Nuova Costituzione, qualche ciliegina e molta panna marcia

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Perché al referendum è necessario votare un secco NO

Con 49 articoli cambiati su 139 la  riforma della Costituzione firmata Renzi-Boschi è una vera e propria riscrittura della Carta  Costituzionale entrata in vigore nel 1948 e riformata in misura considerevole una prima volta nel 2001. Sul testo Renzi-Boschi, approvato dal Parlamento con numerosi emendamenti, sarà indispensabile il voto finale degli italiani, il quale si terrà nell’autunno 2016. Ci sono due precedenti di referendum su cambiamenti della Costituzione: nel 2001 gli elettori approvarono la riforma del Centrosinistra, che dava più poteri alle Regioni e introduceva il federalismo fiscale solidale; mentre nel 2006 fu bocciata quella scritta da Berlusconi e Bossi. Il referendum costituzionale, quindi, è un passaggio fondamentale e, visto che non è necessario il quorum perché la consultazione sia valida, ogni singolo voto può essere quello decisivo. Ecco perché informarsi è necessario. Proviamo a dividere l’analisi in quattro parti: quello che c’è di buono, quello che in apparenza è positivo ma in sostanza ha poco peso, quello che ci si poteva aspettare e non c’è, quello che c’è e appare dannoso in particolare per la nostra terra meridionale. In un referendum naturalmente la riforma va proposta o respinta in blocco, non è possibile pescare solo le parti che piacciono. A nostro parere la riforma appare una torta con tanta panna marcia e qualche ciliegina.

Quello che c’è di buono: le ciliegine

  • Camera e Senato non sono più un doppione.
  • Viene eliminato il Cnel, il Consiglio nazionale economia e lavoro.
  • C’è un tetto alla retribuzione dei consiglieri regionali.
  • C’è una valutazione preventiva di legittimità delle leggi elettorali.

Quello che appare positivo ma in sostanza pesa poco o funziona male:

  • La cancellazione della parola Provincia.
  • L’azzeramento dell’indennità dei senatori.
  • La semplificazione dell’iter legislativo.
  • La rappresentanza in Senato degli enti territoriali.

Quello che ci poteva essere e non c’è:

  • La riduzione del numero di deputati: restano 630.
  • L’accorpamento delle Regioni più piccole: restano 19 più due Province autonome.

Quello che appare dannoso, in particolare per il Sud:

  • Il meccanismo dei poteri differenziati per le Regioni: maggiori negli enti ricchi.
  • L’accentramento nelle mani del governo di poteri su materie delicate per le popolazioni e i territori, come l’energia e le trivellazioni.
  • L’aumento da 50mila a 150mila delle firme per una legge d’iniziativa popolare.

 

Entriamo nel dettaglio. Quello che c’è di buono.

 

Camera e Senato non sono più un doppione.

Solo la Camera vota la fiducia al governo e solo i deputati rappresentano la Nazione mentre i senatori rappresentano gli Enti territoriali. Si torna in pratica allo spirito originario della Costituzione che tendeva appunto a differenziare le funzioni. In particolare in origine il Senato restava in carica sei anni, quindi uno in più della Camera. Adesso il Senato diventa un organo a rinnovo parziale perché il rinnovo dei senatori è legato a quello delle Regioni, che non votano in modo simultaneo.

 

Viene eliminato il Cnel, il Consiglio nazionale economia e lavoro.

Il Cnel fu introdotto nella Costituzione per dare un ruolo alle rappresentanze sociali, tuttavia la funzione del Cnel è stata sempre residuale – studi, pareri, qualche proposta di legge –  a fronte di costi non trascurabili: 19 milioni l’anno. Il personale del Cnel viene ricollocato presso la Corte dei Conti.

 

C’è un tetto alla retribuzione dei consiglieri regionali.

Non potranno guadagnare più del sindaco del Comune capoluogo di Regione. Oggi le indennità sono agganciate a quelle dei parlamentari. In pratica la retribuzione dei consiglieri regionali viene dimezzata.

 

C’è una valutazione preventiva di legittimità delle leggi elettorali.

Non sarà più possibile approvare una legge Porcellum. La riforma si applica all’Italicum, che riproduce le candidature bloccate per tutti i capilista, se ci sarà la richiesta di un quarto dei deputati o di un terzo dei senatori.

 

Quello che appare positivo ma in sostanza pesa poco o funziona male

 

La cancellazione della parola Provincia.

Nel nuovo articolo 114 si elencano gli enti costitutivi della Repubblica: Regioni, Comuni e Città metropolitane. Sparisce la parola Provincia ma, in riferimento alle loro funzioni, si parla di “enti di area vasta”. Per cui la sostanza non cambia. Va sottolineato che le Città metropolitane, nonostante la conferma del riconoscimento istituzionale, sono escluse dalla rappresentanza nel nuovo Senato.

 

L’azzeramento dell’indennità dei senatori.

In tempi di antipolitica sembra che ogni centesimo dato a un politico sia denaro buttato. In realtà un politico a reddito molto basso o addirittura zero è una persona che vive di qualcos’altro. Per i senatori sarebbe stato corretto che non cumulassero le indennità di sindaco o di consigliere regionale con quella appunto di senatore, stabilendo un tetto massimo. La scelta della indennità zero porterà all’assurdo di senatori pagati poche centinaia di euro al mese (come i sindaci di piccoli comuni, che pure dovranno essere rappresentati) fino alla vergogna di senatori di nomina presidenziale in carica sette anni a indennità zero. Si dirà che il presidente della Repubblica è tenuto a nominare persone che hanno dato lustro al paese e che quindi si presume abbiano un reddito elevato. Ma perché si deve associare sempre la qualità delle persone al proprio reddito? Alex Zanotelli è una persona di straordinarie qualità: se come merita sarà nominato senatore dovrà pagarsi ogni volta il treno per Roma e l’albergo?

 

La semplificazione dell’iter legislativo.

Non è vero che le leggi di interesse generale sono approvate solo dalla Camera, senza più il doppio passaggio parlamentare. Il Senato infatti su qualsiasi materia può chiedere (basta un terzo dei componenti) di esaminare i disegni di legge approvati dalla Camera e fare entro 30 giorni le sue proposte di modifica, che la Camera è tenuta a discutere, approvare o respingere. In pratica si replica quanto accade già oggi con i passaggi parlamentari che sono di fatto ricondotti a tre: prima approvazione alla Camera o al Senato, approvazione con modifiche dall’altro ramo del parlamento, terza lettura e approvazione definitiva senza modifiche. L’unica novità è che adesso sarebbe obbligatorio partire dalla Camera e che le modifiche introdotte dal Senato non sarebbero vincolanti.

 

La rappresentanza in Senato degli enti territoriali.

Il Senato è ridotto da 315 a 95 membri (più cinque senatori di nomina presidenziale, non più a vita ma con incarico settennale). I senatori non hanno più indennità parlamentare. Il Senato ha il potere di approvare alcune tipologie di leggi (in concorso con la Camera), di svolgere funzioni di raccordo tra lo Stato, le Regioni, le Città metropolitane e i Comuni nonché di verificare l’impatto delle politiche dell’Unione europea sui territori. Tuttavia il Senato è monco nella rappresentanza (non sono previsti rappresentanti delle Città metropolitane ma solo di Regioni – 74 senatori – e Comuni – 21 senatori) e non ha il potere di “controllo sull’operato del governo”, che è funzione attribuita alla sola Camera dei deputati. Il suo potere legislativo limitato a poche materie tra le quali sono incredibilmente escluse alcune delicatissime proprio per i territori: la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale (art. 117), i tributi locali, il fondo di perequazione, i costi e fabbisogni degli enti locali (art. 119). In pratica il governo con la “sua” maggioranza alla Camera può approvare leggi di immediato interesse per Regioni, Comuni e Città metropolitane senza che il Senato, dove questi enti sono rappresentati, abbia potere legislativo.

 

Quello che ci poteva essere e non c’è

 

La riduzione del numero di deputati: restano 630.

Nella campagna elettorale delle primarie, un manifesto di Matteo Renzi prometteva: “se vince Renzi dimezziamo i parlamentari”.

 

L’accorpamento delle Regioni più piccole: restano 19 più due Province autonome.

La frammentazione del mezzogiorno è tra le cause della sua debolezza.

 

Quello che appare dannoso, in particolare per il Sud

 

Il meccanismo dei poteri differenziati per le Regioni: maggiori negli enti ricchi.

Con il nuovo articolo 116 si specifica che solo le Regioni in equilibrio tra entrate e spese del proprio bilancio (quindi sono favorite le Regioni ricche, che hanno entrate proprie maggiori) possono ottenere maggiori poteri legislativi su materie non secondarie quali: istruzione, ordinamento scolastico, istruzione universitaria; programmazione strategica della ricerca e tecnologica; politiche attive del lavoro e istruzione e formazione professionale; commercio con l’estero; beni culturali e paesaggistici; ambiente e ecosistema; ordinamento sportivo; attività culturali; turismo; governo del territorio. In pratica la Lombardia e il Veneto potranno avere proprie leggi sul commercio con l’estero, potranno tutelare il proprio ambiente dalle trivellazioni, potranno organizzare l’istruzione anche superiore nell’interesse dei soli residenti mentre Campania, Puglia e Calabria dipenderanno in tutto e per tutto dalle volontà del governo centrale. Nella ripartizione delle materie ci sono aspetti curiosi per esempio sul turismo. La nuova Costituzione attribuisce allo Stato le “disposizioni generali e comuni sul turismo” e alle Regioni quelle “di valorizzazione e organizzazione regionale del turismo”. Ma una Regione che si avvale dei maggiori poteri in materia di turismo cosa potrà fare di più senza entrare in conflitto con lo Stato o con le altre Regioni?

 

L’accentramento nelle mani del governo di poteri su materie delicate per le popolazioni e i territori, come l’energia e le trivellazioni.

Con la Costituzione in vigore le Regioni perdono poteri su materie delicate per i territori come l’energia. Produzione, trasporto e distribuzione nazionali dell’energia diventano infatti di competenza esclusiva dello Stato, così come i porti e gli aeroporti. Le Regioni ricche potranno recuperare i poteri attuali grazie al “regionalismo differenziato” (si chiama proprio così). Le popolazioni dei territori “differentemente ricchi” invece non potranno metter becco su questioni delicate come lo sfruttamento energetico: trivellazioni, gasdotti, centrali a carbone. L’ambiente non è più nelle mani delle popolazioni locali.

 

L’aumento da 50mila a 150mila delle firme per una legge d’iniziativa popolare.

A conferma che l’iniziativa popolare è temuta, si triplica la soglia come se frenare uno strumento democratico fosse un bene. Diverso sarebbe stato se si fossero introdotti principi di e-democracy con la possibilità di raccogliere le firme online in modo certificato. Una modifica di pari spirito riguarda i referendum: si abbassa il quorum per la loro validità a patto che le firme salgano da 500mila a 800mila.

Un commento

  • Tutto chiaro, ma ancora più chiaro che il progetto (antico) è quello di tenere il Sud sempre ai margini dell’Italia in quanto stato unitario con conseguente fallimento del concetto di Nazione. Parola praticamente mai usata. Il problema è che non esiste neppure lo Stato. Spesso ho dovuto scontrarmi con il sospetto che lo scopo di annettersi il Sud fu, se non l’unico, sicuramente un “piano calcolato” per creare una parvenza di Stato che per dimensioni e popolazione potesse competere con le Potenze del tempo. Ed ecco a portata di mano 100.000 kmq. e un bel po’ di milioni di anime.
    Perciò, facciamocene una ragione e prepariamoci a gestirci da soli.
    La criminalità organizzata? Si combatte e vince con un serio e articolato piano culturale, partendo dai bambini, giusto per capirci. E solo chi è legato alla propria Terra può riuscirci.

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