Cervelli in fuga verso il meridione ai tempi di Carlo di Borbone: le maestranze delle fabbriche caroline

Share Button

Il programma politico di Carlo di Borbone era di ampio respiro e si proponeva di  elevare il Sud della Penisola, nel più breve arco di tempo possibile, alla sua nuova dignità di Regno. Per farlo era necessario porre rimedio ai problemi economici e sociali esistenti. Pertanto, volle istituire diverse fabbriche con evidenti finalità allo stesso tempo di prestigio e mercantili. Quella che tutti ricordano e forse la più importante, nonostante le sue ridotte dimensioni, fu la Fabbrica di Porcellane del Regno di Napoli, che riuscì a raggiungere il livello di quelle europee. Ma Carlo ebbe il merito di voler far istituire anche altre fabbriche. La loro creazione -che purtroppo oggi è quasi del tutto ignota anche a molti napoletani-  mirava a dare un’idea nuova del Regno, concepito secondo una gestione mercantilistica, ma anche illuminata ed intraprendente. Importanti risultati vennero raggiunti soprattutto da quelle manifatture che, per la totale assenza di tradizione locale, richiesero la presenza di artisti già qualificati.

Carlo era stato riconosciuto dall’ultimo Medici come suo legittimo successore ai ducati di Parma e di Toscana. Aveva perciò trascorso un periodo a Firenze dove aveva avuto modo di esaminare con grande interesse ciò che si eseguiva nei laboratori medicei. Nel 1737 venne soppressa a Firenze la Manifattura di Arazzi e l’Opificio delle Pietre Dure sembrò dover subire la stessa sorte. Fu allora che Carlo di Borbone colse l’occasione per far venire a Napoli dei lavoratori professionisti. Francesco Ghinghi era un intagliatore di cammei e artefice dell’Opificio delle Pietre Dure, mentre Domenico del Rosso e Giovanni Francesco Pieri erano due artisti che avevano rivestito importanti cariche direttive nella manifattura medicea degli arazzi. Questi artisti toscani, una volta giunti a Napoli, ebbero l’incarico di adattare ad opificio lo stabile adiacente la chiesa di San Carlo alle Mortelle, nei pressi del Corso Vittorio Emanuele, a cui si aggiunse dopo poco la manifattura di arazzi.

Il Real Laboratorio delle Pietre Dure, diretto da Francesco Ghinghi, ebbe lunga vita e rimase aperto fino all’Unità d’Italia. I lavori eseguiti durante la sua direzione furono di gusto prettamente barocco e risultava evidente l’impegno e la raffinatezza nell’esecuzione degli oggetti. Il direttore era coadiuvato da altri nove collaboratori fiorentini giunti a suo seguito.

E’ quindi evidente una tendenza opposta rispetto a quella cui oggigiorno quasi impotenti assistiamo. Artisti esperti si spostarono dal Nord della penisola per raggiungere il Sud, il Regno delle Due Sicilie che in quel periodo, grazie alla creazione di fabbriche proprie, offrì importanti opportunità lavorative a professionisti. Infatti, dopo la morte del Ghinghi, nel 1762, altri artisti toscani si successero nella direzione della fabbrica ed indirizzarono i lavori verso il nuovo gusto neo-classico.

La Real Fabbrica degli Arazzi prese il via quasi contemporaneamente a quella delle Pietre Dure. Domenico Del Rosso e Giovan Francesco Pieri organizzarono gli atelier di lavoro per i quali vennero chiamati da Firenze anche altri arazzieri medicei. La svolta si ebbe nel 1757 quando Pietro Duranti, arazziere romano, si trasferì a Napoli per aprire una piccola manifattura di arazzi. Gli vennero concessi in uso alcuni locali a San Carlo alle Mortelle dove poteva gestire una fabbrica parallela a quella già esistente. La produzione si intensificò anche in concomitanza con la richiesta di  tappezzerie necessarie per le sale della Reggia di Caserta. Da questo momento l’arazzeria si inserì nel panorama artistico napoletano anche grazie al rapporto istauratosi con i più grandi pittori attivi in quel momento, come Giuseppe Bonito, Francesco De Mura, Pietro Bardellino, che realizzarono i cartoni preparatori per gli arazzi.

Napoli costituiva un polo attrattivo non solo per i professionisti del Nord. Infatti, anche francesi e spagnoli trovarono impiego in altre fabbriche, ovvero in quella delle stoffe broccate e nella Real fabbrica d’armi.

Durante il XVIII secolo la Francia aveva il primato nella realizzazione delle stoffe. Il telaio sperimentale montato nelle vicinanze dell’Arazzeria era, non a caso, affidato ad un mastro francese: Monsieur Trouillieur, alle cui dipendenze vi erano due operai. Purtroppo, questo tipo di lavorazione rimase ad un livello artigianale. Per avere una produzione più alta bisognerà aspettare il periodo ferdinandeo con il complesso di San Leucio.

Un altro esempio dell’impiego di maestranze straniere fu quello della fabbrica d’armi di Torre Annunziata. Infatti, nacque l’esigenza di fornire autonomamente gli eserciti di armi. Per avviare questa produzione si rese necessaria la presenza di artefici spagnoli che trasmisero quest’arte agli armieri locali. Ben presto, la produzione si ampliò anche verso un settore più artistico come quello delle armi da caccia. Tale manifattura, per il pregio delle armi che venivano realizzate, rimase riservata al re e ad una ristretta committenza aristocratica. Anche in questo caso, dopo l’Unità, l’intera fabbrica perse le sue peculiarità divenendo uno spolettificio.

Le diverse tipologie di maestranze esperte trovarono nelle fabbriche, fortemente volute da Carlo di Borbone, il luogo idoneo per dar vita alle loro creazioni. La loro presenza può darci l’idea di come il Regno delle Due Sicilie costituisse un nucleo accentratore dove a grandi professionisti venne data la possibilità di affermare la propria arte nei campi più disparati.

 

Flavia Tizzano, Ass. Cult. locus iste LUOGHI e MEMORIA

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.