Napoli Autonoma: la città torni a camminare sulle proprie gambe

Share Button

“La città di Napoli, come tutte le grandi città che cessano di essere centri di un governo di un grande Stato, la città di Napoli ha fatto all’Italia un immenso sacrificio; l’Italia ha in questo modo contratto un grande debito verso la città di Napoli e l’Italia dovrà soddisfarlo”

(Ubaldo Peruzzi, fiorentino, primo ministro dei Lavori pubblici, discorso in Parlamento del 1861 – tratto da G. Galletti, P. Trompeo, Atti del Parlamento italiano: sessione del 1861, VIII legislatura, p. 163, Tipografia Eredi Botta, Torino 1862)

Ubaldo Peruzzi, fiorentino, pensava che l’Italia avesse un debito con Napoli, mentre ancora troppi napoletani continuano a credere il contrario. L’ironia della sorte non finisce qui perché, proprio nel 150esimo anno di unità, è proseguita l’attuazione del (non abbastanza) famoso federalismo fiscale: il sistema per cui molti dei contributi versati dai cittadini vengono trattenuti e impiegati sul territorio in cui vivono, o almeno così dovrebbe funzionare.

Ovviamente, nei comuni in cui c’è più ricchezza, più posti di lavoro e stipendi più alti, ci saranno anche più fondi pubblici da impiegare nei servizi, mentre nei comuni in cui c’è meno ricchezza, i servizi che spettano di diritto ai cittadini rischieranno di non essere garantiti. Questo pericoloso divario dovrebbe essere appianato dal cosiddetto fondo di perequazione, che prevede una cassa statale atta a ridistribuire una parte dei contributi, in modo da garantire le prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche ai comuni con minore capacità fiscale.

Fino a qui, nulla di male. In realtà questo metodo può funzionare bene in un paese mediamente ricco, ma in Italia ha bisogno di molta più attenzione:

Questo “fondo di perequazione” non è stato istituito, come non sono stati calcolati i Lep (livelli essenziali della prestazioni), sostituiti da calcoli basati sui servizi erogati nel 2010. Significa che il livello standard dei fondi necessari ai comuni è stato fissato sulle prestazioni del 2010, anche dove i comuni non erano stati in grado di erogare servizi sufficienti, o addirittura pari a zero. I risultati offendono logica e buonsenso, ridicolizzano il concetto di “unità nazionale” e violano la legge, che chiede di superare la spesa storica in favore dello sviluppo territoriale.

In attesa del fondo di perequazione, previsto per i Comuni nel 2013, è stato istituito il fondo sperimentale di riequilibrio, prontamente tagliato di due miliardi dalla montiana legge Salva Italia di fine 2011, dove anche il fondo di perequazione ha subito un taglio preventivo, della stessa cifra, ma in modo totalmente anticostituzionale: il suo importo non può essere determinato a priori, poiché deriva in modo matematico dalle scelte effettuate sui livelli essenziali delle prestazioni, dal calcolo dei fabbisogni standard e delle capacità fiscali.

Se il principio di perequazione è determinato dalle necessità del Comune, tagliarlo significa negare i diritti fondamentali dei cittadini che in tutto il Paese pagano tasse secondo le proprie possibilità, salvo poi non godere dei servizi con la stessa uniformità.

Nel 2013 il vecchio fondo sperimentale di riequilibrio non si trasforma in fondo di perequazione, bensì in fondo di solidarietà comunale (non alimentato dallo Stato ma da una quota pari al 38% dell’ Imu dei singoli Comuni).
Nessuna perequazione dallo Stato per i Comuni, ma una “perequazione” dai Comuni per lo Stato, che nel 2015 ha prelevato 1,2 miliardi dal fondo di solidarietà comunale.

Le complesse dinamiche giuridiche ed economiche occultano ancora le vere ragioni dell’arretratezza in cui versa la città di Napoli, ma è arrivato il momento di sfatare qualche mito senza permetterci opinioni: lasciamo parlare la matematica.

I sussidi riservati a Napoli negli ultimi 5 anni sono andati così:

2010 Trasferimenti erariali 646.437.167
2011 Fondo sperimentale riequilibrio 514.143.937
2012 Fondo sperimentale riequilibrio 426.012.328
2013 Fondo solidarietà comunale avere 382.166.815
2013 Fondo solidarietà comunale dare -67.639.651
2014 Fondo solidarietà comunale avere 375.032.449
2014 Fondo solidarietà comunale dare -65.012.266
2015 Fondo solidarietà comunale avere 323.931.978
2015 Fondo solidarietà comunale dare -65.032.315

In pratica si è passati dai 646 milioni del 2010, situazione ante federalismo fiscale, ai 259 del 2015. Un taglio del 60%, pari a 387 milioni.

Oggi Napoli riceve un sussidio di 259 milioni di euro, soldi che la rendono ancora una città assistita. Tuttavia le tasse pagate dai cittadini napoletani sono superiori alle somme che restano in città, per poi essere destinate ai servizi pubblici, che sono inferiori alla media procapite nazionale per pensioni, sanità, trasporti e investimenti. 

La proposta per una Napoli Autonoma, legittimata dall’articolo 119 della Costituzione, prevede come primo passo il raggiungimento di un’autonomia fiscale.

I 259 milioni del sussidio possono essere sostituiti grazie all’attribuzione diretta al Comune, di due imposte: quella sui trasferimenti di immobili (il cui valore nella città di Napoli è stimato in 150 milioni) e la compartecipazione Irpef, che cedendo una quota del gettito pari a 1,2 punti al Comune, coprirebbe i restanti 109 milioni.

 

A partire dal 2016 Napoli Autonoma rinuncerebbe al Fondo di solidarietà comunale, apportando numerosi benefici:

  • Maggior controllo sui 259 milioni che, quando forniti dal Fondo di solidarietà comunale, non garantiscono né l’importo, né il tempo di erogazione.
  • Nessun aggravio fiscale per i cittadini, ma più consapevolezza sulla destinazione dei contributi versati, dato che una quota maggiore resta nella città.
  • Collegamento diretto tra il miglioramento delle condizioni economiche generali e gettito tributario.
  • Le responsabilità degli amministratori diventano evidenti agli occhi dei loro elettori.
  • Napoli Autonoma non potrà più essere accusata di assistenzialismo.

Nella proposta è previsto, inoltre, che il Consiglio comunale modifichi il proprio nome in Assemblea Partenopea, per sottolineare il cambiamento rivoluzionario nelle politiche amministrative.

Tra gli effetti positivi che il progetto si propone di realizzare c’è quello di obbligare l’amministratore ad adottare politiche di riqualificazione sociale e urbanistica al fine di aumentare il valore delle proprietà private all’interno dell’area comunale e garantire così un maggiore gettito.

L’Assemblea partenopea potrà controllare, grazie a un accordo con il Ministero per i beni e le attività culturali, il processo di valorizzazione dei beni storici, ambientali e artistici, cercando di rendere così meno farraginosa l’attuale macchina burocratica che troppo spesso impedisce a cittadini ed associazioni di poter godere dell’immenso patrimonio artistico e culturale di cui disponiamo.

Sempre nell’ambito delle autonomie proposte, vi è quello legato alla gestione dei fondi comunitari. L’Assemblea Partenopea potrà decidere in autonomia come gestire i fondi nell’interesse comune, anche al fine di concentrare gli investimenti sui settori che riterrà strategici per il rilancio della città.

 

Napoli si è ammalata quando è stata privata del proprio prestigio, in favore di politiche di sfruttamento. Quanto ancora può lasciarsi spogliare delle sue ricchezze?

Neapolis, città antica di millenni ma nuova ogni giorno, può tornare a crescere. Riappropriarsi del diritto di camminare con le proprie gambe, è una necessità che non può più essere rimandata o delegata.

Ci rendiamo conto che non è mai facile assumersi la responsabilità di credere nei cambiamenti, ma l’alternativa è aspettare ancora che lo Stato si ricordi di occuparsi della città che più ha spogliato e depredato.

La battaglia per proteggere Napoli e i suoi cittadini può essere vinta solo da chi ha a cuore il suo progresso, è arrivato il momento di smettere di credere alla storia del Paradiso abitato da diavoli: l’alternativa c’è.

Un commento

  • Che fare?
    Credo sia chiaro a (purtroppo) poche persone che è in gioco la nostra Storia: Ed è molto grave perché, si sa, chi ignora o – peggio- ripudia il proprio passato non ha futuro.
    Vanno bene tutte queste considerazioni sui sussidi, così che chi volesse informarsi su come viene trattato – ignorandolo – potrebbe cominciare ad aprire gli occhi.
    Trovo superfluo ricordare il pensiero di certi personaggio della politica della nascente Italia. A che serve? Non avevano alcun peso. Erano ben altri quelli che dirigevano la musica.
    Se dopo 155 anni c’è ancora gente ignara dell’abisso in cui è stata gettata, vuol dire che si è fatto poco e – consentitemi – male il lavoro di chi doveva e poteva informare.
    Ho già scritto che – a mio avviso – a nessuno interessava l’unità d’Italia intesa come nascita e sviluppo di una Nazione italiana ma i fattori di tutta quell’operazione avevano un scopo ben preciso: allargare i loro confini e 100.000 kmq. erano più che funzionali al progetto così come lo erano circa 10 mln di anime
    che – infatti – si sono in buona parte trasferite al nord trasformando piccole città in grandi centri e – di conseguenza – producendo l’opposto al Sud.
    Se la mia teoria è esatta resta una sola cosa da fare: pensare a noi stessi. Questo richiederà tanto lavoro e molti sacrifici. O si riuscirà o il coma attuale diventerà irreversibile.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.