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Masterplan: a Mezzogiorno aria fritta.

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di Raffaele Vescera
Eccolo qui, arriva con un mese e mezzo di ritardo il famoso masterplan, pomposamente annunciato in tipico stile circense-renziano: “Attenzione, signori, questo non è un libro dei sogni, ma una politica fatta di obiettivi concreti”. Il piano del governo, contenuto in nove paginette, nove, rinvenibile sul sito governo.it, prevede tre punti, detti di partenza, tant’è che è nomato “ricomincio da tre”, “un insulto per il Sud che il guitto Renzi si richiami al grande attore napoletano”, fa notare il giornalista del Mattino di Napoli Marco Esposito.

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Il Sud muore, anzi no. Il gioco delle tre carte di Renzi

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di Raffaele Vescera dalla pagina Terroni di Pino Aprile

A soli due mesi dall’allarme sulle catastrofiche condizioni economiche del Sud, oggi la Svimez corregge il tiro, fotografando una situazione leggermente diversa: non è solo il Nord che cresce del 1%, anche il Sud, dopo sette anni di caduta libera, è in ripresa, ma dello 0,1%. Insomma, si sarebbe fermata la spirale negativa, dopo aver toccato il fondo nel 2014, con risultati da incubo: disoccupazione generale al 20,2%, disoccupazione giovanile oltre il 60%, emigrazione di 120.000 unità l’anno, investimenti del 40% inferiori a quelli del Nord e reddito pro capite altresì inferiore del 40% a quello dei cugini che vivono da Roma in su, inferiore persino a quello dei fratelli greci.

Ma, seppure veritiera la fotografia della Svimez, è cambiato veramente qualcosa in positivo in questi mesi al Sud? Repubblica ne approfitta per sparare articoli trionfalistici: “Dopo sette anni, il Sud cresce. Nel secondo trimestre del 2015, rispetto allo stesso periodo del 2014, gli occupati crescono al Sud di 120 mila unità (+2,1%) e di 60 mila unità nel Centro-Nord (+0,4%)”. La ripresa “riguarda tutte le regioni tranne la Calabria, e interessa essenzialmente i settori agricolo e terziario”. Il tasso di disoccupazione “flette leggermente scendendo a livello nazionale al 12,1%: la riduzione riguarda esclusivamente le regioni del Centro-Nord (-0,2 punti), mentre al Mezzogiorno resta al 20,2%”.
Strano, come mai se l’occupazione al Sud è cresciuta di 120.000 unità, il tasso di disoccupazione resta fisso al 20,2%? C’è qualcosa che non quadra, ad esempio il diverso modo di conteggiare gli occupati in virtù della nuova legge sul lavoro, da Renzi pomposamente chiamata “jobs act” (sapete, il primo inganno sta nelle parole).

Noi crediamo che in questi mesi per il Sud non sia cambiato nulla, zero nuovi investimenti dello Stato, zero incentivi del governo per favorire l’occupazione, zero interventi per migliorare la condizione sociale, s’è mai visto che lo zero moltiplicato per qualcosa aumenti il risultato? Tant’è che lo stesso rapporto Svimez riporta questi dati: “Se sul fronte occupazione si registrano segnali di miglioramento, la situazione sul fronte retributivo non accenna a migliorare: il Sud è sempre più povero con il 62% dei cittadini che guadagna al massimo il 40% del reddito medio.”

A conti fatti, il Sud cresce dello 0,1%, dieci volte in meno che al Nord, esattamente quanto gli investimenti destinati al Sud dal governo, la disoccupazione resta al 20,2%, il reddito pro capite è sempre del 40% inferiore al Nord e il governo continua ad infischiarsene del Mezzogiorno. Vero, c’è il dato “incoraggiante” dei consumi “cresciuti dello 0,1% al Sud”, corrispondente per l’appunto alla cosiddetta crescita del Pil, ma lo stesso rapporto Svimez invita alla cautela, l’impalpabile aumento dei consumi sarebbe dovuto agli 80 euro di aumento dello stipendio. Per chi ce l’ha, al Sud. Per il resto, buio pesto.

Dopotutto, un risultato il promesso e mai visto masterplan del governo per il Sud sembra averlo ottenuto: quello di convincere i giornali “amici” che le cose vanno bene anche quando vanno male. E’ l’illusionistico gioco delle tre carte di Renzi.
Ad essere drammatici, l’inganno mediatico è la tipica procedura dei regimi autoritari, cui l’Italia sembra andare incontro a tappe accelerate. Se restiamo invece nel campo della commedia, diciamola con il magnifico fiorentino antenato di Renzi: “Chi vuol essere lieto sia, di doman non c’è certezza”.

Vabbè al Sud neanche del presente.

Assolto Erri De Luca, lo Stato condannato

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di Raffaele Vescera dalla pagina Terroni di Pino Aprile

Erri è un uomo lapidario, le sue parole sono pietre, lo sapevo da quando, una ventina d’anni fa, scrittore in erba, ebbi la fortuna di conoscerlo e di essere apprezzato da lui, già affermato, e queste parole, pronunciate davanti ai giudici chiamati a condannarlo, lo attestano: “Confermo che la linea sedicente ad Alta Velocità va intralciata, impedita e sabotata per legittima difesa della salute, del suolo, dell’aria e dell’acqua. Sabotare è legittima difesa. Sabotare, verbo nobile e democratico pronunciato e praticato da Gandhi e Mandela”. Erri ha ribadito che non si sarebbe difeso da un’eventuale condanna, non sarebbe ricorso in appello “perché la difesa della giustizia si fa ai piani bassi della società”. Erri è uno scalatore di picchi rocciosi, e di roccia è il suo carattere. E’ una grande anima, a differenza di molti intellettuali italiani che si vendono per un piatto di lenticchie, e con queste parole ha messo i giudici all’angolo, impendendo loro di comminargli una pena.

Vero, la verità e la giustizia si difendono ogni giorno, nelle strade, negli ospedali, sui treni, dal salumiere, sul web e nei luoghi di sofferenza e di lotta, dove i soprusi del potere agiscono per distruggere intere comunità. Come accade per l’inutile e dannosa Tav in Val di Susa, universalmente riconosciuta devastante per la vallata e per gli abitanti. Milioni di metri cubi all’amianto da estrarre e scaricare chissà dove, per fare un tunnel ferroviario tra Italia e Francia, di 12 km, in una stretta valle che sopporta già l’insulto di strade, tunnel e binari inutilizzati per un traffico in continuo decremento. Un affare sporco in cui rientrano i maggiori gruppi finanziari del nord (incluso alcuni dei più chiacchierati), coop. rosse comprese. Tutto ciò mentre lo stato fa mancare al Sud la dotazione minima di strade, ferrovie e aeroporti per spostarsi, comunicare, commerciare, tenendolo in una condizione da terzo mondo, allo scopo preciso di farne una terra da sfruttare a basso prezzo.
Con nove miliardi di euro si possono fare un migliaio di km di ferrovie veloci, vale a dire da Salerno a Palermo e da Napoli a Bari. Dove non c’è ancora un treno diretto e si viaggia alla velocità di mezzo secolo fa. Tutto ciò a vergogna della nazione italiana, non certo del Sud che la subisce.

Sabotare pacificamente e per legittima difesa il compimento di un’opera devastante, utile solo agli interessi di alcuni e distruttivo per la comunità, non è reato. Gandhi invitava gli indiani a sabotare l’acquisto di merci degli occupanti inglesi, Mandela invitava a sabotare i razzisti bianchi dell’apartheid contro i neri, i meridionalisti invitano da anni a sabotare l’acquisto delle merci del già ricco nord per favorire il lavoro al Sud disoccupato e depredato dallo Stato, e da alcuni mesi invitano a sabotare il piano di proditoria e pretestuosa distruzione degli ulivi, sospettando che si voglia fare del Salento terra bruciata per favorire insediamenti turistici ad alto consumo di territorio e di cemento. E se a qualcuno il dubbio sembra frutto di un eccesso di malizia, si chieda come mai le istituzioni e chi le rappresenta a questo modo non riscuotano maggiore fiducia.
E il batterio xyllella appaia solo come un pretesto: nessuna prova inconfutabile della sua patogenicità, a giustificare, in maniera convincente, l’operato delle truppe d’espianto del generale Siletti. Caro Erri De Luca, napoletano di nascita e di cuore, se vieni dalle nostre parti, ti mostreremo come ci tratta questo paese, ingiusto dalle Alpi al Tacco, come sta uccidendo la terra più bella del mondo, vieni a vedere i morti per le strade, per dirla con Neruda.

Campania tra orgoglio e pregiudizio, e Saviano…

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di Raffaele Vescera

Saviano, stamattina su Repubblica.it, lamenta il rifiuto dei comuni campani di concedere il permesso per girarvi le scene della nuova serie tv di Gomorra. Lo scrittore accusa i sindaci di “ipocrisia” poiché il problema camorra esiste, e parlarne non significa sputtanare la Campania, come lamentano i primi cittadini. Di più, Saviano si dice d’accordo con la Bindi sul fatto che la camorra sia un “elemento costitutivo” della regione. Saviano ha molti meriti nell’aver creato un diffuso sentimento contro la camorra, ma da alcuni viene rimproverato di mostrare solo una faccia, quella negativa, del Sud e di oscurare la grande volontà di riscatto civile che oggi lo anima.
La camorra in Campania, e non solo, esiste, vero, allora perché tanta indignata reazione da parte dei napoletani, non solo sindaci che difendono l’immagine della propria città, ma anche movimenti e pagine meridionaliste e intellettuali di calibro, quali lo scrittore Erri De Luca e il filosofo Aldo Masullo? Perché improvviso scende in campo tanto orgoglio “sudista”, dopo lunghi anni di accettazione a testa china di qualunque aggettivo antimeridionale propalato dai media, uno per tutti “meridionali mostri” di Giorgio Bocca, senza contare i barbari epiteti leghisti?

Si sarebbero mai lamentati i milanesi della vecchia serie cinematografica “Milano violenta?” O i newyorkesi della serie infinita di film internazionali che mostrano il verme del crimine infettare la Grande Mela? Certamente no, perché a nessuno verrebbe in testa di dire che a Milano e New York la delinquenza è “un elemento costitutivo”, in assenza del pregiudizio, gli spettatori riescono mentalmente a definire il racconto per quello che è, un episodio di malavita e basta, e guardano la città nella sua interezza e bellezza.

Stessa cosa non può accadere in una città schiacciata da mille pregiudizi: Napoletani sporchi, puzzolenti, ladri, bugiardi, plebei, scansafatiche, furbi, topi di fogna da sterminare, e “costituzionalmente camorristi”. Pregiudizi a uso antimeridionale, che oscurano la grandezza, passata e presente, dell’antica civiltà del Sud, utili a stabilire un rapporto di superiorità da parte del nord italiano e a giustificare ogni vessazione nei confronti del Mezzogiorno. Pregiudizi che hanno radicato nella mente dei più lo stereotipo negativo di una città, a prescindere, per cui ogni episodio malavitoso conduce inevitabilmente alla totale negatività del luogo.

Dell’uso politico del pregiudizio, parla il prof. dell’Un. di Milano Antonino De Francesco, nella sua “Storia del pregiudizio antimeridionale”. il libro riporta una lettera dello scrittore verista siciliano Luigi Capuana all’amico Giovanni Verga, in cui si lamenta che ogni descrizione di un carattere negativo venga usato dai giornali del nord come pregiudizio contro tutti i meridionali. Se compare Turiddu uccide per amore, tutti diventano assassini, se Mastro don Gesualdo è patologicamente attaccato alla “roba” tutti diventano avidi. L’opera d’arte sminuita a macchietta, come il Gattopardo, travisando il quale l’Italia condanna tutti i siciliani al gattopardismo.

Molti pensano che chi parla di Sud debba farlo stando attento a non alimentare pregiudizi e chi racconta la società meridionale la debba mostrare per intero. Secondo tale punto di vista, quando in una narrazione si mostra solo la faccia criminale di una terra così vessata, è inevitabile la condanna pregiudiziale, ai limiti del razzismo, di un popolo intero. Ovvero, quando si evidenziano solo i sintomi di una malattia, senza dirne le cause, in questo caso lo stesso stato italiano, si fa un’operazione superficiale. Insomma, sputare addosso a un cane malato di tigna è facile, se non si capisce che, visibilmente denutrito, è stato percosso, umiliato e abbandonato da chi doveva accudirlo.

Secondo il sindaco di Napoli, abusando dell’aggettivo “costitutivo”, ignorandone il significato di elemento sostanziale di un organismo, senza il quale tale organismo non potrebbe esistere, si rende un brutto servizio alla lingua e alla società meridionale.
E’ vero, oltre la Bindi, antimafiosa per caso, come la definisce De Magistris, hanno concordato con l’aggettivo Roberti, capo dell’Antimafia, e Cantone, dell’anticorruzione, anche se quest’ultimo, più sagace, specifica che per lui costitutivo non significa genetico, e fa risalire l’exploit della camorra all’arrivo di Garibaldi a Napoli e ai suoi patti scellerati.
In totale disaccordo con la Bindi si dice invece il procuratore capo di Napoli Colangelo, insieme ad altre personalità libere. Ciò significa che la Bindi, Roberti e Cantone, non sarebbero liberi? In parte è vero, costoro non ricoprono forse cariche decise dalla politica, da partiti che per definizione sono “di parte”? Non è forse ai loro protettori politici che devono dar conto, anche se nel caso di Cantone e altri tentano di smarcarsi dalle posizioni più servili?
A proposito di uso politico del pregiudizio, in alcuni osservatori napoletani è sorto un dubbio: il nuovo attacco a Napoli non potrebbe essere utile a demolire De Magistris in vista delle prossime elezioni? Secondo questi, De Magistris è un sindaco che ha risanato le disastrate finanze comunali, ha ridato splendore internazionale e turistico all’immagine di Napoli, ha spezzato in città le connessioni tra camorra e politica.
Ma la Bindi, contro l’amato “Giggino”, esalta Bassolino e Iervolino. Se a pensare male si fa peccato, allora bisogna peccare molto per guadagnare la verità.

Per Rosy Bindi Napoli è camorra

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di Raffaele Vescera

Rosy Bindi, in visita a Napoli in seguito all’omicidio del giovane Genny Cesarano, ha dichiarato che la camorra è un dato costituivo della Campania.

Pronta la reazione del procuratore capo di Napoli, Colangelo: “La camorra non è nel Dna dei napoletani che non hanno una propensione al crimine. La criminalità rappresenta una minima percentuale della popolazione rispetto ai cittadini che vogliono vivere in pace. La criminalità è una manifestazione patologica e non fisiologica della società napoletana, la delinquenza fa più rumore dei cittadini perbene. Si avvertono comunque i segni di un mutamento in meglio”.

Pronta anche la risposta del sindaco, Luigi de Magistris: “La frase di Rosy Bindi? Non la condivido per nulla. Quando l’ho letta sono saltato dalla sedia. La cultura, la storia, il teatro, l’umanità sono l’elemento costitutivo della città di Napoli, della Regione Campania e del Mezzogiorno. Non so quale fosse il pensiero del presidente Bindi. Altra cosa è dire che la camorra è diventata forte come le mafie perché per troppo tempo sono andate a braccetto con la politica e con centri di potere. Questo è un altro dato… Non si può dire che la camorra è elemento costitutivo quasi genetico della città. A Napoli, pur con tutti i problemi, è iniziato un riscatto culturale, un risveglio civile, una ribellione che porterà alla sconfitta della camorra. La presidente Bindi dovrà spiegare quella frase”

Così il sindaco della città, mentre la Bindi afferma che le sue parole sono stata travisate, che lei non voleva parlare di Dna camorristico dei napoletani e non è tenuta a chiedere scusa, poi rispondendo a De Magistris, ha preso le difese dei precedenti sindaci Pd, Rosa Russo Iervolino e Bassolino, che a suo dire non hanno mai avuto nulla a che fare con la camorra.

Comunque sia, è noto che la camorra a Napoli, pur già esistente, prese forza solo nel 1861, quando, gli occupanti sabaudi, mediante il ministro Liborio Romano le affidarono l’ordine pubblico, destituendo la polizia napoletana da ogni incarico in quanto “borbonica”. La camorra garantì infatti l’ingresso “trionfale” a Napoli di Garibaldi. Stessa cosa era avvenuto in Sicilia con la mafia qualche mese prima.

Sui social, molti i commenti negativi dei napoletani alle parole della Bindi, tra questi ne riportiamo uno molto significativo: “On. Bindi, invece di scaricare la croce sui napoletani, forse non sarebbe più corretto dire che il patto stato-mafia è un elemento costitutivo dello stato italiano? Se la camorra fosse un dato costitutivo della Campania, la massoneria deviata della loggia P2 alleata con le mafie, non sarebbe un dato costitutivo della sua Toscana?”

Renzi a Bari ? No scappa a New York…

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di Raffaele Vescera

Aveva annunciato la sua partecipazione all’inaugurazione oggi a Bari della Fiera del Levante, dove sarebbe venuto per svelare il suo piano, anzi il masterplan, per la rinascita del Sud. E invece vola a New York, per assistere alla finale mondiale di tennis delle due pugliesi Pennetta e Vinci, per l’occasione “sorelle d’Italia”. Guarda un po’ che cosa deve fare Renzi per vedere due meridionali, andare fino a New York. Sai com’è, quelli che abitano a Sud sono rompiscatole. I sagaci baresi non risparmiano battute: “Invece di raccontare palle a noi, è andato a vedere quelle da tennis a New York”, e anche: “Renzi a New York, fornitore ufficiale di palle al Sud”.

A Bari, lo aspettavano imprenditori preoccupati del precipitare della situazione economica e amministratori spauriti dalla caduta di quella politica, ma lo aspettavano anche i contestatori dei “comitatini” come li chiama il fiorentino, sul piede di guerra per gridargli in faccia no alle trivelle, no al Tap, all’Energas, al carbone, all’Ilva inquinante, agli inceneritori, alla frode xylella, ai depositi scorie nucleari e a tutti i progetti che devastano la terra più bella del mondo. E lo aspettava anche Emiliano per dirgli che le trivelle a mare non le vuole, perché il turismo è ormai tutto per la Puglia e per dirgli anche che la “buona scuola” a lui sembra proprio una cattiveria.

Aspettavamo tutti di sentirgli dire con quella bocca ciò che avrebbe fatto per il Sud, condannato ormai a essere la regione più povera d’Europa, come la Svimez gli ha ricordato, rovinando le vacanze a sua eccellenza. Che cosa avrebbe detto l’emissario della finanza del nord che noi non sappiamo? Avrebbe forse promesso equità di investimenti tra nord e sud? Avrebbe garantito l’arrivo dell’alta velocità ferroviaria a Lecce e a Palermo? Avrebbe presentato un piano per migliorare i porti, aprire nuovi aeroporti, magari internazionali, fare nuove strade e rifare quelle vecchie, impedire il fallimento delle università meridionali programmato dal governo, dare una fiscalità di vantaggio alle imprese che investono al Sud per creare lavoro, debellare la mafia e concesso altri benefici che riscattino il Pil del Mezzogiorno?

Non lo sappiamo, anzi sì, ha detto tutto a De Tomaso, direttore della Gazzetta del Mezzogiorno, nella lunga intervista pubblicata oggi. Ha detto che bisogna sbloccare i lavori per il tratto ferroviario Napoli Bari, ma per farlo bisogna che si accetti lo “sblocca Italia” e ha detto che verranno accelerati i lavori sulla tratta adriatica, ma niente alta velocità sia chiaro, si tratta solo di vecchi lavori di raddoppio del binario unico, previsti da oltre un secolo. Ha detto che il Tap è solo un tubo, e poi ha detto che il Sud deve riprendere fiducia in se stesso, smetterla di piangere e “rimboccarsi le maniche”, imparando dai pugliesi, perché esistono diversi Sud, uno per ogni regione, e non va bene che le regioni meridionali si uniscano per fare fronte comune.

Insomma, sfottuti a casa nostra con una caterva di allucinanti banalità, di chiacchiere un tanto al chilo, meno male per lui che è volato in America, sospettiamo che se queste cose le avesse dette a Bari, ci sarebbe stata una mezza rivolta.

A contorno, ci ha finiti di sfottere l’amministratore di Trenitalia, Elia, che ha fatto esporre sul binario uno di Bari il Frecciarossa Mennea, il treno più veloce d’Italia che non correrà mai né al Sud e né tantomeno in Puglia, la regione di Mennea, che in cambio avrà solo un vecchio Frecciarossa, uno solo che farà su e giù da Milano a Bari correndo sul vecchio binario adriatico a metà della velocità che gli consentirebbero i motori se ci fosse un binario per l’alta velocità, e che per passare una mattinata di lavoro a Milano, obbligherà i baresi a due pernottamenti. Per protesta, molti amministratori pugliesi hanno disertato la cerimonia. Fosse che il Sud cominci a svegliarsi sul serio?

L’alta velocità non arriva a Reggio Calabria? Alfano, il ministro del “non sapevo”

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di Raffaele Vescera

“Voglio il ponte sullo stretto, Non vedo perché l’Alta velocità arrivi a Reggio Calabria e poi ci si debba tuffare in mare”. Come riportato da ilfatto.it, lo ha detto Alfano Angelino, di mestiere ministro della repubblica italiana, che così angelicamente ha relazionato ai suoi uomini di partito l’Ncd, di cui è capo, durante la conferenza per il rilancio del Sud, senza che nessuno gli suggerisse che in realtà Cristo con l’Alta Velocità non arriva neanche a Eboli, si è fermato a Salerno.

Ma che volete, i politici viaggiano in auto blu e per i viaggi transpeninsulari a volte c’è l’aereo di stato. Che volete, Angelino è stato ingannato una trentina di anni fa, quand’egli, ancora bambino, sentì dire che l’alta velocità ferroviaria sarebbe arrivata a Palermo passando da Reggio Calabria. In seguito, poiché al ministero nessuno gli dice mai niente, non è stato mai informato del fatto che i soldi destinati per l’alta velocità fino a Palermo, nonché per le strade calabresi e siciliane, per i porti e gli aeroporti, e volendo anche per il ponte, erano stati spesi tutti per fare l’alta velocità da Roma a Milano, e da questa a Torino e poi a Venezia. E poiché invece di costare 10 milioni di euro a km, come in Francia, era costata 60 mln a km, sei volte tanto, pur correndo nella piana padana, non c’era più un picciolo per il Sud.

E insomma che volete, è vero che lui è siciliano, e un po’ di promesse alla sua gente le deve pur fare, e non c’era negli ultimi vent’anni quando costruivano l’alta velocità in Italia, ah era al governo con Berlusconi, e c’’era per modo di dire al governo con Renzi, nell’ultimo anno quando il suo collega di governo Delrio ha detto che fare l’Alta velocità al Sud è difficile perché ci sono le rocce. Aveva i suoi problemi e nemmeno allora ha capito che al Sud l’alta velocità non c’è, e non ci sono neanche le strade, gli aeroporti, i porti necessari, e soprattutto non c’è il lavoro. Visto che ora il ministro del non sapevo ha deciso finalmente di occuparsi di Sud, è necessario che qualcuno gli dica come stanno le cose nella sua Sicilia e in tutto il Mezzogiorno.

Renzi, Delrio e la favola degli 80 miliardi per il sud

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di Raffaele Vescera

E’ notizia di stamattina, i giornali la sbandierano ai quattro venti, per bocca della ministra allo sviluppo Guidi, Renzi e Delrio promettono investimenti di 80 miliardi di euro per il Sud. Non tutti danno gli stessi numeri, però Repubblica dice 80, il Corriere 12, il Mattino 22, ma quando si danno i numeri, ciò è normale. Secondo la Guidi, questa sarebbe la risposta del governo, che al sud avrebbe sempre pensato, all’appello di Saviano. Più realisticamente è la risposta alla fifa che hanno di una ribellione generalizzata del Sud, da loro già bollata come “rigurgito borbonico reazionario”, prima ancora che avvenga. La goccia che fa traboccare il vaso è la pubblicazione dei dati dello Svimez. Ribellione ben “riscaldata” dai movimenti meridionalisti che agiscono da anni come il campanello d’allarme della lista Mo alle regionali campane, Unione Mediterranea e altri, dalle pagine fb poderose di Briganti e Terroni e tante altre minori si fanno sentire.

Comunque sia, gli 80 miliardi sarebbero distribuiti nei prossimi 15 anni, il che significa circa 5 miliardi di euro l’anno che, a spulciare l’elenco dei provvedimenti in cui sarebbero impiegati, coprono esattamente i soldi già promessi per la realizzazione di infrastrutture al Sud, per industria pubblica, ferrovie, strade e altro, soldi promessi e mai stanziati dai governi italiani. Dopotutto, ammesso che tali cinque miliardi l’anno siano concessi per davvero, si tratterebbe della restituzione di una piccola parte di quella trentina di miliardi di euro l’anno che lo Stato italiano toglie al Sud, cui a fronte del 33% della popolazione italiana e del 40% del territorio, destina meno del 20% degli investimenti pubblici nazionali.

A me pare l’ennesima presa in giro per frenare la possibile e prossima ribellione dei meridionali contro uno stato avverso, a trazione nordista, in cui la lega nord è solo la punta di diamante di una generalizzata attività contro il Sud.

In ogni caso, ove vi siano investimenti per il Mezzogiorno, dobbiamo pretendere che siano destinati ai suoi bisogni reali, all’industria pubblica sì, ma innanzitutto per risanarla e non farci morire di cancro, treni ad alta velocità fino a Lecce e Palermo. Aeroporti da triplicare dando loro la stessa presenza che hanno sul territorio del nord, strade da fare e rifare, considerato che non solo la Calabria ne è priva ma tutto il Sud montano e non. E poi università e scuole.

In quanto allo sviluppo reale del Sud, vanno favorite le sue vocazioni, non solo quelle agricola e turistica, ma anche quella tecnologica, dai poli aeronautici di Campania e Puglia a quelli di nanotecnologia del Salento alle altre mille innovazioni tecno-scientifiche inventate dai giovani cervelli meridionali negli ultimi anni. Basta dare soldi agli imprenditori, anzi i prenditori del nord, che prendono milioni per aprire industrie al Sud e le chiudono dopo pochi anni portandosi le macchine al nord o all’estero.

Più di tutto, il Sud ha bisogno che lo Stato italiano la smetta di fare patti mafiosi e combatta seriamente le mafie, anziché favorirle, poiché funzionali al controllo del popolo meridionale e al trasferimento dal Sud di molti miliardi di euro l’anno, da investire al nord, per mano di sciur Brambilla prestanome. Ottanta miliardi di euro, sì, il Sud ne ha maledettamente bisogno per sopravvivere, ma che siano nuovi, veri e spesi in due anni dove servono, creando una task force di economisti e imprenditori meridionali scelti tra i migliori. Altro che l’ennesima rassicurante presa per il culo del governo in carica.

Sicilia, isola per Gattopardi? No, per sciacalli

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Il punto di vista di Raffaele Vescera

Uomini di Cuffaro e di Berlusconi passati al Pd, impresentabili e legati ai clan elettorali e affaristici, e anche mafiosi, capeggiati da Faraone, egli stesso indagato per peculato e renziano di ferro, sono gli stessi che spingono per la defenestrazione di Crocetta, ma senza andare a nuove elezioni, ché il Pd sarebbe travolto dai 5 Stelle. I rottamati e riciclati della peggio politica mirano a un colpo di stato, anzi di regione, ce ne dà conto l’articolo di Pipitone pubblicato sul Fatto.it, di cui riportiamo il link. Sono gli stessi che potrebbero aver architettato lo scoop della telefonata fantasma di Tutino, approfittando delle difficoltà politiche da essi stessi create a Crocetta. Ovviamente in accordo con il potere nazionale, di cui sono servi e complici, e al quale l’azione eccentrica del governatore siciliano dava non poco fastidio. Più di tutto, quando ha denunciato e dimostrato che le cause del deficit regionale erano da attribuire non alla sua cattiva amministrazione, ma ai mancati trasferimenti nazionali. Chiunque, in Sicilia e nel Sud continentale, critichi la politica antimeridionale dello Stato, ha vita breve. Prima di Crocetta, ci è passato Lombardo, che seppure tra contraddizioni e mala politica, parlava di rispetto del trattato di autonomia siciliana. La Sicilia è da sempre strategica per gli ingordi interessi continentali, in virtù della sua posizione centrale nel Mediterraneo e delle sue non poche risorse.

Sembra un raffinato gioco siciliano, di quelli pirandelliani, dove la verità è sempre molteplice e mai assoluta. Tuttavia, se facciamo ricorso ai giochi tradizionali della politica italiana, forse possiamo capirci meglio. La Sicilia ha sempre aspirato alla propria indipendenza e sovranità. Nell’Ottocento, baroni e latifondisti, tenuti a freno dal governo partenopeo, non volendo sottostare al potere centrale di Napoli, hanno consegnato l’Isola nelle mani dei piemontesi. Ciò in cambio di alcuni privilegi, quali la spartizione delle terre demaniali, sottratte all’uso civico del popolo, che veniva così affamato, e il comando diretto sugli affari, garantito dal patto stato-mafia. Patto inaugurato in quello sciagurato 1860, quando baroni e latifondisti trasformavano le loro bande di bravi in mafia moderna, cui affidare il controllo degli interessi del nuovo stato italiano sull’isola. La strage garibaldina di Bronte contro i contadini poveri parla da sé.

L’Isola del Sole passava dalla padella napoletana alla brace italiana. Sappiamo con quante ruberie, quanto disprezzo e quanto sangue si è manifestato il potere piemontese e poi romano, comunque “padano” nel Mezzogiorno. Nel dopoguerra, i forti indipendentisti siciliani furono massacrati. In cambio fu concessa una Costituzione che garantisce l’autonomia amministrativa dell’Isola, promulgata per calmare le aspirazioni autonomiste, ma non è stata mai applicata dallo Stato. Bisogna sfatare molti luoghi comuni sulla Sicilia, a partire dal gattopardismo. E’ il garibaldino Tancredi, non il principe di Salina a dire “Tutto cambi affinché nulla cambi”. Anche se poi in verità le cose sono cambiate, in peggio. Non i gattopardi (il trasformismo è un male universale) ma gli sciacalli hanno fatto scempio della Sicilia. Il Sud Italia è stato ridotto a colonia di sfruttamento, come denunciavano Gramsci e altri, e dunque va governato con metodi coloniali. Per disattendere la Costituzione siciliana, c’è bisogno di uomini fidati al potere nazionale. Più che da governatori, le regioni coloniali meridionali sono governate da ”viceré” italiani. Prendete De Luca, così amato da Renzi. Appena eletto, ha firmato con soddisfazione un accordo che trasferisce a Bologna la trasformazione del tabacco, di cui la regione campana è in assoluto la maggiore produttrice nazionale. Che dire poi della Basilicata devastata dalle trivelle, della Puglia ferita al cuore non solo dall’Ilva, della Calabria abbandonata e degli Abruzzi e Molise ridotti a discarica tossica? Al Sud, il sonno delle regioni genera mostri.

Intercettazioni? No, malapolitica.

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Il punto di vista di Raffaele Vescera
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