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Napoli Autonoma, un’Alternativa Mediterranea

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L’Istituto italiano per gli Studi Filosofici è stata la sede del forum ‘La responsabilità della cosa pubblica’, organizzato dall’associazione VivoANapoli.

Il sindaco Luigi De Magistris si è confrontato con vari esponenti della società civile partenopea, tra cui lo scrittore Maurizio De Giovanni e il professor Daniele Pitteri: un bilancio della sua prima esperienza amministrativa e i primi spunti sulle linee guida del programma da presentare in vista delle elezioni amministrative della prossima primavera.

Filo conduttore delle parole di De Magistris è il tema dell’autonomia politica di Napoli, una città che nel 2011 non era ancora uscita dalla terribile crisi dei rifiuti e che presentava un bilancio vicinissimo al dissesto, ‘falsificato’ da crediti in realtà inesigibili e considerato ‘spazzatura’ da tutte le agenzie di rating più importanti.

De Magistris può oggi rivendicare, tra le mille difficoltà incontrate, una Napoli rinata: e rinata solo e soltanto con le sue forze. Il sindaco che secondo alcuni si è ‘isolato’ ha ridato dignità alla città partenopea, come stanno a mostrare i tantissimi turisti che hanno riempito le strade di Partenope nel periodo natalizio.

Oggi l’esperienza amministrativa partenopea può essere presa a modello per la nascita di un’alternativa di governo ‘mediterraneo’, rispetto ai ‘renzismi’ di destra e di sinistra, che sostanzialmente hanno le stesse basi ideologiche: iperliberismo economico, chiusura sociale e impostazione nordcentrica: il Sud e la questione meridionale sono spariti dall’orizzonte politico.

In un’alternativa mediterranea di governo possono essere integrate azioni quali la crescita di democrazia dal basso (L’Asilo, in ambito culturale, o il lavoro sinergico tra Comune, Università e Comitato Vele di Scampia, in ambito urbanistico), e azioni quali la difesa delle prerogative costituzionali della città di Napoli, che non può vedere pezzi di territorio espropriati da manovre politiche romane (è il caso del commissariamento di Bagnoli).

Napoli non deve elemosinare aiuti dallo Stato centrale: non è accettabile, come ha ben detto anche Maurizio de Giovanni,  un’impostazione e una campagna mediatica che tende a far passare l’idea di un sindaco ‘nemico’ di altre figure istituzionali, il tutto per tirare la volata a candidati allineati in partiti tradizionali e di governo. A governare i rapporti istituzionali devono essere le leggi dello stato, non simpatie e antipatie personali. Ingiustificabile quindi l’atteggiamento del premier Renzi, che dichiara di non venire a Napoli per lo scarso senso istituzionale del suo primo cittadino. Più verosimilmente Renzi evita Napoli per la sua anomalia, per l’irriducibilità di una città e di un’amministrazione che non si è piegata ai suoi diktat, e nel contempo ha dimostrato che anche coi drammatici tagli che ha dovuto subire ha saputo tenere alta la testa, senza quelle compromissioni immorali e disoneste che hanno visto protagoniste altre grandi città italiane, a guida PD.

Napoli deve oggi essere protagonista dell’Autonomia meridionale. Da una Napoli Autonoma, economicamente, socialmente, culturalmente, può e deve oggi crescere una classe dirigente innovativa per il Mezzogiorno, consapevole della storia e dell’identità mediterranea dei territori meridionali, e proiettata a governare con competenza e visione strategica il nostro Sud.

E’ per questo motivo che MO – Unione Mediterranea sosterrà con convinzione la ricandidatura a sindaco di Luigi De Magistris. Protagonisti, assieme, del riscatto della nostra terra.

Corsica, Catalogna e…Napoli: se identità e autonomia fanno vincere le elezioni

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di Mattia Di Gennaro

In Corsica hanno vinto gli autonomisti di “Pe’ a Corsica”, lista elettorale nata dalla fusione del partito nazionalista “Femu a Corsica” con gli indipendentisti di “Corsica Libera”. “E’ la vittoria della Corsica e di tutti i corsi” ha dichiarato il leader dei nazionalisti Gilles Simeoni che ha pensato fosse opportuno creare una federazione tra le forse autonomiste, indipendentiste e identariste per lanciare l’attacco al governo della regione. E ha avuto ragione.

Simeoni e il leader di “Corsica Libera”, Jean-Guy Talamoni, si sono messi alle spalle decenni di conflitti fratricidi riservando la carica critica ai partiti nazionali e scrivendo un programma di governo credibile, condiviso e pragmatico con l’obiettivo di fare della Corsica una regione a statuto speciale o, addirittura, un nuovo stato indipendente nel più breve tempo possibile.

“Governeremo per tutti i cittadini dell’Isola, anche per chi non ci ha votato” ha dichiarato Simeoni, già sindaco di Bastia, tra le principali città corse, che da governatore ha gia chiaro quali siano i temi prioritari a cui lavorare fin da subito: infrastrutture e trasporti all’interno dell’Isola e tra l’Isola e il Continente; la messa in opera di un piano di rilancio e sviluppo economico e sociale; la piena unità amministrativa tra il Nord e il Sud dell’Isola, presupposto per lo snellimento e il miglioramento dei processi burocratici e normativi.

I corsi, tuttavia, non sono stati l’unico popolo di Francia che ha voluto legittimare alle urne la propria identità e il proprio status di nazione. La lista “Oui la Bretagne” – in Bretagna, appunto – ha cercato di federare le forze regionaliste locali sotto la guida di Christian Trodec, sindaco di Carhaix, cuore culturale e politico della regione bretone. La lista, purtroppo, non potrà contare su alcun rappresentante nella prossima assemblea regionale; tuttavia, la stessa coalizione bretone ha raggiunto e superato il 10% in molte località, arrivando ad essere in alcuni centri la prima forza politica.

Programma politico improntato sull’identità e l’autonomia politica e finanziaria, superamento degli interessi dei singoli per perpetrare più generali interessi comuni, guida politica già legittimata politicamente, unità: questi sembrano essere stati gli ingredienti per il successo delle forze autonomiste alle urne corse e per il buon risultato a quelle bretoni, dove, se gli autonomisti non hanno avuto una vittoria nell’immediato, avranno sicuramente da raccogliere nelle prossime votazioni i frutti del loro lavoro politico.

In questo contesto, dunque, sembra quasi che più lo Stato cerchi di accentrare poteri e prerogative, togliendole alle istituzioni locali, più i popoli rispondono con una voglia di maggiore autonomia. Il caso storico ed eclatante è quello della Catalogna, che lo scorso settembre ha rinnovato il mandato di “Presidente della Generalitat” ad Artur Mas, leader storico dell’indipendentismo catalano, che è riuscito con la sua coalizione “Junts per Si” ad ottenere la maggioranza. Come vi abbiamo già raccontato, “Junts pel Si” rappresenta il paradigma delle unioni di scopo, giacchè è arrivata a mettere d’accordo forze catalane di destra e di sinistra in nome dell’interesse superiore dell’indipendenza da Madrid.

Il processo, ormai, è segnato: a un’Europa di Stati si sta affermando sempre più un modello di Europa di Nazioni, con popoli diversi per lingua e cultura impegnati nella cooperazione civile ed economica, in cui nessuno debba più sentirsi periferia, ma in cui tutti possano sentirsi al centro della vita civile e politica. Questo hanno detto le urne in Corsica, in Catalogna ma anche in Scozia e in sempre più regioni d’Europa. E le forze regionaliste, autonomiste e indipendentiste di questi territori lo hanno capito: si vince se ci si unisce, ossia se si antepongono gli interessi generali di chi si vuole rappresentare alle bramosie e gli interessi personali.

L’esperienza della lista civica “MO!” alle scorse regionali in Campania si inserisce perfettamente in questo processo, laddove il movimento promotore, Unione Mediterranea, propose a singoli e ad altre forze meridionaliste di presentare insieme un programma scritto con il contributo degli attivisti e dei cittadini comuni, improntato alla riscossa del Mezzogiorno. Resta, al di là del risultato, un avvenimento di portata storica, giacchè mai in un elezione regionale si era potuto votare per una lista a vocazione meridionalista e indipendente dalla partitocrazia italiana.

Lo stesso disegno di legge popolare “NA – Napoli Autonoma” va verso la stessa direzione: dotare di autonomia amministrativa e finanziaria il territorio dove risiede un popolo – nella fattispecie quello partenopeo – che a buon grado può riconoscersi nazione, posta in essere grazie alla rinuncia dei trasferimenti dallo Stato centrale in cambio della trattenuta di buona parte delle imposte prodotte dai residenti.

Questi sono solo i primi passi, sebbene siano dei passi importanti. Dopotutto, era il 1769 quando le milizie di Pasquale Paoli, presidente della Repubblica Corsa, cadde sotto i colpi dell’esercito del Re di Francia nella battaglia di Ponte Nuovo, mettendo fine all’indipendenza corsa. Pasquale Paoli, eroe nazionale corso, che si formò militarmente e intellettualmente a Napoli – culla dell’Illuminismo – per il quale Regno combatté valorosamente e da cui partì nel 1755 per fondare la Repubblica indipendente, che 247 anni dopo la sua fine sembra, finalmente, tornare realtà.

Il presidente Francesco Tassone a Napoli

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Il giudice Francesco Tassone sarà presente domani 13 Dicembre dalle ore 10.00 alle ore 13.00 in Via Toledo a Napoli, al gazebo del movimento meridionalista MO-Unione Mediterranea, di cui è Presidente, per promuovere “NA-Napoli Autonoma”, progetto di autonomia fiscale e politica della città di Napoli. Francesco Tassone, anima dei “Quaderni Calabresi”, attraverso il suo impegno ha contributo in maniera determinante al lavoro di crescita del sentimento di identità dei cittadini del Sud e da quasi mezzo secolo rappresenta la voce del “Movimento Meridionale” nato dalla collaborazione con lo scrittore meridionalista Nicola Zitara e dall’impegno sociale e politico profuso da un gruppo di intellettuali calabresi del “Circolo Salvemini” di Vibo Valentia.

Il signor NA spiega Napoli Autonoma al signor Gennaro

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Signor Gennaro: Hai sentito? Adesso quelli di MO si sono messi in testa che Napoli deve rinunciare ai sussidi statali!

Signor NA: Buono, no?

Signor Gennaro: Ma stiamo scherzando? E come facciamo senza soldi?

Signor NA: Genna’ guarda che non è proprio così.

Signor Gennaro: E com’è allora?

Signor NA: Il federalismo fiscale ha reso le cose complicate.

Signor Gennaro: Ma che cos’è questo federalismo  fiscale?

Signor NA: E’ il sistema per cui buona parte delle tasse pagate dai cittadini vengono direttamente gestite e impiegate sul territorio in cui vivono.

Signor Gennaro: Questo significa che le città più ricche restano ricche, ma quelle dove ci sono meno lavoro e salari più bassi, che fine fanno?

Signor NA: Per quelle città ci dovrebbe essere il fondo di perequazione. Sulla carta c’è. In realtà non esiste.

Signor Gennaro: Il fondo di che?!

Signor NA: Perequazione. Cioè rendere uguali non sui redditi, quelli restano diversi e i ricchi rimangono più ricchi, ma almeno sui servizi: asili, illuminazione, sicurezza, verde pubblico, raccolta dei rifiuti, manutenzione delle strade, autobus e metropolitane…

Signor Gennaro: E chi lo paga ‘sto fondo di Perepeppè?

Signor NA: C’è, anzi, dovrebbe esserci una cassa statale, pagata con le tasse di tutti, i cui soldi vanno ai comuni meno ricchi, in modo che gli italiani siano uguali nei servizi sociali, che vivano a Monza o a Cosenza, a Milano e a Napoli.

Signor Gennaro: Però questo fondo non c’è…giusto?

Signor NA: Giusto! Quando, nel 2011, è entrato in vigore il federalismo fiscale, il governo ha stabilito che sarebbe servito del tempo per calcolare il fondo di perequazione per ogni comune, quindi ha istituito il Fondo sperimentale di riequilibrio, come sostituto provvisorio del Fondo di Perequazione, previsto per il 2013. Con la legge Salva Italia, però, nel 2012 il governo Monti ha tagliato di due miliardi il fondo sperimentale, e preventivamente anche quello di perequazione.

Signor Gennaro: Taglio preventivo? Ma tagliare il fondo di perepeppè vuol dire tagliare l’asilo e l’autobus dove ce n’è più bisogno?

Signor NA: Proprio così. E il governo lo sapeva bene. Infatti nel 2013 il fondo sperimentale non prende il nome di Fondo di Perequazione, come previsto dalla Costituzione, ma viene battezzato “fondo di Solidarietà Comunale” ed è effettivamente molto diverso dal primo, poiché non è alimentato dallo Stato ma da una quota pari al 38% dell’ Imu dei singoli Comuni.

Signor Gennaro: Mamma mia. Però non ho capito: visto che ci hanno tagliato parte dei fondi che ci spettano di diritto, la risposta sarebbe rifiutare anche quelli che ci hanno lasciato?

Signor NA: Può sembrarti strano, ma per capire bene la proposta Napoli Autonoma occorre sapere ancora qualcosa: nel 2010, prima del federalismo fiscale, Napoli ha ricevuto 646 milioni, ma nel 2015 ne ha ricevuti solo 259. Un bel taglio del 60%. Sai che significa? Che ormai i cittadini napoletani pagano una quantità di tasse superiore a quelle che vengono effettivamente impiegate sul territorio!

Signor Gennaro: Ma è ancora una città assistita! Come facciamo senza quei 259 milioni di euro?

Signor NA: In realtà 259 milioni si potrebbero recuperare attribuendo due imposte direttamente al comune: quella sui trasferimenti immobili, che nella città di Napoli ha un valore stimato di 150 milioni, e la compartecipazione Irpef dei cittadini napoletani, che coprirebbe i restanti 109.

Signor Gennaro: Ho capito l’imbroglio: due tasse in più!

Signor NA: Nessuna tassa in più per i napoletani. Sono tasse che già paghiamo e che invece di andare a Roma, dove ogni anno prendono direzioni diverse, restano nella nostra città. La cifra sarebbe la stessa.

Signor Gennaro: Scusa ma a me le cose piace capirle: se la cifra è la stessa, cosa cambia?

Signor NA: Avere soldi tuoi e non dipendere dagli altri è una gigantesca differenza. Sia per il Comune sia per i cittadini, che saprebbero dove e come vengono impiegati i loro contributi. E poi vuoi mettere lo sfizio di dire ai leghisti: Napoli fa da sé, tiè!

Signor Gennaro: Questa mi piace. Ma significherebbe non versare più tutti quei milioni nelle casse dello stato, il governo come fa a dire di sì?

Signor NA: Semplice! Recupererebbe i 259 milioni dal fondo di solidarietà comunale a cui Napoli rinuncerebbe. Se invece il governo rinuncia, quei soldi in più verrebbero divisi tra i Comuni più piccoli del Sud che ne hanno bisogno e questa forse sarebbe la scelta più giusta.

Signor Gennaro: Anche secondo me. E come si chiama questo progetto di MO?

Signor NA: Semplicemente NA.

Signor Gennaro: Ma?!

Signor NA: NA, come la targa di Napoli e sta per Napoli Autonoma.

Signor Gennaro: E come si fa a rendere Napoli una città autonoma?

Signor NA: Attraverso una proposta di legge ad iniziativa popolare, che prevede la raccolta di 50.000 firme, ma è già legittimata dall’articolo 119 della Costituzione .

Signor Gennaro: Fammi firmare, voglio essere il primo!

Progetto NA: se si sveglia Napoli, si risveglia il Sud

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di Salvatore Legnante

Un progetto che parla a tutto il Sud. E’ questo il senso più alto di NA – Napoli Autonoma, il programma di governo per la città emblema del meridione, che MO – Unione Mediterranea ha presentato assieme al sindaco partenopeo Luigi De Magistris.

Perché l’autonomia che vogliamo non è soltanto un’autonomia fiscale, tributaria.
L’autonomia che vogliamo è innanzitutto liberatoria: dagli stereotipi che ci vogliono città assistita, come tutto il Sud, dal convincimento, a volte introiettato, che non siamo capaci di governare i nostri territori, e che perciò abbiamo bisogno sempre di un ‘liberatore’ esterno che venga a salvarci.

L’autonomia che vogliamo è positiva, propositiva, non recriminatoria: una grande capitale del Mediterraneo quale è Napoli sente fortemente di poter dare molto di più, in termini di cultura, di sviluppo umano, di espressione di sé, liberandosi da quella che in questi ultimi anni è stata percepita sempre più spesso come un’elemosina da parte dello Stato italiano, che attuando il federalismo fiscale in salsa leghista ha sistematicamente dimenticato la solidarietà, tendendo invece ad accentuare le distanze economiche e sociali tra le due Italie.

L’autonomia che vogliamo, inoltre, è costituzionale, perché siamo consapevoli che la nostra deve essere una battaglia seria e pragmatica, non propagandistica. E per far ciò dobbiamo rispettare la Costituzione, anzi darne piena attuazione, anche di quegli articoli spesso dimenticati. L’art. 119 della carta costituzionale infatti declina già il concetto di autonomia per le Città Metropolitane, ed è nel solco di tale visione che intendiamo muoverci, per far sì che il nostro progetto si concretizzi.

L’autonomia che vogliamo è soprattutto assunzione di responsabilità, affinché le forze sane del meridionalismo si affranchino da un’idea eternamente minoritaria, e comincino a capire che è arrivato il momento di scrivere per davvero il futuro della nostra terra, al fianco di attori politici che hanno dato prova evidente di essere totalmente alternativi ad un sistema partitico italiano che ha sempre dimenticato il Mezzogiorno.

L’autonomia che vogliamo guarda finalmente al futuro di Napoli, e di tutto il Sud, avendo sempre impresso il ricordo di una terra storicamente indipendente, che a partire dalla sua città simbolo può tornare ad essere uno snodo centrale e cruciale del grande pensiero mediterraneo.

Presentata “NA-NapoliAutonoma”: mai più città assistita

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Alleanza per il Comune tra MO-Unione Mediterranea e DemA

Rinunciare a 259 milioni di sussidi e trattenere due tasse legate al territorio per liberare Napoli dall’etichetta immeritata di città assistita e scommettere sul rilancio dell’economia locale. E’ il succo del progetto NA-NapoliAutonoma presentato questa mattina da MO-Unione Mediterranea e da DemA, alla presenza del sindaco di Napoli Luigi de Magistris.

“NA-NapoliAutonoma – ha spiegato Flavia Sorrentino, portavoce nazionale di MO-Unione Mediterranea – è un’iniziativa rivoluzionaria e allo stesso tempo tecnicamente fattibile. Chiude con la stagione dell’assistenzialismo e dice basta a un federalismo pasticciato, che ha danneggiato in modo serio le popolazioni del Mezzogiorno. NA-NapoliAutonoma significa avere il coraggio di credere in se stessi, nella nostra identità, e non a caso il progetto prenderà forma di una legge d’iniziativa popolare con la raccolta di 50mila firme”.

Così si esprime Luigi De Magistris a proposito del progetto Napoli Autonoma: «Questa non è un’alleanza elettorale, ma la costruzione di un progetto comune che ci vede insieme nella scrittura del programma». Il sindaco ha inoltre specificato che quando sarà il momento di scrivere le liste «sarà un discrimine l’impegno dei singoli nella lotta in favore dei diritti, del riscatto di Napoli».

All’incontro ha preso parte anche il responsabile cittadino di MO-Unione Mediterranea, Pierluigi Peperoni. “A Napoli città – ha spiegato – la nostra lista ha conseguito l’1,4% alle scorse regionali dando per la prima volta una voce al meridionalismo. In occasione delle prossime amministrative saremo presenti in molti Comuni della Campania e delle altre regioni del Sud e a Napoli avremo sia una lista per il Comune, sia liste di MO-Unione Mediterranea per ciascuna delle dieci Municipalità”.

 

Napoli, autonomia e identità nella storia della città

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di Mattia Di Gennaro

Qualche giorno fa abbiamo presentato il Disegno di legge d’iniziativa popolare – Istituzione di Napoli Città Autonoma. Forse non tutti sanno che il concetto di indipendenza/autonomia non è cosa nuova nella quasi tri-millenaria storia della città di Napoli. Fondata dai greci di Cuma e Siracusa nell’ottavo secolo A.C., Napoli lega, da millenni, la propria vita politica, culturale ed economica al concetto di autonomia.

Di lingua e religione greca, la città partenopea mantenne la propria cultura sotto l’impero romano che rispettò sia le usanze sia l’auto governo della territorio, che era organizzato dalle fratrie, raggruppamenti a base familiare convocati per discutere e deliberare su questioni di interesse pubblico. In epoca imperiale ve ne erano ben nove, distinte in base al nume tutelare, mentre il potere legislativo era svolto dal senato con a capo un arconte di nomina elettiva; alle consultazioni partecipava spesso anche un demarco, rappresentate eletto dal popolo.

E per dare un saggio della forte identità espressa da Napoli in epoca imperiale basti pensare che l’imperatore Nerone, quando venne in città, si esibì in greco nel teatro dell’Anticaglia, omaggiando così la cultura del popolo napoletano. Inoltre, sempre la città partenopea, fu il fulcro della filosofia epicurea in un mondo che veniva sempre più costretto alla latinizzazione.

Alla caduta dell’impero romano, Napoli continuò a mantenere lingua e cultura greca entrando nella “sfera di influenza” dell’Impero bizantino, pure di matrice greca, mantenendo de facto la propria indipendenza: sono questi gli anni del ducato di Napoli, stato a tutti gli effetti autonomo sia sotto gli aspetti politici che economici.

Qualche secolo dopo, i normanni conquistarono le terre del sud della penisola italiana fondando il Regno di Sicilia, che diventerà Regno di Napoli, dopo la venuta degli Angioini e i Vespri Siciliani; e proprio nel 1282 Napoli diventò per la prima volta capitale di un regno indipendente, iniziando la sua crescita demografica ed economica.

Nel 1442, Napoli passò dai d’Angió agli Aragona, mantenendo, tuttavia, il rango di capitale; sotto Alfonso il Magnanimo, la città partenopea diventò centro fiorente del Rinascimento Italiano, meta di artisti e intellettuali di tutta Europa. Napoli restò capitale ancora per mezzo secolo fino a quando, nel 1503, divenne parte dell’Impero Spagnolo; non dobbiamo, però, pensare che la città partenopea fosse trattata alla stregua di una colonia, anzi!. L’autonomia fu in ogni caso garantita dal momento che l’amministrazione cittadina venne affidata ai rappresentanti dei Sedili, detti eletti. I Sedili di Napoli, già presenti fin dal periodo angioino, facevano capo alle famiglie nobiliari della città, con la possibilità per il popolo di eleggere il proprio rappresentante. Proprio lo stemma del sedile del Popolo è adottato ancora oggi come stemma cittadino.

Per farvi capire il grado di autonomia di cui godeva Napoli sotto gli spagnoli basti pensare al rifiuto del popolo napoletano all’introduzione dell’Inquisizione, istituzione che imperverserà ferocemente in altri luoghi d’Europa. Sotto gli spagnoli, Napoli crebbe e, alle soglie del Seicento, diventò, insieme a Londra e Parigi, il centro urbano più popoloso d’Europa: 300mila abitanti!

Gli anni vicereali, prima sotto la Spagna e poi sotto l’Austria non scalfirono il ruolo predominante della città che con Carlo di Borbone ritornerà, nel ‘700, ad essere capitale di un regno indipendente; proprio sotto i Borbone, Napoli diventò centro dell’Illuminismo, iniziando ad inanellare una serie di primati tecnologici e culturali. La crescita di Napoli non venne fermata neppure dalla conquista Napoleonica che, invece, rafforzò il nome di Napoli in Europa. La restaurazione e il ritorno ai Borbone coincise con gli anni dei primi sviluppi industriali in un’economia che, da lì a poco, inizierà a correre. Tuttavia, il destino di Napoli, di diventare una Londra, una Parigi venne infranto da Garibaldi e dal Risorgimento dei Savoia che fece tramontare il sole dell’indipendenza e instaurò l’Italia una, di cui Napoli non fu altro che un capoluogo di provincia. La storia di Napoli dopo l’unità d’Italia la sapete: un inesorabile declino che fece della terza città d’Europa la terza città italiana, spogliata del ruolo di capitale.

Oggi Napoli è ancora la terza città italiana per PIL ma solo ventiseiesima in Europa; tuttavia, il Pil prodotto dalla sola città metropolitana è superiore a quello di paesi come la Slovenia. Napoli può ancora aspirare a essere predominante in Europa e la sfida dell’autonomia proposta da MO – Unione Mediterranea può essere il banco di prova giusto.

E voi, cosa ne pensate?

Bassolino si candida. Il PD supera se stesso: dalla rottamazione alla supervalutazione dell’usato.

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Di Eva Fasano

C’era una volta un piccolo rottamatore fiorentino. Prima di diventare capo del Governo e dei ‪#‎nogufi‬ del PD, l’ex Sindaco di Firenze Matteo Renzi saltellava da una poltrona televisiva all’altra per promuovere la sua ricetta social e giovanilistica della politica e della sinistra in particolare, auspicando la rottamazione dei “vecchi dinosauri della politica”. Per alcuni Renzi era l’immagine del “nuovo che avanza” e forse lo è ancora.

A conti fatti però, i risultati e le proposte del giovanissimo presidente del consiglio non paiono tanto innovative: la questione meridionale è ancora ignorata e rimandata a data da destinarsi, le famiglie stentano ad arrivare a fine mese, il Jobs Act ha cancellato i diritti dei lavoratori, la burocrazia delle PA è tutt’altro che snellita, l’Italia conta ancora poco nell’Unione Europea, nessun progetto di legge sulle unioni civili è mai stato discusso e così via. Eppure se controlliamo sul dizionario Treccani online leggiamo
“(iron.) Per antonomasia, Matteo Renzi, esponente politico del Partito democratico”.

Dal punto di vista della rottamazione delle persone, largo ai giovani e agli onesti, notiamo che il nuovo Presidente della Regione Campania è il piddino Vincenzo De Luca, ex Sindaco di Salerno per vent’anni, con qualche difficoltà di comunicazione e ancor più trascurabili problemi giudiziari pendenti. Un neonato della politica, insomma.

Oggi, sabato 21 novembre 2015, Antonio Bassolino annuncia la sua candidatura a Sindaco di Napoli. In tal senso il PD ha superato sé stesso, passando dalla rottamazione alla supervalutazione dell’usato. Se De Luca è stato il sindaco sceriffo per vent’anni, Bassolino cos’è, il “nonno che avanza”?

Antonio Bassolino (Afragola, 1947), ex esponente del Partito Comunista Italiano, del PDS e dei DS, oggi nel Partito Democratico. È stato deputato, sindaco di Napoli dal 1993 al 2000, Ministro del lavoro e della previdenza sociale nel primo governo D’Alema dal 1998 al 1999, Presidente della Regione Campania dal 2000 al 2010.

Non sappiamo some andranno le primarie del PD per individuare il candidato sindaco di Napoli, ma una cosa è certa: Bassolino ha asfaltato il Partito Democratico con due parole: “Mi candido”.

MO-Unione Mediterranea è felice per la candidatura di Bassolino, poiché essa ci sembra un’opportunità che i napoletani dovrebbero cogliere al volo. E’ arrivato il momento di scegliere da che parte stare e noi l’abbiamo già fatto.
La lista Mo! di Unione Mediterranea alle scorse regionali campane ha ottenuto la fiducia di 18 mila persone, che ringraziamo ancora, partendo dal nulla, ignorata da certi canali nazionali d’informazione, ricordiamo a tal proposito i casi Matrix di Canale 5 e Ansa, raccogliendo prima 7500 firme nelle piazze, tra i pendolari, poi facendo una campagna elettorale di soli 45 giorni con pochissimi mezzi e nessun finanziamento pubblico.

Con il progetto “Na – Napoli Autonoma” abbiamo realizzato l’unica, vera proposta innovativa per i partenopei e non prende ordini né da Roma né da Milano.

Napoli Autonoma: la città torni a camminare sulle proprie gambe

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“La città di Napoli, come tutte le grandi città che cessano di essere centri di un governo di un grande Stato, la città di Napoli ha fatto all’Italia un immenso sacrificio; l’Italia ha in questo modo contratto un grande debito verso la città di Napoli e l’Italia dovrà soddisfarlo”

(Ubaldo Peruzzi, fiorentino, primo ministro dei Lavori pubblici, discorso in Parlamento del 1861 – tratto da G. Galletti, P. Trompeo, Atti del Parlamento italiano: sessione del 1861, VIII legislatura, p. 163, Tipografia Eredi Botta, Torino 1862)

Ubaldo Peruzzi, fiorentino, pensava che l’Italia avesse un debito con Napoli, mentre ancora troppi napoletani continuano a credere il contrario. L’ironia della sorte non finisce qui perché, proprio nel 150esimo anno di unità, è proseguita l’attuazione del (non abbastanza) famoso federalismo fiscale: il sistema per cui molti dei contributi versati dai cittadini vengono trattenuti e impiegati sul territorio in cui vivono, o almeno così dovrebbe funzionare.

Ovviamente, nei comuni in cui c’è più ricchezza, più posti di lavoro e stipendi più alti, ci saranno anche più fondi pubblici da impiegare nei servizi, mentre nei comuni in cui c’è meno ricchezza, i servizi che spettano di diritto ai cittadini rischieranno di non essere garantiti. Questo pericoloso divario dovrebbe essere appianato dal cosiddetto fondo di perequazione, che prevede una cassa statale atta a ridistribuire una parte dei contributi, in modo da garantire le prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche ai comuni con minore capacità fiscale.

Fino a qui, nulla di male. In realtà questo metodo può funzionare bene in un paese mediamente ricco, ma in Italia ha bisogno di molta più attenzione:

Questo “fondo di perequazione” non è stato istituito, come non sono stati calcolati i Lep (livelli essenziali della prestazioni), sostituiti da calcoli basati sui servizi erogati nel 2010. Significa che il livello standard dei fondi necessari ai comuni è stato fissato sulle prestazioni del 2010, anche dove i comuni non erano stati in grado di erogare servizi sufficienti, o addirittura pari a zero. I risultati offendono logica e buonsenso, ridicolizzano il concetto di “unità nazionale” e violano la legge, che chiede di superare la spesa storica in favore dello sviluppo territoriale.

In attesa del fondo di perequazione, previsto per i Comuni nel 2013, è stato istituito il fondo sperimentale di riequilibrio, prontamente tagliato di due miliardi dalla montiana legge Salva Italia di fine 2011, dove anche il fondo di perequazione ha subito un taglio preventivo, della stessa cifra, ma in modo totalmente anticostituzionale: il suo importo non può essere determinato a priori, poiché deriva in modo matematico dalle scelte effettuate sui livelli essenziali delle prestazioni, dal calcolo dei fabbisogni standard e delle capacità fiscali.

Se il principio di perequazione è determinato dalle necessità del Comune, tagliarlo significa negare i diritti fondamentali dei cittadini che in tutto il Paese pagano tasse secondo le proprie possibilità, salvo poi non godere dei servizi con la stessa uniformità.

Nel 2013 il vecchio fondo sperimentale di riequilibrio non si trasforma in fondo di perequazione, bensì in fondo di solidarietà comunale (non alimentato dallo Stato ma da una quota pari al 38% dell’ Imu dei singoli Comuni).
Nessuna perequazione dallo Stato per i Comuni, ma una “perequazione” dai Comuni per lo Stato, che nel 2015 ha prelevato 1,2 miliardi dal fondo di solidarietà comunale.

Le complesse dinamiche giuridiche ed economiche occultano ancora le vere ragioni dell’arretratezza in cui versa la città di Napoli, ma è arrivato il momento di sfatare qualche mito senza permetterci opinioni: lasciamo parlare la matematica.

I sussidi riservati a Napoli negli ultimi 5 anni sono andati così:

2010 Trasferimenti erariali 646.437.167
2011 Fondo sperimentale riequilibrio 514.143.937
2012 Fondo sperimentale riequilibrio 426.012.328
2013 Fondo solidarietà comunale avere 382.166.815
2013 Fondo solidarietà comunale dare -67.639.651
2014 Fondo solidarietà comunale avere 375.032.449
2014 Fondo solidarietà comunale dare -65.012.266
2015 Fondo solidarietà comunale avere 323.931.978
2015 Fondo solidarietà comunale dare -65.032.315

In pratica si è passati dai 646 milioni del 2010, situazione ante federalismo fiscale, ai 259 del 2015. Un taglio del 60%, pari a 387 milioni.

Oggi Napoli riceve un sussidio di 259 milioni di euro, soldi che la rendono ancora una città assistita. Tuttavia le tasse pagate dai cittadini napoletani sono superiori alle somme che restano in città, per poi essere destinate ai servizi pubblici, che sono inferiori alla media procapite nazionale per pensioni, sanità, trasporti e investimenti. 

La proposta per una Napoli Autonoma, legittimata dall’articolo 119 della Costituzione, prevede come primo passo il raggiungimento di un’autonomia fiscale.

I 259 milioni del sussidio possono essere sostituiti grazie all’attribuzione diretta al Comune, di due imposte: quella sui trasferimenti di immobili (il cui valore nella città di Napoli è stimato in 150 milioni) e la compartecipazione Irpef, che cedendo una quota del gettito pari a 1,2 punti al Comune, coprirebbe i restanti 109 milioni.

 

A partire dal 2016 Napoli Autonoma rinuncerebbe al Fondo di solidarietà comunale, apportando numerosi benefici:

  • Maggior controllo sui 259 milioni che, quando forniti dal Fondo di solidarietà comunale, non garantiscono né l’importo, né il tempo di erogazione.
  • Nessun aggravio fiscale per i cittadini, ma più consapevolezza sulla destinazione dei contributi versati, dato che una quota maggiore resta nella città.
  • Collegamento diretto tra il miglioramento delle condizioni economiche generali e gettito tributario.
  • Le responsabilità degli amministratori diventano evidenti agli occhi dei loro elettori.
  • Napoli Autonoma non potrà più essere accusata di assistenzialismo.

Nella proposta è previsto, inoltre, che il Consiglio comunale modifichi il proprio nome in Assemblea Partenopea, per sottolineare il cambiamento rivoluzionario nelle politiche amministrative.

Tra gli effetti positivi che il progetto si propone di realizzare c’è quello di obbligare l’amministratore ad adottare politiche di riqualificazione sociale e urbanistica al fine di aumentare il valore delle proprietà private all’interno dell’area comunale e garantire così un maggiore gettito.

L’Assemblea partenopea potrà controllare, grazie a un accordo con il Ministero per i beni e le attività culturali, il processo di valorizzazione dei beni storici, ambientali e artistici, cercando di rendere così meno farraginosa l’attuale macchina burocratica che troppo spesso impedisce a cittadini ed associazioni di poter godere dell’immenso patrimonio artistico e culturale di cui disponiamo.

Sempre nell’ambito delle autonomie proposte, vi è quello legato alla gestione dei fondi comunitari. L’Assemblea Partenopea potrà decidere in autonomia come gestire i fondi nell’interesse comune, anche al fine di concentrare gli investimenti sui settori che riterrà strategici per il rilancio della città.

 

Napoli si è ammalata quando è stata privata del proprio prestigio, in favore di politiche di sfruttamento. Quanto ancora può lasciarsi spogliare delle sue ricchezze?

Neapolis, città antica di millenni ma nuova ogni giorno, può tornare a crescere. Riappropriarsi del diritto di camminare con le proprie gambe, è una necessità che non può più essere rimandata o delegata.

Ci rendiamo conto che non è mai facile assumersi la responsabilità di credere nei cambiamenti, ma l’alternativa è aspettare ancora che lo Stato si ricordi di occuparsi della città che più ha spogliato e depredato.

La battaglia per proteggere Napoli e i suoi cittadini può essere vinta solo da chi ha a cuore il suo progresso, è arrivato il momento di smettere di credere alla storia del Paradiso abitato da diavoli: l’alternativa c’è.

NA – Napoli Autonoma

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Noi
cittadini di Napoli e delle terre del Sud
non ci rassegniamo
al fatto di vivere in un Paese spaccato in due per lavoro, servizi pubblici,
diritto allo studio, alla salute, alla mobilità;

ci sentiamo offesi
dal sentire giudicato il Mezzogiorno come inguaribile palla al piede del Paese
e come luogo di rassegnazione e lamenti;

siamo convinti
che nessun popolo del mondo sia privo della capacità di governarsi;

denunciamo
i seguenti atti e omissioni dello Stato a causa dei quali da anni
aumenta il divario nel Paese:

1. Asili nido e istruzione: valutati zero i bambini del Sud.
Dal 2015 i fabbisogni standard comunali sono conteggiati in
modo palesemente distorto: si misurano non i bisogni della
popolazione ma i servizi erogati in passato, anche quando tali
servizi sono inadeguati o addirittura nulli. Il fabbisogno di
asili nido è stato conteggiato zero in città come Giugliano,
Pozzuoli, Casoria, Portici, Ercolano, San Giorgio a Cremano.

2. Sanità: meno risorse dove ci si ammala di più.
Dal 2012 si utilizza nel reparto del fondo sanitario la “formula
Calderoli” con il criterio della pesatura per età: si poche
persone raggiunto la vecchiaia si tagliano risorse per le cure
con la conseguenza che nei luoghi come la Terra dei Fuochi o
Taranto dove la speranza di vita è più bassa ci sono meno
servizi sanitari e si fa meno prevenzione.

3. Trasporti locali: treni e autobus vecchi e inquinanti al Sud.
Il governo è venuto meno a un dovere preciso: non ha attuato
la legge che gli impone di calcolare i livelli di servizio di
trasporto locale. Se non fissi il livello minimo non fai mai
scattare gli investimenti sul trasporto pubblico previsti dalla
legge sul federalismo e senza il rinnovo di treni e autobus il
servizio deperisce e aumenta l’inquinamento.

4. Manutenzione strade: meno soldi se ci sono più disoccupati.
Dal 2015 si utilizza l’irrazionale parametro del tasso di
occupazione Istat per dividere i fondi pubblici per la
manutenzione delle strade provinciali e metropolitane. In altre
parole si riducono le risorse dove ci sono meno occupati, in
base alla sola logica di favorire le aree più ricche.

5. Università: borse di studio e turnover dei prof minori al Sud.
Le borse di studio sono erogate in modo saltuario al Sud
anche agli aventi diritto: uno scandalo mai affrontato. Inoltre
dal 2013 c’è un tetto al turnover dei docenti universitari più
stringente dove i redditi familiari sono bassi, con l’effetto di
aver spostato l’assunzione di 700 ricercatori dagli atenei del
Sud a quelli del Centronord e favorito un drammatico calo di
iscrizioni nelle Università del Mezzogiorno.

6. Infrastrutture e porti: da “prima il Nord a “solo il Nord”.
Lo Stato ha partecipato al bando comunitario “Meccanismo
per connettere l’Europa” presentando progetti da realizzare
entro il 2020 esclusivamente per il Nord: i treni merci di
nuova concezione collegheranno il Brennero solo con i porti
dell’alto Tirreno e dell’alto Adriatico. Si rendono meno
competitivi i porti e gli interporti del Mezzogiorno, che è il
centro del Mediterraneo.

7. Livelli essenziali di assistenza: quindici anni di attesa.
Lo Stato dal 2001 non ha mai definito quanto previsto
all’articolo 117 lettera m della Costituzione, e cioè la
“determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti
su tutto il territorio nazionale” facendo inceppare i
meccanismi solidali previsti in Costituzione.

8. Perequazione: c’è in Costituzione ma nessuno l’ha vista.
Nei commi 3 e 4 dell’articolo 119 si dice che “la legge dello
Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di
destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per
abitante” e che quelle risorse “ai Comuni, alle Province, alle
Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente
le funzioni pubbliche loro attribuite”. Quindi al Sud i servizi
pubblici non sono garantiti.

9. Produzione: sede dell’Alenia spostata da Pomigliano alla provincia di Varese.
Nel 2012 la fusione tra Alenia e la ben più piccola Aermacchi
ha visto lo spostamento della sede legale dalla sede storica di
Pomigliano d’Arco a Venegodo, in provincia di Varese. Nel
giro di pochi anni il top management è quasi tutto proveniente
dagli stabilimenti del Nord.

10. Fondi Ue: impegno statale ridotto a un terzo in Campania, Calabria e Sicilia.
Con il ciclo di fondi europei 2014-2020 il governo ha deciso
di ridurre a un terzo il cofinanziamento ai progetti europei in
tre regioni del Sud. In pratica un progetto finanziato in
Lombardia aggiunge a ogni euro di Bruxelles un euro italiano
mentre se lo stesso progetto è realizzato in Campania
l’impegno nazionale per ogni euro europeo scende a 33
centesimi.

Per tutto quanto sopra
noi, cittadini di Napoli e delle terre del Sud
consapevoli dei nostri doveri, dei nostri diritti e della
nostra identità
esigiamo
l’apertura di una specifica sessione parlamentare che, entro la
fine dell’attuale legislatura, esamini, valuti e corregga le
storture fin qui evidenziate;
proponiamo
la seguente legge d’iniziativa popolare che entro il 2016
faccia di Napoli, metropoli simbolo del Mezzogiorno, una
Città Autonoma

Istituzione di NA-Napoli Autonoma

(disegno di legge)

Articolo 1
1. Il Comune di Napoli, in quanto città capitale del maggiore stato preunitario italiano e metropoli con una sua specifica identità, legata a peculiarità storiche, ambientali e demografiche riconosciute dagli organismi internazionali, in applicazione dell’art. 118, secondo comma, della Costituzione è definito Città Autonoma e assume la denominazione Napoli Autonoma, in sigla NA. Il Consiglio comunale assume la denominazione di Assemblea Partenopea.

Articolo 2
1. Napoli Autonoma è un ente territoriale i cui attuali confini sono quelli del Comune di Napoli e dispone di speciale autonomia, statutaria, amministrativa e finanziaria, nei limiti stabiliti dall’art. 119 della Costituzione. L’ordinamento di Napoli Autonoma è diretto a garantire il miglior assetto delle funzioni che Napoli è chiamata a svolgere quale principale metropoli e motore di sviluppo dell’Italia meridionale, patrimonio Unesco nonché sede nazionale dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni.

2. Oltre a quelle attualmente spettanti al comune di Napoli, sono attribuite a Napoli Autonoma le seguenti funzioni amministrative:
a) concorso alla valorizzazione dei beni storici, artistici, ambientali, culturali previo accordo con il Ministero per i beni e le attività culturali;
b) sviluppo economico e sociale di Napoli Autonoma, nell’interesse di tutta l’area metropolitana, con particolare riferimento alla programmazione dei fondi comunitari e alla valorizzazione dei settori produttivo, portuale, turistico, commerciale, universitario e delle comunicazioni;
c) sviluppo urbano, pianificazione e riqualificazione territoriale;
d) edilizia pubblica e privata;
e) organizzazione e funzionamento dei servizi urbani, con particolare riferimento al trasporto pubblico e alla mobilità dell’area metropolitana;
f) protezione civile, in collaborazione con la Presidenza del Consiglio dei ministri e la Regione Campania;
g) ulteriori funzioni conferite dallo Stato e dalla regione Campania, ai sensi dell’art. 118, secondo comma, della Costituzione.
3. L’esercizio delle funzioni di cui al comma 2 è disciplinato con regolamenti adottati dall’Assemblea Partenopea, nel rispetto della Costituzione, dei vincoli comunitari ed internazionali, della legislazione statale e di quella regionale nel rispetto dell’art. 117, sesto comma, della Costituzione, nonché in conformità al principio di funzionalità rispetto alle speciali attribuzioni di Napoli Autonoma.
4. L’Assemblea Partenopea, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, approva, ai sensi dell’art. 6, commi 2, 3 e 4, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, con particolare riguardo al decentramento municipale, lo statuto di Napoli Autonoma, che entra in vigore il giorno successivo alla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
5. Con uno o più decreti legislativi è disciplinato l’ordinamento, anche finanziario, di Napoli Autonoma, con specificazione delle funzioni di cui al comma 2, definizione delle modalità per il trasferimento a Napoli Autonoma delle relative risorse umane e dei mezzi, trasferimento, a titolo gratuito, a Napoli Autonoma dei beni appartenenti al patrimonio dello Stato non più funzionali alle esigenze dell’Amministrazione centrale.

Articolo 3
1. In via sperimentale, nelle more di una piena e corretta applicazione del federalismo fiscale e in particolare da quanto previsto nella Costituzione all’articolo 117 lettera m (determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale) e 119 terzo e quarto comma (la legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante, tale da consentire insieme alla risorse proprie di finanziare integralmente le funzioni pubbliche attribuite ai Comuni), e fermo restando quanto previsto dai decreti di cui all’articolo 2 comma 4 a Napoli Autonoma viene attribuita una quota di tributi propri di importo pari per il 2016 a quanto attribuito dal Fondo di solidarietà comunale per il 2015 e cioè 258.899.633 euro, quale saldo tra finanziamento e contributo.

2. Napoli Autonoma per il 2016, 2017 e 2018 non partecipa né in modo attivo né in modo passivo alla quota solidaristica del Fondo di solidarietà comunale di cui all’articolo 1, comma 380, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, ma soltanto al ristoro integrale dell’Imu e della Tasi, in base a quanto previsto dall’articolo 1 comma 17 della legge 208/2015 (legge di Stabilità 2016) e in particolare a quanto dovuto al Comune di Napoli al fine di tenere conto dell’esenzione di cui ai commi da 10 a 16, 53 e 54 dell’articolo 1 della legge 208/2015, prevista per l’Imu e la Tasi.

3. Per effetto di quanto previsto dal comma precedente, per ciascuno dei medesimi anni 2016, 2017 e 2018 dal Fondo di solidarietà comunale il governo può effettuare con decreto del Ministero dell’economia e finanza un prelievo straordinario in favore delle finanze statali fino a un massimo di 258.899.633 euro.

4. Per gli anni 2016, 2017 e 2018 le imposte sui trasferimenti di immobili (Iva, Registro e bollo, ipotecaria e catastale e successioni o donazioni) relative a beni ricadenti nel Comune di Napoli sono integralmente assegnate a Napoli Autonoma.

5. Per il 2016 a Napoli Autonoma è assegnata una percentuale di compartecipazione al gettito Irpef relativa ai redditi del 2015 dei residenti nel Comune di Napoli di una quota tale da pareggiare, unitamente a quanto previsto dal comma 4, l’importo di 258.899.633 euro: i versamenti effettuati al Comune di Napoli nel 2016, prima dell’entrata in vigore della presente legge, sono considerati acconti di quanto previsto in questo e nel comma precedente. La percentuale di gettito Irpef, individuata con decreto dal Ministero dell’economia e finanza entro il 30 settembre 2016, sarà assegnata a Napoli Autonoma nel 2017 e nel 2018 in misura invariata, indipendentemente dalle eventuali variazioni di gettito sia dell’Irpef stessa, sia delle imposte indicate al comma 3.

Articolo 4
1. La presente legge, che non ha oneri per lo Stato, entra in vigore il primo luglio 2016.
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Introduzione

Napoli era di gran lunga la maggiore città italiana al momento dell’Unità, sia per abitanti, sia per ricchezza in valore assoluto. Il suo declino politico è stato repentino, ma era inevitabile in un processo d’unificazione e ha colpito anche città come Torino, Firenze e, in precedenza, Venezia. Il declino economico di Napoli, invece, non era affatto scontato e dopo il 1861 è proseguito per decenni: l’assenza o la debolezza di un ruolo guida nazionale riconosciuto tra i tanti possibili per Napoli – economico, finanziario, commerciale, industriale, turistico, culturale, giuridico – hanno fiaccato il tessuto sociale della principale metropoli italiana fino ad attribuire a Napoli un’etichetta negativa: città assistita.

logoummona

1. L’Autonomia? E’ già in Costituzione

Prima di avventurarsi in una riforma di forte impatto come NA occorre valutare se è in linea con i principi della Costituzione repubblicana. L’articolo 114, secondo comma, fa cadere i dubbi.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione.
Inoltre l’articolo 118, secondo comma, dice espressamente che è possibile differenziare le funzioni per specifici Comuni.
I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.
Di particolare valenza è l’articolo 119 della Costituzione, composto da sette commi. Ecco il primo.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa.
Perfetto. Quindi l’autonomia finanziaria è la regola. Ora il secondo comma.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio.
E anche qui ci siamo. Le risorse dei Comuni, come degli altri enti territoriali, devono essere autonome e di due tipologie: entrate proprie e compartecipazioni al gettito di tributi erariali
riferibili al territorio. Ora il terzo comma.
La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante.
Il fondo perequativo non è mai stato istituito. Al suo posto ora c’è un fondo di solidarietà comunale, pagato dagli stessi Comuni in rapporto al gettito dell’Imu. Il fatto che la perequazione sia “senza vincolo di destinazione” conferma il principio di autonomia degli enti. Tuttavia, da un punto di vista sostanziale, un Comune che ha bisogno della perequazione per sostenersi è meno autonomo. Passiamo al quarto comma.
Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni
pubbliche loro attribuite.
Qui c’è una dichiarazione di principio importante: una volta attribuite le funzioni a un ente locale, questo deve ricevere tra entrate proprie, compartecipazione e perequazione una somma tale da coprire al 100% la spesa, intesa come spesa a costo standard, quindi efficiente. E’ lo Stato che ha il compito (articolo 117, lettera m della Costituzione) di determinare i “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. Tali livelli non sono mai stati indicati, per cui non è possibile determinare con esattezza la somma che occorre per “finanziare integralmente” le funzioni pubbliche attribuite agli enti locali né è possibile determinare l’importo necessario per il fondo di perequazione. Passiamo poi al quinto comma, sempre dell’articolo 119.
Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse
aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.
Qui c’è spazio per interventi straordinari, che esulano dalle funzioni normali di un ente locale e che quindi non incidono sulla loro autonomia. Ora i commi sei e sette, che chiudono il 119 e che sono anch’essi perfettamente in linea con il principio di autonomia.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato.
Possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento. E’ esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti.

2. Federalismo fiscale: un mostriciattolo

Come funziona oggi il federalismo fiscale per i Comuni? Non si sbaglia a descriverlo come un mostriciattolo, un essere dalle sembianze ben diverse da quelle che erano state previste sia nella Costituzione (così come modificata nel 2001), sia nella legge delega, la 42 del 2009, così come nei decreti attuativi del federalismo municipale del 2011. Non sono stati individuati i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Non è stato istituito il fondo di perequazione. I fabbisogni standard comunali sono stati calcolati per i 6.707 Comuni delle quindici regioni a statuto ordinario; tuttavia per istruzione e asili nido si è proceduto in modo irrazionale e dannoso per il Mezzogiorno: in assenza dei Lep (livelli essenziali delle prestazioni) si è considerato come livello di riferimento quello effettivamente erogato nel 2010, con risultati paradossali. Laddove un Comune non aveva erogato alcun servizio di asilo nido, per esempio, il fabbisogno standard di quel Comune è stato posto a zero, in evidente contraddizione sia con la logica (il fabbisogno misura il bisogno della popolazione) sia con quanto prevede la legge, che chiede di superare il principio della spesa storica.
Napoli, in particolare, si è vista attribuire un fabbisogno standard di asili nido e istruzione pari ad appena un terzo di quanto è stato assegnato a Torino, città che ha meno abitanti.
Va considerato che per altre voci, come i servizi sociali per anziani, si è invece valutato l’effettivo bisogno della popolazione e non la spesa storica, assegnando quindi un fabbisogno anche nei comuni che non erogavano alcun servizio in merito. La mancata determinazione dei Lea inceppa anche il meccanismo che dovrebbe portare a investimenti omogenei sui territori relativi al trasporto locale.
E’ un mostriciattolo anche il fondo di perequazione che, per legge, per i Comuni doveva partire nel 2013. In attesa del fondo di perequazione era stato istituito un fondo sperimentale di riequilibrio. Con la legge Salva Italia del governo Monti di fine 2011 si è disposto un taglio di 2 miliardi a valere sul fondo sperimentale di riequilibrio e, una volta istituito, sul fondo di perequazione. Con il taglio preventivo del fondo di perequazione lo Stato ha violato in modo esplicito la Costituzione perché l’importo della perequazione non può essere determinato a priori ma deriva in modo matematico dalle scelte effettuate sul livelli essenziali delle prestazioni e dal calcolo dei fabbisogni standard e delle capacità fiscali. Se, per ipotesi, il livello delle prestazioni da garantire in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale è fissato a una quota così bassa che anche il Comune con la minore capacità fiscale riesce a pagare i servizi, allora la perequazione necessaria è zero e non è pertanto tagliabile. Se invece il livello delle prestazioni è posto a una quota tale che per alcuni Comuni è necessario integrare le risorse proprie, allora il fondo di perequazione ha un valore maggiore di zero, ma non è tagliabile perché altrimenti si violerebbe il comma quattro dell’articolo 119, cioè quello che afferma come il fondo di perequazione insieme alle altre voci di entrata comunali deve consentire il finanziamento integrale delle funzioni pubbliche attribuite.
Tagliare la perequazione equivale a negare l’uguaglianza dei cittadini di fronte ai diritti fondamentali.
Nel 2013 il fondo sperimentale di riequilibrio ha cambiato denominazione in fondo di solidarietà comunale. Al contrario del fondo di perequazione previsto dall’articolo 119, il fondo di solidarietà comunale non è alimentato dallo Stato bensì dai singoli Comuni con una quota pari al 38% dell’Imu. Lo Stato quindi è venuto meno al suo compito di assegnare la
perequazione e, addirittura, nel 2015 lo Stato ha succhiato per esigenze di cassa 1,2 miliardi dal fondo di solidarietà comunale, quindi ha “perequato” a favore di se stesso.

3. Napoli città assistita?

I trasferimenti pubblici ai Comuni si sono fortemente ridotti negli anni recenti, cioè da quando è entrato in vigore il federalismo fiscale. A Napoli, il Comune più sussidiato d’Italia in valore assoluto, si è registrato il seguente andamento.
2010 Trasferimenti erariali 646.437.167
2011 Fondo sperimentale riequilibrio 514.143.937
2012 Fondo sperimentale riequilibrio 426.012.328
2013 Fondo solidarietà comunale avere 382.166.815
2013 Fondo solidarietà comunale dare -67.639.651
2014 Fondo solidarietà comunale avere 375.032.449
2014 Fondo solidarietà comunale dare -65.012.266
2015 Fondo solidarietà comunale avere 323.931.978
2015 Fondo solidarietà comunale dare -65.032.315
In pratica si è passati da 646 milioni nel 2010 della situazione ante federalismo fiscale a 259 milioni nel 2015 considerando il saldo tra dare e avere del Fondo di solidarietà comunale.

Un taglio del 60% pari a 387 milioni!

I 259 milioni di euro fanno di Napoli ancora una città assistita? Nell’opinione generale sì, tuttavia le imposte riferibili al territorio napoletano, cioè le tasse pagate dai contribuenti napoletani, sono superiori alle somme che restano in città sotto forma erogazioni dirette o di servizi pubblici, perché questi ultimi sono inferiori alla media procapite nazionale per pensioni, sanità, trasporti, investimenti. Napoli, insomma, può pagarsi da sola i servizi che riceve e liberarsi dall’etichetta di città assistita.

4. NA, un passo verso la piena autonomia

Come primo passo verso una più ampia autonomia, il Comune di Napoli deve diventare autonomo dal punto di vista fiscale, in linea con la Costituzione. Non bisogna cessare di chiedere l’applicazione della Carta costituzionale e quindi livelli di servizi omogenei sul territorio nazionale, la perequazione e, quando necessario, interventi speciali per rimuovere gli squilibri economici e sociali e per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona. Tuttavia, nella situazione attuale, è necessario intanto individuare risorse proprie per 259 milioni di euro per liberare Napoli da un fondo di solidarietà che pesa sugli altri Comuni ed è soggetto a continui interventi legislativi che ne rendono aleatorio sia l’importo sia i tempi di
erogazione.
La proposta di NA è attribuire al Comune di Napoli, in linea con l’articolo 119 della
Costituzione, due imposte strettamente riferibili al territorio e cioè:

– Imposte sui trasferimenti di immobili

-Compartecipazione Irpef

La prima vale a livello nazionale 8.930 milioni di euro tra Iva (4.260 milioni), Registro e bollo (2.640 milioni), ipotecaria e catastale (1.420 milioni) e successioni o donazioni (620 milioni). Nel decreto legislativo 23 del 2011 sul federalismo municipale si prevedeva la devoluzione ai Comuni di tale imposta, norma poi cassata con il comma 729 della legge di Stabilità del 2014 (legge 147/2013). Il suo valore per la città di Napoli è stimabile in 150 milioni.
La compartecipazione Irpef (cosa diversa dall’addizionale) ha per effetto la cessione al Comune dove sono residenti i contribuenti Irpef di una quota del gettito. Se il valore di 150 milioni dovesse essere confermato, resta da coprire un gettito di 109 milioni che a Napoli equivale a 1,2 punti di Irpef. In ogni caso la legge è costruita per pareggiare esattamente i 258.899.633 euro del saldo netto del Fondo di solidarietà comunale del 2015 e fa salvo quanto dovuto dallo Stato al Comune di Napoli a titolo di rimborso per l’Imu e la Tasi prima casa (comma 17 legge di Stabilità 2016).
Il saldo per la città di Napoli per il 2016 è per definizione zero: rinuncia dal 2016 al Fondo di solidarietà comunale e aumento delle entrate tramite le imposte sui trasferimenti di immobili e la compartecipazione nell’ordine di 1,2 punti di Irpef.

Ecco gli effetti di NA:
– per il contribuente partenopeo non c’è alcun aggravio, né economico né burocratico, ma c’è la soddisfazione di sapere che una quota maggiore delle imposte che paga resta nella sua città;
– per i Comuni diversi da Napoli c’è un guadagno netto di 259 milioni come saldo tra minore gettito Imu di Napoli (65 milioni) e minore esborso del Fondo di solidarietà (324 milioni);
– per lo Stato c’è un minore gettito di entrate proprie di 259 milioni, che può recuperare (lo prevede l’articolo 3, comma 3 del disegno di legge) in tutto o in parte con un prelievo dal Fondo di solidarietà comunale, portando a zero anche il saldo per i Comuni;
– per il Comune di Napoli c’è un collegamento diretto tra miglioramento delle condizioni economiche generali e gettito tributario.
Un Comune che saprà ben amministrare se stesso punterà sulla riqualificazione urbana del centro come delle periferie, sul miglioramento della rete di trasporto pubblico, sull’attrazione di investimenti e di flussi turistici, sulla programmazione e spesa dei fondi europei, sulla valorizzazione di specificità come la presenza della sede nazionale dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni e di un polo universitario con tradizione millenaria. Nel disegno di legge d’iniziativa popolare si prevede l’istituzione di Napoli Autonoma e si punta su un incremento di funzioni e di responsabilità, sulla falsariga di quanto accaduto per Roma Capitale. A sottolineare l’innovazione, il Consiglio comunale di Napoli viene ridenominato Assemblea Partenopea. Gli effetti economici di un rilancio della città di Napoli saranno un aumento dei valori immobiliari e delle compravendite, nonché una crescita delle attività economiche e quindi dei redditi dei residenti. L’avvio di un circuito virtuoso, spinto anche dall’orgoglio di una città che ricomincia da se stessa senza aspettare sempre aiuti esterni, potrà avere effetti diretti positivi, con un aumento del gettito dalle imposte sugli immobili e dalla compartecipazione Irpef.
Tale maggiore flusso di risorse potrà essere utilizzato sia per ridurre la pressione fiscale sulle imposte proprie del Comune (come addizionale Irpef e Tasi), sia per erogare servizi di migliore qualità e accelerare la riqualificazione urbana.

La responsabilità, però, è una medaglia con due lati: se Napoli non sarà capace di investire su se stessa, il gettito fiscale diminuirà e il quadro finanziario diventerà più pesante rispetto
a un meccanismo basato sui sussidi. Ma non è proprio di questo che ha bisogno una comunità per mettersi alla prova? Le sfide rendono forti.
=========la citazione===========

“La città di Napoli, come tutte le grandi città che cessano di essere centri di un governo di un grande Stato, la città di Napoli ha fatto all’Italia un immenso sacrificio; l’Italia ha in questo modo contratto un grande debito verso la città di Napoli e l’Italia dovrà soddisfarlo”.

(Ubaldo Peruzzi, fiorentino, primo ministro dei Lavori pubblici, discorso in Parlamento del 1861 – tratto da G. Galletti, P. Trompeo, Atti del Parlamento italiano: sessione del 1861, VIII legislatura, p. 163, Tipografia Eredi Botta, Torino 1862)

 

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