Mezzogiorni d’Europa: cosa fanno Germania, Francia e Spagna per i loro “Sud” e cosa non fa (ancora) l’Italia

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di Mattia Di Gennaro

Eccellente inchiesta quella di Chiara Bussi su “IlSole24Ore” del 9 novembre 2015 che ci racconta di un’altra Europa, fatta di aree che producono meno ricchezza pro capite della media nazionale di riferimento e per questo destinatarie di misure di stimolo economico eccezionale: sono i “Mezzogiorni” d’Europa, con cui tutti i grandi Paesi europei hanno a che fare, a ribadire che la “questione meridionale” non è un cruccio solo italiano.

“Che cos’hanno in comune la Calabria, la spagnola Extremadura, il Land tedesco del Meclemburgo, la francese Piccardia e i territori d’Oltremare? Sono aree svantaggiate con un PIL pro capite ben al di sotto della media nazionale e un tasso di disoccupazione alle stelle”. Le similitudini per la giornalista continuano col fatto che tutte queste aree “beneficiano di misure ad hoc da parte dei governi nazionali”, cosa che i lettori dei post di MO – Unione Mediterranea sanno non essere propriamente vera.

Germania, Francia e Spagna negli ultimi anni hanno profuso attenzione e risorse per i loro “Sud” in nome dell’equità dei cittadini e dell’equo diritto degli stessi a beneficiare di diritti e trattamenti simili, indipendemente da dove essi abbiano la residenza.

Per citare qualche esempio, nei Land della ex-DDR, la Cassa depositi e prestiti tedesca ha dispensato, dagli anni ’90, ben 194 miliardi tra finanziamenti alle infrastrutture e aiuti alle imprese, con interventi che durano ancora oggi, associati ad altri pacchetti di stimoli all’economia che prevedono investimenti nella ricerca e nella creazione di poli d’eccellenza. Chiara Bussi ci racconta che anche la Spagna ha deciso di impostare il recupero delle aree svantaggiate attraverso il finanziamento di progetti in ricerca e sviluppo, in particolare nella Bioeconomia, mentre la Francia per il “suo Mezzogiorno” ha puntato soprattutto sul taglio delle imposte e la costituzione di aree a fiscalità agevolata, in perfetta conformità all’articolo 107 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, che sancisce la possibilità per gli stati membri di programmare interventi a finalità regionale per sostenere lo Sviluppo Economico e la creazione dei posti di lavoro delle regioni europee più svantaggiate.

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E l’Italia? Per l’Italia, dopo anni di silenzio in cui il Sud sembrava sempre più abbandonato a sé stesso, il Governo Renzi ha annunciato la pianificazione di un piano di interventi straordinari, il famigerato MasterPlan per il Sud, che, per ora, si è risolto in tre slide colorate e dieci paginette, piene di chiacchiere senza concretezza. E non siamo solo noi di MO – Unione Mediterranea ad averlo affernato; nell’edizione de “IlSole24Ore” del 7 novembre scorso, Alessandro Laterza, vicepresidente di Confindustria con delega al Mezzogiorno, ha rintuzzato il Governo per il deficit di concretezza del documento: ”Il MasterPlan Sud, annunciato dal Presidente del Consiglio ai primi di agosto, colma una vistosa lacuna comunicativa, ma, non risponde alla “svolta” che fiduciosamente era attesa e che avrebbe dovuto trovare riscontro – sempre a detta del Consiglio – nella Legge di Stabilità. […] Si tratta di una razionalizzazione organizzativa che dovrà essere imperniata su 15 accordi di programma con altrettante amministrazioni regionali e metropolitane meridionali. […] Il tutto preceduto dal tronfale annuncio della disponibilità fino al 2023 di 95 miliardi tra fondi strutturali e cofinanziati e Fondo di sviluppo Coesione (che in realtà includono anche risorse destinate al CentroNord per oltre 20 miliardi di euro, ma non è il caso di sottilizzare)”.

Dopo le frecciate a Renzi, Laterza parte in un’inarrestabile elencazione degli effetti della crisi sul Mezzogiorno, snocciolando dati e distruggendo alcuni pregiudizi sul Sud assistito: “A parte gli storici divari nel Sud, la grande crisi ha ingoiato 600.000 posti di lavoro e 50 miliardi di Pil (su base annua). […] Dal 2008 al 2014 gli investimenti pubblici e privati sono crollati del 38%, nell’industria di oltre il 59%. Come è possibile? Non stiamo parlando del pezzo più sovvenzionato dell’apparato produttivo nazionale? Ebbene, decisamente no. Negli scenari Industriali del Centro Studi Confindustria emerge con chiarezza che tra il 2008 e il 2013 gli interventi di incentivazione concessi sono calati del 16,9% nel CentroNord (da 3,2 miliardi a 2,6) ma del 76,3% al Sud (da 5,5 a 1,3 miliardi). […] Insomma, negli ultimi anni, lo Stato ha rinunciato sostanzialmente, ad una politica di riequilibrio produttivo a beneficio dei territori più in ritardo”.

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Il Mezzogiorno, dunque, non può più essere liquidato con le solite promesse ma necessita di essere messo al centro della politica nazionale, anche perché a beneficiarne non sarebbero solo i residenti dell’Italia Mediterranea ma tutto il Paese. Il responsabile Mezzogiorno di Confindustria lo sa bene e afferma che “Tutto ciò ha senso [gli interventi di riequilibrio del sistema economico del Sud] nell’interesse nazionale. Perché il Mezzogiorno è il primo mercato per il sistema produttivo del resto del Paese. Perché per ogni euro investito al Sud, 40 centesimi diventano acquisti di beni e servizi nelle altre ripartizioni territoriali C’è di più. Contrariamente al luogo comune corrente, la spesa nel mezzogiorno è più bassa del 20% (2,394 euro in meno) rispetto al resto del Paese; del 25% circa se solo si considera il Settore Pubblico Allargato (Ferrovie, Anas, Enel). […] Contrariamente ad un altro luogo comune corrente, i dipendenti pubblici del Sud (diminuiti di 130mila unità tra il 2000 e il 2013) sono il 5% della popolazione residente, esattamente nella media nazionale”.

Dunque, interventi concreti mirati al Mezzogiorno non solo utili a tutta l’economia italiana ma quasi moralmente obbligati, data la dieta dimagrante che negli ultimi anni gli è stata imposta. Con un Sud che, riscoprendo e sfruttando la sua strategicità per il resto del Paese, potrà finalmente rivendicare la propria centralità e la propria autonomia, esattamente come MO – Unione Mediterranea auspica da tempo, incentrando il proprio programma per le prossime elezioni comunali di Napoli sull’autonomia della Capitale del Mezzogiorno.

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