Cronache da una colonia

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di Salvatore Legnante

Il 27 Aprile del 1937 moriva, nelle carceri fasciste, Antonio Gramsci, uno dei primi grandi intellettuali ad aver strutturato in pensiero concreto la questione meridionale. Perché parlarne oggi, a quasi 80 anni dalla sua morte? Perché ciò che Gramsci teorizzò, e cioè che la questione meridionale nascesse da un accordo di fatto tra classe imprenditoriale del Nord e latifondisti del Sud, dopo che il Risorgimento era stato, per le popolazioni meridionali, anche e soprattutto sterminio di contadini ribelli, è ancora attuale.

Oggi le cronache da queste parti parlano ancora di un trattamento simil-coloniale. Al saldarsi degli interessi tra imprenditori e latifondisti, viene oggi sostituito la connivenza tra classe politica nord-centrica e imprenditoria camorristica locale: il ricatto, per le popolazioni meridionali, resta lo stesso. E’ cronaca di ieri la nuova indagine sui rapporti tra clan dei casalesi e il maggior esponente del PD campano, Stefano Graziano, eletto al consiglio regionale con circa 16mila preferenze.

Noi non esultiamo per i guai giudiziari di un partito o di un altro. E’ miope tale atteggiamento. Noi riteniamo che tali legami vadano spezzati, una volta per sempre. La magistratura ha fatto fino in fondo il suo compito. I capi dei clan sono in carcere. La camorra è in difficoltà. Ma lo Stato non ha vinto. Non ha vinto perché restano in piedi le logiche di connivenze e di traffico di consenso che fanno ancora dei nostri territori colonie interne, in mano ad interessi poco puliti e politici sotto ricatto.

E’ per questo che riteniamo che le risposte vadano cercate in modelli politici ed amministrativi autonomi. Non possiamo più fidarci di partiti nazionali, in cui i rappresentanti locali rispondono ad interessi di corrente e di segretari lontani, piuttosto che dei loro elettori. Non possiamo più fidarci delle logiche filocamorristiche, che pretendono di piegare le istituzioni di città come Napoli al volere del presidente del consiglio. Non possiamo più piegarci ai velati ricatti di un segretario nazionale del PD, primo ministro, che non si degna di chiamare il sindaco della più grande città del mezzogiorno per discutere di camorra, e che trasforma la prefettura in una sede elettorale del suo partito.

Noi dobbiamo slegarci da tali logiche e capire una volta per tutte che la nostra liberazione dobbiamo conquistarcela da soli, senza attendere elemosine e senza più chinare il capo. Né davanti ai camorristi, né davanti ai presidenti del consiglio. Dobbiamo rivendicare rispetto, e dobbiamo preparare una classe dirigente autonoma che risponda al Sud, non ai capi partito. E, come fatto con Luigi de Magistris a Napoli, dobbiamo trovare gli interlocutori giusti.

Non sarà un percorso semplice.

Non sarà un percorso breve.

Ma alternative non ce ne sono: in nome di un Sud finalmente libero dalle connivenze, dai ricatti e dalle mafie abbiamo il sacrosanto dovere di metterci in cammino. Ora. Anzi, MO!

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