Comprare sud e tifare sud fa bene al sud
di Raffaele Vescera dalla pagina Terroni di Pino Aprile
Il 90% dei soldi spesi al Sud servono a comprare prodotti del Nord. Ogni anno per 70 miliardi di euro. Tutti i giorni, ogni meridionale spende in media dieci euro di prodotti made in Nord, di cui almeno la metà in prodotti alimentari, 3.500 euro l’anno, più di 10.000 a famiglia, con un reddito di poco superiore. Un assurdo nella terra del buon cibo, dei mille tipi di pane, il migliore al mondo, delle cento paste fatte come una volta, dei tanti ortaggi, frutta, mozzarelle e formaggi in cento specialità, oli d’oliva per il 90% prodotti al Sud ma per il 70% imbottigliati al Nord, i vini con la più alta produzione mondiale di uve, acque minerali di Basilicata, Calabria, Campania, Molise e Abruzzo in quantità.
Ci sono cittadini meridionali che preferiscono comprare mozzarelle di indicibile sapore di una nota azienda lombarda, molto pubblicizzata, anziché quelle buonissime fatte a due passi da casa loro, dove si fanno da secoli. Senza pensare ai maggiori costi di trasporto da pagare e al conseguente inquinamento della penisola: che senso ha acquistare un’acqua minerale alpina in Calabria e far viaggiare un tir per 3.000 km A/R? Siamo sicuri che sia migliore solo perché costa il doppio ed è pubblicizzata?
Eppure tant’è, si comprano e si consumano prodotti provenienti dal Nord. Difficoltà a fare impresa al Sud e martellante e ingannevole pubblicità delle più ricche e potenti aziende settentrionali, l’azione congiunta dei due fattori agiscono a tenaglia per convincere la popolazione meridionale a comprare Nord. E’ una morsa da cui dobbiamo liberarci se vogliamo la rinascita del Mezzogiorno.
Nicola Zitara diceva che il riscatto del Sud comincerà quando si farà, metaforicamente, rotolare nella scarpata un camion di galbanini.
Comprare Sud vuol dire creare per noi milioni di posti di lavoro, attivando produzione industriale e relativo terziario. Il nostro destino è nelle nostre mani. Gandhi educò gli indiani a non comprare i prodotti degli inglesi, vanificando la loro occupazione coloniale.
E’ utile tifare Sud anche nel calcio. Non è forse diventato questo solo un consumo milionario? Non si è forse trasformato in una forma di plusvalore economico, anche questo in gran parte goduto al Nord? Che cosa ha più a che fare con lo sport puro? Che senso ha tifare per Juve, Milan, Inter, se non consumare, anche in questo caso, un loro prodotto economico, solo finanziariamente più forte di quello nostro? Tifare Sud significa rafforzare l’autostima di un popolo colonizzato anche culturalmente.
Non abbiamo industrie, lavoro, banche, assicurazioni, siamo ridotti a un esercito di consumatori, pecore utili a brucare, a caro prezzo, l’erba del vicino. Possiamo riprenderci quanto ci spetta, con un solo gesto: fare attenzione alla provenienza dei prodotti che compriamo, e che tifiamo.
É già da un po’ che mia moglie ed io abbiamo smesso di spendere i nostri soldi al nord e ci rivolgiamo solo ad aziende del Sud. Dovremmo smetterla di essere il mercato del nord, di quel nord che, e non é fatto marginale, continua a considerare il Sud meno del suo mercato privato. Senza parlare della disistima che anima gran parte di quel popolo becero e ignorante che colma le fila di movimenti politici sovranisti.
E poi occorre sottolineare la continua razzia di qualità e prodotti, il provolone ne é un esempio: da prodotto per eccellenza campano é migrato in val padana prendendo addirittura una dop (vi ricordate dell’Auricchio? Gennaro Auricchio ( e ho detto tutto)
E per finire la continua manipolazione a detrimento della qualità dei Prodotti del Sud (la terra dei fuochi è un fazzoletto di terra che però, in termini pubblicitari detrattori, si estende a dismisura) mentre, di contro, l’inquinamento esteso a tutta la val padana? E al distretto bresciano? Guai a parlarne: ma da dove viene il parmigiano? o il grana?
Confesso che, vivendo al Nord (Milano) (al Sud ci vengo solo d’estate; sono napolitano ma vado in Calabria) non conosco molto della situazione organizzativa delle aziende meridionali. Tuttavia, penso che un primo passo da fare sarebbe quelle di raccoglierle per settori merceologici in cooperative che dovrebbero dare incarico a singoli operatori o – meglio – ad aziende appositamente create – per promuovere il prodotto all’interno come all’estero.
Quali vantaggi porti la pubblicità è noto (anche se ce ne sono alcune irritanti per la loro banalità; ma tant’è). Consentono di diffondere una migliore conoscenza del prodotto. Voi parlate di fior di latte di “indicibile sapore” prodotte al Nord. Ma avete mai …assaggiato quelle tedesche! Che buone quelle fatte da noi, ad esempio in Calabria. Ma chi le conosce? Forse solo pochi nella stessa Calabria. Certo, se aggrediti continuamente da un’assillante pubblicità. Insomma, se la pubblicità è l’anima del commercio, la sua organizzazione non lo è da meno, anzi viene prima.
Ma i temi su cui lavorare – lo sappiamo tutti – sono infiniti (mi si passi l’iperbole).