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Il rottamatore è stato rottamato…dal Sud.

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Il popolo ha rifiutato nel merito una riforma pasticciata e neo centralista, un rifiuto politico che delegittima il governo più anti-meridionale di sempre. Il rottamatore è stato rottamato. Soprattutto al Sud con picchi di sfiducia nelle isole. La Sicilia e la Sardegna si attestano capitali del NO insieme alla Campania. In Calabria, Puglia e Basilicata le percentuali superano il 65% e la provincia di Napoli raggiunge punte del 70%. Il No ha vinto ovunque tranne che in Toscana, Emilia Romagna e nella provincia autonoma di Bolzano.

La risposta negativa al Sud è stata netta e ha fatto la differenza. Solo chi è legato o orientato dai partiti nazionali può affermare che questo risultato non rappresenti un segnale di grande insofferenza sociale verso politiche discriminatorie e nord-centriste che hanno condannato, mai come in questi anni, i territori meridionali a subalternità politica ed economica. L’esecutivo Renzi ha sbagliato tutto con il Mezzogiorno: non accorgersene riduce la dialettica politica contingente ad una versione di favore di chi non non tiene conto (o non sa interpretare) il sentimento di rabbia e ribellione che sta montando al Sud.

In questi anni di attività legislativa il Governo ha incrementato profondamente le differenze tra Nord e Sud, provando finanche ad introdurle in Costituzione con la riforma appena bocciata dagli elettori. Stiamo al merito:

-Nell’aggiornamento del contratto di programma 2012-2016 con le Ferrovie grazie alle risorse della legge Stabilità 2015 e dello Sblocca Italia, il governo ha previsto investimenti per 8.971 milioni. Destinati al Sud solo 474 milioni, al Nord tutto il resto (8.497 milioni).

-Per finanziare l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali, sono state drenate risorse dai bilanci dei Ministeri, per complessivi 700 Milioni, ma soprattutto dai fondi che le Regioni avrebbero dovuto spendere in base al Piano di azione e Coesione che gestisce gli stanziamenti europei. ll bonus fiscale, che ha reso possibile le assunzioni, si è configurato come un massiccio trasferimento di risorse dal Sud al Nord del Paese. Quasi 2 Miliardi di euro sono stati prelevati in Campania, Sicilia, Puglia e Calabria che sono serviti ad incentivare circa 538mila nuovi contratti di lavoro nelle regioni del Nord e 255mila in quelle del Centro.

-Il piano “Connecting Europe Facility“ (Meccanismo per collegare l’Europa), contenuto in un allegato al DEF 2015 contiene 7 miliardi e 9 milioni di euro per i progetti UE fino al 2020. Ecco come sono stati ripartiti: 7 miliardi e 5 milioni al centro-nord e 4 milioni al sud. L’Italia investe al sud lo 0,05% e al centro-nord il 99,95%.

-Il CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) ha previsto investimenti per 2 miliardi di euro solo al Nord. In particolare ha finanziato l’ultima tranche del MOSE per 1.2 miliardi; ha contribuito allo sblocco di opere infrastrutturali, interventi di bonifica e reindustrializzazione a Piombino e Fidenza; finanziato i contratti di filiera nel settore agricolo per 130 milioni e i progetti di sviluppo e promozione economica per i territori per un totale di 21 mln euro. Il governo inoltre ha varato un piano complessivo per il Made in Italy di 260 milioni di euro. Interessate le sole città di Milano, Firenze e Roma. Zero al Sud.

-Il governo, limitatamente ai fondi nazionali destinati al Sud e ai fondi regionali di Campania, Calabria e Sicilia, ha ridotto a un terzo il cofinanziamento italiano dei fondi europei 2014-2020. Le tre regioni meridionali hanno perso complessivamente 7,4 miliardi di euro di investimenti.

Soglie di povertà assoluta: il governo le ha calcolate in modo che risultassero più alte nel settentrione d’Italia riservando il 45% dei sussidi al Sud e il 55% dei sussidi al Nord. In tal modo è stata esaudita la richiesta delle soglie territoriali previste dalla Lega Nord nel 2005.

-Le formule sui fabbisogni standard sono state tutte pensate in modo da danneggiare i Comuni del Mezzogiorno. In particolare, per gli asili nido e l’istruzione sono stati dirottati 700 milioni di euro dal Sud al Nord. Le risorse sono state ripartite sul calcolo della spesa storica senza tenere conto dei livelli di prestazioni sociali omogenei sul territorio nazionale.

Sulla sanità sono stati attuati parametri di assegnazione dei fondi togliendo risorse ai territori meridionali dove la speranza di vita è più bassa. Il blocco del turnover nelle Università è stato intensificato al Sud poichè il merito degli atenei è stato calcolato sui redditi delle famiglie, più alti al Nord. Inoltre, per finanziare le strade provinciali e le città metropolitane è stato inserito tra i parametri il numero di occupati sul territorio, il quale è notoriamente più alto nelle zone ricche.

-Nel «Piano strategico nazionale della portualità e della logistica» in vista del raddoppio del Canale di Suez, il governo ha solo annunciato la necessità di creare le condizioni per il transito di treni porta container da 750 metri in su per i porti di Gioia Tauro, Taranto e Napoli-Salerno. Ma nessun  investimento è stato previsto a sud di Livorno entro il 2020. Diversa sorte per il traffico merci su ferro che coinvolge Genova, i porti del Nord Adriatico e il tratto Torino-Trieste.

Tra i governi più anti-meridionali della storia quello di Matteo Renzi gareggia per il primo posto, insieme ad opposizioni fantasma in Parlamento che a parte qualche colpo di tosse per facile reperimento del consenso a scadenza elettorale, non hanno saputo difendere nè contrastare il compimento e l’evoluzione trasversale del disegno leghista riassunto nello slogan “Prima il Nord“.

Il referendum costituzionale era il banco di prova per il futuro indirizzo politico del Governo. Il SI lo avrebbe reso imbattibile ed incontrastabile; il NO lo ha esautorato.

La Costituzione non può mai essere uno strumento di affermazione del potere nè un’arma di ricatto sociale. Chi è in grado di attuarla ora che il popolo si è pronunciato? Il dopo Renzi è quasi più temibile di Renzi se si osserva il panorama partitico italiano.

Il voto del 4 Dicembre segna il punto di partenza di un nuovo protagonismo collettivo in grado di rimettere al centro dei processi decisionali gli interessi delle persone e dei territori, la loro autodeterminazione e sovranità. Se c’è ancora una speranza, coincide con una visione meridiana del cambiamento, fatta di donne e uomini liberi proiettati in direzione ostinata e contraria alla deriva leghista, populista e corrotta dell’Italia di ieri e di oggi.

Il riconoscimento dei diritti della nostra terra è lotta popolare per la dignità. Attenzione perciò a non accostare o sminuire il segnale politico di resistenza che arriva dai territori meridionali alla vittoria di propaganda dei partiti nazionali: la battuta d’arresto del Governo è risposta di riscatto e autonomia dopo decenni di umiliazioni e depauperamenti.

Flavia Sorrentino

Regionalismo differenziato: la trappola nascosta per il sud

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Del perché il sud deve votare no al referendum ne abbiamo già parlato. Creare un’Italia a due velocità, che selezioni chi può avere scuola, turismo e ambiente di serie A e chi di serie B è l’obiettivo della nuova costituzione Renzi-Boschi.
La riforma toglie molti poteri alle Regioni, ma ne restituisce altrettanti alle sole Regioni ricche, cioè quelle che possono far quadrare il bilancio. In questo modo tutto il Nord ricco e perciò virtuoso, potrà decidere in autonomia che fare della scuola, del territorio, come tutelare l’ambiente, i beni culturali, promuovere il turismo, il lavoro e il commercio con l’estero. Il Sud povero invece, dovrà arrangiarsi con quel che passa la mensa dei servizi minimi nazionali. Si introduce così un “regionalismo differenziato” che nega alle popolazioni meridionali il diritto di scegliere per il proprio futuro privandole delle autonomie locali.
A proposito di questo, è bene entrare nel merito di alcune osservazioni fuorvianti che abbiamo letto in giro.
Il “regionalismo differenziato” è giusto, perché è giusto premiare chi ha i conti in ordine e punire chi i conti in ordine non li ha.
NO! Non lo è per due ragioni. In primo luogo perché non è corretto introdurre nella costituzione una norma che determina delle differenze tra i cittadini di quella che si suppone essere una stessa nazione.
In secondo luogo c’è una ragione più tecnica, ma fondamentale: le regioni del sud non possono raggiungere il pareggio di bilancio. Questo avviene perché l’imposta principale che viene trattenuta sul territorio è l’IRAP (Imposta Regionale sulle Attività Produttive). Si tratta dell’imposta distribuita in maniera meno uniforme sul territorio italiano, molto bassa al sud, molto alta al nord. Questo vuol dire il gettito a disposizione delle regioni del sud per far quadrare i propri bilanci è molto più basso di quelle del centro-nord. Ad esempio la Calabria ha a disposizione 310 euro per ciascun abitante della Regione, il Veneto 652. La Campania circa 371, la Lombardia 862.
In pratica la quota necessaria per garantire i servizi minimi è superiore alle entrate delle Regioni del mezzogiorno ordinario (più l’Umbria).
Vi opponete ad una cosa che va contro la Lega.
È vero che l’attuale assetto del titolo V della costituzione è voluto da Calderoli, ma il punto è che con questa riforma non si torna ad una situazione precedente la modifica leghista del 2001. Piuttosto la si annulla per le sole regioni meridionali e lo si fa sulla base di principi voluti dagli stessi leghisti.
In altre parole se vincesse il sì le regioni del mezzogiorno perderebbero sovranità, ma lo Stato non risparmierebbe un solo euro. Le regioni del centro-nord, invece, potrebbero continuare a legiferare.
E allora perché la Lega vota no?
Lo fa per due ragioni: la prima è di natura squisitamente politica. Salvini vuole che Renzi perda per potersi proporre come premier del centrodestra. La seconda è che, qualunque sia l’esito, loro vincono lo stesso!
Se vincesse il no, allora le cose resterebbero come stanno. Se vincesse il sì, le regioni del nord conserverebbero comunque la propria autonomia.

la “clausola di supremazia”

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L’ art.116 della Costituzione prevede che le 15 regioni a Statuto ordinario possano accedere a maggiori forme di autonomia solo nei campi indicati dalla norma. Si tratta di un ambito circoscritto alle materie di “legislazione concorrente” previste dall’art.117 a cui si aggiungono l’organizzazione della giustizia limitatamente ai giudici di pace, le norme generali sull’istruzione, la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali. Ciò più avvenire con un procedimento negoziato tra lo Stato e ciascuna singola Regione che lo richieda, mediante una legge ordinaria votata a maggioranza assoluta.

Le regioni sono fortissime per i poteri che hanno, tant’è che nessuna ha mai richiesto poteri aggiuntivi. Con la riforma Renzi-Boschi tutte le regioni a statuto ordinario perdono poteri. Diventa perciò fondamentale per il Nord riprendersi, con il trucco dei conti in ordine, ben tredici poteri strategici. L’articolo 116 infatti sarà modificato in modo che solo le Regioni in equilibrio di bilancio tra entrate e spese potranno chiedere maggiore autonomia legislativa su materie quali: organizzazione della giustizia di pace; disposizioni generali e comuni per le politiche sociali; disposizioni generali e comuni sull’istruzione; ordinamento scolastico; istruzione universitaria e programmazione strategica della ricerca scientifica e tecnologica; politiche attive del lavoro; istruzione e formazione professionale; commercio con l’estero; tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici; ambiente ed ecosistema; ordinamento sportivo; disposizioni generali e comuni sulle attività culturali e sul turismo; governo del territorio.
Resta invariato il vaglio delle Camere ma viene eliminato il quorum della maggioranza assoluta dei componenti per l’approvazione delle leggi che concedono autonomia. E quindi diventa fondamentale per il Nord riprendersi, con il trucco dei bilanci, 13 poteri fondamentali. E prendersi il vantaggio competitivo che loro potranno agire per esempio in materia di turismo o commercio con l’estero e noi no.

La virtuosità di un territorio non può dipendere dalla sua ricchezza, nè gli errori amministrativi da parte di alcune regioni del Sud possono coincidere con la privazione di autodeterminazone, soprattutto in ragione del fatto che la capacità contributiva è bassa e il pareggio di bilancio, rebus sic stantibus, è praticamente impossibile da raggiungere. E’ inaccettabile che la cosiddetta “clausola di supremazia” prevista dalla riforma, permetterà ad una Regione del Nord di decidere, ad esempio, se ospitare un sito di stoccaggio di score nucleari o opporsi, mentre la Calabria, la Campania, la Basilicata o la Puglia saranno costrette a diventare siti strategici nazionali e a subire esclusivamente le scelte dello Stato centrale. La riforma la guardo da Sud. Possiamo domandarci se è tutta sbagliata o se ci sono delle parti condivisibili, ma modificandola in questo modo diventa l’ennesimo trabocchetto anti-meridionale a danno dei nostri diritti.
Flavia Sorrentino

La sanità differenziata

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I sostenitori del “Sì” tra le argomentazioni adottate nella campagna referendaria, focalizzano l’attenzione sulle maggiori garanzie che deriverebbero in materia di salute, nel caso in cui la riforma dovesse divenire legge. Ma procediamo per ordine.
Con la Riforma del Titolo V, diversi sono stati i contenziosi tra Stato e Regioni. Le modifiche del 2001 hanno dato vita ad un Federalismo Fiscale non solidale ma asimmetrico; le regioni avrebbero dovuto colmare le diversità sul territorio e ledere gli ostacoli alla fruizione dei diritti.
Sarebbe stato compito del Fondo Perequativo, come quanto disposto dall’art. 119 della Costituzione, “rimuovere gli equilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti alla persona”, e tra questi, anche quello alla salute. Tale norma costituzionale non ha trovato applicazione, il fondo non è mai stato adeguatamente finanziato, i cittadini non si sono visti riconoscere un’uguaglianza dei servizi e delle prestazioni sanitarie, a prescindere dalla regione di appartenenza.
Un vizio originario contenuto nel Titolo V, a cui si è tentato di sopperire, con la Riforma Renzi- Boschi, aggirando il problema. L’attuale riforma che modifica l’articolo 117, non garantisce la fruizione del diritto equamente su tutto il territorio, non scioglie il nodo : con la Riforma non si inciderà sulle risorse, e quindi sul reale e originario problema; lo Stato determinerà solo i livelli essenziali. Come disciplina il 119 modificato: “Con legge dello Stato sono definiti indicatori di riferimento di costo e di fabbisogno che promuovono condizioni di efficienza nell’esercizio delle medesime funzioni”.
Compare sempre la parola “efficienza”, non equità, ergo, la prestazione e fruibilità dei servizi non dipenderà dai bisogni dei cittadini, ma sarà condizionata dalle risorse disponibili sul territorio.
La riforma costituzionale, ancora una volta, si rivela uno specchietto per le allodole, anche in materia di salute. Il binomio dicotomico regioni virtuose- inefficienti, segnerà una volta per tutte la costituzionalizzazione di una linea politica discriminante tra regioni ricche e regioni povere. La salvaguardia e la tutela dei diritti sociali escono pesantemente inficiati nella loro ragion d’essere; stiamo assistendo al dispiegamento di una riforma non perequativa ma discriminante, volta ad istituire una graduatoria tra cittadini meritevoli e no, sulla base di un criterio avente per ratio la ricchezza che sta a monte in ogni singola regione.
Carmen Altilia