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La nostra causa – Tredici buone ragioni per abbracciare la nostra terra

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di Antonio Lombardi

1. Perché ci sei nata/o: è la tua terra, il tuo popolo. Oppure perché semplicemente ci abiti, anche se sei nata/o lontano; oppure perché, pur non essendoci nata/o né abitandoci, sei una persona che ha il senso della giustizia e della solidarietà e la sensibilità di un autentico operatore di pace.

2. Perché sei stanca/o delle frasi razziste, degli auguri di morte e degli insulti snocciolati nelle conversazioni quotidiane o urlati in coro da migliaia di persone, nell’indifferenza dello Stato.

3. Perché hai scoperto che la lezioncina di storia che ti hanno trasmesso, dalla scuola elementare in avanti, è una bugia infame, un veleno ideologico per farti onorare una bandiera che ha sterminato i tuoi avi e farti abbracciare come eroi i massacratori della tua gente.

4. Perché sei stanca/o di discriminazioni macroscopiche, che ti condannano ad avere strade peggiori, ferrovie obsolete, porti desertificati, zone senza aeroporti, ospedali meno attrezzati, scuole ed università penalizzate, beni culturali in misura maggiore ma in considerazione minore, terre e mari abusati.

5. Perché non puoi affezionarti ad un Paese nato e tenuto incollato con l’imposizione, che ti considera carne da macello da spedire in guerra o prodotto di scarto da costringere all’emigrazione.

6. Perché sei indignata/o da un sistema politico ed economico, costruito ad arte, che prevede un Nord che comanda e infierisce ed un Sud che obbedisce e subisce.

7. Perché hai capito che i parlamentari e i governanti che mandi a Roma da decenni, ti dimenticano rapidamente e collaborano, silenti e fattivi, agli ordini che ricevono dai loro veri padroni.

8. Perché ne hai abbastanza del fatto che la tua terra non abbia una rete produttiva sviluppata, né banche e assicurazioni proprie, né televisioni e giornali d’impatto che leggano “da Sud” quel che succede, non riceva adeguata promozione e tutela dei suoi prodotti enogastronomici e paghi pure la RC auto più alta pur avendo meno sinistri.

9. Perché vuoi dire basta alla pratica, che va avanti da oltre centocinquanta anni, di conservarti in mani criminali che operano come fossero il braccio violento dello Stato per il controllo, l’insicurezza e la sottomissione di un popolo che potrebbe sorridere come un’increspatura del mare.

10. Perché vuoi valorizzare e difendere la tua identità culturale, facendone una forza nonviolenta di riscatto per te ed un ponte di pace e di scambio con gli altri popoli.

11. Perché hai smesso di alienarti, per paura, pregiudizio o opportunismo, da quello che accade sotto al tuo naso.

12. Perché vuoi uscire dalla cupezza della vita e del pensiero, delle emozioni e dei comportamenti inibiti, lottando libera/o e innamorata/o per quell’indipendenza che la tua terra possedeva e che oggi potrebbe orientarla verso un destino migliore.

13. Perché hai deciso che non devono più essere gli altri a dipingere il nostro volto secondo il loro interesse, ma è ora di prendere in mano la tavolozza dei talenti ed il pennello della tenacia, per rifare con nuovi colori la nostra immagine più autentica.

Sud 2.0 – Due chiacchiere con Pino Aprile

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Il progetto Sud 2.0, architettato dallo scrittore meridionalista Pino Aprile è ormai sulla rampa di lancio. Sud 2.0 è un progetto sociale che mira al lancio di start up innovative meridionali, giovanili e non, da finanziare e assistere allo scopo di favorire il rilancio economico del Mezzogiorno, facendo da sé, senza più aspettare e senza nulla chiedere. Insieme, Sud 2.0 si propone di fare informazione slegata dagli stereotipi e dai pregiudizi sul Mezzogiorno diffusi dai media nazionali. Sull’iniziativa, che sarà lanciata ufficialmente il 27 maggio a Campobasso, cui seguiranno altre presentazioni pubbliche nelle maggiori città, abbiamo intervistato Pino Aprile.


Ciao Pino. Raccontaci cos’è Sud 2.0

«Uno strumento per creare una rete di giovani imprenditori al Sud. Lanceremo una raccolta fondi (crowdfunding) per un milione di euro e con quei soldi (dipenderà dalla somma raccolta) faremo incubatori per aziende innovative di giovani del Sud (a regime, uno in ogni regione) e un quotidiano online che sostenga diritti e ragioni del Mezzogiorno. Su www.sud2-0.it c’è tutto. I giovani le cui idee saranno selezionate e finanziate, dovranno impegnarsi a non de-localizzare l’azienda, né a cederla ad altri, per almeno cinque anni, e ad avere intrecci societari, anche minimi, con le altre start up che nasceranno e con Sud 2.0. In modo da avviare una rete che si radichi nel territorio. I giovani aspiranti imprenditori riceveranno un finanziamento metà in servizi (ufficio, segreteria, assistenza legale, commerciale, bancaria e ogni consulenza necessaria, tutoraggio) e metà in soldi.  Il nostro intento è rafforzare la comunità meridionale e per questo c’è bisogno delle condizioni economiche per fermare l’esodo dei giovani e offrire una alternativa a chi volesse tornare. Capito che l’Italia non darà mai al Sud le stesse infrastrutture e opportunità che al Nord, il cui benessere si regge sulla subordinazione imposta al Mezzogiorno, l’unica strada per uscirne è far da soli».

Ma non è tutto qui. Parlaci del giornale. Qual è il suo scopo principale?

«Sud 2.0 è concepito per ricostruire la comunità meridionale che ha bisogno di lavoro (altrimenti i giovani se ne vanno), ma soprattutto di sapere e capire perché è desiderabile restare o tornare al Sud. E per questo, è necessario riscoprire i valori della nostra storia, della nostra terra, delle sue diversità, dei legami con gli altri.»

L’obiettivo finale di Sud 2.0? Qual è?

«Non c’è: è una linea spostata sempre più avanti. Abbiamo idea di dove si può arrivare; anzi, dove vogliamo arrivare, ma non ha senso parlarne ora. Quanto lontano andare dipenderà dalle adesioni al progetto (quindi aderite, aderite, aderite). Io avevo paura: la mia competenza è altra e il mio solo patrimonio è quel pizzico di credibilità conquistata in quasi mezzo secolo fra giornali e libri. La reputazione è come la verginità: si perde una volta sola e per sempre. Alla fine, mi hanno convinto: la tua bella faccia, lucida e al sicuro in un cassetto non è utile a nessuno. I soldi che raccoglieremo saranno restituiti al territorio nel modo che ho detto. Altre risorse ed eventuali guadagni, per statuto, saranno tutti reinvestiti. Dopo tre anni, si avrà un’idea di quanto vale Sud 2.0 e si metterà in vendita almeno metà delle quote, mirando a un azionariato popolare. Ma per altri due anni, tutti gli introiti saranno essere usati per creare lavoro, ricerca, sviluppo. Sud 2.0 e quel che ne deriverà deve esser “conveniente” o non servirà ad attrarre i giovani e generare futuro. Tutti devono esser pagati per quel che fanno, al meglio che si può (il volontariato se lo può permettere chi ha comunque un reddito). Chi scrive per il giornale avrà compensi decorosi, non i tre euro ad articolo che umiliano tanti ragazzi colpevoli di voler diventare giornalisti. Sud 2.0 è un progetto che poggia sulla fiducia in se stessi e negli altri. La campagna di crowdfunding parte il 15 giugno»

Qualcosa non funziona

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Sergio Ragone è un blogger attualmente molto quotato e – nonostante orbiti in area PD – molto attento alle tematiche meridionali.

Se anche lui cede alla trappola del “piagnisteo”, allora è proprio il caso di dire che qualcosa non sta andando per il verso giusto, eufemisticamente parlando. In un articolo del 15 marzo pubblicato sull’Huffington Post Ragone parla della “pentola a pressione”, ovvero di quelle potenzialità che il meridione sta portando in ebollizione da tempo, e che non aspettano altro se non di essere liberate. Chiede ai suoi referenti politici, però, di non cedere al c.d. “piagnisteo”. Lui la chiama “retorica del riscatto” dipingendo implicitamente come un disfattista rassegnato chi denuncia le solite storture che gravano sul meridione.

Se è vero (e purtroppo lo è) che l’azione politica del meridionalismo moderno si esaurisce spesso nei rivoli dispersivi delle frasi fatte e dello sventolio autoreferenziale di vessilli della Real Casa, è altrettanto vero che non si può fare di tutta l’erba un fascio. Anzi, non si deve, perché oltre a questo atteggiamento ne esiste uno più costruttivo, basato su attente analisi e sull’impegno concreto. Parlare semplicisticamente di “retorica del riscatto” appiattisce una realtà estremamente variegata e complessa, e derubrica l’attivismo meridionalista di stampo più concreto a “buffonata per nostalgici o rassegnati”.

Negare la legittimità di certe istanze significa, indirettamente, negare gli stessi problemi che quelle istanze intendono affrontare. Come fa, Ragone, a spacciare per risolta la questione meridionale?

Questo Mezzogiorno non deve riscattarsi da nulla, anzi ha già pagato lo scotto di errori fatti da altri, ma ne è venuto fuori con la forza delle proprie idee, con la passione che lo racconta, con le intelligenze che lo animano“.

Si rimane molto perplessi a leggere certe frasi, soprattutto se – come ripetiamo – si tende a riconoscere una certa attenzione a chi le scrive. Concordiamo naturalmente sull’estrema presenza e vitalità delle nostre forze, ma come si può dire che il Sud sia “venuto fuori” se le infrastrutture sono inesistenti a causa del totale disinteresse della classe politica meridionale? Come si fa ad assolvere tale classe politica facendo passare per buono il fatto che se errori ci sono stati essi sono avvenuti nel passato?

Non abbiamo capito, leggendo Ragone, come mettere a frutto le nostre innegabili qualità in assenza di una infrastruttura produttiva equipollente a quella settentrionale fermo restando che – a quanto pare – chiedere di ottenerla si configura come “retorica del riscatto”.

Qualcosa non funziona. Non si capisce cosa però. Sarà un calo d’attenzione di Ragone, o il fatto che la nostra fonte di notizie sul sud sia diversa dalla sua, ma non ci capacitiamo di come si possano deresponsabilizzare i nostri amministratori, sostenendo che tanto bastano “le idee, la passione, l’intelligenza”. Sarà, molto più probabilmente, la solita, dannata colonizzazione mentale che ci impedisce di ritenere legittima la nostra voglia di riscatto.