Riforma Renzi-Boschi: l’obiettivo è incrementare le differenze tra Nord e Sud.
In un momento storico-politico nel quale lo scollamento tra rappresentanza partitica e bisogni dei cittadini aumenta in maniera preoccupante, il confronto democratico e la partecipazione alla vita pubblica, determinano il ruolo di ciascuno di noi nei processi decisionali da cui dipendono i nostri diritti e quelli delle nostre terre.
La consultazione del 4 Dicembre non è una consultazione elettorale come le altre: si vota sulla modifica della Legge fondamentale dello Stato e su una riforma che cambia 47 articoli della Costituzione, incidendo profondamente sull’assetto ordinamentale istituzionale. E’ dovere di ciascun cittadino responsabile informarsi ed informare affinchè non prevalgano astensionismo e bandiere di appartenenza.
Se in questi decenni la Costituzione l’avessero applicata e non umiliata oggi non staremmo ad interrogarci sul perchè viviamo in un’Italia che corre a due velocità, con cittadini di serie A e cittadini di serie B e perchè il principio di eguaglianza formale e sostanziale disciplinato non trova riscontro effettivo nelle opportunità di sviluppo e nelle condizioni economiche, sociali e culturali del paese ma al contrario sono garantite in maniera profondamente difforme sul territorio nazionale. Se la Costituzione fosse rispettata e considerata un faro di garanzia per l’effettivo esercizio dei diritti della persona, sarebbe assecondato e non solo declamato l’art. 1 che definisce l’Italia una Repubblica fondata sul lavoro (salvo poi applicare politiche di indirizzo governativo che fanno macelleria sociale dei diritti e delle tutele per i lavoratori); si riconoscerebbe l’importanza della scuola pubblica come bene comune di crescita e progresso della collettività; sarebbe protetta e assicurata la sanità pubblica e tutelato l’ambiente. Se la Costituzione fosse applicata e non solo annunciata oggi sarebbero rispettate le autonomie locali e la sovranità, che appartiene al popolo.
La riforma Renzi-Boschi- si dirà, sbagliando – non modifica la prima parte della Costituzione. I diritti fondamentali e le procedure istituzionali sono legate da un rapporto di inscindibilità: le azioni politiche dei governi che decidono sui diritti, si generano e modellano nelle istituzioni: cambiando le procedure e le istituzioni disciplinate nella seconda parte della Costituzione, si modificano le priorità politiche di intervento e con esse il livello di garanzia dei diritti.
Ecco perchè la Carta Costituzionale non può diventare in nessun modo l’ennesimo strumento di divisione di un paese unito, di fatto, solo nella retorica delle celebrazioni formali ma privo di qualunque elemento di solidarietà nazionale e senso di appartenenza comune. Ed ecco perchè preoccupa il modo in cui si modifica il Titolo V.
Con la riforma costituzionale Renzi-Boschi i cittadini non saranno più uguali. Anche oggi non lo sono, ma mai si era arrivati a mettere nero su bianco l’obiettivo di incrementare le differenze tra Nord e Sud. La riforma infatti toglie molti poteri alle Regioni, ma ne restituisce altrettanti alle Regioni ricche, cioè quelle che possono far quadrare i conti. L’articolo 116 infatti, qualora vincesse il Sì, prevederà che solo le Regioni in equilibrio di bilancio tra entrate e spese potranno chiedere maggiore autonomia legislativa su 13 materie delicate e strategiche per il governo del territorio:
1. organizzazione della giustizia di pace
2. disposizioni generali e comuni per le politiche sociali
3. disposizioni generali e comuni sull’istruzione
4. ordinamento scolastico
5. istruzione universitaria e programmazione strategica della ricerca scientifica e tecnologica
6. politiche attive del lavoro
7. istruzione e formazione professionale
8. commercio con l’estero
9. tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici
10. ambiente ed ecosistema
11. ordinamento sportivo
12. disposizioni generali e comuni sulle attività culturali e sul turismo
13. governo del territorio.
Semplificando: Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, potranno scegliere come proteggere il proprio patrimonio paesaggistico; se consentire trivellazioni; prenderanno decisioni proprie su come organizzare l’istruzione scolastica, il turismo, i rapporti commerciali con l’estero e così via. La Calabria invece, maglia nera di povertà tra le regioni italiane, la Campania, la Puglia, la Basilicata su materie come energia, attività turistiche, tutela dell’ambiente, dipenderanno in tutto e per tutto dalle scelte dello Stato Centrale. Nel caso in cui il Governo si trovi costretto a scegliere un sito dove stoccare scorie radioattive quale sito sceglierà? Quello di una Regione in pareggio di bilancio che avrà potuto legiferare in autonomia o quello di una Regione povera che non avrà potuto farlo?
Lo illustrano bene i Consiglieri regionali del Pd dell’Emilia Romagna in un documento approvato a fine settembre: “Viene dato vita in sostanza ad un federalismo differenziato, selettivo e meritocratico, che punta a premiare le Regioni più virtuose”.
La virtuosità di un territorio non può dipendere dalla sua ricchezza, nè gli errori amministrativi da parte di alcune regioni del Sud possono coincidere con la privazione di autodeterminazone delle comunità locali. L’IRAP (Imposta Regionale sulle Attività Produttive) infatti è distribuita in maniera fortemente disomogena sul territorio italiano. Ad esempio: la Calabria ha a disposizione 310 euro per ciascun abitante della Regione, il Veneto 652; la Campania circa 371 mentre la la Lombardia 862. Raggiungere il pareggio di bilancio non è un merito, è un parametro di misurazione della ricchezza. Le Regioni settentrionali hanno un gettito fiscale alto e possono trovarsi più facilmente in condizione di equilibrio tra entrate e spese. Al Sud invece, il gettito fiscale non copre mai le risorse necessarie a garantire i servizi essenziali per i cittadini che hanno minore capacità contributiva. Con la modifica dell’art. 116 prende forma il regionalismo differenziato che sancisce autonomia decisionale su base economica.
Si consuma in tal modo il disegno monopolista dei commissariamenti e delle ricette nord-centriste applicate ai territori meridionali. Ciò che si cela dietro millantate applicazioni di meritocrazia amministrativa, coincide con l’interpretazione punitiva e non perequativa delle autonomie locali previste e disciplinate della Costituzione. La supremazia decisionista del potere politico di Roma è uno dei veri e più insidiosi pericoli di questa riforma. Le disquisizioni sul Senato, sul bicameralismo o sul Cnel sono tutte interessanti, ma qui si sta decidendo altrove il futuro della parte più debole e sacrificata del paese.
Il Mezzogiorno non viene messo in condizione di crescere quando bisogna prevedere investimenti e incentivi pubblici per lo sviluppo. Il Governo non ha mai individuato i Lep (livelli essenziali di prestazione concernenti diritti minimi civili e sociali); non ha mai stabilito la perequazione, finalizzata a distribuire finanziamenti utili per garantire servizi omogenei su tutto il territorio nazionale; i fabbisogni standard vogliono introdurli direttamente in Costituzione, ma per fregare il Sud hanno già attuato stratagemmi che calcolano il riparto dei fondi sulla base della spesa storica e non sulla base del reale bisogno della popolazione.
Andrebbero applicati i principi di eguaglianza e di coesione sociale atti a rimuovere gli squilibri economici territoriali o va stabilita per legge fondamentale dello Stato, l’inferiorizzazione meridionale?
Il 4 Dicembre andiamo a votare il potere di forza della nostra autodeterminazione e l’opportunità di costruire un modello di autonomia responsabile che faccia dell’ autogoverno la vera sfida politica del Sud. Io voto NO.