Il sistema scolastico nel Regno delle Due Sicilie, prima e subito dopo l’unità

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Nei primi anni del 1800, nel Regno delle Due Sicilie, l’educazione dei ragazzi era quasi sempre affidata alla Chiesa, che da secoli svolgeva questo delicato ed importante compito.
Dopo l’istruzione primaria, della durata di tre anni, seguiva l’apprendimento di un mestiere.
I giovani figli dei contadini, per necessità, venivano da subito impegnati nei lavori agricoli e quindi erano pochi quelli che frequentavano la scuola primaria.
Pochissimi erano poi, e quasi tutti figli di famiglie nobili, quelli che continuavano gli studi, sia perché erano i soli che se lo potevano permettere, sia perché erano i soli che potevano accedere, con un’adeguata preparazione, a governare la cosa pubblica.
Pure gli studi superiori erano affidati, quasi sempre, alla Chiesa.
Anche se il sistema di educazione borbonico non era né popolare e né proprio brillante, bisogna però riconoscere che, in quei tempi, assicurò al Regno un livello culturale qualitativamente più elevato rispetto agli altri paesi europei.
Infatti, nel censimento del 1751, Napoli era la prima nelle accademie di scienze e lettere: i meridionali Gaetano Filangieri, Antonio Genovesi, Giambattista Vico, Francesco Lomonaco, Pietro Giannone e tanti altri, fecero scuola in Europa.
Poi, si svolse a Napoli, dal 20 settembre al 5 ottobre 1845, il congresso degli scienziati e nel 1856, nell’Esposizione Internazionale di Parigi, il Regno delle Due Sicilie ricevette il Premio come terzo Paese più industrializzato del mondo, dopo l’Inghilterra e la Francia.
Tutto questo grazie ai principali settori industriali dell’epoca che erano la cantieristica navale, quella tessile e quella estrattiva. Degli stati preunitari del Nord, neanche l’ombra.
In precedenza, nel periodo dell’occupazione francese (1806 – 1815), Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat tentarono, senza successo, di introdurre l’istruzione pubblica di tipo laico.
Nel 1848, il ministro della P. I. del regno delle due Sicilie, Paolo Emilio Imbriani, dopo aver disposto che la nomina e la vigilanza degli insegnanti fosse assegnata ad una commissione provinciale, introdusse l’obbligatoria dell’istruzione primaria per ambo i sessi (decreto del 19 aprile 1848).
Nel breve periodo in cui ricoprì l’incarico, il ministro, consapevole della portata politica – sociale del problema dell’istruzione e dell’alto tasso di analfabetismo che impediva la partecipazione delle masse alla vita governativa e ostacolava l’esercizio dei diritti civili anche di alcuni strati borghesi, abolì il decreto del gennaio 1843, sottraendo così l’istruzione primaria al controllo dei vescovi, sottoponendola alle dipendenze del ministero.
Nella circolare, annessa al decreto, sollecitava i sovraintendenti locali affinché si adoperassero a diffondere l’istruzione elementare, anche nelle classi più povere.
Con l’annessione forzata, del 1860, del Regno delle Due Sicilie a quello dei Savoia, il sistema scolastico meridionale cambiò totalmente in quanto venne applicata la legge Casati (ministro, dal 19 luglio 1859 al 21 gennaio 1960, della Pubblica Istruzione nel governo Lamarmora), già in vigore dal 13 novembre del 1859 nel Regno di Sardegna.
La Legge, studiata per la realtà scolastica piemontese e lombarda, venne estesa gradualmente all’intero Paese, dopo la proclamazione del Regno d’Italia.
La riforma, tendente a configurare un sistema in cui lo Stato doveva gestisce l’istruzione con la presenza delle scuole private, affrontò anche la “questione analfabetismo”, più elevato nelle regioni meridionali per i motivi detti in precedenza.
Con la Legge Casati l’Istruzione elementare venne divisa in due gradi:
1) Grado inferiore di 2 anni, istituito in ogni Comune, con frequenza obbligatoria e gratuita per quanti non ricorrevano all’istruzione “paterna”. L’iscrizione avveniva a 6 anni compiuti con un numero di allievi per classe oscillante tra 70 e 100.
2) Grado superiore di 2 anni, istituito in tutte le città in cui già esistevano istituti di istruzione pubblica e in tutti i Comuni di oltre 4000 abitanti.
Inoltre:
– I maestri dovevano essere muniti di una patente di idoneità ottenuta per esame e di un attestato di moralità rilasciato dal Sindaco.
– La responsabilità per l’istruzione elementare era affidata ai comuni, ai quali veniva peraltro vietato di istituire una tassazione di scopo.
I Comuni del Sud, che avevano seri problemi di cassa, si ritrovarono quindi in difficoltà nel garantire lo svolgimento delle lezioni.
Inoltre, era fatta in modo da mantenere e perpetuare le differenze sociali, infatti essa prevedeva:
– Una scuola di “serie A” che dal ginnasio – liceo avviava all’università, a cui poteva accedere solo l’aristocrazia e la nuova borghesia liberale;
– Una scuola di “serie B” destinata alla piccola borghesia, con i rami tecnico e normale, da cui derivarono poi l’istituto tecnico e l’istituto magistrale;
– Una scuola di “serie C” destinata alle classi umili, che forniva un apprendistato di lavoro.
In conclusione, la Legge Casati che poteva essere una buona base di partenza per creare un sistema scolastico di “tipo pubblico – laico”, come tutte le altre leggi, essendo stata semplicemente estesa ed imposta dai Savoia ai popoli annessi, senza la minima considerazione per il loro passato e le loro peculiarità culturali, fallì nel Regno delle Due Sicilie.
Più tardi Gaetano Salvemini scriveva su La Voce: “Le scuole e tutti gli altri servizi pubblici nel Sud sono nati per motivi esclusivamente elettorali, hanno avuto fin dall’inizio personale volgare e ignorante, fornito di titoli esclusivamente elettorali”.
Francesco Antonio Cefalì

7 commenti

  • Augusto Marinelli

    Perché si abbia la dimensione della truffa tentata ai danni di ignari lettori dai siti neoborbonici, è sufficiente ricordare che all’Esposizione Universale di Parigi del 1855 la Francia si presentò con 10003 espositori, seguita da Gran Bretagna con 1589 espositori, Prussia (1319), Impero Austriaco (1298) e Belgio (687). Distanti vi furono gli stati preunitari italiani, con Regno di Sardegna (204 espositori), Granducato di Toscana (193 espositori) e lo Stato Pontificio (43 espositori). Assente, come riconosciuto dopo anni di fanfaluche, il Regno delle Due Sicilie.
    Tuttavia sei “regnicoli” parteciparono a titolo individuale e a proprie spese: quattro napoletani e due siciliani, ospitati nei padiglioni degli Stati Pontifici.
    Da Napoli giunsero la ditta Genevois, che espose “savon et parfumerie”; la ditta Avolio, che presentò dei gioielli di corallo; G. Riccio, che partecipò con alcune “médailles reproduites par la galvanoplastique”; un certo Di Bartolomeo, che produceva corde armoniche.
    Dalla Sicilia giunsero il barone Francesco Anca, con alcuni campioni di citrato di calce, e il sarto Basilio Scariano (che per la precisione era nativo di Palazzo Adriano, in provincia di Palermo, ma si era trasferito nella capitale) che riscosse un certo successo con il suo psalizometro, uno strumento per la confezione in serie di abiti per uomo, tanto che si fermò a Parigi e vi aprì un atelier: cfr. Exposition des produits de toutes lés Nations. Catalogue Officiel, Paris, E. Panis Éditeur, 1855, p. 512.
    Va precisato che Avolio e Di Bartolomeo furono premiati con medaglia di prima classe, Scariano con medaglia di seconda classe, Anca, Genevois e Riccio ottennero una “menzione onorevole”: cfr. Notices sur les produits des États Pontificaux a l’Exposition Universelle par Ch. de Montluisant, Imprimerie Bailly, Divry et C., Paris 1855, pp. 92 e ss. Di medaglie e menzioni la giuria ne assegnò, beninteso, qualche migliaio.
    L’anno successivo, 1856, a Parigi si tenne una Esposizione riservata esclusivamente ai prodotti dell’agricoltura: la pasta napoletana fu premiata in quella sede.

  • molto interessante

  • Francesco Cefalì

    Scusate la ripetizione, nel primo commento mancava 1855

  • Francesco Cefalì

    Forse è pure vero che il Regno delle Due Sicilie non partecipò all’Esposizione Internazionale di Parigi del 1855. Però, nel libro di Domenico Capecelatro Gaudioso “1860 – Crollo di Napoli capitale”, Ateneo, Roma, 1972″, a pag. 188 c’è scritto: “Alla Mostra Industriale di Parigi, nel 1856, il Regno di Napoli venne premiato e classificato primo in Italia e terzo d’Europa”.

  • Francesco Cefalì

    Forse è pure vero che il Regno delle Due Sicilie non partecipò all’Esposizione Internazionale di Parigi.
    Però, nel libro di Domenico Capecelatro Gaudioso “1860 – Crollo di Napoli capitale”, Ateneo, Roma, 1972″, a pag. 188 c’è scritto: “Alla Mostra Industriale di Parigi, nel 1856, il Regno di Napoli venne premiato e classificato primo in Italia e terzo d’Europa”.

  • una piccola correzione:
    nel 1856 non ci fu nessuna Esposizione Internazionale a Parigi.
    Ce ne fu una nel 1855, sempre a Parigi, ma il Regno delle Due Sicilie non vi partecipò.
    Erroneamente si è diffusa la notizia del terzo posto e l’errore era dovuto al fatto che in quella occasione venne riconosciuto una medaglia alla città di Napoli per la produzione di pasta.
    E’ pur sempre un bel riconoscimento, ma non è un terzo posto, come ha ammesso, onestamente, anche il Movimento Neoborbonico.

    • Francesco Cefalì

      E’ vero, tutti o quasi tutti riportano 1856 anche se l’esposizione è del 1855.
      Francesco Antonio Cefalì

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