cosa buona e giusta (e lo è sicuramente), mentre accorgersi e lottare per quella della propria comunità è un atteggiamento al limite del reazionario.
A tal proposito ricordo le parole di Gandhi:
“Il mio patriottismo è allo stesso tempo esclusivo e inclusivo. È esclusivo nel senso che in tutta umiltà focalizzo la mia attenzione sulla terra in cui sono nato, ma anche inclusivo nel senso che il mio contributo non è di natura competitiva o antagonista”.
(M. K. Gandhi, The Collected Works of Mahatma Gandhi, vol. XXVI p. 279).

Servire la propria terra non significa né comporta necessariamente odiare quella degli altri, ma vuol dire lottare a testa alta e cuore forte per la sua liberazione. Per amore, solo per amore.

(Nella foto: Gandhi e l’arcolaio, lo strumento per filare, diventato il simbolo dello Swadeshi perché permetteva di evitare l’acquisto di tessuti inglesi).