‘Perché sei restato a Napoli?’
Maurizio De Giovanni, nel corso della presentazione del suo ultimo romanzo, Cuccioli, sabato 12 dicembre a Casoria (NA), ha raccontato lo stupore che lo ha colpito quando ha ricevuto questa domanda da una giornalista del Corriere della Sera.
In genere, ha detto De Giovanni, ci si chiede perché uno ha lasciato la propria città, non perché è rimasto. In genere. Non in Italia, non al Sud. L’innocente domanda della giornalista del Corriere, infatti, altro non è che una proiezione di quel ‘colonialismo introiettato’ di cui è pervaso l’establishment culturale – ma non solo – italiano.
Chiedere ad un napoletano di successo, quale è De Giovanni, uno degli scrittori più letti e tradotti, chiedergli perché non è andato via dalla sua terra, da Napoli, rispecchia la visione che l’Italia ha del Mezzogiorno: una terra da cui fuggire. Una terra ostile al talento. Una terra da cui disinvestire in cultura e alta formazione. E’ la visione che i vari governi succedutisi soprattutto negli ultimi venti anni hanno impresso alla nostra terra, con le loro politiche improntate a disincentivare il diritto allo studio al Sud, coi vari tagli alle università meridionali.
Una politica che tenta in ogni modo di anticipare il momento della fuga dal Sud: ci dicono, con atti e fatti concreti, che è inutile restare qui, che l’Italia ha abbandonato il mezzogiorno, che qui al massimo ci si può tornare a trovare i parenti, una volta al mese, ma se ci vogliamo ‘realizzare’ dobbiamo andare altrove. Dobbiamo prendere un treno ad alta velocità, che infatti collega il Bel Paese soltanto lungo la direttrice Sud – Nord, e non in senso inverso, e dobbiamo andare a studiare in una delle università settentrionali, più funzionali e più aiutate dallo Stato, perché è lì, a Milano, Torino e Bologna che c’è speranza di futuro.
Anticipiamo la partenza, sembra dirci l’Italia. Anticipiamo lo spaesamento, lo sradicamento, abbandoniamo una terra abbandonata dallo Stato, troppo preso da altro per pensare al Mezzogiorno, un problema, anzi, un fastidio, presente nel dibattito politico italiano soltanto un paio di settimane all’anno, dopo il rapporto Svimez a cui seguono sempre promesse di impegno, che si rivelano poi solito fumo negli occhi. Ultimo esempio, il Masterplan per il Sud, annunciato in pompa magna dal governo Renzi, non meno leghista, de facto, dei governi che vedevano al loro interno ministri in camicia verde.
Oggi una forza politica meridionalista deve seguire innanzitutto due strade: opporsi ‘ideologicamente’ a questo abito mentale che vuole il Mezzogiorno terra da cui fuggire, appena possibile, e lottare ‘concretamente’ per invertire la rotta, contro atti, leggi e disegni che vanno nella direzione indicata, quella dello spostamento coatto da Sud verso Nord.
E’ una battaglia durissima, quella contro il ‘colonialismo introiettato’. Perché non coinvolge soltanto la politica, ma tutto il sistema di potere di un Paese abituato a pensare a Nord e da Nord.
E’ una battaglia di resilienza, una battaglia controcorrente. Convincere i giovani a provare a restare qui, invece di immaginarsi altrove come gli impongono tutti.
E’ un lungo cammino, in salita, su un sentiero aspro. Ma è l’unico cammino che vale la pena di percorrere.