Scienza autonoma.

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di Andrea Melluso

Ogni società dovrebbe essere cosciente del fatto che per la propria crescita e progresso siano necessari forti investimenti in ricerca scientifica e tecnologica. Da tempo seguo con particolare attenzione le politiche per la ricerca e lo sviluppo per il Sud, riscontrando anche in questo campo le stesse problematiche rilevabili in merito alle diseguaglianze Nord-Sud.
Prima di affrontare la causa che mi ha condotto a scrivere questo articolo vorrei ricordare rapidamente alcuni fatti più o meno recenti:
Due importanti osservatori – quello Vesuviano e quello astronomico di Capodimonte – fondati nella prima metà dell’Ottocento, sono oggi sezioni dell’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) e dell’INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica). Il MARS (Microgravity Advanced Research and user Support center), fondato nel 1988 a Napoli dal professore Luigi Gerardo Napolitano, dopo aver raggiunto importanti successi confluisce nel 2009 in Telespazio (gruppo Finmeccanica), conservando la sede a Napoli; a fine 2014, però, i vertici comunicano la volontà di chiudere per contenere i costi e trasferire i lavoratori a Roma.
Durante il governo Monti ad essere a rischio fu uno dei pochi enti di ricerca rimasti autonomi, la Stazione Zoologica ‘Anton Dohrn’, fondata nel 1872 dallo zoologo darwinista tedesco (di cui porta il nome) che scelse Napoli per la sua vivacità scientifica e la sua posizione privilegiata nel Mediterraneo. Tra gli altri, grandi nomi di premi Nobel sono passati per questa istituzione ma nella bozza della spending review del 2012 se ne prevedeva la soppressione come ente autonomo, insieme ad altri. Forse per un po’ di saggezza o forse per le mobilitazioni che seguirono, questi enti furono ‘graziati’ da Napolitano.
Vorrei ancora affrontare tristi storie come quella della quantomeno singolare fusione tra Alenia ed Aermacchi o quella già affrontata da MO-Unione Mediterranea sulle Università ma passerò subito al tema principale da affrontare: l’Osservatorio Vesuviano e le parole del suo Direttore, il prof. De Natale.

L’ Osservatorio Vesuviano è il più antico osservatorio vulcanologico al mondo e fu fondato nel 1841 da Ferdinando II delle Due Sicilie. Il Decreto Legislativo n.381 del 29 settembre 1999 ( http://www.miur.it/0006Menu_C/0012Docume/0098Normat/2076Istitu_cf3.htm ) stabilì che l’ Osservatorio Vesuviano perdesse la personalità giuridica e diventasse una sezione dell’INGV, così com’è dal 2001. Di recente questo centro dalla gloriosa storia ha subìto anche un breve commissariamento, interrotto da un’ordinanza del TAR che ha chiarito che il prof. De Natale possa restare Direttore, anche se pare che l’Istituto non abbia ancora ottemperato a ciò.
Tralasciando la vicenda del commissariamento in attesa che venga fatta chiarezza, può essere interessante riportare parte del post scritto dal Direttore, evidenziandone alcuni punti:

“[…]Quanto è accaduto in questo mese, certamente paradossale, è potuto accadere perché l’Osservatorio Vesuviano è oggi una sezione dell’INGV, ed ha quindi un’ autonomia molto limitata. Fino al 2000, l’Osservatorio Vesuviano, uno dei più bei ‘primati’, questa volta ‘Mondiale’, del Regno Duosiciliano, fondato nel 1841, era un Ente autonomo, del comparto Università, ed un episodio come questo non sarebbe potuto accadere. Nel 1999 io e pochi altri Colleghi ci battemmo contro l’accorpamento nell’INGV alle condizioni disastrose imposte dalla nuova legge: si trattava di entrare, noi comparto Università, in un Ente che faceva parte del comparto Ricerca, con ruoli e livelli di inquadramento molto diversi. Ci vollero nove anni perché si provvedesse all’equiparazione dei livelli dei tecnici e degli amministrativi a quelli del nuovo comparto, mentre il personale di Ricerca venne ‘congelato’ in ruoli ad esaurimento, senza più prospettive di carriera interna. Ma, soprattutto, perdemmo l’autonomia; a stento riuscimmo, dopo aspre battaglie condotte da pochi di noi, a conservare il nome, glorioso e ricco di Storia: Osservatorio Vesuviano. Poi ci fu un progressivo declino: da 135 effettivi tutti a tempo indeterminato, l’Osservatorio passò ai 108 effettivi di oggi, di cui però 11 sono a tempo determinato. Questo accadeva mentre l’INGV vedeva più che raddoppiare il suo organico, e tutte le altre sezioni aumentavano quindi considerevolmente in effettivi. Intanto, il nostro compito Istituzionale di monitoraggio e sorveglianza delle aree vulcaniche Campane si faceva progressivamente più oneroso e più rilevante, man mano che si delineava meglio la portata sociale, economica e politica del rischio vulcanico in Campania.

Ora, quest’assurda vicenda pone in evidenza, una volta di più, il vero nodo da sciogliere, che vede l’Osservatorio Vesuviano al centro di un problema immenso, di dimensioni nazionali, europee e direi mondiali: la gestione del rischio vulcanico dell’area Napoletana. Per chi come me ha ben chiaro il problema, ed ha cercato con ogni mezzo a disposizione, in meno di tre anni, di colmare vertiginose lacune per rendere l’Osservatorio Vesuviano quanto più adatto possibile a svolgere efficacemente il suo compito centrale per la salvaguardia del territorio e della popolazione, risulta evidente che le condizioni al contorno devono cambiare radicalmente. Delle due l’una: o l’Osservatorio Vesuviano riacquista la sua piena autonomia, ed il suo legame imprescindibile con il territorio sotto il suo controllo, oppure l’INGV sposta decisamente il suo baricentro verso il problema vulcanico, ed in particolare verso la mitigazione dell’enorme rischio vulcanico dell’area napoletana. Se la Politica locale e regionale capirà l’importanza della posta in gioco, se riuscirà a far comprendere alla Politica nazionale l’enorme potenziale, in positivo o in negativo a seconda dell’efficacia con cui si opererà, della gestione del rischio vulcanico nelle nostre aree, allora si potranno aprire enormi prospettive di sviluppo per il nostro territorio e per l’intero Paese. Questa vicenda, una volta di più ma oggi con urgenza impellente, dimostra che è necessario un cambiamento drastico nella visione Politica e strategica dei compiti e dell’assetto dell’Osservatorio Vesuviano, e quindi dell’intero INGV. L’ Osservatorio Vesuviano è patrimonio inalienabile del territorio e della popolazione Napoletani, e non può svolgere il suo altissimo compito senza una reale autonomia, soggetto com’è ora ad una governance lontana ed aliena dalle sue problematiche e dal suo territorio.”

Questo insieme di cose fa supporre con una certa preoccupazione che una componente fondamentale del nostro futuro sia tenuta sempre più in minore considerazione e distrutta mentre il capitale umano e le sue competenze stiano andando sempre più a far crescere territori verso i quali c’è più attenzione politica (vedasi Human Technopole che nelle intenzioni del governo dovrà sorgere nell’ex area expo).

Concludo l’articolo con alcune domande poste al Direttore prof. De Natale:

1) L’Osservatorio Vesuviano avrebbe attualmente le capacità per una gestione autonoma? Non ci sarebbe il rischio di disperdere i fondi a causa di una maggiore frammentazione degli Istituti?

L’Osservatorio Vesuviano era autonomo fino al 2001. Anche oggi potrebbe gestire un’autonomia molto maggiore, anzi sarebbe molto più efficiente. La questione della frammentazione dei fondi è un falso problema; ciò che conta è valutare i costi di un Ente rispetto alla sua efficienza. L’Osservatorio Vesuviano non è solo un Istituto di Ricerca vulcanologica avanzata, ma ha compiti cruciali di monitoraggio in stretto rapporto con le strutture di Protezione Civile. Per questi compiti, che comprendono la gestione di emergenze, è assolutamente necessario un altissimo grado di autonomia ed uno stretto legame con il territorio.

2) Ci sarebbe la necessità di aumentare l’organico?

E’ assolutamente necessario un aumento dell’organico, ed anche una stabilizzazione dei (pochi) lavoratori precari. Questo indipendentemente da una maggiore o minore autonomia. I compiti di monitoraggio e sorveglianza vulcanici sono infatti oggi molto più onerosi e pressanti di ieri, anche perché è enormemente aumentata la sensibilità sociale al problema del rischio vulcanico. Specialmente da quando sono state varate le aree rossa e gialla dei Campi Flegrei ed è stato aggiornato il Piano di Emergenza Vesuvio.

3) La popolazione campana sembra piuttosto ‘ignorante’ circa il rischio vulcanico e geologico, la prevenzione ed in generale sui comportamenti da tenere in caso di calamità. Questo si accorda con la tesi che l’Istituto non sia a stretto contatto con la popolazione o questo problema riguarda per lo più altri enti?

Il nostro Istituto si prodiga come può per divulgare una corretta cultura del rischio vulcanico. Uno stretto legame con il territorio e con le sue istituzioni è importantissimo per questo scopo. Ovviamente, il problema della divulgazione di una corretta percezione del rischio vulcanico coinvolge molte altre Istituzioni sul territorio. Il problema più grande è che l’informazione è generalmente monopolizzata dai grandi canali mediatici. Questi sono in genere poco interessati a notizie di tipo ‘formativo’, ‘culturale’, che non abbiano un immediato impatto emotivo. Questo è il motivo della prevalenza sui canali mediatici di notizie allarmistiche sui vulcani (di grande impatto emotivo) piuttosto che di informazioni ‘utili’ e ‘formative’ (di scarso impatto immediato sul lettore). Ovviamente, una forte sinergia tra le Istituzioni scientifiche e di governo del territorio rafforzerebbe moltissimo la capacità di diffusione di una corretta cultura del rischio. E consentirebbe, finalmente, il passaggio da una gestione dell’emergenza basata unicamente sulla ‘evacuazione’ ad una basata sulla ‘pianificazione’ e ‘messa in sicurezza’ del territorio.

Ringrazio il prof. De Natale per la disponibilità e per il fondamentale contributo di competenza fornito sulla tematica.

2 commenti

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  • Ma quando ci decideremo a cacciarli a calci in culo dalle nostre Terre. L’ultimo è quel miserabile della Lega Nord. Ci hanno spogliato quasi di tutto. Cosa vogliono ancora? D’accordo, non è un gioco da ragazzi e, siccome uno dei problemi più grossi è quello di liberarsi della feccia politica collusa che infesta il Sud, bisognerà tirare fuori tutti gli artigli. Metodi democratici certo (e ci mancherebbe) ma piano con un dannoso buonismo.

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