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È Brescia la vera terra dei fuochi?

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di Massimo Mastruzzo

La provincia di Brescia smaltisce 57 milioni di metri cubi di rifiuti tossici, quella di Caserta, nella Gomorra di Saviano, 10 milioni. La verità fa male se si mettono in fila altri dati: l’incanto delle colline moreniche dei laghi, quelle dolci e succose di Franciacorta, le bellezze della Brescia antica attorniate da cave piene di amianto, pcb, metalli ferrosi.»

Questo è quanto dichiarava nel giugno 2015 Marino Ruzzanenti, ambientalista fondatore di «Cittadini per il riciclaggio»

Oggi a Brescia, dove in una città già avvelenata dalla Caffaro, c’è anche l’inceneritore più potente d’Europa, il procuratore aggiunto Sandro Raimondi dichiara:”Brescia nuova terra dei fuochi“.

Brescia nuova terra dei fuochi” , il procuratore aggiunto della magistratura cittadina Raimondi, lo ha detto durante l’audizione alla commissione bicamerale d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti a Montecitorio parlando dell’inchiesta di luglio sui rifiuti ( Qui il link del testo completo )

Un incendio sviluppatosi nell’ottobre 2014 al capannone di trattamento della spazzatura alla Trailer di Rezzato, un comune limitrofo a Brescia, aveva portato alla luce 100 tonnellate di rifiuti in balle e altri 200 senza alcun imballo, questo in sintesi quello che aveva fatto avviare l’indagine.

Diversi rifiuti speciali, ma non pericolosi, erano finiti anche negli impianti di A2a a Brescia. Il lavoro prodotto dall’indagine era poi arrivato al giudice di Brescia Alessandra Sabatucci che a luglio aveva firmato l’ordinanza di arresto per due persone e indagato altre 26, mentre i gruppi per il trattamento dei rifiuti coinvolti erano 24.

L’inchiesta della magistratura sta arrivando a conclusione e lunedì 9 ottobre è stato dato spazio alla prima udienza dopo una richiesta arrivata dallo stesso procuratore Sandro Raimondi.

I rappresentanti di alcuni gruppi coinvolti nell’indagine, compresa A2a, si sono presentati in camera di consiglio davanti al giudice. È in questa occasione il magistrato ha chiesto al gip di interdire temporaneamente dall’attività le aziende coinvolte, tra queste anche A2A Ambiente a Brescia, oppure imporre il divieto di fare contratti pubblici o ancora di procedere con il commissariamento.

Il prossimo 25 ottobre ci sarà il prosieguo dell’udienza, l’8 novembre il giudice si esprimerà sulla richiesta del procuratore.

Dall’audizione alla commissione bicamerale d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti del procuratore Raimondi si comprendeva anche come le stesse aziende NON hanno dovuto fare ricorso alla criminalità organizzata “perché ormai hanno imparato e sanno come si fa, lo fanno in autonomia“.

La stoccata è arrivata quando ha fatto riferimento ai rapporti tra amministratori pubblici e i vertici delle aziende indagate: “Ci sono rapporti inquietanti tra amministratori pubblici e i vertici di queste aziende. Il coniuge del presidente di una provincia del NORD ha avuto una Fiat da 30 mila euro pagati con finte consulenze e che avrebbero permesso ad A2a di comprare una società, la Aral, che con il traffico illecito di rifiuti è riuscita ad andare in attivo dopo il pesante passivo“.

Questa vicenda per me, è doppiamente triste, il territorio dove sono nato e cresciuto e quello dove sono stato costretto ad emigrare per lavorare da una nazione con una disomogeneità territoriale unica in Europa accomunati dallo stesso tragico destino scritto da industriali-criminali che lucrano sulla pelle dei cittadini.

Un rammarico però mi ferisce, forse, ancora di più: il pregiudizio nazionale post unitario che ha cercato di pulirsi la coscienza attraverso l’accusa dell’erba marcia del vicino, non vedendo così quella ancora più marcia sotto i propri piedi.

Questa deviazione della realtà prosegue incredibilmente anche dopo che diverse inchieste, come quella di Legambiente che ha presentato il dossier LE ROTTE DELLA TERRA DEI FUOCHI (qui scarica il dossier) hanno evidenziato quanto l’accusatore fosse in realtà più “sporco” dell’accusato, ed è così deviante che, ad esempio, all’immediata ed ingiustificata fobia della mozzarella di bufala nell’immediato post terra dei fuochi, nessuna giustificabile attenzione è stata rivolta al territorio con maggior produzione di inquinanti. Uno squilibrio tra eccessivo allarmismo da una parte ed eccessiva protezione del tessuto economico dall’altra che è sintomatico di questa nazione: il sud e i suoi figli spuri sono quelli sporchi, il nord non può esserlo.

Questo nonostante localmente è risaputo che fino agli anni ’80 non c’era una legge sullo smaltimento dei rifiuti speciali e le cave di terra e sabbia nel bresciano erano buche perfette.

Le aziende pagavano il proprietario e le riempivano soprattutto con scarti dell’industria siderurgica .

Sembra che questo secolo e mezzo di pregiudizio nei confronti del sud, abbia totalmente alterato la visione dell’opinione pubblica da modificarne geneticamente la capacità di giudizio critico, altrimenti non si spiega come mai si continui a pensare che il “nemico” arrivi da lontano e non dal territorio italiano più industrializzato e di conseguenza il maggior produttore di rifiuti industriali: il lombardo-veneto.

 

Perché ci sono veleni e veleni

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Le istituzioni e i cittadini della provincia di Catanzaro sono in fermento per le note vicende portate in risalto dalla cronaca nazionale con il programma delle Iene circa la presunta presenza di sostanze pericolose, radioattive, sulla spiaggia di Calalunga di Montauro.

La mobilitazione mediatica  ha portato  immediatamente  sul posto  i nuclei speciali dei Vigili del Fuoco e dei Carabinieri per  effettuare un sopralluogo, con contestuali misurazioni radiometriche e, da subito, dagli accertamenti effettuati, non venivano  evidenziati parametri al di fuori della norma.

Il Commissario dell’Arpacal, chiamato direttamente in causa dal Prefetto, ha  dichiarato  che la vicenda, di cui si e’ occupata la trasmissione televisiva, era stata oggetto di diverse verifiche nel corso degli anni 1995, 1996 e 2002; le analisi condotte sulle spiagge, sulle acque costiere e sui sedimenti, nonche’ su alcuni campioni del pescato non hanno mai rilevato la presenza di radionuclidi di origine antropica nell’ambiente costiero catanzarese. Gli esiti degli studi condotti dall’Anpa e dall’Apat nel 2002 sono pubblicati sui siti dell’Arpacal e dell’Ispra.

Nei giorni successivi sono state  nuovamente  ripetute le misurazioni e i prelievi da parte del fisico Dott. Salvatore Procopio dipendente Arpacal  ed incaricato dalla Procura della Repubblica di Catanzaro per questo specifico problema ad effettuare le analisi. Anche  queste rilevazione hanno dato esito negativo: non vi sono tracce tali da dover procedere con provvedimenti drastici.

A questo punto  le domande che ci poniamo sono diverse e talune inquietanti.

Sappiamo che i paesi di quel tratto di costa hanno appena fatto richiesta di bandiera blu. Il dubbio sorge spontaneo,potrebbe trattarsi  forse di una forma di  boicottaggio? le nostre meravigliose spiagge, riconosciute tali da tutti i visitatori, danno forse fastidio? Danneggeremo forse qualche nota spiaggia del nord? Non è forse vero che strumenti per  rilevazione così delicate non possono , seppur certificati ,  essere utilizzati da chiunque  per elaborare teorie e mettere in subbuglio un’intera regione? E potremmo continuare a lungo con gli interrogativi che ruotano intorno a questa vicenda.

Ricordiamo che  i dati statistici  del  turismo in Italia sono confortanti sia per il 2015, cosi come le proiezione del 2016 e per il futuro.

Infatti secondo lo studio e ricerche Enit “L’Europa – che si conferma l’area più visitata del mondo – ha raggiunto quota 607,7 milioni di arrivi, con 27,5 milioni di turisti in più rispetto al 2014; l’aumento è apprezzabile anche nell’Europa Meridionale/Mediterranea con 10,4 milioni di arrivi in più (+4,8%)”

Per questo e tanti altri motivi, in sostanza, i Calabresi vogliono che si faccia chiarezza sulla vicenda  a tutto tondo  per sgomberare ogni possibile dubbio residuo. Da tempo si chiede con forza che venga istituito un registro tumori che faccia una mappatura reale della incidenza di tale malattia e che individui anche eventuali dirette ed indirette cause ambientali, dove ve ne fossero.

Danno di immagine, per le inevitabili conseguenze negative sul turismo che è la base della nostra economia costiera, e procurato allarme: sono questi i reati eventuali che verranno utilizzati dal sindaco di Montauro, Pantaleone Procopio, a tutela della collettività che presiede qual’ora se ne stabilissero i presupposti.

La vicenda appare quindi non del tutto conclusa e ci  auguriamo che ciascuno  riesca a fare serenamente il proprio lavoro senza sconfinare, talvolta e frettolosamente,  nelle competenze dell’altro generando il caos mediatico.

di Lucia Gatto

A Leno (BS) soda caustica e scorie di amianto sotterrati vicino alle abitazioni, falda a rischio

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di Massimo Mastruzzo

“L’immunità” che ancora oggi rende impuniti gli attori della vicenda Caffaro a Brescia continua a fare scuola, ed allora nel già martoriato territorio lombardo alcuni industriali, che per usare un eufemismo chiamerò criminali, continuano impunemente ad avvelenare i cittadini di Brescia e provincia.

È di oggi 21 giugno 2016  la scoperta dei carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico e dei tecnici Arpa di una maxi discarica abusiva a Porzano di Leno, frazione del comune di Leno in provincia di Brescia.

Un’azienda, la Alnor Alluminio fallita nel 2014, lo stabilimento, finito all’asta nel 2015,  comprato dalla friulana Aps Extrusion – quest’ultima estranea all’inquinamento – sembra si sia (le indagini sono in corso) liberata in modo totalmente illecito di scorie altamente pericolose, contenenti soda caustica ma anche amianto, sotterrandole dietro lo stabilimento, a pochissima distanza dalla prima falda e vicino alle abitazioni.

Una dettagliata segnalazione giunta agli investigatori ha indotto gli stessi, il 14 giugno a recarsi allo stabilimento, ed così che i carabinieri del Noe ed i tecnici Arpa, trovando la totale collaborazione dei vertici dell’Aps Extrusion, e con l’ausilio di un piccolo escavatore messo a disposizione dall’amministrazione locale, hanno scoperto sul retro dello stabilimento, a pochi metri di profondità, diversi sacchi contenenti una polvere di idrossido di sodio (soda caustica) probabilmente residui delle vasche di pulitura dei manufatti prodotti in passato dalla Alnor Alluminio, che anziché essere portati in una discarica specializzata qualche industriale criminale a trovato più “vantaggioso” smaltirli sotto qualche metro di terra.

La soda caustica ( quella che si usa per sturare i lavandini) è altamente solubile ed essendo stata sotterrata a pochissima distanza dalla prima falda, potrebbe portare seri problemi a chi possiede pozzi artesiani privati ( in zona ci sono diverse abitazioni). Per fortuna l’acquedotto comunale sembra non corra rischi visto che  il pozzo di pescaggio si trova in un’altra zona  e  ad una profondità maggiore.

I cittadini non dovrebbero però misurare in distanza e profondità i rischi per la loro salute, eppure istituzione e politici, che sono responsabili della tutela del territorio, sembrano più preoccupati a difendere il buon nome del territorio evidenziando disappunto quando la provincia bresciana viene ribattezzata come Terra dei fuochi del nord, tutelando più il buon nome dell’imprenditoria locale che la salute dei cittadini. Eppure è cosa nota che anche da questi territori sono partiti gli inquinanti che hanno resa famosa la ben più tristemente nota Terra dei Fuochi campana, residui della stessa Caffaro di Brescia furono ritrovati nel lontano sud, come se alimentare un pregiudizio verso l’altrui inquinamento rendesse meno visibile quello in casa propria.

Ma scoperta la pentola, scoperto l’inganno e con la conseguente presa di coscienza dei cittadini bresciani che stanno comprendendo che gli “altri” cittadini residenti un poco più a sud sono a loro volta vittime di criminali (passatemi ancora un’ultima volta l’eufemismo) si è arrivati il 10 aprile ad una manifestazione, organizzata da BASTA VELENI, che racchiude decine di sigle dell’ambientalismo bresciano, a portare in strada a Brescia circa 12 mila persone provenienti da tutta la provincia ma anche con rappresentanze arrivate da Firenze e da Acerra.

Nel Bresciano gli assassini (avevo detto che non avrei più usato un eufemismo) hanno prodotto 148 discariche che contengono 55 milioni di metri cubi di scorie. E l’Arpa ha stimato che solo nel sito inquinato Caffaro siano stati dispersi 500 chili di diossine. E da sotto la fabbrica, nei fossi, finiscono ancora 478 chili di veleni l’anno (cromo, mercurio, solventi clorurati).

Eppure anche questa volta individuare i responsabili non sarà facile, ed una volta individuati rimarrà il problema di dove reperire i soldi per le bonifiche visto che come al solito i profitti privati risultano sempre indisponibili. Quello che, come sempre, resta sono i danni ai cittadini ed all’ambiente pubblico. Come sempre.