Referendum trivelle, non aspettare l’incidente.
Al quorum non ci credeva nessuno. Mentre raccoglievamo in strada le 500 mila firme per il referendum sull’acqua pubblica e contro il nucleare sapevamo che la nostra era una battaglia nobile votata all’insuccesso. Da troppi anni i referendum erano affossati dalla scarsa partecipazione al voto: nel 1997 i votanti erano stati appena il 30%, nel 2005 su un tema serio come la procreazione assistita si era scesi al 25% e nel 2009 sulla materia elettorale addirittura al 23%. Risalire la china, nel 2011, appariva impossibile.
Poi, l’11 marzo di quell’anno, il mondo assisté sgomento alla tragedia di Fukushima. Se Chernobyl nel 1986 aveva mostrato soprattutto l’arretratezza tecnologica dell’Unione sovietica (la quale di lì a poco si dissolse), Fukushima dimostrava come non basta la tecnologia del Giappone e la consapevolezza di vivere in una terra altamente sismica per tenere a bada le forze della natura. A causa del maremoto dell’11 marzo 2011 seguito dallo tsunami con un onda alta 14 metri gli impianti della centrale sono andati in tilt e si è registrata la fusione dei noccioli di tre reattori dell’impianto con l’emissione nell’ambiente di radiazioni letali.
A distanza di 5 anni dal triplice disastro di Fukushima, solo 60mila persone delle 160mila che lasciarono le proprie abitazioni per colpa delle radiazioni hanno potuto fare ritorno. La parte più spinosa è capire cosa avviene all’interno dei reattori: la rimozione del combustibile nucleare non inizierà prima del 2017, attualmente neanche i robot comandati a distanza resistono all’alto livello di radiazioni nel cuore dei reattori. Lungo le colline del villaggio di Iitate sono stati ammassati 2 milioni e 900 mila sacchi di suolo radioattivo e si prevede che occorrano trent’anni per la bonifica.
Tre mesi dopo quell’incidente in Giappone, il 12 giugno 2011, gli italiani si misero in fila ai seggi e la partecipazione sfondò il quorum del 50% attestandosi al 55%. Dalle urne uscì uno stop chiaro al nucleare e un sì all’acqua pubblica.
Il 17 aprile del 2016 si vota per fermare le trivellazioni nei nostri mari. Un incidente grave per le piattaforme petrolifere, come quello nel Golfo del Messico del 20 aprile 2010, nel Mediterraneo non si è mai verificato e c’è da augurarsi che non accada, perché in un bacino chiuso le conseguenze sarebbero agghiaccianti. Non occorre aspettare una Fukushima dei mari per capirlo.
Non aspettare l’incidente: votare il 17 aprile è un dovere.