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Il treno Palermo – Siracusa: simbolo di una rete fantasma al sud

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di Eleonora Greco

Si è parlato tanto del tema “trasporti al sud”, di collegamenti e treni fantasma, specie in Sicilia. Ora la novità: un treno diretto da Palermo a Siracusa.

Lo annunciò Trenitalia nei mesi scorsi e pare che il progetto abbia preso forma. La Sicilia potrà finalmente collegare la zona sud orientale alla zona occidentale. Ma ciò non basta a placare la mancanza di collegamenti capillari per l’intera isola. I riflettori si accendono su una realtà emarginata e abbandonata: totale assenza di investimenti, continui tagli ai treni a lunga percorrenza, ritardi, soppressioni. E pare, da voci di corridoio, che i treni utilizzati per la nuova tratta siano scarti del nord.

Per il sistema politico tutto ciò è normale! Chi viaggia, però, gli occhi chiusi non può tenerli. E al Sud succede di tutto: dal biglietto per un intercity che poi sarà un regionale ai treni alimentati ancora a gasolio. Eppure nessuno, dall’ “alto”, si impegna a salvaguardare le linee ferroviarie che col passare degli anni sono state ridotte da e per il meridione. Persino il CEF (Connecting Europe Facility), che avrebbe potuto potenziare i servizi, non l’ha fatto! Ha preferito collocare i 7 miliardi di euro previsti per il trasporto ferroviario al Sud in progetti da Roma in su. Il ministro delle infrastrutture e dei trasporti Graziano Delrio ha inaugurato da circa due mesi i lavori per la tratta ad alta capacità tra Napoli e Bari (da non confondere con l’alta velocità). Lavori che si concluderanno nel 2025. Altri 10 anni per collegare le due principali città del Sud continentale con tempi di percorrenza penosi. L’alta velocità qui da noi ha solo la funzione di esportare i nostri cervelli al nord.

Una vera e propria vergogna “all’italiana” che condiziona lo sviluppo economico e sociale. Basta dare un’occhiata al TAV e alla rete ferroviaria in Europa per capire che il Mezzogiorno, la zona a più alta concentrazione di patrimoni culturali, è isolato dal resto del mondo. Creare una rete di autostrade, ferrovie, aeroporti ben collegata costituirebbe un requisito fondamentale per lo sviluppo di una solida economia meridionale.

Colpo di stato nelle ferrovie dello sfascio: vanno ai privati

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di Raffaele Vescera dalla pagina Terroni di Pino Aprile

Le ferrovie italiane, dopo la spesa infrastrutturale di un centinaio di miliardi di euro riservata al solo Nord e la limitazione dell’uso costosissimo dell’alta velocità alle classi più agiate, fanno finalmente profitti, nella misura di 300 milioni e più di euro l’anno. E allora che cosa fa il “buongoverno” di Renzi? Usa questi soldi per migliorare la vergognosa situazione delle ferrovie al Sud, prive di binari e di treni? No. Li usa per migliorare il servizio pubblico ai pendolari, trasportati come sardine all’ammasso? Macché, l’ingegnoso Renzi fa invece qualcosa che la fellicità dei soliti gruppi finanziari, saldamente ancorati sotto l’arco alpino, gli stessi che hanno fatto lievitare i costi dell’AV a cifre da galera, sei volte il costo reale. Come dimostrato dal giudice Ferdinando Imposimato nel suo libro “Corruzione ad alta velocità”.

Le storiche ferrovie Italiane, costate soldi e sacrifici a milioni di cittadini che pagano le tasse, finiranno nelle mani dei privati: “Ma solo per il 40%”, precisa il ministro Delrio. Dopotutto è stato fatto lo stesso con le Poste, diventate, in mano ai privati, agenzie che forniscono di tutto alla clientela, servizi bancari, gadget, ricariche telefoniche, giornali caffè panini e birra, tranne il servizio pubblico postale, ormai carissimo e malfunzionante. E’ la legge del profitto privato, bellezza. Peggio ancora è andata alle autostrade, pagate con i soldi delle nostre tasse, e poi, ad ammortamento costi avvenuto, quando il pagamento del pedaggio non sarebbe più giustificabile, affidate ai privati, famiglia Benetton più che altri, che incassano pedaggi senza dover fare investimenti infrastrutturali. Guadagno puro e sicuro.

Il presidente delle FS, Marcello Messori si oppone alla privatizzazione, a suo avviso le ferrovie devono continuare a svolgere un servizio pubblico, mentre l’Amministratore delegato Michele Elia, pugliese, ahinoi meridionali, sembra seguire gli indirizzi governativi. Dopo gli inviti inascoltati di Renzi a Messori ed Elia a farsi da parte, il podestà fiorentino decide di fare il colpo di stato, dimissioni dei nove membri del Consiglio d’amministrazione con conseguente decaduta dei vertici. Così sarà garantito il totale disco verde alla svendita.

A chi andranno le ferrovie non è dato ancora sapere, come ancora non è chiaro se sarà privatizzato solo il settore circolazione treni, quello che produce i veri profitti, oppure se sarà privatizzata anche la rete dei binari e delle infrastrutture, che prevede costi di manutenzione elevati, la RFI. Ma ciò che pare più probabile è la solita statalizzazione delle perdite e l’ancora più solita privatizzazione dei guadagni. E’ l’ennesima cambiale pagata da Renzi alle potenti famiglie del Nord che lo hanno voluto al governo e lo difendono, anche con annunci pubblici a pagamento sui giornali.

Come riportato da Repubblica.it, “Per Stefano Fassina di Sinistra Italiana si tratta di un “ulteriore drammatico disinvestimento e peggioramento per i servizi di trasporto per i pendolari, già duramente colpiti dai continui tagli dei trasferimenti dal bilancio dello Stato alle Regioni e da tempo impoveriti dalla concentrazione degli investimenti dell’azienda sull’Alta Velocità”. Per il responsabile economico del Pd, Filippo Taddei, invece “si compie un passo importante verso la modernizzazione del settore e l’apertura del mercato anche nel nostro Paese”.

Ovviamente, a nessuno dei due viene in mente che se esiste una ferrovia di serie A, l’alta velocità, un paradiso riservato per il 95% a una sola parte del paese, il Centro-Nord, e se esiste una ferrovia di serie B, un purgatorio riservato ai pendolari, ne esiste anche una di serie C, l’inferno delle ferrovie al Sud, che viaggiano ad una velocità media di 40 km l’ora, peggio di un secolo fa, con intere regioni e importanti città scollegate tra loro, seppure i cittadini meridionali paghino più tasse di quelli del Nord, come evidenziato dal recente studio della CGIA di Mestre, mica di Lecce.

Si conclude così la svendita e dei beni pubblici ai privati, persino l’acqua, bene del Cielo e dunque pubblico per eccellenza, è in mano a loro, l’Italia è spolpata come un prosciutto, più di tutto a Mezzogiorno, dove se ne vede l’osso, senza averne assaggiato la polpa.

Altro che “frecciafinta”, Delrio si è dimenticato di 84 Intercity.

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di Gianluca Coviello (da Terroni- la pagina)

Mentre Lecce esulta per il “Frecciafinta”, che non si fermerà più solo a Bari, sono a rischio in Italia 84 Intercity. Quelli meno affascinanti ma più importanti, che collegano le città tra loro. Leggi tutto

Investimenti Infrastrutture: Mezzogiorno rimandato a Settembre

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di Mattia Di Gennaro

Ricordate la direzione del PD sul Mezzogiorno del 7 agosto scorso? Ricordate Graziano Delrio che pontificava circa il suo impegno per lo sviluppo del Sud?
Bene, siamo pronti a saggiare le bontà delle sue intenzioni!

Come riportato nell’articolo di Alessandro Arona su “Il Sole 24 Ore” del 23 Agosto, entro il 30 Settembre il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, lo stesso che dichiarò “non s’investe in infrastrutture al Sud perché ci sono troppe rocce”, potrà dimostrare la propria serietà politica nei confronti del Mezzogiorno, dato che in questa data sarà presentato al CIPE la nuova versione dell’allegato “Infrastrutture” al Documento di Economia e Finanza.

Giusto per ricordarlo, l’allegato “Infrastrutture” è quel documento che nella versione 2014 prevedeva, tra le altre cose, progetti in infrastrutture “Connecting Europe Facility” per 7 Miliardi e 9 Milioni di euro ripartiti 7 Miliardi e 5 Milioni al Centro-nord e solo 4 milioni a Sud.

In materia di infrastrutture, Settembre è un mese cruciale. E’ infatti in fase di finalizzazione l’aggiornamento al 2015 del contratto di programma per la Rete Ferroviaria Italiana, sottoscritto da Trenitalia e dal Ministero per le Infrastrutture e i Trasporti. Le cifre in ballo sono interessanti: gli investimenti ammontano a 4 miliardi di euro!
Secondo voi, come saranno state allocate le risorse? La risposta è, purtroppo, ormai scontata:
– 3 Miliardi alla TAV Brescia-Verona-Padova, che detiene il record della più costosa linea ad alta velocità del mondo con 70 milioni di euro a km (piuttosto, un treno ad alta voracità…di soldi pubblici);
– 600 Milioni al terzo valico di Genova così che i treni possano trasportare merci da e verso il porto di Genova, affossando definitivamente Gioia Tauro e gli altri scali del Sud;
– 400 milioni all’ammodernamento generale della rete ferroviaria nazionale non meglio precisamente allocati tra Nord e Sud.

Qualche buona notizia, teoricamente, c’è. Uno dei punti chiave su cui il CIPE sarà chiamato ad analizzare è quello relativo alle politiche per il Sud che il Governo ha promesso ma che non ha ancora formalizzato e, con tutta probabilità, neppure ipotizzata. A riprova di ciò, le dichiarazioni del premier Renzi, il quale durante la direzione PD ha ammesso candidamente che quell’incontro era solo un incontro preliminare, quasi a confessare che prima d’ora il Governo non aveva mai discusso di Mezzogiorno!

Intanto i 54 miliardi di Fondi per lo Sviluppo e la Coesione previsti nella legge di stabilità 2014 si sono ridotti già ai 42 miliardi degli Accordi di partenariato. Una drastica cura dimagrante per un paziente già anemico e sottopeso, il tutto per distogliere i fondi per le aree sottosviluppate ad altri scopi, alla maniera della Lega Nord e di Tremonti, che con i fondi FAS destinati al Mezzogiorno ci pagava le multe per le quote latte dei produttori padani.
Per non parlare, di altri provvedimenti che hanno contribuito a dividere ancora di più l’Italia tra cittadini di serie A e B. Ad esempio, i fondi per il piano di prevenzione del dissesto idrogeologico, che nonostante la strage di Rossano in Calabria o del Gargano sono state destinate in maggioranza al Centro-nord.
Qualcosa destinata in maggioranza al Sud, però, c’è: il famigerato PON “Infrastrutture e reti”, approvato dalla Commissione Europea lo scorso 29 luglio, che si occuperà di finanziare progetti infrastrutturali a valere sulle tratte ferroviarie Napoli-Bari, Catania-Palermo oltre ad investimenti per la Salerno-Reggio Calabria e per alcuni porti del Mezzogiorno. Un bel librone di 120 pagine abbondanti che da un lato spiega quali sono i gap infrastrutturali del Sud e dall’altro fornisce le ricette per la loro soluzione. Tuttavia, la dotazione del PON Infrastrutture e Reti è di 1 Mld e 800 Milioni per tutto il Mezzogiorno, poco più della metà di quanto stanziato per la TAV Brescia-Verona-Padova. Questo vale il diritto alla connessione delle città del Sud, meno di una connessione tra tre province del Nord.

Opinabili, inoltre gli obiettivi che tale programma di investimenti rivendica: a fronte di una distanza tra Napoli e Bari di poco più di 200 KM, l’obiettivo è portare gli attuali 185 minuti del viaggio ferroviario a 167; giusto per un confronto, Napoli e Roma sono distanti circa 190 KM e in FrecciaRossa sono lontane appena 70 minuti! Per non parlare delle politiche relative al rilancio dei porti mediterranei, senza mai la pretesa di fare diventare un porto meridionale il principale scalo merci del Paese.

Il PON “Infrastrutture e Reti” è, dopotutto chiarissimo negli intenti. Come si può leggere a pagina 17, il Centro-Nord è “naturalmente” destinatario degli investimenti al Sud, spettano solo le briciole.

Insomma, le solite politiche anti-meridionali, soltanto in apparenza tese a risolvere i problemi strutturali del Mezzogiorno, procurando nei fatti un aggravio del divario Nord-Sud, con il primo destinatario della fetta importante degli investimenti. Intanto nel resto del Mondo la TAV sta diventando sempre più lo standard di trasporto pubblico, il Canale di Suez raddoppiato incrementa il traffico, mentre da Napoli è ancora impossibile raggiungere in treno Bari senza dover cambiare treno, così come è impossibile che uno dei più importanti porti del Mediterraneo, Gioia Tauro, non sia adeguatamente collegato alla rete ferroviaria.

Tanto cosa importa, presto da Brescia si andrà a Verona in un (costosissimo) batter d’occhio. Tanto cosa importa se a Matera, Capitale Europea della Cultura 2019, ancora non arriva il treno nazionale! Altro che‪#‎zerochiacchiere‬, il Governo ancora una volta ha dimostrato che quando si tratta di Mezzogiorno è bravo a fare ‪#‎solochiacchiere‬!

Renzi, Delrio e la favola degli 80 miliardi per il sud

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di Raffaele Vescera

E’ notizia di stamattina, i giornali la sbandierano ai quattro venti, per bocca della ministra allo sviluppo Guidi, Renzi e Delrio promettono investimenti di 80 miliardi di euro per il Sud. Non tutti danno gli stessi numeri, però Repubblica dice 80, il Corriere 12, il Mattino 22, ma quando si danno i numeri, ciò è normale. Secondo la Guidi, questa sarebbe la risposta del governo, che al sud avrebbe sempre pensato, all’appello di Saviano. Più realisticamente è la risposta alla fifa che hanno di una ribellione generalizzata del Sud, da loro già bollata come “rigurgito borbonico reazionario”, prima ancora che avvenga. La goccia che fa traboccare il vaso è la pubblicazione dei dati dello Svimez. Ribellione ben “riscaldata” dai movimenti meridionalisti che agiscono da anni come il campanello d’allarme della lista Mo alle regionali campane, Unione Mediterranea e altri, dalle pagine fb poderose di Briganti e Terroni e tante altre minori si fanno sentire.

Comunque sia, gli 80 miliardi sarebbero distribuiti nei prossimi 15 anni, il che significa circa 5 miliardi di euro l’anno che, a spulciare l’elenco dei provvedimenti in cui sarebbero impiegati, coprono esattamente i soldi già promessi per la realizzazione di infrastrutture al Sud, per industria pubblica, ferrovie, strade e altro, soldi promessi e mai stanziati dai governi italiani. Dopotutto, ammesso che tali cinque miliardi l’anno siano concessi per davvero, si tratterebbe della restituzione di una piccola parte di quella trentina di miliardi di euro l’anno che lo Stato italiano toglie al Sud, cui a fronte del 33% della popolazione italiana e del 40% del territorio, destina meno del 20% degli investimenti pubblici nazionali.

A me pare l’ennesima presa in giro per frenare la possibile e prossima ribellione dei meridionali contro uno stato avverso, a trazione nordista, in cui la lega nord è solo la punta di diamante di una generalizzata attività contro il Sud.

In ogni caso, ove vi siano investimenti per il Mezzogiorno, dobbiamo pretendere che siano destinati ai suoi bisogni reali, all’industria pubblica sì, ma innanzitutto per risanarla e non farci morire di cancro, treni ad alta velocità fino a Lecce e Palermo. Aeroporti da triplicare dando loro la stessa presenza che hanno sul territorio del nord, strade da fare e rifare, considerato che non solo la Calabria ne è priva ma tutto il Sud montano e non. E poi università e scuole.

In quanto allo sviluppo reale del Sud, vanno favorite le sue vocazioni, non solo quelle agricola e turistica, ma anche quella tecnologica, dai poli aeronautici di Campania e Puglia a quelli di nanotecnologia del Salento alle altre mille innovazioni tecno-scientifiche inventate dai giovani cervelli meridionali negli ultimi anni. Basta dare soldi agli imprenditori, anzi i prenditori del nord, che prendono milioni per aprire industrie al Sud e le chiudono dopo pochi anni portandosi le macchine al nord o all’estero.

Più di tutto, il Sud ha bisogno che lo Stato italiano la smetta di fare patti mafiosi e combatta seriamente le mafie, anziché favorirle, poiché funzionali al controllo del popolo meridionale e al trasferimento dal Sud di molti miliardi di euro l’anno, da investire al nord, per mano di sciur Brambilla prestanome. Ottanta miliardi di euro, sì, il Sud ne ha maledettamente bisogno per sopravvivere, ma che siano nuovi, veri e spesi in due anni dove servono, creando una task force di economisti e imprenditori meridionali scelti tra i migliori. Altro che l’ennesima rassicurante presa per il culo del governo in carica.

De Luca parte male: l’archeologia non è una “croce” per il Sud.

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Lunedì 13 luglio ad Afragola, in occasione della riapertura del cantiere della stazione TAV dopo 12 anni dall’avvio dei lavori, erano presenti il ministro alle infrastrutture Graziano Delrio e il neogovernatore della Regione Campania Vincenzo De Luca. Il ministro Delrio, quello secondo cui gli investimenti in infrastrutture ferroviarie al Sud sarebbero difficili da realizzare a causa della presenza delle rocce, si è mostrato nelle varie interviste possibilista circa l’avvio finalmente a conclusione dei lavori della stazione porta di Napoli della TAV. Dopo dodici anni, Afragola dovrebbe attenderne soltanto un altro paio per vedere finalmente realizzata la faraonica impresa.

Nemmeno una parola, come al solito, da parte del ministro circa la possibilità di vedere poi quel treno alta velocità sfrecciare più a Sud di Napoli.  Ah, dimenticavamo … giusto, ci sono le rocce. Peggio di Delrio è riuscito a fare solo De Luca, che in un’intervista al TG3 ha avuto l’ardire di affermare che “una delle croci dell’Italia sono i ritrovamenti archeologici”. Proprio così, per De Luca l’archeologia e i beni culturali non sono un’opportunità di sviluppo, di fare economia, di incrementare il turismo, bensì un freno alle opere infrastrutturali.

Esattamente in linea con Delrio: dalle rocce ai beni archeologici lo spazio è breve. Una cosa è certa: Delrio e De Luca sono accomunati da infinita miopia ed ignoranza, oltre che da un certo antimeridionalismo.

Lucio Iavarone, Dipartimento Ambiente Unione Mediterranea