Insegnanti e scuola: il Sud come una colonia.

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di Ciro Esposito

Oggi su “Repubblica” e “Fatto Quotidiano” si parla di scuola. Sono notizie che si tengono per mano perché evidenziano la disparità di trattamento tra Nord e Sud nelle politiche scolastiche e mostrano come esse non siano il frutto di provvedimenti circoscritti e occasionali, ma il risultato di una strategia di lungo periodo.

Cominciamo con “Repubblica”, che annuncia: ”Prof meridionali al Nord, poche chance di ritorno vicino a casa”. Sono gli effetti collaterali della “Buona Scuola” applicata al Meridione che gli insegnanti del Sud denunciano, inascoltati,  da tempo.  Quando la legge venne varata, gli insegnanti indotti al trasferimento parlarono di “deportazione”. Una parola forte che suscitò polemiche perché la deportazione non prevede l’assenso di chi  viene trasferito.  Tuttavia, se l’alternativa al trasferimento è il depennamento dal piano delle assunzioni, magari dopo venti e passa anni di precariato e dopo aver costruito carriera (e famiglia) altrove,  si capirà come la protesta fosse pienamente legittima. Vogliamo parlare delle retribuzioni? Lasciamo perdere, sono di dominio pubblico. Ora la doccia fredda: le illusioni di un rapido ritorno a casa, alimentate anche dalle voci sindacali più moderate,  vengono smentite dai freddi numeri pubblicati dal quotidiano romano. Chi è partito resterà lontano, il rientro è affidato alla lotteria di trasferimenti centellinati.

I media ripetono con tono colpevolizzante che “i posti sono al Nord”. “Il Fatto Quotidiano” ci dice che potrebbero essere pure al Sud. Quasi a completamento dell’articolo di “Repubblica”, F.Q, ci ricorda che a scuola “il tempo pieno è una prerogativa solo del Settentrione”, dove ne usufruiscono il 38% degli studenti a fronte dell’11% del Sud (e del 4,2% della Sardegna!). Vale la pena ricordare che il tempo pieno venne introdotto negli anni Settanta per rispondere ai bisogni sociali dei territori, per recuperare lo svantaggio sociale degli studenti attraverso tempi di apprendimento più distesi e una più varia e attenta offerta scolastica.

Paradossalmente, la scuola manca dove servirebbe di più. Un governo che fosse attento a sanare gli squilibri territoriali impegnerebbe gli insegnanti meridionali “a casa loro” anziché spostarli di centinaia di chilometri, impoverendo ancora di più i loro luoghi di origine. A ben vedere, anche in questo caso, siamo – a piedi uniti – dentro una logica coloniale.

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