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Riflessioni sul referendum catalano

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di Marco Rossano, sociologo

Sono 15 anni che vivo a Barcellona e non ho la presunzione di sapere cosa è giusto o sbagliato. So che esiste una “questione catalana” che affonda le sue radici nel tempo e che è molto più complessa di quello che molti politici e mezzi di comunicazione stanno dando in queste ultime ore. Non si può paragonare alla Scozia o al Sud Italia, ogni contesto ha le sue peculiarità e le sue cause. Non è questa la sede per un’analisi dettagliata delle ragioni storico culturali della “questione catalana”. Voglio però riflettere sulla giornata di oggi 1 ottobre 2017, giorno del referendum. Si è arrivati a uno scontro frontale, a un muro contro muro che non porterà a nessuna soluzione e probabilmente la aggraverà. In questo contesto non esistono buoni o cattivi, oppressi ed oppressori, vittime e carnefici. Tutte le parti in causa hanno la loro dose di responsabilità in questa situazione che si è radicalizzata e polarizzata. O sei con me o sei contro di me, o sei mio amico o mio nemico. Le misure giudiziarie e di polizia delle ultime settimane, gli interventi repressivi della giornata di oggi sono eccessivi e antidemocratici, ma sono anche una risposta (che non giustifico e condanno) alla violazione di leggi e regole fondamentali da parte del governo catalano.

Non c’è dubbio che esiste una “questione catalana” che la politica spagnola ha in più occasioni negato e che ha trovato il suo culmine nella incostituzionalità dello Statuto Catalano nel 2010. Da allora, con il ritorno del Partido Popular (partito di centrodestra) al governo nazionale, le posizioni si sono radicalizzate e l’atteggiamento di rifiuto e di mancanza di riconoscimento da parte delle istituzioni spagnole ha di fatto avuto un ruolo importante nella crescita del movimento indipendentista catalano e la fine di ogni tipo di dialogo fino all’escalation odierna.

Sicuramente uno dei responsabili della situazione attuale è il PP e il suo leader Mariano Rajoy. Dall’altro lato non vanno dimenticate le responsabilità del governo catalano e dei suoi rappresentanti. Nel 2015 durante le ultime elezioni al parlamento catalano, i partiti indipendentisti hanno totalizzato meno del 48% anche se hanno ottenuto la maggioranza parlamentaria. Il governo catalano ha interpretato questo voto come un mandato a procedere sulla via dell’indipendenza. Il sociologo Peter Wagner, professore all’Università di Barcellona, ricorda che tra le cose fatte, il Govern ha riscritto le procedure del parlamento catalano, non tenendo conto della consulenza legale dei propri esperti . Ha proposto, attraverso il parlamento, una legge per un referendum e una cosiddetta legge di rottura, equivalente a una dichiarazione di indipendenza unilaterale. Il passaggio di queste leggi viola la costituzione catalana – l’Estatut – fino ad allora visto orgogliosamente come espressione dell’autodeterminazione catalana. In questo processo, ai partiti dell’opposizione sono stati negati il diritto di dibattito e di proporre emendamenti. Wagner addirittura afferma che “queste leggi assomigliano alla legge di abilitazione (Ermächtigungsgesetz) al Parlamento di Weimar del 1933, anche se il governo catalano non si è preoccupato nemmeno di assicurare la maggioranza dei due terzi”.

In questo clima di scontro, il governo catalano cerca di dare l’impressione che esiste una doppia legalità, una spagnola e una catalana, la prima imposta e la seconda liberamente autodeterminata. Il governo catalano trasmette l’idea, investendo anche una quantità notevole di fondi, di portare avanti la volontà della società catalana con la consapevolezza che l’indipendenza non è mai stata scelta dalla maggioranza dei catalani. Ma nonostante tutto il Govern giustifica la violazione delle leggi e della Costituzione esistente in virtù di una volontà indipendentista della Catalogna. La propaganda catalana degli ultimi anni riversa sullo stato spagnolo le colpe di tutto. Uno stato che i catalani dimenticano di aver partecipato – liberamente – a creare durante la difficile fase della “transizione” dalla dittatura fascista e che ha portato ingenti investimenti sul territorio tra cui le Olimpiadi del 1992 che hanno cambiato il volto di Barcellona portandola alla ricchezza e allo sviluppo attuale e che non avrebbero certo ottenuto con una Catalogna indipendente.

Un dato è certo. L’autoritarismo del governo Rajoy ha portato a una radicalizzazione dello scontro. La grande maggioranza dei catalani vuole un referendum, vuole poter decidere il proprio futuro. Ma, a mio avviso, il referendum di cui ci sarebbe bisogno non è questo organizzato dal governo catalano in violazione della legge e dei principi democratici. La democrazia e la libertà non si esercitano solo nella possibilità di votare, sacrosanta e legittima, ma anche nel rispetto dello stato di diritto e delle minoranze che tanto minoranze non sono. Il muro contro muro non serve a nessuno e porterà solo a un vicolo cieco. L’unica via è quella del dialogo che né il governo spagnolo né quello catalano sembrano voler perseguire.

Il Sud è così cattivo come lo disegnano?

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a cura di Marco Rossano
Sociologo Visuale

Il 10 febbraio 2016 la puntata de “Lo Stato dell’Arte”, programma di Rai Cultura dedicato ai grandi e piccoli temi d’attualità, è intitolata “il Sud è così cattivo come lo disegnano?”. Conduttore della serata il giornalista Maurizio Ferraris con ospiti Alessandro Laterza editore e vice presidente di Confindustria con delega al Mezzogiorno e Stefano Cristante docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’Università del Salento.

Il comunicato stampa della Rai recita: Nei media nazionali, il Sud Italia – il Meridione – è spesso rappresentato come terra della criminalità e del degrado. Questa rappresentazione si limita a cogliere dati di fatto, oppure aggiunge ai fatti un’interpretazione che fa di alcuni problemi locali la chiave di lettura di un’intera area geografica? Il Sud ha nella cultura e nell’opinione pubblica italiana l’immagine che davvero si merita, oppure è oggetto di processi di semplificazione e di caricatura?

Incuriosito ho seguito i 25 minuti di trasmissione e sono rimasto piacevolmente colpito dai contenuti, dai toni e dalle informazioni che sono state divulgate.

Laterza si è soffermato sull’aspetto politico ed economico della nuova questione meridionale cercando di sfatare diversi luoghi comuni tra cui quelli negativi sul lavoro pubblico, criminalità e spreco di risorse. L’editore pugliese ricorda come le risorse destinate al Sud, contrariamente a quanto ritenuto dall’opinione pubblica, sono minori rispetto a quelle destinate al Nord del paese. Afferma che i meridionali non sanno che negli ultimi 10 anni ogni cittadino del Sud ha ricevuto circa 3000/4000 euro in meno rispetto a uno del Centro Nord. Un dato che non riflette la retorica che racconta di grandi sforzi da parte del paese di colmare il divario tra le due aree. Uno sforzo che in realtà non c’è e, rimarca Laterza, di fatto è un problema politico e culturale.

Durante il programma si mette in risalto che il numero dei dipendenti pubblici nel Sud rientra nella media nazionale. Così come non è vero che il meridione sia l’epicentro della corruzione e della criminalità organizzata che ha da tempo spostato il suo baricentro verso il Nord del paese e all’estero. Oppure si affronta il problema della formazione universitaria che vede le università del sud depauperate a vantaggio di uno spostamento delle risorse verso quelle del nord.

C’è un atteggiamento generalizzato da parte della politica e dei media a non evidenziare gli aspetti positivi esistenti nel Mezzogiorno come per esempio nel campo della produzione culturale – dalla narrativa alla musica, dal cinema al teatro – i cui maggiori esponenti provengono tutti dalle regioni meridionali. Insomma contrariamente al pensiero dominante il Sud è vivo, in fermento e produttivo.

L’intervento che ho trovato più interessante, dal momento che sono un sociologo visuale e mi occupo di questi argomenti, è quello di Stefano Cristante sociologo della comunicazione. Il professore che dopo aver insegnato a Padova e Roma attualmente è docente a Lecce presso l’Università del Salento è autore del libro “La parte cattiva dell’Italia. Sud, media e immaginario collettivo” (2015) un lavoro che descrive e analizza il modo in cui viene narrato il Sud nella comunicazione di massa e lo fa indagando telegiornali e testate nazionali, siti internet e opinioni di protagonisti dell’industria culturale.

Cristante sollecitato dal conduttore afferma che gli organi di informazione giocano un ruolo di primo piano nel costruire l’immagine negativa del meridione, mettendo in risalto sistematicamente e quasi esclusivamente notizie legate alla criminalità, alla violenza e alla malasanità in modo da rappresentare il Sud come una zavorra per il resto d’Italia. Particolarmente interessanti e spunto di riflessione sono i dati raccolti e analizzati da Cristante che alla domanda di Ferraris su quali siano i motivi per cui il Sud viene dipinto in modo così negativo risponde con i risultati raccolti investigando sul Tg1, il telegiornale più seguito dagli italiani. Da 35 anni solo il 9% delle notizie apparse sul Tg1 sono dedicate al Sud Italia, parte del paese che conta 1/3 della popolazione nazionale. Come se non bastasse la mancanza di attenzione e la sottorappresentazione del meridione, di questo 9% ben il 75% è rappresentato da cronaca e criminalità seguito dal meteo e dal welfare che la maggior parte della volte si traduce in casi di malasanità. Tutto il resto, anche campi in cui il Sud eccelle a livello nazionale e internazionale come per esempio la cultura, non viene raccontato.

Dalle parole e dal libro di Cristante si evince chiaramente che le proteste che in questi ultimi anni si stanno levando da Sud contro gli organi di informazione e contro una politica nazionale nordcentrica, non sono sintomo di un vittimismo che storicamente si utilizza per descrivere le popolazioni meridionali, ma risultato di un malessere profondo e di una presa di coscienza da parte di molti settori nel Mezzogiorno che hanno voglia di cambiare e di non essere più trattati né considerati la “palla al piede” causa dei problemi dell’intero paese.

Purtroppo la classe dirigente e politica meridionale non è ancora in grado di intercettare il malcontento e di proporsi come una vera alternativa di cambiamento anche se in alcuni casi qualcosa si comincia a muovere.

Concludo con un estratto del libro Numero Zero (2015, 58-59) del compianto Umberto Eco:

“Lo so che si è sdottorato sul fatto che i giornali scrivono sempre operaio calabrese assale il compagno di lavoro e mai operaio cuneese assale il compagno di lavoro, va bene, si tratta di razzismo, ma immaginate una pagina in cui si dicesse operaio cuneese eccetera eccetera, pensionato di Mestre uccide la moglie, edicolante di Bologna commette suicidio, muratore genovese firma un assegno a vuoto, che cosa gliene importa al lettore dove sono nati questi tizi? Mentre se stiamo parlando di un operaio calabrese, di un pensionato di Matera, di un edicolante di Foggia e di un muratore palermitano, allora si crea la preoccupazione intorno alla malavita meridionale e questo fa notizia… Siamo un giornale che si pubblica a Milano, non a Catania e dobbiamo tener conto della sensibilità di un lettore milanese. Badate che fare notizia è una bella espressione, la notizia la facciamo noi, e bisogna saperla far venire fuori dalle righe. Dottor Colonna, si metta nelle ore libere con i nostri redattori, sfogliate i dispacci di agenzia, e costruite alcune pagine a tema, addestratevi a far sorgere la notizia la dove non c’era o dove non si sapeva vederla, coraggio”.

 

Napoletani en Barcellona

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